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Autore: Nilheym    04/12/2011    1 recensioni
Cosa succede quando ti ritrovi sulle spalle un incarico che non vorresti? E quando questo incarico si rivela d'essere il governo d'un regno? Beh, sei fregato.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La penombra invadeva ormai da troppo la stanza del re, quando i suoi tre figli furono convocati.
L'aria era quasi irrespirabile, ma a causa delle condizioni del regnante, le finestre non erano più state aperte, e pesanti tende di broccato impedivano alla luce di penetrare nella stanza.
« Sembra che... sia giunta la mia ora... »

La chiamata era arrivata frettolosa, da parte di un paggio particolarmente nervoso.
« Il re desidera vedervi,» aveva detto il ragazzino, non osando guardarlo e torcendosi nervosamente le mani. Dopo poco però aveva aggiunto, abbassando la voce e guardandolo di sottecchi « Vi consiglio di sbrigarvi, non migliora, e potreste non avere più occasione di parlar... »
Si era zittito immediatamente ad un gesto svogliato del principe come congedo, si era inchinato indietreggiando per evitare di dare le spalle e si era dileguato balbettando delle scuse incomprensibili.
Il principe aveva finito di scrivere la lettera che aveva cominciato qualche ora prima, aveva pulito con calma la penna e l'aveva riposta in un cassetto della scrivania. Poi si era alzato e si era incamminato lentamente verso la stanza del regnante.
Non era preoccupato come la maggior parte del popolo del Regno. Sebbene re Rothen IV fosse decisamente stato il miglior regnante da molti secoli a quella parte e la gente lo amasse per la sua bontà e la sua gentilezza, il giovane principe non la pensava allo stesso modo.
In realtà, Gildreven I, figlio primogenito dell'attuale regnante, odiava profondamente suo padre.
Fin da piccolo non aveva mai avuto motivo di amarlo, e tutt'ora non ne trovava alcuno che lo spronassero ad una gratitudine minima nei confronti del genitore. Tutt'altro. Il fatto che suo padre stesse morendo non gli suscitava nessuna reazione particolare. Gli era completamente indifferente.
Dopotutto, era a causa del giovane se il re aveva dovuto sposare una normalissima popolana dopo averla messa incinta. Sarebbe stato un disonore avere un figlio cresciuto per strada che un giorno avrebbe potuto rivendicare la sua discendenza per salire al trono. Così Rothen aveva sposato la donna e l'aveva accolta nel palazzo. In realtà non l'amava, e dato che dopo il parto aveva perso anche tutta la bellezza che aveva convinto un giovane re a corteggiare una donna qualunque, approfittando della sua debolezza, l'aveva fatta assassinare e aveva dichiarato al popolo che la donna era morta nel sonno.
Tutti si erano rammaricati, ma era durato molto poco, dato che Rothen aveva trovato presto una sostituta. Era una giovane donna davvero bella, formosa, con lunghi riccioli color dell'ebano e gli occhi verdi smeraldo. Si chiamava Marion. E voleva molto bene al giovane Gildreven.
Il giovane principe non riuscì mai ad odiarla, ma nemmeno ad accettarla completamente, dato che per lui non era altro che un rimpiazzo di sua madre bello e buono, sebbene la matrigna lo considerasse come un figlio proprio. Nei dieci anni successivi, Rothen e Marion avevano avuto altri due figli. Una coppia di gemelli, Elvien, la femmina, e Ravien, il maschio.
Somigliavano straordinariamente ai genitori. Entrambi aveva ereditato i capelli ricci e neri della madre e gli occhi castani del padre, mentre Gildreven non somigliava minimamente ai due fratellastri, coi suoi capelli lisci e dorati e gli occhi color del cielo.
Inoltre, i due maschi non si parlavano molto, mentre la giovane Elvien cercava ogni scusa per passare del tempo col fratello maggiore, della quale si era invaghita.
Tutto questo contribuì ad allontanare ancora di più il re dal figlio maggiore, con l'aggiunta che, dopo la morte di sua madre, era stato affidato ad un insegnante severo ed inflessibile, che non faceva altro che infliggere pesanti punizioni al minimo errore, con la scusa di volerlo ben educare. Non gli era stato permesso di rivedere re Rothen, e così era cresciuto, rancoroso nei confronti di una famiglia dalla quale non si sentiva accettato e costantemente solo coi propri pensieri cupi.
Ormai era quasi un uomo, ma di certo non poteva suscitare la stessa fiducia dal popolo che suo padre aveva conquistato nel giro di due anni. Per aspetto fisico, non v'erano eguali di bellezza, con quei tratti vagamente felini e il fisico magro e nervoso sviluppato con anni di inflessibile addestramento militare. Eppure c'era qualcosa, nel suo aspetto, che incuteva un certo timore reverenziale. Forse il portamento fiero, il passo cadenzato, quei suoi occhi che sembravano poterti scavare l'anima. Forse quel perenne silenzio di cui si circondava, e di cui si liberava solo in casi di bisogno. Forse per tutto, o forse per niente, il principe Gildreven era temuto da tutti i suoi sudditi, e tutto ciò, sommato alla carenza di affetto, aveva contribuito a creare quella corazza di rancore che adesso si ritrovava addosso. Come poteva un giovane cresciuto nell'odio conoscere il significato dell'amare e dell'essere amato?

