Anime & Manga > Lady Oscar
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Autore: m00nlight    04/12/2011    10 recensioni
Il mio tormento, puntuale, torna a farmi visita.
Quel sorriso sprezzante del pericolo, quella sfrontatezza stampata in volto.
Chiudo gli occhi e mi è di fronte.
Gli angoli della bocca curvati verso l'alto.
Si prende gioco di me.
Mi guarda e sorride, perché sa già che riuscirà a sfuggirmi.
"Dimmi chi sei".
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: i personaggi di Lady Oscar non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Riyoko Ikeda.
 

 
Le mie parole risuonano di luce tra le pareti della stanza, che adagio si tingono dei colori del giorno.
Noi, sospesi nel tempo, ci guardiamo, poi ci osserviamo.
Entrambi attenti ad analizzare le reazioni dell'altro, ogni singolo movimento.
Vedo nascondersi dietro il blu dei tuoi occhi un oceano di emozioni, indefinite, ma, allo stesso tempo, dai contorni chiari, dalle tinte violente, le collezioni in un angolo della tua anima ed io mi accorgo di dover essere pronto al peggio.
Prima che me ne renda conto, la tua mano ha già marchiato rosso fuoco la mia guancia, con una ferocia tale da farmi arretrare, anche se appena. 
La pelle del viso già pulsa di un dolore intenso, ma non è quello a farmi male. 
E' quello che vedo nei tuoi occhi, o che non vedo. 
Questo è il tuo unico modo di difenderti, l'unico che ti è stato insegnato sin da bambina per proteggerti: la violenza.
Solo il preludio di una valanga che sta per travolgermi, il lapillo di un vulcano che sta per eruttare e mostrarsi in tutta la sua magnificenza, lo sento.
Il mio controllo, è questo che ti rende furiosa.
A un tratto investi il mio corpo con uno, dieci, cento colpi, al viso, allo stomaco e ovunque riesca a colpire.
Ecco l'esplosione che aspettavo. 
Ha il sapore della rabbia, della frustrazione, della delusione, ma c'è qualcosa di più.
E' una battaglia contro te stessa.
Sul fronte nemico un’emozione che non conosci e che cerchi di rinnegare, di ripudiare, perché piano si sta impadronendo della tua mente. 
Incasso ogni singolo colpo con la dignità di un combattente, immobile, aspettando di assistere alla risacca di quell'onda di violenza, che ora pare inarrestabile.
Poi, quando decido di averne avute abbastanza, cerco di immobilizzarle le braccia.
Quando finalmente riesco ad afferrarle i polsi, Oscar continua a dimenarsi. 
Ancora agita le braccia cercando di divincolarsi dalla mia presa, così sono costretto ad approfittare del mio unico vantaggio, quella forza virile che a lei fa difetto, per stringere più salda la morsa intorno ai suoi polsi sottili.
Un gemito sfuggito alle sue labbra mi ricorda che è ancora ferita. 
Urta lo scrittoio, perde l'equilibrio e trascina entrambi al pavimento.
Come nei nostri giochi d'infanzia, anche questo scontro termina in una caduta rovinosa al suolo, ma questa volta, così uguale e così diversa da quel tempo, le mie braccia sono una gabbia e lei è la mia prigioniera.
Questo gioco non ha nulla d’innocente.
L'eccitazione è tangibile fra noi e il fiato corto non è solo il naturale risultato dalla lotta.
Vedo le sue guance imporporarsi violentemente, quando annoda il suo sguardo al mio.
L'imbarazzo la costringe a voltare il viso.
Mi perdo nelle trame complicate disegnate dai suoi capelli dorati sul pavimento e mi pare di non poter domare il desiderio di affondarvi le mani.
In un colpo di reni, preciso e improvviso, ribalta la situazione, e mi ritrovo spalle a terra.
Il suo respiro affannato mi solletica la pelle del viso.
