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Autore: Elfa    25/07/2006    4 recensioni
Legolas è nel nostro mondo, alla ricerca di 1 persona dall'anima elfica? Perchè? Ci riuscirà alla fine? Precisiamo, nn è copiata da quella di Ireth, se nn ci credete, leggete voi stessi!
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cap

Cap. 42: Storpio.

Mi svegliai tardi quella mattina. Solo. Poco male. Ma per un momento mi domandai che fine avesse fatto “Athelas”. Forse avrei dovuto cominciare a sorvegliarla di più…

Andai in bagno e cercai di rendermi presentabile: non riuscivo a svegliarmi. Un brivido freddo lungo la schiena ebbe la capacità di farlo in un lampo. Una sensazione pessima! Che era successo? Mi rivestii in fretta, con quell’interrogativo in testa. Dovevo scacciarlo: quel giorno avrei avuto molto da fare!

Ero appunto diretto alla sala delle riunioni quando, passando davanti alla biblioteca sentii gli sbuffi di Golasgil. Sorrisi tra me: problemi con Ele, senza dubbio. Sbirciai dentro, giusto in tempo per essere fulminato da un’occhiata del vecchio elfo.

- Giusto voi! Sarebbe meglio che cominciaste a tener d’occhio vostro figlio! Sono stanco di perdere ore ad aspettarlo senza che lui si faccia vivo!

- È di nuovo in ritardo?

- Oh, no! Questa volta non si è presentato assolutamente! –sibilò, nervoso, tornando ai suoi

libri. Lo lasciai e uscii dalla biblioteca. In effetti, Elendil cominciava a prendere delle brutte abitudini. E probabilmente anche io, perché andai dritto filato a bussare alla porta di camera sua, ben deciso ad avere spiegazioni (e snobbando il consiglio). Bussai una prima volta. Nulla. Una seconda. Alla terza cominciai a perdere la pazienza. Dopo la quarta entrai. Ele non era lì. Anzi, sembra non ci fosse nemmeno passato: il letto era intatto, non era stato nemmeno toccato. Tutto come la mattina prima. Ma se non era lì… se non aveva dormito nel suo letto, dove… deglutii.

“Va tutto bene.” Cercai di rassicurarmi. “Elrond ha promesso che lo avrebbe lasciato in pace… sta sicuramente benissimo. Non è successo niente.” E allora perché il mio cuore batteva così? Ero in ansia, anche se cercavo di convincermi del contrario. Al diavolo!

Scesi di corsa le scale, diretto alle scuderie. Non era nemmeno lì. Respirai a fondo, cercando di calmarmi.

LA mia fortuna, fu il trovare Liss un po’ da parte, intenta a carezzare il collo di un cavallo. Le andai incontro e le misi una mano sulle spalle.

- Liss… -si voltò verso di me, sorpresa. Non le lasciai il tempo di fare domanda. –Hai già visto Elendil, oggi?

- Ele? No. No, non è ancora sceso.

- Nel suo letto non c’è. Tu non hai idea…

- No. Non so dove possa essere. –Mi voltò le spalle, facendomi capire che non mi avrebbe

detto altro. Allora gli era davvero successo qualcosa… e lei lo sapeva. E io avevo una gran voglia di prenderla a pugni e farle sputare quello che sapeva. Liss posò la spazzola e mi guardò, come profondamente combattuta. Aprì la bocca come per dire qualcosa, ma la richiuse subito, svelta. La presi per un braccio e la guardai negli occhi, severo. Ripetei la domanda e questa volta lei annuì quasi impercettibilmente. –Sello un cavallo anche per te. –Mormorò, slacciandosi dalla mia stretta.

La seguii di corsa, gli zoccoli dell’animale che battevano ritmicamente sul terreno duro, uscendo dalla città e proseguendo nelle campagne. Si diresse a nord, verso le casate, una zona dove ruscelli e corsi d’acqua sembravano nascere dal nulla. Durante il tragitto mi aveva spiegato a grandi linee i piani di Halbarad (perché era ovvio che c’era lui dietro a tutto!).

- Fammi capire… Alex sarebbe Eldarion? –ripetei, incredulo.

- Sì. Una reincarnazione. Sauron ha risvegliato i suoi ricordi, per questo ti odia così tanto!

- Non capisco… -Mormorai, confuso. Lei sbuffò, impaziente.

