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Autore: Redrum    24/07/2006    9 recensioni
sono episodi noti dei libri di HP, ma narrati dal punto di vista di personaggi secondari o mai visti... ci saranno molti episodi di queste avventure di Ray Oddname e dei suoi amici...
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Fred, Weasley, George, e, Fred, Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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IL PIANO DI DRACO




Daniel si sentiva diabolicamente felice, quel giorno. E non era per via del fatto che mancavano meno di due minuti all'intervallo che l'avrebbe finalmente liberato da quello strazio che era la lezione del professor Rüf, ma per via del foglio di pergamena che aveva trovato appeso alla bacheca nella sala comune di Serpeverde, quella mattina. Da quando era uscito insieme ad altri suoi compagni dall'ufficio della professoressa Umbridge – dalla quale si erano recati per accertarsi della situazione – non aveva smesso di sfiorare col dito la luccicante spilla d'argento fatta a 'I', appuntata sulla veste, proprio sul petto. Appoggiò il robusto braccio sudato sul banco e si mise a grattarne la superficie in legno col temperino, lo sguardo fisso nel vuoto. La Squadra d'Inquisizione: chi l'avrebbe mai detto? Finalmente avrebbe avuto, insieme ad altri Serpeverde, il dominio su quella feccia di scuola, con un potere superiore persino a quello dei prefetti. Non vedeva l'ora di togliere punti a qualcuno... Soprattutto a quei dannati gemelli “Pel-Di-Carota” Weasley. Gli davano veramente sui nervi, quei due, sempre con le loro battute, coi loro scherzi... eppure risultavano popolari e simpatici, ma di certo non a lui: erano solo degli sporchi traditori del loro sangue. Spostò lo sguardo e vide sul banco incisa la frase Qui giacciono H.P. e R.W., poveri studenti indifesi uccisi dal sonno eterno nell'aula di Storia della Magia da un professore imbecille, incompetente, e soprattutto incorporeo; senz'altro erano quel Potter e quello Weasley, i ragazzi che Daniel odiava di più in tutta Hogwarts... dopo i gemelli, ovviamente. Potter e Weasley, sempre insieme: se non fosse stato per il fatto che Harry “Ho-Salvato-Il-Mondo-Magico” Potter usciva con la cercatrice di Corvonero, avrebbe detto che lui e Weasley erano una coppia gay.

Suonò la campanella e decine di studenti si alzarono quasi contemporaneamente dai loro posti, facendo stridere e grattare le sedie sul pavimento in pietra. Daniel ficcò il libro nella borsa e si assicurò che la spilla fosse ben visibile, dopodiché raggiunse Draco, Vincent e Gregory, che se ne stavano appoggiati allo stipite della porta dell'aula, con sorrisetti compiaciuti stampati in faccia.

“Ehi, Draco... Allora? Andiamo a divertirci?”, latrò Daniel senza riuscire a trattenere l'entusiasmo.

“Sicuro...”, sibilò lui. “Hai già in mente a chi togliere punti? Io ho già il mio piano: ho scelto Cicatrice, la Mezzosangue e il Nostro Re”

“Io vado a cercare i gemelli”

