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Autore: Nisi    25/07/2006    22 recensioni
Oscar ha indossato un abito da sera per poter ballare tra le braccia di Hans Axel di Fersen. André, dal canto suo, si è recato in un luogo ben più triste. Entrambi, però…
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lo sapevo che prima o poi sarebbe successo; temevo sarebbe accaduto da quando mi sono accorto che il tuo corpo acerbo di bambina si stava trasformando in quello flessuoso di una adolescente.

Hai iniziato ad indossare delle camicie più larghe; ti sei fatta più silenziosa e più volevo parlare con te, più tu tacevi.

Allungavo la mano per toccarti e tu ti ritraevi.

Mi stavo rendendo conto di cosa comportasse la mia condizione di servo nella maniera più dolorosa possibile: mi stavo innamorando di te ed allo stesso tempo, capivo che non mi sarebbe mai stato concesso di essere il tuo uomo, il tuo compagno.

Tu crescevi e diventavi sempre più bella e pian piano ti allontanavi da me.

Non venivi più a dormire nel mio letto quando c’era il temporale, non mi prendevi più per mano quando volevi mostrarmi qualcosa.

Facevi il tuo ingresso a corte e sempre più uomini e sempre più donne notavano la fierezza del tuo sguardo limpido, il tuo portamento fiero, l’oro dei tuoi capelli e la delicatezza dei tuoi lineamenti.

Ed io non potevo far niente, tranne che ad assistere a quelle occhiate, a volte lascive, che ti lanciavano gli aristocratici di Versailles.

La loro battuta ricorrente: chissà cosa nasconde sotto all’uniforme.

Iddio mi perdoni: avrei voluto saperlo anche io.

Avrei voluto trapassarli da parte a parte con la spada più affilata che avevo, dal primo all’ultimo.

Avrei voluto dire loro di non permettersi di guardarti a quel modo, che non erano certo degni di starti accanto.

Ed io lo sono, forse?

No, credo di no… Per quanto io ti ami, per quanto ti desideri, l’amore di un uomo del popolo non ha alcun valore.

Per la miseria, quanto sto bevendo… Questo vinaccio da taverna mi sta facendo ubriacare prima del solito.

Dovrei esserne contento: sono venuto qui apposta, per bere fino a stordirmi, fino a crollare per terra su questo pavimento sudicio, fino a dimenticare che tu, stasera, per la prima volta, ti sei messa un abito da donna per ballare con l’uomo che ami.

Quell’uomo non sono io, infatti sono qui a bere da solo e a rodermi dalla gelosia, a maledire il fato che ha voluto farmi nascere nei panni scomodi di un servo.

Non so se sperare che stanotte lui si accorga di te oppure che ti ignori. Tanto io soffrirò in ogni caso.

Quanto eri bella, questa sera!

Ho fatto la scena di dire a mia nonna che con un vestito saresti stata poco più che uno spaventapasseri, ma poi ti ho visto in cima alle scale con quell’abito così…

Oste! Portami un’altra bottiglia!

Avrei voluto… non lo so cosa avrei voluto. Di certo, non che te ne andassi a Versailles da Fersen.

Per la prima volta, ho visto la pelle nuda della tua schiena e a fatica mi sono trattenuto dall’allungare la mano per sentirne la morbidezza e dal posarvi le labbra per farti capire quanto ti voglio.

Oscar, un’altra notte a giocare da solo e ad illudermi che le dita che mi accarezzano siano le tue.

Un’altra notte a stordirmi, a sognare che tu sia mia.

Oscar, senza di te mi sento perso, mi sento solo.

Bevo, bevo ancora, anche se il sapore di questo vino schifoso non lo sento neanche più.

L’oste si avvicina e mi dice che questo è l’ultimo bicchiere.

Non sopporto che mi guardi così: gli faccio pena.

Questa sera ho la sbronza cattiva; gli dico di farsi gli affari suoi e gli caccio in mano una manciata di monete.

E’ un uomo onesto: prende i soldi che gli devo ed il resto me lo ficca in tasca.

Vattene, mi intima, non puoi bere così, vai a farti un giro e a schiarirti le idee.

Mi prende per un braccio e mi caccia fuori dalla taverna.

L’aria fresca della notte mi fa bene. Ha piovuto da poco ed il terreno è bagnato.

Non credo di farcela a montare in sella, per cui afferro le briglie di Chevalier e lui mi segue.

Sarà colpa dell’alcool, ma mi sembra che anche il mio cavallo mi guardi impietosito.

Che diavolo hai da guardarmi così? Smettila!

Faccio pena anche agli animali, a quanto pare.

Mi reggo in piedi a fatica e stento a mettere un piede davanti all’altro.

Incespico e finisco a terra, le ginocchia in una pozzanghera mentre le lacrime scendono piano sulle mie guance.

Ora sono passato alla sbronza triste.

Lentamente, mi rimetto in piedi e mi appoggio al corpo di Chevalier. E’ caldo, solido, e provo uno strano senso di conforto.

Non so che ore siano, ma non credo sia tanto tardi.

Ore o minuti sono passati quando rimetto piede a Palazzo Jarjayes. La sbronza ha lasciato posto ad un mal di testa lancinante che mi trapassa da parte a parte, ma non voglio andare a dormire perché so già che non farei altro che rigirarmi nel letto fin a quando lei non torna a casa.

Accendo il fuoco nel salottino e faccio finta di leggere.

Sento il portone che si apre ed una figuretta vestita di bianco percorre l’ingresso, velocemente, mentre i tacchi alti ticchettano sul marmo.

Zoppica un po’: quelle scarpette che indossa non devono essere tanto comode.

Me la trovo davanti.

Ha il volto inondato di lacrime, il trucco sciolto sulle gote ed il naso arrossato. Indossa solamente un orecchino. L’altro l’ha perso, forse.

Mi guarda per un attimo, in silenzio, poi corre via.

Sei bella anche quando piangi, Oscar.

Ritorno al mio libro e leggo qualche pagina che non mi ricorderò mai; poi non resisto più e mi alzo.

Barcollando, mi dirigo verso la sua camera. Dalla porta non filtra luce e non sento rumori; non ti sento piangere, per fortuna.

Buona notte, amore mio, dormi bene se puoi.

Vorrei che domani mi raccontassi tutto, ma so che non lo farai.

Torno giù, al mio libro, ai miei fantasmi ed alla mia solitudine.

* * *

Mi sono sempre chiesta cosa avesse fatto André nel corso di quella famigerata notte. Non credo fosse rimasto ad aspettare che Oscar ritornasse, non ce l’avrebbe mai fatta.

Per cui la risposta che mi sono data è: “Di certo, si sarà preso una sbronza colossale”, sbronza che tuttavia è servita solo a procurargli un gran mal di testa.

L’André che ho descritto è quello molto più sanguigno e possessivo che conosciamo nel manga. E’ un essere fallace e geloso, molto più umano, se volete, dell’André rappresentato nell’anime.

Non sono sicura che il cavallo di M. Grandier si chiami davvero Chevalier: in certe fanfic lo chiamano anche Olivier. Per cui, se conoscete il nome esatto, vi prego di farmelo sapere^^^: Grazie fin da ora!

Il titolo è stato ispirato da un verso di una canzone di Francesco Guccini.

   
 
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