- Athelas. –spiegò con semplicità.- Lei era la sua promessa sposa, no? E poi sei arrivato tu. –

Saltò un tronco caduto. –Quindi credo sia comprensibile, no? E questo spiega anche perché fosse

tanto interessato a Mir.

- E… e Athelas? Quella è…

- Certo che no! È il suo corpo, è vero, ma non è ancora riunito alla sua anima. E dal mio punto di vista, non dovrebbe nemmeno farlo! È una cosa che va assolutamente contro natura! –Continuammo a cavalcare in silenzio.

- Ancora una domanda: a cosa gli servono Miriel e Elendil?

- Per il loro sangue. –Scese da cavallo e mi fece cenno di fare altrettanto, conducendo il cavallo per le briglie. –Sauron ora è nel corpo del tuo amico ma i suoi poteri sono limitati! Deve ritornare nel suo vecchio corpo, ma deve ancora ricrearlo e poi si sfalderebbe senza il potere dell’anello. Quindi ha bisogno di qualcosa che sia altrettanto potente e al suo servizio.

- Vuoi dire…

- Sì. La luce dei due alberi. Mediante un sacrificio di Sangue. –Mi raggelai. Ele… Liss sembrò

accorgersi dei miei pensieri. Mi posò una mano sulla spalla. –Avevano già preso il suo sangue grazie

a Ungoliant. Forse è ancora vivo… -Cercò di rassicurarmi. Annuii senza crederci realmente, una spaventosa sensazione di gelo alla bocca dello stomaco.

*

Gemetti di dolore, sentendo le gambe schiacciate e come infilzate da mille aghi. Sentivo l’osso sporgere fuori dalla sua alcova, le gambe innaturalmente piegate. Non avevo il coraggio di guardarmi. Il sangue mi pulsava ritmicamente nelle tempie. Lo sentivo scorrere dentro di me, senza più avere nemmeno la forza di piangere o chiamare aiuto. Chiusi gli occhi e respirai a fondo. Il mio corpo urlava ancora di dolore dopo il pestaggio di Alex.

Riportai lentamente alla mente il ricordo di quanto era successo… Alex mi aveva trascinato all’interno della stanza, mi aveva legato e imbavagliato, poi mi aveva portato fuori, via dal castello, mediante un’uscita secondaria, in modo che nessuno potesse vederci… e poi via, lontano dalla città, attraverso i boschi, dove mi aveva fatto scendere e mi aveva picchiato fin quasi a farmi perdere i sensi. Non ero sicuro di sapere cosa fosse successo dopo… mi aveva trascinato per un pezzo, poi ero caduto nell’oscurità, battendo la schiena e le gambe diverse volte su rocce o su quello che sembrava terriccio bagnato, poi tutto si era fatto nero.

Ora sentivo il rombo di una cascata in lontananza, l’acqua fredda che mi bagnava il corpo, e il lento, snervante gocciolio di una goccia sulle rocce. Non vedevo nulla, tranne un puntino luminoso su, in alto, irraggiungibile.

Nemmeno ci provai ad alzarmi: le gambe mi facevano troppo male! Me le tastai con una mano e inorridii, sentendo l’osso appuntito sporgere in fuori, ancora umido di sangue non ancora rappreso, che mi sporcava anche tutta la gamba. Adesso non avevo più paura. Ero terrorizzato! Mi veniva voglia di piangere. E accidenti se lo feci! Urlai anche, nell’assurda speranza che qualcuno mi potesse sentire, poi mi abbandonai di nuovo al freddo abbraccio dell’acqua.

Forse mi addormentai o forse svenni, perché alla fine persi la cognizione del tempo, ma quando fui di nuovo cosciente, sentii delle voci lontane, venire da oltre l’apertura in alto. Urlai ancora, con quanto fiato avevo in gola ed allora, vidi tre sagome affacciarsi all’apertura. Tirai un sospiro di sollievo.

- Sono qui! –Urlai. –Non posso muovermi! Venite a prendermi! –Le figure sparirono per un

momento, poi tornarono ad affacciarsi all’apertura.

- Cerca di non muoverti! Veniamo a prenderti! –La voce di mio padre. Mi rilassai

impercettibilmente, mentre mio padre e un’altra figura scendeva lentamente lungo una fune, verso di me. Capii dopo che era Liss, quando accese una piccola fiamma sulla sua mano, rendendo definitivi i contorni delle cose e dei loro volti. Rimasi per un istante abbagliato da quell’improvviso lumicino, così chiusi gli occhi.

