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Autore: celiane4ever    03/12/2011    2 recensioni
Si strinse nel cappotto scuro quando una folata di vento autunnale minacciò di gelargli le ossa. Settembre ormai stava giungendo al termine, e si cominciavano a sentire i tanto attesi venti del Canada.
Sono in ritardo, e Rein odia i ritardi.
[ReinxBright] Vincitrice del vecchissimo concorso "Le stagioni" del Twin Princess fan fiction forum.
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bright, Rein
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 4

Seduta sulla riva, Rein guardava la luna, che stendeva sulle acque scure del lago un sentiero di riflessi baluginanti e iridescenti. Brividi le corsero lungo la schiena quando un leggero venticello freddo le passò dietro il collo e dentro al vestito.

Rimpianse di non aver fatto in tempo a prendere la giacca, uscendo di casa. Andava di fretta. Scappava.

Non riusciva a sopportare l’idea che lui sapesse.

Dopo la crisi che aveva avuto il giorno prima infatti, Fine gli aveva raccontato tutto. Tutto, anche quando lei le aveva caldamente ordinato di non farlo.

Persa nei suoi pensieri, si risvegliò solamente quando sentì qualcuno appoggiarle una giacca sulle spalle, per poi sedersi di fianco a lei.

Chissà come, non ebbe bisogno di guardare per capire di chi si trattava, così mantenne lo sguardo ostinatamente fisso sul lago. Non voleva guardarlo. O parlargli. Mai più. Ecco. Pensò che le mancasse solo di sbuffare e sbattere i piedi, per regredire di dieci anni.

Bright lasciò che la sua mano scivolasse dalla spalla di Rein al suo braccio, con delicatezza, per portarla sul proprio ginocchio. Fissò anche lui il lago, cercando aiuto, uno spunto di riflessione, in quelle acque scure. Avrebbe tanto voluto capire come si sentiva lei.

Ripensò al giorno prima, quando finalmente gli era stata svelata una verità che forse, molto forse, non avrebbe voluto sapere.

“Non ce ne siamo andati da qui per una semplice febbre quattro anni fa, Bright.” Cominciò Fine, appoggiandosi al letto dove giaceva la sorella dormiente, “Se fosse stato così, saremmo tornate. E ti posso giurare che per entrambe è stato uno strazio, ci mancavate da morire.” Continuò malinconica, cercando di catturare lo sguardo del biondino, il quale però, non osava staccarlo da terra, per paura di far capire tutto il terrore e la rabbia che provava in quel momento.

“Il fatto che la febbre non calasse, unito alla tosse continua, ci spinse a portarla in ospedale, giù a Montepelier.” Proseguì la rossa, aggrottando la fronte, “e li le diagnosticarono un tumore polmonare, piuttosto avanzato, e loro non  potevano curarlo. Ci suggerirono New York, e noi partimmo.”

Bright strinse i pungi, indignato. Non riusciva a fare a meno di chiedersi perché non gli era stato detto niente, perché non era stato detto niente a nessuno. Era imperdonabile. Se solo avesse saputo…

‘Se solo avessi saputo… cosa diamine avrei fatto, eh??’

Come a leggere nei suoi pensieri, Fine riprese a parlare “Non avreste potuto fare niente per lei, e poi…” indugiò, incerta se fosse il caso di proseguire o meno, “…e poi, aveva espressamente chiesto di non dirtelo.”

In quell’istante, Bright fremette, sollevando la testa per guardarla negli occhi, ferito, e furioso.

No, non era decisamente il caso.

‘Lei… non ha voluto dirmelo.’

Ancora una volta Fine anticipò i pensieri del ragazzo, “Non voleva ferirti, Bright.”

“E andarsene senza dirmi niente, questo non mi ha ferito forse?!” scattò in piedi, incontrollabile.

Fine abbassò gli occhi, ma non per paura: per pena. Capiva cosa doveva provare Bright, impotente, all’oscuro di tutto.

