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Autore: Piccola Stella Senza Cielo    24/07/2006    1 recensioni
Questo è un affettuoso omaggio ad uno dei miei miti, il chitarrista Saul Hudson, in arte Slash. Un grande artista, al contempo torbido ed energico, che ha saputo trasmettere emozioni a più d'una generazione. Che ancora oggi fa sognare chi ama il rock. Non credo ci sia altro da dire.
Genere: Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Saliamo sul palco. Applausi scroscianti. Axl corre al microfono saltellando, con quel suo pantaloncino bianco, la giacca a quadrati rosa, la fascia sulla fronte. Sembra quasi un bambino. E come un bambino ride, saluta il pubblico.
“Hey! Sono felice che siete qui!”
Il pubblico risponde con un boato. Quant’è spazioso questo palco. La batteria è leggermente soprelevata, e mi chiedo come farà Steven a suonare, dato che soffre di vertigini. Aveva avuto dei problemi durante le prove, qualche volta perdeva la concentrazione. Ma la prova generale era andata abbastanza bene. Incrociamo le dita per lo spettacolo.
Forse l’amplificazione è troppo potente, le luci troppo forti. Mi abbagliano e mi intorpidiscono. Ma ci sto facendo l’abitudine. Tuttavia, ricordo con piacere i locali in cui suonavamo agli inizi. Cioè, proprio con piacere no, ma magari se ci penso scoppio a ridere.

Com’è che faceva quel brano dei Doors? Ah, sì. Riders on the storm, cavalieri nella tempesta. Eccoci qui. Bagnati, anzi, zuppi, a correre sotto il temporale. La nostra meta? Un locale chiamato Brian’s. Avevamo lasciato la vecchia Alfa Romeo a prendere acqua in mezzo alla strada. Aveva i finestrini rotti in precedenza da uno Steven ubriaco, e la pioggia entrava a bagnare i sedili e tutto l’interno. Prima di correre via, le avevo lanciato un’ultima occhiata disperata, giusto chiedendomi in che condizioni l’avremmo trovata al ritorno. Axl capì la mia perplessità e mi disse:
“Su, Slash...vedrai che quando saremo famosi di auto ne avremo a migliaia...quanto alla vecchia Giulietta...sarà esposta in un museo...”
Scoppiai a ridere e mi riparai la testa con la chitarra, ovviamente coperta dal fodero. Corremmo, corremmo forte, sotto la pioggia, l’acqua cadeva pesante, questo sì, ma mi sentivo felice. Forte, invincibile. Sentivo un senso di libertà che con la fama è andato un po’ scemando.
Il proprietario ci aspettava sulla soglia del locale. Avevamo fatto un po’, cioè, molto tardi. Il proprietario era esile e biondo, un’aria da ubriacone. E ubriaconi erano i suoi clienti, che dopo ogni serata ci divertivamo a prendere in giro. Tanto non capivano nulla.
Il palco era stretto, di legno. Ma il locale non era male. Ben curato, tutte le band emergenti passavano di lì, per farsi notare. E noi non volevamo essere da meno. Dovevamo accettare di non essere pagati, però.
Quella era la nostra prima serata lì. Non è che facemmo un figurone, perché non ci applaudì nessuno. Ma pazienza, l’importante era esibirci, non avevamo molte pretese. Almeno non troppe.
Ce ne andammo a mezzanotte circa, e aveva finito di piovere. Comprammo delle birre(abbastanza da farci perdere la capacità di intendere e di volere), sigarette, un po’ d’erba, e con la cara, vecchia, scassatissima Giulietta ci dirigemmo verso un parco pubblico, che di notte era pressoché deserto. Allora le birre scesero per le gole e successero cose che, pensandoci, potrebbero accadere anche oggi, da sobri. Steven usciva dall’auto e si denudava, Izzy e Duff facevano lo spadaccino con le bacchette di Steven, Axl prendeva la chitarra e suonava (e non era proprio cosa sua...sì, era un mito nel canto e col piano...ma la chitarra la doveva davvero lasciar perdere) e io cantavo. Già! Cantavo! Io che non ho mai accettato, né accetto tutt’ora, di dare anche il minimo contributo vocale alla band, prendevo un coccio di bottiglia e cominciavo a cantare, non importa cosa. Qualche volta ho pensato anche di chiedere ai miei compagni che impressione facevo loro quando cantavo. Ma ogni volta che mi saltava il ticchio di chiedere una cosa del genere, puntualmente venivo dissuaso da due motivi. Il primo è che probabilmente loro non si ricordano nulla, il secondo è che forse non lo voglio nemmeno sapere.
  
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