Udii mio padre e Liss avvicinarsi a me, camminando nell’acqua bassa. Trattennero il fiato, inorriditi, mio padre mormorò un’imprecazione, facendomi trovare il coraggio di guardarmi.

Gemetti, inorridito: avevo intuito, col tatto e il dolore, che dovevo essere preso male, ma non pensavo fino a quel punto!

Le mie gambe erano rotte, contorte, la destra piegata innaturalmente all’indietro a metà polpaccio, la destra praticamente spappolata sotto al ginocchio, con l’osso che, appuntito, era uscito dalla gamba per qualche centimetro, rosso e bianco alla luce del fuoco.

- Vala… -Mormorai, trattenendo subito dopo un conato di vomito.

Mio padre mi prese in braccio, dopo avermi avvolto le gambe con il suo mantello.

- Tranquillo. Ora ti portiamo fuori di qui, dritti da un guaritore! –Mi fecero passare una corda

intorno alla vita, aiutandomi a uscire all’aria aperta. Elrohir mi prese per sotto le spalle e mi trascinò sull’erba.

- Che diamine…

- Bisogna portarlo a palazzo! Subito! –Mio padre nemmeno era uscito completamente dalla

grotta quando disse quelle parole. La maga si avvicinò, sollevandomi con un po’ di fatica e issandomi sul cavallo.

- Ce lo porto io. C’è un solo posto dove quei due possono essere andati e potete trovarlo da soli. –Indicò verso nord. -È una radura. Ci sono degli alberi bruciati intorno, ed è in quella direzione per altre due o tre miglia al massimo, in cima a un’altura. Un pianoro in pratica! Non vi potete sbagliare! Dovreste arrivarci in poche ore anche on conoscendo la strada. L’importante è che arriviate prima del tramonto. –guardò prima Elrohir e poi mio padre. –Mi dispiace. Mi dispiace davvero. Avrei dovuto raccontarvi tutto molto prima. –Tacque un

istante.- Buona fortuna.

Fece voltare il cavallo.

*

Seguimmo le indicazioni di Liss, pur sbagliando strada e perdendoci più di una volta, mentre la sera calava e il tempo a nostra disposizione scemava.

Elrohir ritrovò il sentiero proprio quando la nostra sopportazione era arrivata al limite. Gettammo i cavalli al galoppo, dato che ormai il tramonto era già inoltrato.

Non era un vero e proprio sentiero. Casomai era quello che restava delle tracce lasciate dal cavallo di Alex nell’erba alta.

I cavalli faticavano in salita, ma li spronammo con non troppa pietà.

D’improvviso, udimmo la voce di Miriel. Un urlo, una richiesta d’aiuto! Cercammo di incitare di più le nostre cavalcature, ma Il mio cavallo scivolò lungo la salita quando ormai doveva mancare poco, cadendo a terra con un nitrito e trascinando con sé anche quello di Elrohir.

Ci ritrovammo entrambi a terra, per fortuna non sotto gli animali, ma a Elrohir era rimasto un piede incastrato nella staffa, bloccato! Io che potevo Mi rialzai in fretta, estraendo la spada mentre correvo, il fiato corto, spostando con rabbia i rami e i piccoli arbusti che mi ostacolavano il cammino.

- MIRIEL!! –Urlai, pregando che potesse ancora rispondermi. Uscii dalla macchia di alberi,

riuscendo a intravederla solo per un istante: Alex la teneva ferma, a cavalcioni di una delle cavalcature alate che i Nazgul avevano utilizzato durante la guerra dell’anello! Ma fu solo un attimo. La creatura spalancò le ali, alzandosi nel cielo ormai scuro, portandola lontano da me. –NO!! –Urlai disperato.

- Mi dispiace… -Mi voltai verso la voce: in piedi, a pochi passi da me, c’era Athelas,

un’espressione maligna sul voto, un ghigno così fuori posto, sul suo viso… la guardai con rabbia, stringendo di più la spada. –Troppo tardi… -Mosse velocemente le mani verso l’alto, bloccandomi le caviglie utilizzando le radici degli alberi. Mi trovai a terra, mentre altre radici spuntavano dal terreno, mirando alle mie braccia. Mossi veloce la spada, tagliandole a mezz’aria, cercando di schivare le altre che usava per attaccarmi, per quanto potessi, con i piedi bloccati!