“Non avrebbe avuto senso farti preoccupare ulteriormente… Ad ogni modo, neanche a New York poterono fare qualcosa per asportare il tumore, troppo esteso e troppo avanzato. Le proposero una cura di rallentamento, e accettò. Non voleva morire. Forse… ripensandoci adesso, non so se l’avrebbe fatto.” Fine si voltò verso la sorella, e appoggiò una mano sulla sua, che sporgeva dal lenzuolo. “Ha sofferto così tanto, Bright…”

Non voleva farlo affliggere di più, ma doveva riuscire a fargli capire che per quanto lui, e anche la sua famiglia, stesse male per Rein, non era nulla in confronto a quello che lei doveva aver provato.

“Dissero che avrebbe avuto all’incirca quattro anni, non di più. Che la malattia sarebbe progredita lentamente, aggravando la tosse, rendendola più frequente e più violenta, fino a danneggiare completamente il sistema respiratorio.” Spiegò la rossa, colta da un’improvvisa ed estremamente familiare sensazione di disperazione. “Un giorno, semplicemente… non respirerà più.” Crollò sulle ginocchia, debole, stanca, in lacrime.

Bright non riuscì a fare altro che guardarla. Vuoto. Si sentiva vuoto. E forse era un bene, non voleva il dolore, il pensiero della perdita. C’era ancora tempo per qualcosa, per abbastanza.

Solo in quel momento, gli venne in mente di domandarsi, ‘abbastanza per chi?’

Non per Rein, di certo. L’aveva vista quella mattina, aveva visto come desiderava che la vita di quell’autunno entrasse in lei, la trasportasse in un mondo colorato dalle emozioni.

Eppure… aveva respinto il suo amore.

Ritornò al presente, destato da un movimento di Rein al suo fianco. La osservò, e le sembrò di vederla altrove: guardava rapita il riflesso della luna sull’acqua. Magari era là, sulla luna, oppure nel profondo del lago, dove non c’è nulla, non c’è luce, non c’è vita, ma solo tempo, per riflettere, tempo per restare, quel tempo che, purtroppo, non aveva lì, sulla riva.

Ripensò all’autunno, che aveva detto di amare; alla vita, che aveva detto di volere. Ora forse capiva perché aveva respinto i suoi sentimenti.

L’autunno del Vermont, della loro terra, era si un tripudio di grande vitalità, ed energia, ma in quanto autunno… restava pur sempre l’inizio della fine. Dopo l’autunno c’è morte, così come dopo l’Estate Indiana, arriva la neve, che ricopre col suo manto soffice le colline circostanti Burlington, soffice ma gelato, distruttore.

“Per questo sei tornata, Rein? Per un ultimo autunno?” si rese conto troppo tardi di aver espresso quel pensiero ad alta voce. Non voleva scatenare in lei reazioni pericolose, pensieri cupi. Tuttavia era incuriosito dalla risposta. Lui aveva bisogno di quella risposta.

Lei non si voltò, non si mosse, neanche di un lieve sussulto.

“No Bright…” rispose con espressione vacua, ma la voce spezzata tradiva le lacrime in procinto di scendere. “Sono tornata… per un ultimo autunno insieme a te.” Completò la frase, tutta d’un fiato, con gli occhi che le bruciavano, e che finalmente posò su di lui, sul suo viso che sorprendentemente… sorrideva.

Rein si gettò su di lui, e lui la strinse fra le braccia, riscaldandola e consolandola, accarezzandole i lunghi capelli sciolti, mentre i singulti del pianto prendevano il sopravvento su di lei.

Chissà da quanto non si sfoga, pensò, notando l’assurda irruenza di quelle lacrime.

“Shh… ci sono io, qui. Ci sarò sempre, per te.” Si ritrovò a sussurrarle pensieri di conforto, forse anche a se stesso, oltre che a lei. Lui doveva essere forte.

“Bright…” singhiozzò lei, artigliandogli la maglia, non osando guardarlo negli occhi, “s-sono io c-che non ci s-sarò…” balbettò, senza ormai più speranze.