“Perfetto... Vedi un po' se trovi la Bulstrode e Warrington, io vado con Tiger e Goyle”, sentenziò Draco ficcandosi le mani in tasca e accennando col capo a Vincent e Gregory, immobili come due doccioni alle sue spalle. Daniel annuì e si diresse verso la Sala Grande al pianterreno, per vedere se i gemelli erano lì. Nonostante quello che Draco gli aveva detto, Daniel aveva intenzione di fare da solo, senza Warrington ad alitargli sul collo né tanto meno quella rompiscatole grassona di Millicent Bulstrode: ogni volta che la incontrava non faceva altro che parlare del suo gatto. Che enorme rottura. A Daniel bastò affacciarsi al portone semiaperto della Sala Grande per capire che i gemelli non erano lì: non c'era traccia delle loro sgargianti capigliature tra la folla. Alla scalinata che porta alla Sala d'Ingresso vide però Potter, Weasley e la Mezzosangue Granger confabulare tra loro con aria indignata, insieme a quel pallone gonfiato di Tassorosso il cui nome non ricordava: dalle loro espressioni dedusse che dovevano aver letto gli avvisi anche loro. Daniel ghignò: non vedeva l'ora di vedere le loro facce quando si fossero trovati davanti un membro della Squadra d'Inquisizione. Sapeva però che quello era compito di Draco, perciò lasciò perdere quel disgustoso gruppetto per deviare verso il primo piano. Cercò a lungo nella folla di ragazzi schiamazzanti nei corridoi, ma non trovò i suoi obiettivi. Di nuovo scorse Harry Potter, insieme a un ragazzo coi capelli biondi che senz'altro doveva essere quel cretino di Tassorosso... Macmillan, ecco come si chiamava. Ma come diavolo avevano fatto ad essere già lì? Poco prima stavano andando dalla parte opposta! A questo punto Daniel lasciò perdere Malfoy e si diresse spedito verso i due, in barba a quello che il suo amico gli aveva detto: se Draco non si faceva vedere, sarebbe stato lui, a tormentare quei deficienti. Dopotutto lui era il più grande di tutti: Draco, nonostante fosse il più perfido, il più popolare, e soprattutto il più fastidiosamente bello della Casa, era solo un pischello del quinto anno, mentre Daniel era del settimo.

“Ehi, Potter!”, abbaiò. Il ragazzo biondo si voltò, e Daniel si rese conto che non era affatto Ernie Macmillan. Era un tipo robusto, coi capelli lisci e una maglia nera dei Korn, jeans stinti a mezza gamba e Adidas bianche ai piedi. Dette un colpetto sulla spalla a Potter, e questo piroettò su se stesso nascondendo dietro di sé un pennarello nero. Solo che non era affatto Potter, anche se gli assomigliava maledettamente: stessa altezza, anzi, forse un po' più alto, magro, coi capelli arruffati e gli occhiali. Mancava la cicatrice ed era a posto.

“Dici a me?”, fece lui, cercando di simulare indifferenza di fronte alla scritta Le Sorelle Stravagarie fanno schifo / Gli UTB spaccano di brutto che campeggiava sull'armadio grigio alle sue spalle.

“Sì, quattrocchi, a te”, grugnì Daniel, puntandogli il dito contro. “Da oggi pagherai di fronte alla Squadra d'Inquisizione!”

“La che?”, fu la risposta del ragazzo occhialuto, e il suo amico scoppiò a ridere. Daniel fissò lo stemma ricamato sulla veste nera del ragazzo.

“Dieci punti in meno a Grifondoro perché imbratti le suppellettili della scuola”, sentenziò Daniel col tono di chi non ammetteva repliche, soprattutto perché 'suppellettili' era una parola che aveva imparato quella mattina, ed aveva intenzione di utilizzarla dappertutto.

“Ah, fanculo, Montague! Ma si puliscono, guarda!”, si lamentò lui, e, estratta una lunga bacchetta dalla veste, esclamò: “Evanesco!”. La macchia scomparve, ma altrettanto non si poteva dire del cipiglio di Daniel Montague.

“E via altri dieci perché assomigli a Potter, ora che ci penso.”, aggiunse.

“Ma sei rincoglionito?”, ringhiò il ragazzo, e l'amico lo tirò per la veste.

“Dai, Ray, andiamocene...”

“Ah, tu sei Ray Oddname, vero? Del sesto anno?”, chiese Montague colto da un'improvvisa ispirazione. “Quello che sbavava dietro a Kyra Lebenson? Ho sentito che Zabini ci è andato al Ballo del Ceppo, l'anno scorso...”

Ray si liberò dalla stretta e gli si scagliò contro. Sebbene Montague fosse parecchio robusto e ben piazzato, l'altezza di Ray era ben maggiore, e questo parve metterlo in un po' di soggezione, perché il viso tradiva una leggera incertezza. Questo tuttavia non gli impedì di aggiungere in tono sereno:

“E via altri venti punti! Dieci perché mi hai aggredito, e altri dieci perché il tuo nome mi fa schifo!”

