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Autore: fragolottina    04/12/2011    5 recensioni
'Anche io ho baciato solo una persona ed avrei voluto continuare a farlo…'
Era stata la prima volta che lo aveva sentito parlare ed anche la prima volta che il sapore delle lacrime gli aveva ricordato qualcos’altro.
Genere: Generale, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Axel, Roxas, Sora, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Kingdom Hearts II
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sora io ve lo dico, a me questo capitolo ha fatto venire una voglia di piangere incredibile...ora magari sono io con la lacrimuccia facile, ma mi è saputo di un triste...ma perchè ho iniziato una roba tanto deprimente?! che ansia...
cmq, a parte che è lungo una cosa oscena...e io che avevo paura che venisse corto...
dai, fatevi forza e coraggio che ci vediamo giù...

Capitolo 11

Il keyblade ormai non era altro che il mozzicone di una chiave. La punta era diventata polvere, dandogli la terrificane sensazione che gli avessero amputato una mano, e galleggiava nell’aria impreziosendo l’atmosfera di milioni di riflessi brillanti. Non riuscì proprio ad impedirsi di pensare che circondati dalla luce, era un bel modo per morire.
    Noi non moriremo! – lo spronò Roxas cercando di far breccia nel muro che si stava alzando tra di loro. Si trovavano nello stesso cuore, nello stesso corpo, eppure se fossero stati su due mondi diversi non avrebbe potuto sentirlo più lontano.
    Sora osservò ancora il keyblade e sorrise. ‘Stiamo già morendo.’ quello era il suo cuore ed era in frantumi.
    Il re attaccò ancora ed il ragazzo usò quel che restava della sua arma per bloccare il colpo; ci riuscì, ma solo  inizialmente, perché improvvisamente anche il corpo della chiave si spezzò. Esplose in mille schegge tutto intorno a lui e la sferzata lo raggiunse anche se la sua forza era stata in parte stemperata. Lo colpì in mezzo al petto, scaraventandolo contro la porta. Sora si sentì attraversare dalla chiave, infilzare. Poi non sentì più niente, né dolore, né tristezza, né gioia.
    Accasciato contro l’angolo tra la porta ed il muro, la mano sinistra ricoperta di polvere luccicante, non trovò la forza di rialzarsi. Ripensò a quello che gli aveva detto Riku, che Topolino non avrebbe mai ucciso il prescelto dal keyblade, ma lui non lo era più. Non era più niente. Non era più nessuno. Respirò una volta, poi un’altra, alla terza volta iniziò a pensare che fosse una fatica inutile.

Non può essere una fatica inutile. Respira! – gli ordinò e lui gli obbedì, con la stessa arrendevole obbedienza di una bambino davanti ad un adulto.
    Strinse il pugno scosso, tremava come una foglia e Roxas ebbe paura che forse, quello del re, non fosse stato soltanto un normale attacco: aveva cercato di liberare l’ombra nel suo cuore per distruggerla.
    Me… - rifletté ferito.
    Se avesse saputo che bastava così poco a riscuoterlo glielo avrebbe detto prima.
    ‘Tu non vai da nessuna parte finché non te lo dico io.’ Puntellandosi con la schiena al muro si rialzò, anche se, disarmato in quel modo, non aveva alcuna possibilità di salvarsi. Vedeva Topolino davanti a lui attento ad ogni sua possibile mossa, deciso e per niente pentito di quello che aveva cercato di fare. Ma vedeva anche Riku dietro di quello, gli occhi verdi e sbarrati sul volto pallido; lo sguardo del suo amico correva dal re a lui, in una ricerca disperata della via d’uscita, non sapeva cosa fare, non sapeva come aiutarlo. Sora rise, evidentemente, keyblade o non keyblade, era ancora un ragazzo fortunato.
    Oblivion c’era ancora. Brillava della solita luce fioca e scura, ma era vera, reale, intera, nelle mani di Riku.
    Strinse il pugno di nuovo. Oblivion era nata nel regno dell’oscurità, avere un’ombra nel cuore non avrebbe potuto fare altro se non renderla più forte.
    ‘Questa meravigliosa tradizione di prendere pezzi del mio cuore, della mia memoria, del mio keyblade, come se fossi un puzzle deve giungere al termine.’