Ma lui non demorse, “Rein, sarò con te fino alla fine, e oltre se vorrai. Non ti lascerò mai, e tu starai sempre con me, devi promettermelo. E io non mi stancherò mai di ripeterti quanto ti amo, quanto sei il mio cuore, che custodirai per sempre.” Ed era vero: una parte del suo cuore, giaceva in Rein, e non sarebbe tornata mai più. “Tu mi ami?” domandò, disperato di certezze in quella situazione instabile. “Se mi ami, promettilo, e io sussurrerò al vento del Canada quanto ti amo perché ti raggiunga, sempre e ovunque.”

La ragazza si accorse in quell’istante di stare trattenendo il fiato. Aveva smesso di piangere, presa dalle sue parole rassicuranti, dolci, e belle… oh, quant’erano belle. Ed erano valide, lo sapeva che lui non stava mentendo, lo sapeva che poteva fidarsi del suo amore. Ma non sapeva se ne sarebbe stata all’altezza, anche se c’avrebbe provato. Per questo non disse di amarlo, ma promise.

“Starò sempre con te… sempre, sempre… lo giuro.” Si strinse di più a lui, coccolata dalle sue braccia forti, inebriata dal suo profumo rasserenante. Chiuse gli occhi, in pace con se stessa e col mondo.

L’attendeva un ultima, giornata importante.

“D’ora in poi, sentiremo le stesse emozioni, la stessa vita, insieme Rein, insieme…”

Già Bright, quell’ultimo soffio d’ebbrezza…anche se non vorrai mai condividerlo con me, sarà come tuo.

---

Quella mattina il cielo era ricoperto di spessi nuvoloni grigi, che promettevano di portare in giornata le prime piogge autunnali.

Bright si rabbuiò un po’: aveva progettato di fare qualcosa di speciale con Rein, ma a quanto pareva il tempo aveva deciso di confinarli in casa. Forse era meglio così. il caldo d’un fuocherello, e un po’ di tranquillità avrebbero fatto bene alla ragazza.

Uscì sereno dalla Vecchia Magione, stringendosi nel cappotto, in cerca di riparo dal freddo pungente della stagione. Percorse con calma il sentiero nel bosco, che portava diretto alla casa delle gemelle, e si guardava attorno, per godersi ancora lo spettacolo di colori solito del luogo. Gli parve di sentire il rumore di qualche animale, ad un certo punto, dietro agli alberi. Probabilmente andavano a cercare un rifugio dal brutto tempo..

Arrivato a destinazione bussò alla porta, e sentendosi invitare da una voce femminile entrò, proprio mentre le prime gocce leggere di pioggia cominciavano a cadere dal cielo.

“Buon giorno Bright caro!” la vecchia signora accolse con un dolce sorriso il ragazzo, intenta a lavorare la ceramica, tanto per cambiare, mentre Fine lo salutò allegramente con la mano dalla cucina, fetta biscottata ricoperta di marmellata in bocca, tanto per cambiare.

“Sei venuto per il cellulare?” gli domandò la ragazza, ancora con la bocca piena, “Rein l’ha lasciato sul tavolo, mi sembrava strano che non sarebbe tornata a prenderlo. Mandare te però… che sfruttatrice!” rise.

Bright, invece, non rideva affatto; non era difficile capire cosa stesse succedendo.

“È già uscita, vero?” domandò, sospirando rassegnato.

“Certo, veniva da te!” rispose Fine con ovvietà nella voce, “Non l’hai… vista?” continuò incerta, temendo una risposta, ormai palese, tanto che lui non replcò, limitandosi ad abbassare lo sguardo, pensieroso e preoccupato.

Fine spalancò gli occhi. Cominciò a scuotere la testa ripetutamente, quasi in modo infantile, senza dubbio inutile, prima di alzarsi di scatto, e parlare “D-Dobbiamo assolutamente cercarla!”

“No,” intervenne il ragazzo, “Vado io, voi restate qui, in caso dovesse tornare. Ma credo di sapere dove sia andata…” concluse, lanciando un’occhiata nervosa al cielo nero.

---

Tre minuti dopo, il biondino era già alla Vecchia Magione, bagnato fradicio, e diretto verso quella collina.

