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Autore: onlydirectioner_    02/12/2011    0 recensioni
mi trovate dentro questa storia, non voglio anticipare nulla, scopritemi!
- I'm a dreamer? Yes, but with down to earth, perhaps, and head in the clouds.
- Sono una sognatrice? Sì, però con i piedi per terra, forse, e la testa tra le nuvole.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 1
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quindici dicembre duemilaundici – Londra

 
Caos, smog, traffico, grattacieli, tramonti spettacolari, albe da togliere il respiro, monumenti colossali e antichissimi mozzafiato, strani cappelli costosi dai vivaci colori e dalle forme più strane spesso imbellettati con quale piuma nera e ogni genere di motivo, boutique d’alta e pregiata sartoria, ticchettii di tacchi vertiginosi, palazzi importanti dall’aspetto austero e regale, pullman rossi fuoco a due piani e taxi neri dall’ara leggermente retrò; questo caratterizzava Londra, questo era ciò che notai non appena approdata.
 
Ero in vacanza studio ormai da due mesi. Un anno nella meravigliosa capitale inglese dai sapori e dagli odori intensi, dai colori accesi e dalla vitalità unica tipica di una grande città, ecco cosa mi aspettava per i prossimi trecento giorni. Avrei studiato là, frequentato il secondo anno di liceo in uno dei college nel cuore della megalopoli e conosciuto una nuova cultura, assaporando diversi pensieri e abitudini quotidiane. Ero felice, orgogliosa che i miei genitori si fossero fidati di me lasciandomi partire, che dopo mesi di suppliche e discussioni fossi riuscita a conquistare il mio sogno e un po’ della loro fiducia.
 
I mie ‘genitori’ inglesi erano piuttosto anziani, ma non i classici e ordinari vecchietti intorpiditi e lagnosi consumati dall’età, dalla vecchiaia.
Erano perfettamente curati, oltretutto ritoccati dalla chirurgia plastica, allegri, frizzanti, senza figli e completamente soddisfatti della loro vita, senza alcun rimpianto o speranza per il futuro.
La loro casa, se così si poteva chiamare, era un enorme loft con meravigliosa vista sul Tamigi, non avrei desiderato di meglio per le mie foto. Era perfettamente arredato, moderno e luminoso.
Ricchi signori, se così si vuol dire dei borghesi, ecco chi erano. Amavano i giovani, giocare a golf, gli abiti griffati ed eleganti, i profumi francesi, le stoffe arabe, partecipare agli eventi più attesi ed esclusivi dell’anno, un po’ come fossero piccole vecchie star, e, soprattutto, viziarmi.
 
Pensavo fosse stata dura vivere un anno con degli ultrasessantenni, senza una via di fuga, senza conoscere nessuno. Pensavo fosse stata dura stare lontano da casa, vivere in una nuova città,  senza vedere la mia famiglia per trecentosesantacinque giorni, cominciare una nuova scuola, un nuovo stile di vita; eppure dovevo, volevo farcela! Amavo vagare per il mondo e dimostrare ai miei di essere responsabile, quel viaggio avrebbe realizzati entrambi i miei sogni. Con sorpresa, invece, mi ritrovavo in uno dei quartieri più importanti e conosciuti di tutta Londra, in una appartamento enorme e alcuni vicini erano artisti caduti da vizi e sfortuna, almeno così mi avevan detto.
Ciò mi avrebbe aiutata, facilitato tutto.
In meno di tre settimane mi avevano mostrato tutta la città, presentato ad alcuni ‘pezzi importanti’ della società londinese, portato a grandi feste. In meno di tre settimane avevo conosciuto Londra, almeno così credevo.
 