    Il re attaccò intuendo i suoi tentativi, ma si era deciso troppo tardi, perché Sora era in piedi. ‘Aiutami!’
    Farà male.
    ‘Non sarà peggio di…’
    Roxas scivolò sopra il suo essere senza aspettare che finisse, lui era solo spirito, non aveva ossa da rompere; aveva un pezzo di cuore e se Sora si preoccupava di tenerselo stretto, lui poteva muovergli il braccio.
    Deglutì e strizzò gli occhi, per un lungo interminabile secondo fu sul punto di urlare a Roxas di lasciarlo, ma aveva bisogno di entrambe le braccia per respingere il re. Prese fiato, il keyblade stretto tra le sue mani, indistruttibile come tutte le chiavi sarebbero dovute essere. Con la coda dell’occhio vide Riku osservarlo ed annuire, allungò il braccio e chiuse gli occhi cercando di aprire un corridoio oscuro. Tutto quello che doveva fare era tenerlo impegnato ancora un po’, soltanto un altro pochino.
    Topolino saltò, fece un capriola in aria prima di abbattersi per colpirlo dall’alto. Cozzò contro il keyblade con uno stridio metallico che fece rizzare a Sora i peli su tutto il corpo, ma la chiave non vacillò. Lo spinse via forzando con entrambe le braccia e corse per arrivare a colpirlo prima che atterrasse. Nessun dubbio, nessun tentennamento, nessun rimorso. Lui non ne aveva avuti. Lo attaccò alla schiena scaraventandolo contro il muro che si crepò, ma il re non finì al tappeto, anzi, ammortizzò il suo tentativo piegando appena le ginocchia sul muro prima di saltare di nuovo contro di lui.
    Non potevano farcela nemmeno con Oblivion, soprattutto perché si sentiva a pezzi, non c’era più un muscolo che non gli facesse male, il braccio era soltanto la punta dell’iceberg. Parò e si girò il più veloce possibile per cercare di sorprenderlo alle spalle, ma era già in ritardo e quando colpì, il keyblade del re gli diede la scossa. L’istinto lo costrinse a ritirare le mani ed Oblivion scomparve lasciandolo ancora, terribilmente disarmato.
    ‘Muoviti, Riku’, fu l’unica cosa che riuscì a pensare, mentre, sibilando nell’aria, la chiave di Topolino lo sbatteva a terra colpendolo allo stomaco.
    Quando aprì gli occhi constatando che, contro ogni logica, era ancora vivo, il re gli stava puntando la chiave alla gola. «Guarda…cosa sei diventato.»
    Sora sorrise vittorioso che avesse almeno il fiato corto. «Guardate cosa sono stato costretto a diventare per combattere la vostra guerra.» sussurrò.
    «Era la guerra di tutti.»
    «Ma avete mandato noi in prima linea.»
    Lo vide sussultare a quel ‘noi’. «Sora.» gli disse abbassando l’arma. «Eri il prescelto dal keyblade.» gli spiegò porgendogli la punta della chiave per aiutarlo ad alzarsi.
    Sora fu sul punto di afferrarla, ma si fermò a pochi centimetri e lo fissò negli occhi. «Non più.»
    Proprio in quel momento qualcuno lo prese per la vita tirandolo in basso.   

Precipitò tra i colori incredibili dell’intermezzo tra un corridoio oscuro ed un altro. Fermo a terra scoprì di non essere sicuro di riuscire ad alzarsi. «Comunque lo stavo battendo.» proclamò trovando infine le braccia – o un braccio, visto che il destro ululò di dolore non appena provò a muoverlo – e puntellandosi su quelle per tirarsi su.
    «Ah-ah.» disse scettico Riku. «E chi ne dubitava?!» improvvisamente gemette e cadde a terra in ginocchio con la testa tra le mani.
    Sora gli fu accanto in un secondo, dimostrando che effettivamente un modo per alzarsi c’era. «Riku?» lo chiamò preoccupato.
    Non rispose, il cuore gli batteva come un tamburo nel petto, pompandogli sangue marcio fino al più piccolo capillare. «N-non…» era come se ogni cellula del suo corpo lo tirasse verso una strada che non voleva più percorrere.