“Spero ti cadano le palle, Montague”, profetizzò Ray con un sibilo. Fece un cenno al compagno e insieme si voltarono.

“E tu sei Jack, vero? Jack Huxley?”, gridò Daniel all'indirizzo del ragazzo coi capelli biondi, che si immobilizzò. Ray mulinò il dito contro il volto di Montague:

“E mio cugino che cavolo c'entra?”, latrò Ray, gli occhiali mezzi storti sul viso contratto dalla rabbia.

“Allora cinque punti in meno perché sei vestito con abiti Babbani”, lo ignorò Daniel.

“Sono i Korn, amico... Gli inventori del nu metal”, fece Jack calmo.

“Chissenefrega”, sbottò Montague. “Anzi, facciamo dieci... I Korn mi fanno schifo”

“Ma io ti spacco... ti distruggo!”, sbraitò Jack di colpo, il braccio robusto teso, col pugno a pochi centimetri dalla faccia di Montague.

“Lascialo perdere”, sussurrò Ray al cugino, prendendolo per la spalla e allontanandosi insieme a lui. “Tanto gli cadono le palle... è questione di giorni”

“Ti ho sentito!”, urlò Montague, il viso vermiglio.

“Congratulazioni”, fu la risposta. La voce di Ray risuonò nel corridoio, proprio mentre i gemelli Weasley sbucavano dalla scalinata. Videro Daniel e iniziarono a sghignazzare.

“Montague, come sei bello oggi!”

“Fatto la ceretta, vero?”

Daniel li fermò con un gesto della mano tesa davanti a sé.

“Pagherete di fronte alla Squadra d'Inquisizione!”, esclamò in tono stentoreo, ma i due lo spinsero contro l'armadio che Ray aveva scarabocchiato poco prima.

“Lo sai cosa pensiamo della Umbridge, vero Montague?”, disse il gemello alla sua destra.

“Pensiamo che sia una gran puzzona, e che tu sia il suo fidanzato!”, proseguì l'altro.

“Complimenti per la scelta!”, aggiunse il primo stringendogli la mano calorosamente. “Potevi avvertirci, però... Hagrid ha un sacco di Schiopodi che devono ancora accoppiarsi...”

Daniel sentì le guance farsi bollenti, e puntò la bacchetta sullo sterno del Wealey più vicino.

“Dieci punti in meno a Grif--”

Non riuscì a terminare la frase. Il gemello alla sua sinistra aveva fatto scattare la serratura dell'anta dell'armadio, aveva spalancato la porta e, prima che Daniel potesse rendersene conto, con l'aiuto del fratello lo aveva spinto a capofitto nell'oscurità. Montague picchiò la spalla e gemette: si rialzò con la bacchetta levata, proprio mentre i due gemelli gli chiudevano l'anta in faccia. Ci fu uno schianto, orribilmente amplificato dalle pareti dell'armadio. Dopodiché, tutto si fece buio. Montague udì un suono oppressivo, come un subwoofer nella testa, e riuscì a distinguere solo le fioche risate degli Weasley, completamente ignari del fatto che, nel momento in cui avevano fatto scattare la serratura dell'armadio, avevano segnato il destino della morte del loro Preside. Poi il senso di occlusione si accentuò, e Montague perse i sensi.


