Fanfic su artisti musicali > Beatles
Segui la storia  |       
Autore: bethlennonthalieharrison    05/12/2011    1 recensioni
Liverpool, 1957.
Nathalie ed Elizabeth Ellis sono due sorelle, approdate per puro caso nel Liverpool College of Art.
Lì, due compagni di scuola i cui nomi saranno ricordati per sempre in tutto il mondo: John Lennon e George Harrison.
La scoperta dell'amore per la musica, le prime avventure, e qualcosa che forse nasce piano piano...
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Uno

Beth

A hard day (senza s night, che la notte almeno Beth dorme)

(2/2)

Charlotte Ampton era timida. Era la prima cosa che, inevitabilmente, si sapeva di lei appena la si guardava.

Esile e dal visino da coniglio, dimostrava molti meno dei diciassette anni. Quando era in compagnia di Nathalie questa, benché di tre anni più piccola, la superava di tutta la testa ed oltre.

Aveva una testolina piccola ed una cascata di boccoli di un castano chiaro un po spento, e due grandi occhi nocciola dolci ed a tratti un po vacui.

Era inspiegabile perché lei ed Elizabeth Ellis, la “nuova alunna” dellistituto darte di Liverpool, fossero amiche. Si conoscevano fin da piccole e Beth, con quel suo carattere apparentemente serio, pacato e responsabile si era guadagnata la fiducia di Charlotte.

E così erano rimaste buone amiche. Non si erano aperte mai completamente luna allaltra, forse perché entrambe molto riservate. Eppure si comprendevano e spesso Beth reputava che Charlotte fosse lunica ragazza intelligente della sua età che conoscesse.

Certo, cera sua sorella, che però era tanto, tanto bacata.

Era il quarto banco a destra, quello dellaula cinque. Charlotte era già lì, con il suo astuccio, i suoi colori, le matite tutte disposte in una specie di trincea. Il suo banco sembrava una cartoleria ambulante.

Elizabeth era anche lei ordinata, ma nella media. Non aveva tutte quelle matite, e tantomeno disponeva le matite nella scatola in ordine di colore.

Perciò quando atterrò poco graziosamente sulla sedia a fianco dellamica, Charlotte si ritrovò a pregare tutte le divinità pagane che conosceva affinché il suo banco non si trasformasse in una boutique, sì, ma dovera passato un elefante.

“Beth!”, sorrise la ragazza. Era contenta, e tanto, di avere qualcuno con cui condividere le sue giornate in classe.

La rossa le sorrise. Era troppo occupata a stringere in bocca un pugno di forcine, cercando di domare i ricci, e parlare le era impossibile.

“Sanguinerai, prima o poi... pensa se una di quelle mollette ti trapassasse il palato”, commentò l’amica.

“Nonfarecomemiaforella. Leimiaugufatuttelediscrafie...” tentò di rispondere Beth.

Intanto un crescente gruppo di ragazze si era avvicinato al banco della nuova arrivata. Snobbando la povera Charlotte, tutte sorrisero alla “ragazza con le forcine”, come lavrebbero chiamata dora in avanti.

“Io sono Emily!”, trillò una.

“Io Sophie!”, squittì un’altra.

“Io sono Louisanne, e spero di esserti utile! Possiamo diventare amiche, se ti va! Allora... Ragazze, che le spieghiamo sulla classe?”, disse una brunetta con un sorriso a trentanove denti.

Beth, per intavolare una conversazione e non sembrare maleducata, doveva svuotarsi la bocca. Quandebbe compiuto loperazione, sorrise alle compagne.

Charlotte sembrava essersi fatta piccola piccola e Beth, suo malgrado pensò di scrollarla.

“Beh, parliamole di lui!”, esclamò Sophie.

Era una ragazza bionda e minuta, ben fatta e con laria allegra e spigliata. A Lizzie, tuttavia, diede limpressione dessere leggermente superficiale.

Il “lui” in questione se lo immaginava benissimo. Bello, ribelle, strafottente, magari con nemmeno un neurone.

“Oh... è ovvio! Allora... Lui è John Lennon, e si siederà nel banco dietro al tuo. Tutte siamo innamorate di lui, più o meno dalla prima volta che l’abbiamo visto. Suona divinamente la chitarra, è un ribelle, è bellissimo e fa ridere tutte noi. Non è nemmeno fidanzato, ti rendi conto? Al massimo storie così, tipo... beh, lasciamo perdere!”. Louisanne aveva troncato la frase, con un mezzo sorriso.

Erano andate tutte al posto poco dopo, lasciando Beth attonita e stizzita.

“Ma chi è, questo John? Scommetto che è un cretino.”, si rivolse a Charlotte.