    Si sentì afferrare per un braccio. «Ehi! Resta qui!»
    Aprì gli occhi per ricordare a Sora che non si stava muovendo, ma fissando i suoi, enormi ed ansiosi, non fece altro se non scuotere la testa. «De-devi uscire di qui.» doveva aprire la porta per Radiant Garden finché ce la faceva.
    «Dov’è Kairi?»
    «Sta bene…» ansimò. «Minnie le ha dato un coso…» avrebbe voluto spiegargli, ma erano troppe parole, gli sembrava che il suo campo visivo si restringesse piano, piano. Sora però c’era sempre.
    Sora lo lasciò e si sedette a terra accanto a lui con gemito. «Allora non abbiamo fretta. Aspettiamo!»
    Per alcuni secondi rimasero in silenzio, Riku stette anche immobile, ma conoscendo il suo amico dubitava che fosse lo stesso, sentiva i suoi vestiti frusciare. E Ansem era ovunque ad inquinargli i pensieri, provocandolo con quell’immagine drammatica di Kairi incosciente.
    «Cosa aspettiamo?»
    «Che stai meglio.»
    Gli lanciò un’occhiata, era sdraiato per terra con le braccia e le gambe larghe, Riku contò almeno tre macchie di sangue sui suoi vestiti, che rendevano macabramente lucida la divisa dell’Organizzazione. «Posso aprirti una porta, poi ti raggiungo.»
    Fece un sorrisetto. «Ma così ti posso raccontare dettagliatamente e senza interruzioni come stavo per sconfiggere Topolino.» esclamò eccitato.
    «Strano, quando vi ho visto non mi è sembrato proprio così.»
    «Era una finta, sai, per aumentare la suspense.»
    Quando fu sicuro che non avrebbe cercato di distruggere l’universo muovendosi, si sdraiò piano, piano accanto a lui.
    Sora sollevò una mano, la sinistra, notò Riku, e se la posò sul cuore. «Ha cercato di portarmi via il cuore.» mormorò.
    «Lo ha fatto per il tuo bene.»
    Sbuffò. «Peccato che non l’ho ringraziato.» sbottò sarcastico.
    «Che ha il tuo braccio?» gli domandò.
    «Potrebbe essere rotto.»
    «Dobbiamo andare, allora!» fece per alzarsi precipitoso.
    Ma il suo amico non si mosse di un centimetro. «Hai aperto un sacco di corridoi oscuri oggi, tutti ad occhi aperti. È meglio aspettare ancora un po’.»
    Riku lo guardò. «Più aspettiamo, più ci metterai a guarire.»
    Si strinse nelle spalle, facendo una smorfia di dolore subito dopo. «Ho distrutto il keyblade, non serve che guarisca in fretta.» la tristezza nella sua voce non poteva essere ignorata da nessuno, tanto meno da Riku, ma non disse niente. «Ho avuto paura che non tornassi a prendermi.» confessò poco dopo, piano come se fosse un peccato.
    «Cosa?» domandò incredulo Riku fissandolo.
    «Mi odi.» disse con semplicità. «Hai cercato di uccidermi…»
    Ha cercato di uccidere anche me… - si accodò Roxas.
    «Ah, già: hai cercato di uccidere anche Roxas. Ce l’hai con me per Kairi…non potevo essere così sicuro che corressi il rischio di tornare indietro.»
    Riku continuò a guardarlo, mentre gli occhi di Sora erano fissi sopra di lui, come se fosse sdraiato alle Isole del Destino e stesse guardando le stelle; non c’era una parola che avesse pronunciato che non fosse vera, ma lui era Sora. Aveva vegliato sulla sua boccia dei pesci, sul suo Nobody, era venuto a compromessi con la sua parte oscura per lui, perché voleva salvarlo e perché infondo, infondo, aveva sempre sperato di riuscire a tornare insieme a lui alle Isole. Eppure, quando ci era riuscito, aveva finito per fare un casino.
    «Se non eri sicuro che ti aiutassi perché mi hai portato?»
    «Per Kairi.» si interruppe per un lungo istante. «Se mi succedesse qualcosa io starei tranquillo, perché so che tu baderesti a lei con tre volte più attenzione di me.» finalmente il suo sguardo lasciò il soffitto del corridoio oscuro e si posò su di lui. «Se…»
    Non dirlo.