*



Si svegliò che rabbrividiva. Quanto tempo doveva essere passato? Un'ora? O forse di più? Montague non lo sapeva: sapeva solo che dentro quell'armadio faceva freddo... troppo freddo. Era come se si trovasse in un altro posto, e non nel bel mezzo del corridoio del primo piano ad Hogwarts: era come stare fuori dal castello, nel bel mezzo della tormenta. Tese gli orecchi alla ricerca di un minimo suono, ma sembrava di essere immerso nell'ovatta. C'era solo quel muggito oppressivo e basso in sottofondo. Montague si accasciò sulla parete, sconsolato. Gli mancavano le forze per urlare, ma sapeva che doveva fare qualcosa: non poteva sperare che i gemelli lo tirassero fuori di lì, né che qualche altro studente curioso tornasse all'armadio. Ad un tratto sentì un rumore trillante: era la campanella, ma era come un suono filtrato attraverso una camera semi-insonorizzata. Questo spiegava il silenzio innaturale di pochi momenti prima: gli alunni erano tutti a lezione. Possibile però che nessuno si fosse accorto della sua assenza, che nessuno lo venisse a cercare? Udì un debole scalpiccio farsi sempre più intenso, e capì che gli studenti stavano riversandosi nel corridoio. Montague scattò in piedi (l'armadio era capiente abbastanza per contenerlo) e iniziò a colpire furiosamente le pareti.

“Aiuto! Aiuto, ehi! Sono Montague, sono chiuso nell'armadio!! Qualcuno mi sente?”

Le sue grida non sembravano sortire alcun effetto, perché nessuno degli studenti là fuori dava cenno di aver sentito. Daniel picchiò con rabbia l'interno dell'anta: doveva essere bloccata, perché era quasi certo di poter sfondare la serratura. O forse, pensò con improvviso terrore, era un armadio magico... Ma sì, era l'Armadio Svanitore, quello che nasconde gli oggetti compromettenti. Com'era che funzionava? Daniel l'aveva visto usare anni prima, da un ragazzo più grande di lui. Se si collocava qualcosa al suo interno, ad esempio un libro proibito che non si dovrebbe avere e che gli insegnanti stanno cercando, questo armadio 'scompariva' dagli interessi di coloro che cercano l'oggetto, e solo chi ce l'ha nascosto sa che si trova lì. Quindi solo i gemelli sapevano! Solo loro avrebbero potuto tirarlo fuori di lì... ma l'avrebbero fatto? E se loro non sapevano come funzionava? Daniel non osava pensarci. D'un tratto ebbe un'idea. Avrebbe fatto oscillare l'Armadio fino a farlo cadere: qualcuno se ne sarebbe accorto, no? In quel momento sentì una voce farsi sempre più vicina: Montague avvicinò l'orecchio alla porta.

“Ma non l'avevi tolta?”, diceva la voce.

“E io ce la riscrivo, sai che mi frega”, rispose un'altra voce. Daniel sussultò: era Ray Oddname! Forse sarebbe stato la sua salvezza... Daniel cominciò a dar colpi sulla porta.

“Ray! RAY! Sono Montague, fammi uscire! Ti prego, ti ripristino i punti... E anche a tuo cugino, ma fammi uscire, per l'amor del Cielo!!!”

“E se ti beccano?”, stava mormorando l'altra voce.

“Beh, pazienza, Sal! Tanto Montague qui non c'è, quindi... mi posso sbizzarrire!”. Ci fu una risata e uno schiocco: evidentemente i due si erano dati un cinque. Daniel raggelò. Era incredibile: non lo avevano sentito. Provò a dare una spallata alla parete, ma l'Armadio non dava segni di volersi smuovere in alcun modo. Intanto i due fuori seguitavano a chiacchierare.

“Ciao, Ray!”, fece una voce nuova, dolce, di ragazza.

“Ciao, Julie!”, rispose Ray, con tono diverso, più adulto. Montague sferrò un pugno alla parete dell'armadio, facendosi sanguinare le nocche.

“Ray, cavolo, aprimi! Sono qua dentro, ragazzi, mi sentite?”, urlò Daniel disperato, ma i ragazzi non sembravano udirlo. Non poteva essere uno scherzo: quei due non lo sentivano davvero.

“Ehi, Ray”, stava sghignazzando il ragazzo di nome Sal. “Perché non ci vai, con Julie? Dai, si vede che gli piaci, perché non glielo chiedi?”

“E tu perché non stai zitto e non ti spari una betoniera di affari tuoi?”, abbaiò Ray. Un lieve suono stridente fece capire a Montague che Ray stava scarabocchiando di nuovo col pennarello.