L'impavida Oscar che non conosce paure, non mi è mai sembrata così terrorizzata.
E non da me. 
Tutto questo la rende per la prima volta ai miei occhi quasi umana, schiava della carne e dei suoi impulsi.
La sorprendo a fissare le mie labbra, solo un palmo di distanza dalle sue.
-Se non puoi amarmi... -una mano sfugge al suo controllo e raggiunge la mia cinta, da cui ne estraggo il mio pugnale.
-... allora, avanti Oscar, uccidimi-
Porto la lama rilucente davanti ai suoi occhi, poi ne poggio la punta affilata al centro esatto del mio petto.
La vedo strabuzzare gli occhi e poi impallidire appena. 
In un attimo prendo in mano le redini del gioco iniziato da lei.
Sono io a puntarmi l'arma contro, sempre io ad avere il controllo.
-Cosa aspetti, Comandante?- la incito alla reazione, ma lei resta lì, immobile, carceriera del mio corpo ed io al momento, giuro, non potrei chiedere di meglio.
-E' la tua occasione- la scruto e vedo una matassa intricata di emozioni dietro i suoi occhi. 
Un guizzo di decisione la abbaglia, quando prende tra le mani il pugnale, stringendo tra le sue, la mia.
-Affonda questo pugnale e, quando il sole sarà alto, tutti parleranno di te, del grande comandante Oscar Francoise de Jarjayes, che ha ucciso il celebre Cavaliere Nero-
Le mie parole non sortiscono l'effetto desiderato, al contrario, la battaglia che combatte dentro se sembra esser diventata ancora più efferata.
Esita.
-Il mio sacrificio non vale forse tanta gloria, Oscar?-
La sua reazione giunge inaspettata a sorprendermi. 
Così poco 'da Oscar', piccole lacrime lucenti s'insinuano nel cielo dei suoi occhi e lo illuminano di rugiada.
Solcano il suo viso lasciando dietro di sé umide scie di tristezza, e, infine, piovono sulla mia pelle.
Pietà, forse?
-Sta zitto- bisbiglia perentoria tra i denti stretti, mentre invoca a sé tutto il coraggio per adempiere il suo dovere, per ottemperare alla legge. Quella stessa arida legge, che non contempla il caso in cui il ladro sia innamorato di uno dei suoi rappresentanti, sempre che il rappresentante della legge non sia innamorato del criminale.
La stessa legge che ci separa per motivi di ceto sociale, che non farà mai di me un nobile, mai di te una serva.
-Coraggio, Oscar- adesso le mie parole si fanno più dure, il tono più aspro, stanco.
-Sta zitto, Andrè- alza la voce in preda al nervosismo, riempiendo il silenzio della stanza.
L'eco si disperde tra le pareti e vola oltre le tende aperte.
Allenta la presa sul coltello, le dita si slacciano attorno al manico e lo lasciano cadere di lato. 
Trema, quasi indifesa, piccola, certamente sconfitta.
Come una bambina innocente, afferra la mia camicia e lentamente poggia il capo sul mio petto, poi si accoccola su di me.
Per un tempo indefinito, resta così, a cullarsi al suono dei miei battiti.
Le sue dita stringono il batista bianco, umido delle sue lacrime.
Finalmente posso affondare la mano tra le onde dorate dei suoi capelli. 
La stringo a me, mentre i primi raggi di sole ci accarezzano.
Sopravvissuti alla tempesta. 
Assaporiamo la dolcezza della quiete.
-Perchè?- sussurra tra i drappeggi della stoffa candida -Perchè è così difficile?- e nelle sue parole, si strugge. 
-Non riesci a immaginarlo, Oscar?- sussulta a quelle parole, come fossero già ascoltate, già conosciute.
-Riesco solo a sentirlo, ma ancora non ha un nome- un tentativo maldestro di dare forma a qualcosa di astratto, sconosciuto.
-Cosa senti, Oscar?- ho già la risposta.
-Io sento... -le sue labbra sfiorano le mie, i nostri respiri si fondono in uno.
Poi il sole sorge.   
 
 
To be continued...
  
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