16.2O – Città, Londra
 
Nonostante fossi in ritardo non presi nessun tram, decisi di camminare, amavo farlo, soprattutto in quella città che, giorno dopo giorno, mi affascinava sempre più.
Dovevo raggiungere Selena al ‘Frappé’, il nostro locale preferito, alle quattro.
Era uscita per incontrare una zia irlandese e, prima di tornare a casa, voleva stare un po’ insieme.
In poco tempo era diventata la mia migliore amica e, ormai, anche lei faceva parte della famiglia: viveva con noi da ormai due settimane ed era la cosa migliore per tutti. I miei genitori, ormai li chiamavo così, non amavano lasciarmi sola quando uscivano e lei, che non aveva più la madre e il padre era sempre in viaggio per lavoro, non restava ‘abbandonata’.
Era alta, di media costituzione, una leggera spruzzata di lentiggini gli punteggiava il naso e parte delle guance, aveva occhi verdi sfumati d’azzurro e capelli color rame. Era bella, simpatica, solare, interessante, brava a scuola e suonava tre strumenti; spesso era difficile per me uscire con lei, soprattutto assieme a dei ragazzi. Io ero così normale, semplice. Occhi color nocciola dai riflessi verde scuro, capelli castano chiaro e lunghi, alta, questo sì, e magra, ballavo da dieci anni ed ero brava davvero, questo non potevo negarlo; ma io ero scontata, quasi monotona.
 
Il telefono iniziò a squillare, frugavo nella grande borsa beige mentre a passo svelto e scandito continuavo a camminare decisa per quelle vie strette e secondarie, molto più veloci e desolate, che ormai conoscevo a memoria ed erano la mia scorciatoia.
Non feci in tempo a rispondere, non importava. Sicuramente era Sel che, preoccupata e detestante del ritardo, voleva sapere dov’ero, se stavo arrivando e come stavo.
Procedevo a testa china per la mia strada senza guardare, non passavano mai macchine, lo sapevo bene. Dentro alla borsa trovai l’i-pod, l’afferrai e misi le cuffie con un sorriso dipinto sul volto.
 
Un grido,
una luce potente,
il rumore dei freni sull’asfalto,
poi niente.
 
18.03 – Ospedale, Londra
 
Xx: ‘Dottore, venga! Si è svegliata!’ – urlò qualcuno: un ragazzo, sicuramente –
Io: - le palpebre degli occhi erano pesanti, come incollate tra loro, sigillate e destinate a rimanere chiuse per sempre. Il cuore batteva lento, la testa pulsava a causa del dolore e la gamba mi faceva davvero male – ‘C-cos’è successo?’ – chiesi priva, ormai, di forze –
Xx: ‘Shh, riposati, Cecilia’ – disse dolcemente, poi, di nuovo, urlando chiamò il dottore –
Io: ‘C-chi sei? Dove sono?’- chiesi per la seconda volta. Ancora nessuna risposta, solo una mano calda sulla mia come volermi rassicurare. La tolsi e, questa volta gridando, domandai – ‘dimmi cos’è successo e perché sai il mio nome?! Dove mi trovo, rispondi cazzo!’ – un colpo violento alla testa. Presi la mano e la portai sulla fronte, un rialzo, come di una cicatrice, mi fece sussultare –
Xx: ‘Sono Harry e, a quanto pare, dobbiamo sempre incontrarci così, italiana’ – disse sorridendo -
Io: ‘Cosa vuoi dire?’ – domandai confusa, agitata. Chi era quel ragazzo, Harry, e quando ci eravamo incontrati ancora? Un vuoto allo stomaco mi fece sussultare-
Harry: ‘Che è destino!’- sorrise -
 
Quella frase mi colpì, più di quanto le fitte alla testa avessero fatto negli ultimi minuti, più di quanto quella maledetta macchina fece qualche minuto prima, qualche ora o forse giorni.
Mi voltai per osservarlo. Il cuore ora batteva a mille, come un cavallo indomito e selvaggio dalla lunga criniera, gli occhi si fecero lucidi, la gola secca. Non potevo muovermi, alzarmi sia dal dolore sia dall’emozione. I suoi occhi puntati su di me, quasi volermi abbagliare, mi catturarono, come avevano fatto la prima volta, come avrebbero sempre fatto.
Era lui, era qui. Pensavo non l’avrei mai rivisto, che tutto fosse finito.
Era lui, era qui. Mi teneva la mano come volermi rassicurare, premuroso sorrideva.
Era lui, era qui. Mi accorsi, dal nostro primo incontro, di provare qualcosa per lui.
Era lui, era qui. Avevo rivisto Harry.
Il cuore iniziò  a bussare al petto, non poteva uscire e vagare per la stanza, così decisi di non ascoltarlo, la mia anima sembrava sorridere felice, gli occhi piangevano e come in fiume in piena investivano il mio viso stupefatto. Non sapevo cosa fare, l’abbracciai forte, nonostante la sofferenza causata dalle ferite, perché era tutto ciò che volevo.
  
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