Di colpo il suono oppressivo in sottofondo si fece più insistente, e Montague sentì i timpani schiacciarglisi, come se si fosse scordato di compensare sott'acqua. Le orecchie gli fischiarono, e le voci di Ray e Sal – chiunque fosse – si affievolirono fino a scomparire. Daniel gridò e si inginocchiò sul pavimento, sperando che, qualunque cosa stesse accadendo, finisse presto.



*



Pochi minuti dopo, tutto quel frastuono se n'era andato così com'era iniziato, e Daniel, ancora stordito, si sollevò in piedi e appoggiò il palmo della mano sudata sulla superficie della porta. Non si sentiva più alcun suono al di fuori dell'Armadio. Probabilmente era di nuovo un'ora di lezione, a Hogwarts. Ma quante ore di lezione, c'erano, a Hogwarts? Gli studenti uscivano solo pochi minuti nell'intervallo tra una e l'altra, e Daniel doveva cogliere l'occasione giusta per spingere l'Armadio e farlo cadere, altrimenti nessuno l'avrebbe notato... Beh, forse l'avrebbero notato anche se lo trovavano già caduto... ma non avrebbero controllato all'interno, l'avrebbero semplicemente rimesso al suo posto! Montague gemette: ora che ci pensava, non era stato in grado di smuovere quell'Armadio, ci aveva già provato poco prima. E allora come poteva fare? Non ne aveva idea. Lì dentro persisteva il freddo insolito di sempre, e quel buio ovattato gli impediva di scorgere anche la punta delle sue dita. Estrasse la bacchetta dalla cintura dei jeans, si schiarì la voce e provò:

Lumos!

La punta della bacchetta si illuminò lievemente, ma invece di far luce sull'interno dell'Armadio sortiva l'effetto contrario: era come accendere i fari abbaglianti nella nebbia, la luce non riusciva a penetrare quell'oscurità innaturale. Daniel non tentò nemmeno di eseguire una fattura: avrebbe rischiato di farla rimbalzare dappertutto.

In quel momento si udì di nuovo un suono trillante, solo che era diverso da quello già sentito prima: non era squillante e prolungato come la campanella della scuola, ma breve e debole, come un campanellino di quelli posti all'entrata dei negozi. In effetti Montague udì una porta sbattere, e dei passi frusciare proprio accanto a lui, da destra a sinistra. La voce che udì non l'aveva mai sentita prima: era gracchiante e nasale, e proveniva dalla parte opposta.

“Buongiorno, signore”

“Salve, Sinister”, sibilò una seconda voce melliflua che aveva invece un che di familiare. Montague non riusciva a credere alle proprie orecchie: Sinister? Quello di Notturn Alley? Premette la testa contro l'anta per sentire meglio. Come diavolo faceva ad essere finito dalla Scozia a Londra?

“Quanto tempo è passato dall'ultima volta, signore... E' venuto per vendere?”

“No, stavolta no... Questo è un regalo.”

“Oooh”, mormorò Sinister con tono affettato. “Per il signorino Malfoy, immagino? O per l'adorabile signora?...”

“Per mio figlio... Solo che ormai non è più un signorino.”

“Certo, signor Malfoy, ha ragione... Dev'essere un ometto”. Il tono di Sinister era quanto di più viscido si potesse immaginare. Montague rabbrividì. Intanto, nel negozio, Lucius Malfoy stava proseguendo.

“... Se si ricorda, l'ultima volta che sono venuto con mio figlio, Draco espresse un desiderio. Voleva... che gli regalassi un oggetto, ma io l'avevo dissuaso. Ce l'ha ancora?”

“Ah, certo!”, esclamò Sinister. Ci fu una serie di passettini e uno scartabellare insistente. “Solo che non è più in esposizione... L'ho messa... mi lasci controllare gli archivi... Ah, sì, ecco.” Sinister apparentemente si era accucciato sotto il bancone, perché la voce ora giungeva a Daniel più soffocata del solito. “Ecco a lei, signor Malfoy... La Mano della Gloria! Amica di ladri e scassinatori, fa luce--”

“So come funziona, grazie”, lo interruppe Lucius. “Ultimamente ho saputo che è diventato un po' più ladro del solito, comunque...” (ci fu un rumore di monete roteanti sul bancone, e Montague percepì chiaramente Sinister trattenere il respiro) “... Queste dovrebbero bastare”, concluse Malfoy.