Questa arrossì, posando lo sguardo sulla scatola azzurra dei pennarelli.

“Ehm... Non è come credi, Liz. John è... Speciale, ecco.”, mormorò la bruna.

Ecco, perfetto. Charlotte era follemente innamorata di questo tizio, di cui Beth non sapeva nemmeno il cognome.

“Di grazia, che cosha di tanto speciale, Charlotte?”, chiese incerta la rossa. Non era esattamente sicura di volerlo sapere, ma lo domandò per semplice curiosità.

“Oh, beh… te l’hanno detto le altre, no?”

“Sì, ma mi sembri un po’ più intelligente della papera cotonata.”, la elogiò appena Beth, accennando a Louisanne.

“Beh... Non credo che la tua opinione di me sia salita tanto, dopo che ti ho confessato che mi piace”, sussurrò lei.

Charlotte poteva essere anche timidissima ed ingenua, ma era intelligente. Ed aveva capito fin troppo bene la smorfia dellamica.

“No, cioè... Dai, dimmi qualcosa su di lui!”, esclamò la ragazza.

Riprese a pettinarsi, cercando di destreggiarsi con non poco impaccio con le forcine.

“Lui è.... non è bello come dicono le altre. Cioè, per me è bellissimo, ma a te non piacerà. Suona la chitarra, e... e fuma, ti rendi conto?”.

Sembrava assurdo che alla sua migliore amica piacesse uno così.

Però... Però suonava la chitarra.

Doveva essere uno che la chitarra se la portava in giro per esibirsi. Dio, quanto lo trovava presuntuoso.

Quel John la irritava, e tanto.

Le mollette le fuggivano dalle mani, come se fossero ricoperte di sapone. Non riusciva a destreggiarsi con i capelli, quella mattina.

Doveva essere la tensione per la scuola nuova e la sorpresa nel sapere che la sua amica era invaghita di un mezzo delinquente.

La porta si spalancò. Il lungo sospiro delle ragazze accanto a lei anticiparono ciò che doveva vedere.

“Dio... Non voglio voltarmi, non voglio sapere che razza di cretino sia.”, pensò la ragazza.

Charlotte, dal canto suo, si era accartocciata sulla sedia.

“Devi... dirmi com’è vestito, e come porta i capelli. Capace che se li sia tagliati.”, mormorò questultima, torcendosi una ciocca di capelli.

“Sarà verde”, mormorò la riccia, con ancora la bocca oberata dalle forcine.

Si girò e per poco non sgranò gli occhi.

Su una cosa lei aveva avuto torto. Se lera immaginato perlomeno con un fisico possente, statuario.

Era alto, certo. Ma non spiccava né per un viso stupendo né per un corpo fantastico.

Era carismatico, ecco la prima cosa che notò Beth.

Era vestito come molti ragazzi dellepoca, ma accentuando tanto il lato teddy boy.

In quel momento, entrò lanziana professoressa Currer.

Suora di chissà che ordine religioso, insegnava da tempi immemori al Liverpool College of Art.

Era buffa, una specie di pinguino. Beth si voltò verso la cattedra, cercando di seguire la lezione.

Era sempre stata una studentessa attenta, anche un po saccente.

“Oh... Una nuova anima da salvare, god!”, esclamò la professoressa. Aveva una memoria visiva notevole, quella donna.

Perciò saccorse subito della massa indistinta di capelli color terracotta della ragazza, che nel frattempo se li era sistemata alla belle meglio.

“Oh... ehm, buongiorno...”, mormorò.

“Dimmi, anima del cielo benedetto, come ti chiami?”, chiese la donna.

“Elizabeth Ellis.”, rispose. Il suo nome, abbinato al cognome, era sempre stato un mezzo cruccio per lei.

Sembrava una sorta di presa in giro, detto così.

I suoi genitori lavevano chiamata Elizabeth senza pensarci troppo e sera ritrovata con quellabbinamento fastidioso.

Quasi non saccorse che il (non) bello e dannato sera seduto nel banco dietro al suo, fin quando Charlotte non le strinse la mano talmente forte da stritolarle le dita.

“Ti guarda...”, mormorò terrorizzata quest’ultima.

Sbirciando di sottecchi, Beth non poté che rimanere stupita. Il ragazzo la stava scrutando abbastanza vistosamente. O meglio, era intento a guardarle i capelli con unattenzione morbosa.

Lei si voltò. Per la prima volta, lo guardò negli occhi.

Avevano due sfumature quasi identiche, forse Beth li aveva un poco più verdi.

La ragazza avrebbe ricordato, molto tempo dopo, che non provò niente, ma che quello sguardo apparentemente casuale diede inizio al loro rapporto.