    «Sta zitto.» Riku gli lanciò un’occhiata perplessa. «Non ce l’avevo con te.» si tirò su appoggiandosi sul gomito sinistro. «Se mi assentassi e non dessi segni di ritorno…»
    «Sora…» lo interruppe.
    «Se lei vuole, puoi.» lo disse così in fretta da lasciarlo senza fiato. «Non so se ti amerebbe, ma se è così…»
    «Siamo amici, anzi, sei il mio migliore amico.» disse ad occhi bassi interrompendolo, quanto tempo era che non guardava Sora ricordandosi che era suo amico e non un suo aspirante nemico o il fidanzato di Kairi? «Se ti assentassi e non dessi segni di ritorno verrei a cercarti. Tu mi hai rincorso per tutti i mondi per lo stesso motivo.»
    «No.» rise. «Io ti ho rincorso per tutti i mondi per dimostrarti che ero il più forte.»
    «Illuso.» borbottò, ma poi sospirò. «Mi dispiace di aver cercato di ucciderti…» ora sembrava così sciocco che non glielo avesse detto prima, infondo, aveva sempre voluto farlo.
    «Quale volta?»
    Riku sbuffò. «Se devo scusarmi per tutte le volte, staremo qui per sempre.»
    «Facciamo le ultime dieci?»
    «Ok…» ci ripensò. «no, aspetta, di dieci volte almeno tre sono sicuro di aver avuto ragione.»
    «Ultime sette, quindi. Scuse accettate.» sospirò. «Riku, ora che faccio senza keyblade?»
    Lui rise presuntuoso. «Lasci salvare il mondo a me.» si guardò intorno, l’interno dei corridoi oscuri, con tutti quegli arancioni, quei rosa e quei gialli, era imprevedibilmente accogliente. «Che dici andiamo?»
    «Non voglio.»
    «Perché?»
    Sospirò. «Non ho idea di come fare ad alzarmi e…» la aveva odiata quella chiave, detestata. «qui si sta bene, è tutto semplice.» eppure non essere più sicuro che sarebbe apparsa stringendo il pugno era destabilizzante. Lo faceva sentire vulnerabile, fragile, debole, solo.
    Ci sono io. – lo rassicurò Roxas.
    ‘Non per sempre.’
    Si, invece. – disse tranquillo. – Avere un corpo non mi costringerà a dividerci.
    Riku si alzò in piedi e lo guardò dall’alto. «Andiamo, grande eroe.» disse tirandolo per il braccio buono e facendoselo passare sulle spalle, mentre lo trascinava verso l’apertura del corridoio si rese conto che zoppicava anche.
    «Sai, nel caso il mio aumentare la suspense mi avesse portato a morire…» iniziò. «grazie.»
    «Non c’è di che.»

Nel giardino interno dove sbucarono c’era una specie di comitato di accoglienza. Cloud, Leon e Aeris erano lì in attesa, quest’ultima stringendo una mano di Kairi.
    Kairi era bellissima. A distanza di anni Sora avrebbe ricordato soltanto quello: Kairi era bellissima.
    Lo guardava da lontano senza avvicinarsi, sorrideva e Sora riusciva a leggere il sollievo nei suoi occhi. Nessun gesto eclatante, nessun abbraccio strappalacrime, non serviva. Non aveva più la divisa dell’Organizzazione – conoscendola immaginava che l’avesse bruciata, per non far più venire loro idee tanto folli – ora indossava una gonnellina di jeans ed una canottiera, sembrava così normale, eppure era così speciale.
    Cloud e Leon li circondarono per rubare loro un racconto e Sora lasciò quel compito a Riku togliendogli il braccio dalle spalle per zampettare fino a lei. Percepì lo sguardo dell’amico sulla sua schiena per tutto il tragitto e sapere che questa volta non doveva dubitare del suo aiuto se ne avesse avuto bisogno, gli diede una nuova, strana, ma piacevole sensazione di calore.
    «Stai bene?» le chiese quando furono abbastanza vicini.
