Padre
Padre, mi rifiuto di riconoscere la tua autorità. Nelle tue parole scaraventate contro la mia faccia vedo solo l’intento di sentirti ancora uomo e ancora giovane, il tuo estremo tentativo di cogliere nella tua voce oltremodo orgogliosa un seppur lontano bagliore del tuo vigore. Nelle frasi sconnesse e lanciate a tutta velocità sulla tangenziale dei tuoni, tracciando un sentiero buio e sconnesso, solo la speranza di vedere un uomo energico e vitale, che dalla vita si aspetta ancora figli perfetti e una collocazione prestigiosa. Nelle tue espressioni contrite nella rabbia, è proprio quest’ultima che manca. Dove s’è cacciata la spaventosa iracondia dell’uomo che picchiava il suo bambino finché non era sicuro che sanguinasse abbastanza nel cuore? Dove sono quelle mani assassine che mi devastavano ad ogni colpo? Dove si è nascosta quell’insuperabile follia del possesso, quella meravigliosa possanza che ti definivano mio padre? Adesso nel tuo abbaiare solo tanta distanza, solo un’impressione lontana di quello che puoi essere stato. Nelle tue conclusioni così poca convinzione; si disperdono in archi dall’origine segreta e incatenati al cielo tramite il sottile filo dell’impotenza. Tanto astio per la vita, non per la mia voce. Quella stessa vita che hai abbracciato, e che adesso inizia a privarti dei capelli, dipingendoli uno ad uno con quel pennello intinto di grigio. Sei il suo quadro più bello, padre.
Padre, adesso guardami. Se non sono quello che hai sempre
desiderato, ne sono almeno una pallida imitazione? Non sono forse colorato
degli stessi colori che un tempo ti rendevano così unico e splendente agli
occhi di due increduli genitori? Non sono deliziosamente pericoloso? Non vedi
in me lo stesso sguardo che un tempo ti sospingeva in strade che adesso neppure
ricordi di aver percorso? Quanto, quanto ancora vuoi controllare il flusso di
rabbia che mi percorre? Per quanto tempo credi che sarai capace di segarmi le
ali in un bagno di sangue? Impedirmi di volare non serve più, le ali che tranci
da qualche mese appartengono ad un ombra, capisci adesso perché non hai più
visto una goccia del mio sangue? Volo alto nel cielo padre, passo sotto tutti i
tuoi archi, ne osservo la pregevole fattura. Hai costruito la tua fine solo con
i materiali più preziosi, scegliendoli accuratamente e disponendoli secondo
l’ordine che il caso più sublime ti detta.
Volo più alto di quanto tu non abbia mai volato, con più
uccelli di quanti tu non ne abbia mai visto in vita tua, spruzzando nell’aria
colori che neppure avresti immaginato nei tuoi sogni più perversi; mi vedi
padre, lassù oltre il tuo orgoglio? Sopra la tua fine vedrai me, a renderti
tutto l’onore che meriti, l’omaggio alla tua magnificenza, l’elegia più
trionfale che tu abbia mai udito.
Padre, la senti mai? Odi mai la Morte avvicinarsi? La senti
sussurrarti nell’orecchio le sue parole più dolci, i suoi ricatti e le sue
promesse? Come ti appare? È la stessa donna sulla quarantina che appare nelle
mie giornate più nere? Anche la tua è vestita con colori fastidiosamente sgargianti?
Una borsa nera di pelle è forse il suo corredo? Il suo rossetto è sangue
incrostato? Profuma a tratti come una foresta di abeti grigi? Cosa ti promette
padre? Ti fa vedere tutto quello che hai saputo fare? Io credo che si avvicini
ai tuoi occhi con più avidità del normale. Ne vede i contorni scolpiti nel
sacrificio e nella fatica, in quelle stesse attività che ti hanno assicurato un
posto d’onore nel pantheon dei miei dei. Ti vedo carico di quella realizzazione
semplice ma totale nella quale hai creato un nucleo perfetto da accudire e
nutrire con i meravigliosi frutti della tua fatica di uomo. Siamo uomini padre,
siamo tutti uomini, la fatica ci nutre e ci abbrutisce dopo una vita passata a
dialogare con il dolore e la difficoltà dell’esistenza. Padre, ti senti
finalmente mio padre? Ti senti finalmente tutt’uno con ciò che lascerai? Senti
di possedere inequivocabilmente tutto quello che compri o che vedi nella tua
casa? Anche se sono volato via, padre, io non ti lascerò. Volo basso, per
osservarti ed imparare la tua fine e maestosa arte del vivere. Sono tuo figlio.