Non era riuscito a pensare che a una cosa, per tutto il tragitto: perché?

Perché dopo che le aveva donato il suo cuore? Perché dopo promesse d’eternità? Perché dopo pensieri di gioia da passare assieme? Perché se n’era andata di nuovo, perché… perché…

E intanto correva.

Arrivò in cima, non senza il fiato corto, non senza essere caduto più volte, nel fango, bagnato e senza forze. Ora solo il grande albero solitario gli impediva la vista della parte più esposta.

Sapeva che lei era lì. Doveva essere lì, anche se in cuor suo sperava che non vi fosse, che si trovasse al riparo da quella tempesta terribile.

Superò il tronco imponente e la vide. Seduta sull’erba fradicia, con i capelli lunghi dietro le spalle che toccavano terra. E aveva gli occhi rivolti al cielo, alle gocce che le cadevano prepotenti sul viso.

Bright si sentì cogliere dalla disperazione, tanto che pensò ardentemente di piangere, di urlare, di buttarsi a terra. Perché non l’aveva cercato? Aspettato? Amato?

“perché…” sospirò mentre si avvicinava a lei, sfilandosi lentamente la giacca, primo di energia.

Gliela appoggiò sulle spalle, e lei gli rivolse uno sguardo strano… Bright vide solo stanchezza, inizialmente. Ma osservando meglio, più nel profondo, trovò anche felicità. E si chiese, per cosa.

Per la fine, probabilmente vicina? Fu la sua prima ipotesi.

Ma non riuscì a formularne altre, perché Rein, dopo avergli rivolto un tenero sorriso, cominciò a tossire, forte.

Lui fece ciondolare la testa, lasciandosi andare per un momento, disperato, distrutto, mormorando placidamente il nome di lei.

Poi si riscosse, dandosi dell’idiota, e prendendola in braccio senza indugiare oltre, urlando il suo nome, instancabilmente.

E corse, ancora, verso casa.

Patetico cliché di brutti ricordi.

---

Solita stanza degli ospiti. Solito letto. Solite coperte. Solita sedia. Diverse persone.

Perché Bright e Rein non erano gli stessi di quella sgradita e quasi usuale pantomima.

Il ragazzo sfiorò la fronte della compagna, sempre più pallida, debole, e calda.

Meglio calda che fredda. Si trovò a ironizzare, crudelmente.

Lei aprì piano gli occhi, a quel contatto, ansimando forte ma lentamente, con preoccupante regolarità, boccheggiando per un soffio d’aria.

“Bright…” sospirò, con fatica.

Lui la zittì, intimandole di non parlare, non sprecare fiato prezioso.

“Se non parlo ora…” riprese, continuando ad ansimare, “non lo farò mai più.” Lo guardò, senza riuscire a sorridere. Lo voleva, ma la fatica era intollerabile. Spostò una mano vicino a lui, spingendolo ad afferrarla, e lui così fece.

“Mi dispiace.” Esordì lei, sorprendendolo. Si aspettava tutto, meno che delle scuse, anche se conoscendola, avrebbe dovuto immaginarlo. “Mi dispiace, di non poterti dare quello che vuoi… una vita felice assieme, magari… te lo meriti… io…” s’interruppe, per un breve accesso di tosse, “non devi restare legato a me… devi andare avanti, ok?”

“Che dici Rein…” s’intromise lui, baciandole la mano. “Ti ho portato una rosa, delle nostre.” Le disse indicando il comodino, dove una rosa di un rosso intenso era stata infilata in un vasetto lungo.

Lei la guardò per un istante, per poi riconcentrarsi su di lui.

“A me piacciono i gigli…” confessò, sorprendendolo, “mi rendono… serena.”

“Ti porterò dei gigli, la prossima volta.” Le promise lui, sorridendole dolcemente, mentre  gli occhi cominciavano a farsi fastidiosamente lucidi.