“Certamente, signore, grazie, signore...”, balbettò Sinister. “Mi dia la Mano, gliela incarto...”

“Magari mi rifarò vedere”, fece Lucius cercando di sovrastare il rumore di carta che veniva tagliuzzata, stropicciata e legata da Sinister per fare il pacchetto. “Mi ha dato un consiglio, senza volere, sa? Potrei fare... grazie...” (il negoziante evidentemente gli aveva appena consegnato la Mano della Gloria impacchettata) “... Potrei fare, dicevo, un regalo a mia moglie... Per esempio... un ciondolo, o un bracciale... oppure...”. Montague udì i passi di Malfoy muoversi per la stanza, e pregò che si avvicinasse all'Armadio e lo aprisse (anche se ancore non riusciva a spiegarsi come potesse trovarsi a Notturn Alley se poco tempo prima era a Hogwarts, a chissà quante miglia di distanza).

“Non tocchi quella!”, urlò concitato Sinister a Lucius, tutto a un tratto. “E' maledetta, non la si può toccare”

“Capisco”, fece Malfoy, e, senza salutare, aprì la porta ed uscì dal negozio. Nel momento in cui il campanellino suonò, Montague avvertì nuovamente quella sensazione orribile alle orecchie, che furono lacerate da un fischio acuto: era come avere una teiera conficcata in testa. Si portò le mani alle tempie, e sbatté la testa contro la parete dell'Armadio alla sua sinistra. Urlò. Forte. Le lacrime gli scesero giù dalle guance grassocce, e caddero con un rumore lieve sulla punta in gomma delle sue scarpe. Per la prima volta in tutta la sua vita, mai così tanto aveva desiderato di morire.

Quando tutto finì, udì delle voci concitate scorrere velocemente al di là della porta dell'armadio. Voci di ragazzi: era di nuovo a Hogwarts. Strinse le mani attorno al manico della bacchetta:

Alohomora!”, gridò puntandola contro la porta. Non successe niente. Ma cosa diavolo era accaduto? Come aveva fatto a spostarsi in quel modo da un luogo all'altro? Era impossibile, era strano... E poi non ci si poteva Smaterializzare o Materializzare all'interno di Hogwarts. Eppure era successo... Montague ebbe un'idea folle, suicida, e provò una fitta di dolore alla tempia. Era l'unica alternativa. Doveva provare... L'esame sarebbe stato tra molto tempo, e lui non era neanche particolarmente bravo, ma doveva farlo, doveva. Si concentrò. Cosa diceva quel demente di Twycross? Destinazione, Determinazione, Decisione!

“Forza, Danny, ce la devi fare”, si disse a voce alta Montague. “Voglio uscire di qui, voglio uscire di qui...”

Si sforzò di concentrarsi su un luogo che non fosse l'interno dell'Armadio e che facesse parte di Hogwarts. Twycross faceva Materializzare gli studenti a un metro di distanza, quindi bastava concentrarsi sul corridoio del primo piano, davanti all'Armadio Svanitore... Sarebbe stato come passarvi attraverso. Daniel ebbe un pensiero fugace: perché mai nessun fantasma della scuola è entrato qua dentro e mi ha visto? In genere quelli si infilano dappertutto... Evidentemente l'Armadio era reso Inattraversabile con la magia, pensò. Poi si sforzò di abbandonare questi pensieri e concentrarsi.

(oh mio Dio)

Destinazione,

(non ce la farò mai)

Determinazione,

(ora o mai più, Danny)

Decisione!