    Lei annuì e fece un passo verso di lui, gli sfiorò il braccio destro, abbandonato lungo il fianco, in punta di dita. «Penso che ti servirà il gesso.» commentò. La sua mano si fermò in alto a sinistra, si morse il labbro premendo leggermente. «Ti ho sentito.» sussurrò. «Ti ha fatto male.»
    Sora prese un profondo respiro. «Si.» disse solo, era diviso a metà tra la voglia di raccontarle quanto fosse stato brutto quel vuoto e la certezza di spaventarla.
    «Però non ti ha lasciato.»
    «Senza Roxas non so se ce l’avrei fatta.» lo disse e basta. Sapeva che questo le avrebbe portato dubbi, incertezze, paure, ma non poteva nasconderle la sua stessa ansia. Anche Topolino aveva espresso il suo scetticismo per la riuscita del loro piano e, inutile negarlo, era stato Roxas ad impedirgli di arrendersi.
    Kairi appoggiò la fronte contro il suo petto ad occhi chiusi. «Sora, vuoi ancora farlo?»
    Sospirò, poi le cinse la vita con il braccio buono e la baciò.

«E quindi, ti sono sempre piaciuti i ragazzi biondi con gli occhi blu?»
    Lea lanciò un’occhiata curiosa alla sua impicciona ospite. «E a te?» le chiese di rimando. «Perché non sei andata a festeggiare il loro ritorno?» lui non c’era andato per rispetto di Kairi – scoprire di rispettarla tanto, l’aveva decisamente sorpreso – ma si era aspettato che Tifa fosse in prima linea ovunque fosse Cloud.
    Si strinse nelle spalle. «Magari avrà paura che io e te stiamo…»
    «Ciao.»
    Tutti e due si voltarono verso Sora che aveva parlato dalla soglia della porta. A Lea sembrò un agglomerato di bende tenute insieme dal sangue raggrumato. Il braccio destro era ingessato e legato al collo con un fazzoletto, sulla parte superiore dell’avambraccio sinistro c’era un grande cerotto; le mani erano fasciate fino alle nocche ed anche se aveva i pantaloni lunghi e non poteva vedergli le gambe, capiva dalla sua postura che non stava appoggiando il piede sinistro.
    Lea sospirò scuotendo la testa. «Io l’avevo detto che era un suicidio.» rifletté tra sé, si chiese anche come fossero ridotte le loro divise, perché le avrebbe rivolute indietro.
    «Ti cerca Cloud.» disse a Tifa.
    A nessuno sfuggì che fosse una scusa palese per cacciarla e rimanere soli, così la ragazza si alzò. «Lo raggiungo.» esclamò. «Fate i bravi!» li prese in giro, sventolando una mano in segno di saluto.
    Sora zoppicò fino al divano e ci si sedette, lasciando cadere indietro la testa. «Abbiamo il trattato di Vexen.» esordì.
    Per alcuni secondi Lea continuò ad osservarlo e basta, era sfinito ed abbattuto: Topolino doveva averlo strapazzato ben, benino. Non gli chiese come stesse – se fosse stato nelle sue stesse condizioni e qualcuno gli avesse una domanda tanto stupida lo avrebbe incenerito – si limitò a stare fermo, seduto al tavolo della propria cucina, con una bottiglia di birra tra le mani. Esattamente come era stato con Tifa. «Ottimo.» commentò.
    «Il re ha distrutto il mio keyblade…» annunciò senza tanti preamboli.
    I keyblade si rompevano? Non c’era tutto un discorso di luce e di cuori dietro?
    «Perché la presenza di Roxas ha reso il mio cuore fragile.» scrollò piano, piano le spalle, come se un movimento appena più pronunciato lo avrebbe potuto far urlare di dolore. «O almeno così mi ha detto Topolino.»
    Se il suo cuore era debole…
    «Secondo te mi risveglierò?» gli chiese, dando voce ai suoi pensieri. «Perché io non penso.»
    Lea lo studiò chiedendosi quanti anni avesse, con i Nobody determinare un’età era complicato. Ricordava teorie su teorie mentre mangiava un gelato al sale marino con Roxas; erano giunti alla conclusione che l’età di Axel oscillasse tra i diciannove e i vent’anni, mentre quella di lui intorno ai quindici, sedici. ‘Una cosa è chiara.’ Aveva esordito Roxas sorridendo e studiando il bastoncino del gelato con fin troppo attenzione. ‘Hai una fissa inquietante per i ragazzini.’ Ora sarebbe stato più grande, ora sarebbe stato grande quanto Sora.