Feci roteare la spada, tagliando tutte quelle che mi venivano incontro, per poi chinarmi e ruotare il bacino per cercare di bloccare quelle che mi arrivavano alle spalle, ignorando le risate di lei.

Mi chinai a terra, cercando di liberarmi i piedi, quasi tagliandomene via uno.

Appena libero, mi feci indietro, allontanandomi da lei con un balzo e guardandole con odio.

- Maledetta… -Sibilai a denti stretti. Lei rise ancora. Guardai alle sue spalle: dove accidenti era Elrohir!?! Proprio quando avevo bisogno di lui… quelle sue radici erano micidiali! Se mi prendeva, ero finito! E per di più., mi poteva attaccare da lontano, mentre io dovevo per forza avvicinarmi per riuscire ad attaccarla.

Mi gettai contro di lei a testa bassa, cercando di deviare molte volte perché non potesse capire a che parte sarebbe giunto il mio attacco! Ma mi attaccava da ogni parte, senza che io riuscissi a penetrare la sua difesa! Anzi, nemmeno a riuscire a intravedere uno spiraglio nemmeno per un attimo! E intanto cominciavo ad essere stanco!

Tutti i miei colpi erano destinati a parare e a difendermi dai suoi. Distratto, non vidi arrivare il suo ultimo colpo, che mi prese alla spalla, trapassandola. Urlai di dolore. Sentii un tremito correre lungo la radice, mentre mi rendevo conto che i miei piedi si erano staccati da terra, e io stavo salendo sempre più in alto, oltre la cime degli alberi. Urlai di terrore e dolore. Restai lassù per un momento, poi cominciai a scendere a velocità folle, schiantandomi a terra prima ancora di riuscire a rendermene conto.

Dolore.

Il fiato che moriva in gola dopo un colpo al torace.

Il buio durato pochi istanti.

E lei che torreggiava su di me on appena i miei occhi ripresero a vedere. Il suo volto aveva perso la macabra ilarità di poco prima. Ora era solo furiosa. Ed io, mi accorsi solo allora, ero disarmato.

Alzò una mano, l’indice puntato verso l’alto e al suo comando, l’ennesima radice divelse il terreno intorno, già massacrato, muovendosi come un serpente incantato, alzandosi sopra la sua altezza e curvandosi verso il basso, come a studiarmi.

- Sono stanca di giocare. –Sibilò. Mi puntò il dito contro, abbassandolo di corpo, mentre

l’appendice dell’albero, nello stesso istante, ubbidiva al suo volere e puntava al mio cuore.

Quel colpo non arrivò mai. La radice si fermò a pochi centimetri dal mio corpo, restando ferma per un istante e poi afflosciandosi, contemporaneamente a un piccolo strillo di lei, che cercava di toccarsi un punto della schiena.

Poco oltre, Elrohir la teneva sotto tiro con un’altra freccia incoccata all’arco.

Lo guardò con rabbia.

- MISERABILE INSETTO! –Urlò, i lineamenti del suo bel volto deformati dalla rabbia. Un ampio gesto del braccio e i rami dell’albero che sovrastavano Elrohir si piegarono, scagliandolo lontano con un gemito di dolore.

Fu un attimo, ma mi bastò. Scattai e afferrai la spada, per poi scagliarmi contro di lei con un urlo. Fece appena in tempo a voltarsi.

Nemmeno io ebbi davvero il tempo di rendermi conto di quanto successe. Uno schizzo di sangue mi raggiunse al viso, mentre la mia lama penetrava nella sua carne e lei gettava la testa all’indietro. Indietro. Indietro. Oltre la schiena, rotolando per terra.

Il suo corpo restò immobile per qualche secondo, immobile, tranne per gli spruzzi di sangue che le uscivano dal collo, inondandole di rosso le spalle. Cadde in ginocchio e poi in avanti, macchiando di scuro l’erba.

La spada mi scivolò dalla mano, che non aveva più forza né motivo per trattenerla.

Era morta? Si… non ero riuscito nemmeno a rendermene conto, mentre la uccidevo… io… no… non era lei.. era solo… solo… mi mossi come in un sogno, lentamente, chinandomi a prendere la sua testa tra le mani, con una mano sola, dato che l’altra spalla mi doleva terribilmente.