Montague piroettò su se stesso, il volto contratto ed accartocciato dallo sforzo, e subito provò la sgradevole sensazione di essere inghiottito da un pitone. Gli mancò il respiro e si sentì come schiacciato da tutti i lati. Quando la sensazione scomparve, fu colpito da un forte shock, e vomitò l'intera colazione sul pavimento. L'ultima cosa che sentì prima di svenire fu un forte e penetrante odore di orina e succhi gastrici, insieme con una fitta pulsante alle reni. Poi, il silenzio.



*


Montague si svegliò in infermeria qualche ora dopo. Ricordava di aver ripreso conoscenza dopo essersi Materializzato, ma poi tutto diventava confuso. Quindi era riuscito a tornare a Hogwarts... Si era davvero Smaterializzato! Ma poi cos'era successo? Ricordava di aver visto la professoressa Umbridge, e poi Malfoy, e poi Piton, ma non rammentava con precisione cosa fosse accaduto. Sollevò la testa e si guardò attorno. Era l'unico paziente in quel momento. Mosse i piedi: era tutto intero? Tutto appariva normale, probabilmente Madama Chips era già passata a prendersi cura di lui. Sul comodino stavano alcune scatole di Scarafaggi a Grappolo e Gelatine Tuttigusti + 1: quindi erano già passati a trovarlo i suoi compagni, e, a giudicare dalla cartolina con su scritto guarisci presto appoggiata alla bottiglia di Unguento Ricostituente, anche i suoi genitori. In quel momento udì la voce di Madama Chips provenire da fuori la porta dell'infermeria, alla sua sinistra.

“Sì, puoi entrare, ma solo dieci minuti. E' stanco, e ancora non so cosa gli sia successo... Deve riposare”

“Faccio in un attimo”, disse un'altra voce familiare, e la porta si socchiuse. Montague voltò la testa: Draco Malfoy se ne stava sulla soglia, con un sorrisetto beffardo che gli incurvava le labbra pallide.

“Montague, sei proprio un coglione, lo sai?”

“Che... Che mi è successo?”, balbettò Daniel cercando invano di issarsi sui gomiti.

“Sta' giù, scemo...”, gli intimò Draco. “Ti hanno trovato al quarto piano, ficcato in un cesso per metà... Avevi tutte e due le gambe incastrate in quello schifo, ma che ti è saltato in mente? Quanto Whisky Incendiario ti sei bevuto, di' la verità! Lo sai che non reggi l'alcool...”

“Non ho bevuto niente... Sono stati i gemelli... Quegli Weasley!”, si lamentò Montague aggrottando le sopracciglia.

“Ah, sì? Beh, ti sei perso un po' di eventi sensazionali... si dà il caso che quegli idioti siano volati via da Hogwarts ieri sera! E indovina la novità? Potter prende ripetizioni di Pozioni!”

“Da quant'è che sto qui?”, fece Montague ignorandolo.

“Un paio di giorni circa...” contò Malfoy mentalmente. “Sei rimasto in stato confusionale per un po', non riuscivi a spiegare cos'era successo... mi sa che non potremo fare giustizia, caro mio! Chi ti ha ficcato fino al busto nella merda se l'è squagliata!”

“Ma... Ma non mi hanno infilato loro, nel water!”

“Che dici, Danny?”

“Dico che mi hanno rinchiuso nell'Armadio Svanitore quel giorno che dovevamo andare in giro a togliere punti come Squadra d'Inquisizione!”

“Ma che...”

“Te lo giuro, Draco, me ne stavo lì dentro, e non mi sentiva nessuno, non riuscivo ad uscire...”, piagnucolò Montague come un bambino che cerca di far valere le sue ragioni.

“E ci credo, Daniel, quell'Armadio è rotto da una vita!”, esclamò Draco spalancando le braccia.

“Sì, beh, e io non riuscivo ad uscire, era come se fossi in una specie di... di limbo, stavo a metà tra Hogwarts e Magie Sinister, era come se viaggiassi da una all'altro, e allora poi mi è venuto in mente che l'unico modo di uscire era provare a Smaterializzarmi, e così ho tentato, e sono finito nel gabinetto... Non avevo mai dato l'esame, Draco!”