    Ma i Nessuno non erano mai veramente ragazzini, nascevano sapendo di non aver un cuore e di dover combattere per giustificare la loro presenza nel mondo. Però quello sul suo divano era stato davvero un bambino ed era ancora solo un ragazzo.
    Era agghiacciante vedere un ragazzo normale, parlare dell’eventualità di perdersi per sempre in un limbo dal quale non sarebbe più potuto tornare.
    Lea si alzò ed andò a sedersi accanto a lui. «Hai paura?» si domandò se qualcuno glielo avesse mai chiesto.
    «Sempre.»
    Per un po’ rimasero in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri.
    «Perché Roxas?»
    Fatti i fatti tuoi!
    Lea lo guardò e Sora sorrise ricambiando. «Perché vuoi tanto lui? Non hai pensato di…beh…»
    «Era triste.» mormorò in un sussurro. «Ero circondato da gente fuori di testa, esseri incoscienti perché a malapena consapevoli di essere vivi. Tutto quello che ero in grado di provare era noia e per gli altri era lo stesso. Oscillava tra malinconia e nostalgia, ma eravamo sempre annoiati.» rise. «A pensarci bene, può darsi che Xemnas abbia cercato di distruggere il mondo perché non sapeva cos’altro fare. Ma Roxas era triste, una tristezza intensa, dolorosa, vera. Provava qualcosa e mi faceva sentire, vedevo le sue emozioni e diventavano mie.» rimase in silenzio. «Quando sono scappato dal C.O. ero mezzo morto.»
    «Oh, si.» si vantò Sora.
    Lea gli lanciò un’occhiataccia. «Per un po’ sono stato nascosto perché avevo paura che qualcuno ne approfittasse per farmi fuori definitivamente. Alla fine sono tornato e Saix che era stato per secoli il mio migliore amico, mi aveva regalato appena un’occhiata fredda. Roxas era talmente sollevato, talmente felice di vedermi da essere sul punto di piangere.» fece una mezza risata sorpresa. «Io non mi ricordavo nemmeno che sapore avessero le lacrime.»
    Salate.
    ‘Era per questo che volevi che mi baciassi il palmo quella notte.’ Pensò Sora sorridendo. ‘La prima volta che vi siete baciati tu piangevi, sapeva di sale.’
    Roxas non rispose, non ce n’era bisogno.
    «Voglio tanto lui, perché in un mondo che non sarebbe mai dovuto esistere, in mondo senza senso, lui ne ha dato uno a me. Lui era il mio motivo per avere un cuore.» Lea si strinse nella spalle. «E tu perché Kairi?»
    «Il paese delle meraviglie le sarebbe piaciuto tantissimo. Avrei voluto volare con lei per tutta Neverland. Sarebbe stato carino trovarsi ad Halloween Town e ballare tra le zucche insieme a Jack e Sally. Ho pensato che sarebbe stata proprio bene vestita da odalisca come Jasmine. O con un bell’abito da principessa come Belle. Ovunque andassi c’era qualcosa che me la ricordava e mi faceva sentire la sua mancanza, ma non come Riku…» ci pensò, si morse le labbra senza guardare niente e tutto. «Insomma per quel che ne sapevo io, Riku poteva essere morto, era normale che volessi trovarlo e portarlo a casa. Kairi era al sicuro eppure ero così egoista che avrei voluto esporla a tutti quei rischi per averla accanto.» sorrise guardandolo di sbieco. «Lei è il mio motivo per non farmi rubare il cuore.»
    «Capirei se non te la sentissi più di provare.»
    «No.» sospirò. «L’esperimento si farà, non…» chiuse gli occhi scuotendo la testa. «non ce la faccio.» non gli spiegò a fare cosa ed Axel non glielo chiese.

no, seriamente, ma fa sentire depressa solo me?
che poi buffo, perchè non è che succedano cose poi così tristi...bah, ditemi voi...
baci
ps. visto come sono stata brava e veloce?!


   
 
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