Non sembrava più così malvagia e spaventosa, anzi… la sua espressione pareva solo vagamente sorpresa, quasi smarrita, come se non riuscisse a capire chi e perché le stesse togliendo la vita. La stessa espressione smarrita e spaventata di tanti anni fa…

Volevo convincermi che non era così. Che non era lei. Era solo una sosia… o un inganno… o… o forse avrei potuto riportarla con me e non ci avevo mai realmente creduto o provato.

Mi sentii invadere da un’immensa pietà.

Per me, per Mir, per la mia Athelas… e anche per questa donna che avevo ucciso io… che forse poteva essere lei… o almeno, come lei… Le chiusi la bocca e gli occhi, riavvicinandole poi la testa al corpo. Tacqui ancora, osservandola.

Elrohir mi si avvicinò, massaggiandosi il torace, dove era stato colpito.

- Miriel non… -Mormorò. Scossi la testa.

- Non ho fatto a tempo…

Strinse i pugni, le labbra strette. Gettò via l’arco ancora in mano con un urlo, cadendo poi in ginocchio. Sospirò.

Tornai a guardare il corpo. Non so per quanto. Alla fine, anche lui si alzò.

- Torniamo. –disse semplicemente. –A questo punto, temo che ci sarà un altro consiglio… e speriamo in bene.

Mi diede una mano ad alzarmi e ci allontanammo. Mi lanciai ancora qualche occhiata indietro, al cadavere della donna che avevo amato, ma non mi fermai, ne chiesi ad Elrohir che la portassimo via o la seppellissimo. Volevo solo tornare a casa al più presto a leccarmi le ferite. Anche se, malgrado io non potessi ancora saperlo, la botta più grande doveva ancora arrivare…

Tornai a palazzo, a capo chino, lasciando che fosse Elrohir a spiegare agli altri che cosa fosse successo, dirigendomi subito nella stanza di Elendil.

Quando entrai, Golasgil e altri tre stavano discutendo anche piuttosto animatamente, come se non si curassero di mio figlio che dormiva nel suo letto, a poca distanza da loro. Probabilmente lo avevano drogato in modo che non sentisse dolore e che potesse dormire tranquillo almeno per quella notte, ma mi diede comunque fastidio.

- Fuori dai piedi. –Sibilai. –Tu no, Golasgil. Resta qui. –Presi la sedia della scrivania e la misi

accanto al letto, sedendomici sopra. Tacqui, osservando il volto neutro di mio figlio. Era tranquillo, sentivo il suo respiro regolare… non stava soffrendo, almeno questo. Mi voltai verso il guaritore.

–Voglio sapere tutto. Anche le brutte notizie. Anzi. Soprattutto quelle. Tornerà a camminare? –Ci mise qualche secondo a rispondermi.

- Probabilmente con un paio di grucce, un giorno ci riuscirà, ma ci vorrà del tempo… molto tempo, maestà. –Io rimasi in silenzio, lasciando che continuasse. –Purtroppo è altrettanto probabile che vostro figlio resti… storpio. Sicuramente non potrà più correre e combattere. Potrebbe anche aver problemi nell’andare a cavallo.

Sospirai. Me lo ero aspettato. Forse temevo anche qualcosa di peggio, ma non è mai bello sentirsi dire che il proprio figlio può restare menomato per il resto della vita.

Resta a guardarlo ancora a lungo, poi mi alzai.

- Ho capito… va bene così, Golasgil… ti ringrazio comunque… -Sospirai, cercando di

controllare la voce. –Ora puoi andare. Credo… credo che tutti noi abbiamo bisogno di riposo. –Mormorai. Lui annuì.

- Certo, sire… -Si chinò velocemente e mi precedette fuori. Chiusi la porta piano,

allontanandomi facendo altrettanto silenzio e raggiungendo infine la mia stanza e chiudendomi dentro a chiave.

Mi buttai sul letto che ancora ero vestio, soffocando un urlo nel cuscino. Frustrazione, rabbia, disperazione e senso d’impotenza. Urlai tutto dentro il cscino, e mi abbandonai tra le lenzuola, al sicuro nella mia solitudine, dove finalmente potevo sfogarmi.

Piansi.

  
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