“Lo so, facevi schifo, me l'ha detto Marcus Flitt...”, fece Malfoy indifferente. Poi sgranò gli occhi. “Ripeti un po' quello che hai detto?”

“Appunto, mi sono Smaterializzato, lo so che sarebbe impossibile, nelle mura di Hogwarts, ma io non c'ero, di fatto, nel castello... Stavo dentro ma stavo anche fuori... Non so, non chiedermi come è successo, io ho provato come ha detto il professor Twycross e--”

“Non questo”, fece Draco serio. Il suo volto aveva un'espressione indecifrabile. Per la prima volta in tutta la durata di quell'imbarazzante incontro, sembrava interessarsi veramente alla vicenda. “Hai detto che eri anche da Sinister? Che viaggiavi da lì a Hogwarts?”

“Beh, sì”, fece Montague aggrottando le sopracciglia con fare titubante. “La prima volta sono andato da Hogwarts a Notturn Alley, e poi da lì ad Hogwarts...”

“E dov'eri, nel negozio di Sinister? Dove stavi?”, lo interruppe Draco.

“Che domande, ero sempre nell'Armadio... Io--”

“Quindi... c'è un altro armadio, da Magie Sinister”. Non sembrava una domanda, ma un'affermazione da valutare.

“Cos... Beh, io... Penso di sì... Non lo so, non ci sono mai stato...”

“Io sì”, fece Draco di colpo, scandendo le parole lentamente. “C'era un armadio, l'ho visto... Ma ero piccolo, al secondo anno, ancora non lo sapevo cos'era... Quindi ce n'è una coppia...”

“Sapevo che ci eri già stato”, fece Montague all'improvviso, distogliendo Malfoy dai suoi pensieri.

“E come lo sai?”

“Io... ho sentito... tuo padre, era entrato nel negozio, voleva fare un regalo”, iniziò Daniel, cercando di richiamare alla memoria quella situazione.

“Per mia madre? E' il loro anniversario, e lui non se lo ricorda mai...”

“No, beh... voleva farle qualcosa, tipo un bracciale, ma Sinister gli ha detto che era maledetto e che non si poteva toccare a mani nude... Ma che c'entra col resto? Stava cercando un regalo per te, ma non dovrei dirti cos'era... Sai, la sorpresa...”, azzardò Montague serrando i denti.

“Che cavolo vuoi che me ne freghi, della sorpresa, Montague! Cos'è, la Mano della Gloria? Me lo immaginavo, era tanto che la volevo... Ma non mi importa di quella... Non ora.”

“Devi uscire, ora. Tempo scaduto”. La voce di Madama Chips li fece quasi sobbalzare. Draco si alzò lentamente dalla sedia. Montague lo vide tenere gli occhi bassi, con uno strano sorriso bieco che faceva venire i brividi.

“Draco?”, lo chiamò Montague, e lui si fermò sulla soglia. “A cosa stai pensando?”

Malfoy parve impiegare più tempo del necessario per rispondere. Sembrava soppesare attentamente le parole. Aprì la bocca lentamente, lo sguardo puntato verso la porta. Poi si voltò.

“A niente, Danny... A niente.”, mormorò, e la sua voce era cambiata, era diversa. Esprimeva pienamente l'ambiguità della luce che gli brillava negli occhi, ed era come se all'improvviso gli fosse stato rivelato un segreto inaccessibile a tutti fuorché a lui, come se, tutt'a un tratto, avesse capito come comportarsi, cosa fare. Come se avesse un piano.









Nota dell'autore: questa è la mia prima fiction, ed è anche la prima di una serie di avventure di Ray Oddname e dei suoi amici. Ne seguiranno altre due che, come questa, prendono eventi noti dei libri di HP, ma dal punto di vista di personaggi secondari (o, come Ray, inventati), poi inizieranno avventure totalmente inventate (con il 7° libro come sfondo). Aspetto le vostre recensioni, i vostri giudizi e i vostri consigli... non siate troppo cattivi, mi raccomando! Dopo tutto, sono sempre un novellino... :)

REDRUM

  
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