“Già… la prossima volta, ti guarderò dall’alto della foresta….” Riprese lei, fissandolo intensamente, quasi come fosse stato un’ancora che la legava a quel mondo, come se avesse paura di sparire, nel momento in cui non l’avesse guardato più. “almeno questa promessa… la manterrò… ci sarò sempre Bright, qui, e nel tuo cuore, se mi vorrai…”

Lui sentiva gli occhi pizzicare, in cerca di riposo, ma non osò chiuderli, non voleva rischiare di perdere il suo sguardo.

“Ti parlerò… attraverso il vento freddo del nord… e sarà come se fossi qui, con te…” la voce si spense piano piano, come se Rein stesse cadendo in un sonno leggero, graduale, un sonno dagli occhi aperti.

Regnò il silenzio per un lunghissimo, incalcolabile istante.

“Ti amo.” Sussurrò alla fine lei, abbassando lentamente le palpebre pesanti, “… e sarà per sempre.”

Avrebbe voluto tanto finirla lì, lasciargli quell’ultima, dolce frase come ricordo, e invece si ritrovò ad annaspare per un respiro. Il petto si alzava e abbassava convulsamente, senza risultato, senza riempirsi, ma lei si ostinò a stringere gli occhi con tutte le sue forze.

Forse per egoismo, non voleva vederlo soffrire per lei in quegli ultimi istanti.

Sentì le ultime energie che l’abbandonavano, terminando con uno spasmo del corpo, un disperato tentativo del cervello di svegliarla.

Quando si fermò definitivamente, un tenero sorriso increspava le sue labbra violacee, che per chiunque sarebbero state una visione inquietante, assieme al pallore intenso di lei. Non per Bright però: lui vedeva solo Rein, semplicemente Rein, che riposava serena.

Si limitò a lasciarle andare la mano, e a posarle un bacio leggero su una guancia, indugiando qualche secondo per assaporare il contatto con la sua pelle morbida e profumata.

Quando finalmente chiuse gli occhi, una sola, semplice lacrima, descrisse tutto quello che gli restava da dire.

 

Epilogo

Era ormai sopraggiunto il tramonto quando Bright, stretto nel suo cappotto scuro, arrivò in cima alla collina.

Lasciò vagare lo sguardo sulla foresta, accesa di rosso e arancione, e inconsciamente tirò un sospiro di sollievo, rilassato. Amava il paesaggio dell’Estate Indiana.

Un soffiò di vento gli scompigliò i capelli, e il bel mazzo di gigli che aveva in mano. Li ricompose con cura, attento a non sciuparli; erano perfetti, profumati e bianchissimi, come solo la signora Rosy aveva. A Rein, sarebbero piaciuti tantissimo.

Si accostò al grande albero solitario: lì, dove il vento spirava meno intensamente, c’era una lapide bianca.

Bright vi appoggiò i gigli, recitando una semplice preghiera, e un desiderio.

Gli sembrò quasi che un soffio d’aria gli stesse sussurrando parole dolci, di ringraziamento, parole d’amore, per poi correre lontano, in mezzo al bosco fiammeggiante, vivo.

Sorrise, ripensando alle ultime parole di Rein. Ultime per quella vita, per lo meno. Ma sapeva che in un’altra esistenza, lei continuava a parlargli, perché aveva mantenuto la promessa: ci sarebbe stata sempre.

Pensò a tutti i rimpianti che doveva aver avuto, prima di andarsene.

Per esempio, voleva imparare a lavorare la ceramica. Chissà se la nonna le aveva insegnato qualcosa…

Sarebbe stata bravissima.

Si chiese se il suo amore fosse bastato a ricompensarla anche un minimo di ciò che aveva perso.

Pensò che comunque, adesso, poteva avere di meglio, e realizzare il suo sogno di pulsare con il cuore della natura, perché lui credeva che fosse ancora lì, a vagare per quelle terre.

Perché là, tra le mille colline dipinte di smaglianti colori, c’era davvero ancora spazio per la fantasia e per gli ideali.

E durante quell’autunno, esattamente un anno dopo l’ultimo respiro della sua Rein, pregò perché potesse davvero restarle accanto per sempre, in quella terra di fiabe che amava tanto.

  
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