Camminava senza fretta per il corridoio, guardando dritto davanti a sé, senza provare alcuna emozione che non fosse fastidio. Non capiva che bisogno avesse il re di vedere proprio lui. Data la grave malattia che ora pendeva sulla sua testa come una ghigliottina, avrebbe potuto tranquillamente risparmiare il fiato per i suoi figli, per passargli le giuste morali sul governo di un regno e le dovute benedizioni prima di spirare.
Lui non si considerava neanche più figlio del re, e tutti quei titoli che gli erano stati affibbiati, non poteva sopportarli. Il re lo teneva con sé solo per non essere screditato, punto e basta. Dov'era il bisogno di tenerlo lì, di istruirlo e di formarlo come un futuro re, se poi mai lo sarebbe stato?
Gildreven si spostò una ciocca di capelli dagli occhi con un gesto stizzito e prese a camminare con più foga di prima, e per poco non cozzò contro la sorella, che sembrava andare assai di fretta.
Quella trattenne a malapena un gridolino spaventato nel ritrovarselo davanti così all'improvviso, ma si ricompose subito e gli dedicò un candido sorriso. Era davvero bella. Sebbene fosse minuta, era piuttosto formosa, e non faceva niente per nasconderlo, vestendosi sempre di abiti scollati – esageratamente scollati, diceva sempre Gildreven. Aveva un viso perfetto, ovale, pallido, con le guance leggermente arrossate da un po' di trucco, e le labbra rosee e morbide.
Eppure Gildreven non amava sua sorella. Il rancore provato per la famiglia, ricadeva anche sulla giovane Elvien, che, sebbene fosse follemente innamorata del fratello, era troppo ingenua sapere di essere tanto odiata solo per aver ricevuto l'affetto della madre e del padre.
Gli si avvicinò e gli porse gentilmente il braccio, che il principe prese con cortesia ma non con altrettanta voglia. Solo l'etichetta gli imponeva quel gesto. Fosse stato per lui, nemmeno sarebbe vissuto nel castello.
Si avviarono e Elvien cominciò a sospirare con fare afflitto, osservando di sottecchi la sua reazione. Sembrava delusa dalla sua mancanza di interesse. Dopo diversi tentativi, si spazientì e diede un colpetto di tosse.
« Avete la gola irritata, sorellina?» chiese Gildreven con pesante sarcasmo. Lei non sembrò accorgersene.
«Anche» disse lei, cercando nuovamente un gesto gentile del fratello. Che non venne. Sospirò nuovamente con quel modo di fare così falsamente affranto. Poco mancò che il principe le mollasse una sberla per l'irritazione. « Sembra che nostro padre stia male. Stavolta però è una cosa seria » disse lei, annuendo con convinzione. Tirò su col naso e si fermò, trattenendo anche il ragazzo, per prendere un fazzoletto ricamato e asciugarsi una lacrima.
« Così pare. » Gildreven non era certo altrettanto rattristato. Ma non era nemmeno felice. Semplicemente, non provava niente. Che suo padre fosse stato vivo o morto, non avrebbe cambiato poi molto, visto l'inconsistente sua presenza nella vita del giovane.
« E non ti dispiace?» fece lei, porgendogli nuovamente il braccio con tono offeso.
« No, decisamente. »
Lei parve seriamente scioccata, eppure non rinunciava al voler attirare a tutti i costi la sua attenzione. Fece finta di inciampare e si appoggiò volutamente a lui. Gildreven la prese per le spalle e l'aiutò a rimettersi in piedi.
« Sorellina, se state così male, vi sconsiglio seriamente di venire a trovare vostro padre. » Il tono era così piatto e irritato, che Elvien non seppe ribattere in altro modo se non scuotendo la testa. Stavolta fu Gildreven a porgerle il braccio, con un gesto secco, che lei accettò con esitazione. Non parlarono più per il resto del tragitto che li separava dagli appartamenti del re.
Quando si ritrovarono davanti alla porta di mogano intagliato, Elvien lasciò il braccio del fratello e bussò delicatamente alla porta.
« Padre, siamo noi, possiamo? »
Per un attimo, il silenzio. Poi la porta si schiuse senza un cigolio, e si affacciò il volto pallido e stanco del medico della famiglia reale. Parlò loro in tono stanco e ansioso. « Prego, entrate, ma per favore, cercate di non farlo parlare troppo. » Poi, abbassando ancora di più la voce, mormorò: « Temo che non supererà la notte... »
La principessa trattenne rumorosamente il respiro con sgomento ed entrò lentamente, cercando di non far rumore e portandosi le mani alla bocca quando vide il padre adagiato sul grande letto, con la regina seduta lì di fianco che gli teneva la mano, piangendo in silenzio. Suo fratello era già lì, inginocchiato sull'altro fianco del letto, piangendo con la testa affondata sul materasso. Si sedette accanto a lui, fissando sconsolata la madre, che ricambiò il suo sguardo sgomento. Gli sfuggì un singhiozzo e si coprì la faccia.
Elvien non poteva credere che quell'uomo bello e forte che un tempo era stato suo padre ora fosse ridotto in quello stato. Il volto e le mani, appoggiate sulle coperte, erano scheletriche e pallide, e gli occhi erano coperti da un velo opaco. I capelli castani erano ingrigiti e diradati, tanto da averlo lasciato quasi completamente calvo. La giovane non trovò lacrime da piangere per come la morte stava umiliando suo padre negli ultimi momento di vita, e si limitò a fissarlo in silenzio, con un groppo in gola.
Sentì dei passi avvicinarsi e arrestarsi di colpo poco dietro di lei. Gildreven era entrato.
« Volevate vederci? » chiese, con tono glaciale. La regina Marion lo guardò con sguardo supplice, ma lui sembrò non raccogliere. L'anziano re sembrò riscuotersi dal torpore di poco prima e per un attimo i suoi occhi persero quel biancore cadaverico per posarsi sul maggiore dei suoi figli. I tratti deformati dagli anni non permettevano di capire cosa stesse pensando, ma la grossa lacrima che gli rotolò su una guancia parlò più chiaro di tutto il resto. La regina Marion sorrise, commossa, e gli strinse più forte la mano, per fargli forza.
« Sì, figlio mio... volevo vedervi.... » disse Rothen con estrema fatica e un tono di voce che sarebbe stato appena percettibile se non ci fosse stato il silenzio assoluto in quella stanza. « Io... devo parlarvi... » proseguì, cercando di assumere un tono più fermo, con risultati penosi. « Sembra che mi sia rimasto... molto poco... da vivere. Uno... di voi... dovrà prendere il mio posto... »
Finalmente Ravien alzò il volto bagnato dalle lacrime sul padre. Sembrava profondamente scosso, ma Gildreven non avrebbe saputo dirlo con certezza. Non aveva avuto modo di sapere cosa si provava a perdere un genitore con cui avevi passato i primi quindici anni della tua vita. Sua madre era morta molto prima. « Io... non voglio che... questa decisione... generi conflitti... tra di voi...»
Gildreven sbuffò, guadagnandosi un'occhiata di disapprovazione da parte del fratello. Non ti sembra un po' tardi per chiarire che non vuoi rancore in famiglia?
Il re sorrise, spostando lo sguardo sul figlio maggiore e fissandolo con intensità. « Gildreven... tu mi odi, non è vero? »
All'improvviso e per un attimo sembrò che il vecchio re avesse recuperato completamente la lucidità mentale. Il principe non si sentì minimamente a disagio sotto il suo sguardo fisso, e rispose senza scomporsi: « No che non vi odio, ma se ci pensate, non mi avete nemmeno dato motivo di amarvi. »
Altri sguardi di riprovazione. Dalla regina, dalla sorellastra e dai vari presenti nella stanza.
Il re sorrise, triste. « Già, già... Hai perfettamente ragione... » Fece una breve pausa per riprendere un po' di fiato. L'aria uscì sibilando dai suoi polmoni. « Vieni qui, è soprattutto a te... che devo... parlare... » disse, battendo stancamente una mano sul letto, al suo fianco.
Ravien sembrò offeso, e Marion interdetta. Elvien invece era trepidante. Gildreven si sedette di malavoglia di fianco al re e non si chinò nemmeno. Non voleva avvicinarsi più di tanto.
« Voglio... che sia tu... il mio successore... Tu sei... un bravo ragazzo. Io sono stato un pessimo genitore, per te... me ne rendo conto... e per questo ti chiedo di... perdonarmi... Riesci a farlo, figlio mio?»
« No. »
La risposta era sorta spontanea, ma non generò pentimento nel cuore Gildreven. Dopotutto, era vero. Proprio non ci riusciva, a perdonarlo. Aveva vissuto troppo a lungo nell'odio a causa sua, e avrebbe continuato per molto, probabilmente fino alla sua fine. Non trovava motivo di perdono, in quella scusa dell'ultimo momento, e per un attimo, ebbe modo di pensare che lo facesse per non avere sensi di colpa. Fremette al solo pensiero e strinse i pugni.
Eppure il re non sembrò sorpreso, ma solo rattristato.
« Capisco... Immaginavo... che avresti risposto così... Beh, in ogni... caso, tu sei... il successore che io... ho scelto... per il nostro regno... So che sarai … un ottimo governante. »
La voce gli si era fatta ancora più fioca, ma Gildreven, improvvisamente rigido, non trovò altro da fare se non chiedere: « Avete altro da dirmi? »
Re Rothen lo fissò per qualche istante che parve lunghissimo, poi scosse debolmente il capo e gli fece cenno di uscire. Il principe non ci pensò due volte, e si avviò fuori.
   
 
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