“Che c’è?”, domandò sforzandosi di non farsi sentire dal pinguino alla cattedra.

“Hai... Dei capelli... Terribili, ecco.”, mormorò lui.

“Non osare insultare la mia fiera fulva chioma.”, soffiò lei.

Riprese a prendere appunti ed a tentare di seguire la professoressa.

Spiegava male, malissimo. Parlava di Dio e della religione in un modo piatto, monotono, meccanico.

Beth si distrasse quasi subito, nonostante la penna corresse qualche volta sul foglio per annotare qualcosa.

Continuava a pensare alla sorella. Le mancava, quasi. Avrebbe avuto bisogno di qualcuno che la capisse.

E Natalja, come voleva farsi chiamare lei, a volte la comprendeva meglio di chiunque altro.

Durante lintervallo lavrebbe cercata, era ovvio.

E quel John... Era irritante, Dio.

Lui, di per sé, non le aveva fatto niente, a parte linsultare i suoi bellissimi capelli. Erano i sospiri delle ragazze e lammirazione incondizionata che, se nera accorta, nutrivano i suoi coetanei per lui a darle fastidio.

Ma lei era la nuova arrivata, col tempo ci avrebbe fatto labitudine.

Seguirono altre due ore di lezione. Per la prima volta in vita sua, Beth non riuscì a seguire.

Si sentiva stanca, come se avesse un peso alla testa.

Ed eccola. La campanella, sia benedetta, iniziò a strepitare.

Subito tutti si alzarono.

“Charlotte, io vado a cercare mia sorella.”, mormorò la rossa.

Uscì dallaula e si appoggiò contro alla parete. Era frastornata dai rumori, dalle voci e dalla mattina appena trascorsa.

“Ellie!”, disse una voce canzonatoria alle sue spalle.

No. No, no, no. Non lo sopportava.

Non era leroe di un libro, non era Rhett Butler, non era Elvis Presley. Perciò, in quel momento, non era degno della sua attenzione.

“Cosa c’è?”, chiese lei. Cercava di essere gentile e di mettere su un sorriso forzato.

“Elizabeth Ellis...”, il ragazzo disse quel nome guardandola dritta negli occhi.

Non aveva mai odiato tanto il suo cognome.

Quella specie di teddy boy ambulante non poteva prenderla in giro.

“Non ci posso fare niente, davvero.”, bisbigliò lei. Era abbastanza mortificata e, nonostante lo insultasse mentalmente, non riusciva a rispondergli male.

“Sei figlia unica?”, domandò il ragazzo, inaspettatamente.

“No, ho una sorella.”, rispose lei stupita.

“Oh... Allison Ellis, giusto? O Elsie Ellis, mi sembra perfetto!”, proruppe lui.

“Lei... Veramente è stata adottata. Cioè, è etiope, Latifa...”, mormorò Beth.

Non sapeva da dove le fosse uscita quella cavolata abnorme, ma ebbe la tentazione di rimangiarsela.

“Tu sei figlia della tizia che vende tisane, giusto?”, chiese lui.

“Sì, lei è mia mamma. Mi sa che la conoscono tutti, a Penny Lane.”, rispose.

“E lei è tua sorella, giusto?”, domandò lui accennando ad un gruppo di persone.

Cerano lamica irlandese di Nathalie, sua sorella e un ragazzo mai visto, della loro età.

“Già.... E quella è una sua amica, e quello è un tizio mai visto prima. Saran in classe insieme, credo...”, rispose.

“No, quello... è un ragazzino che mi adora.”, replicò freddo John.

“Pure lui?”, le uscì di getto.

“Beh, sì... Sono molto popolare, qui dentro.”, commentò.

Perché stava parlando con un tizio del genere?

Doveva troncare presto, tanto presto la conversazione.

“Capisco.”, rispose sperando che bastava a chiudere lì l’argomento.

“Quel ragazzino lì suona la chitarra di tant’intanto nel mio gruppo, sai? Perché io ho un gruppo musicale, i Quarrymen.”, spiegò.

Li aveva sentiti nominare, Beth.

“Suoniamo spesso, sai? Ci accampiamo nelle cantine, più che altro, per provare. Se ti va di...”, propose il ragazzo.

“Non mi va di venire, Dio! Io ascolto Elvis, non voi!”, esclamò lei stizzita.

“Oh, io credevo.... Che le ragazze non sapessero manco chi fosse Elvis, se non per sentito dire.”, osservò lui.

“Senti, ma perché non mi lasci in pace? Sto provando un disperato bisogno di raggiungere mia sorella, sai comè. Le voglio bene, da oggi in poi.”, e detto questo corse via.

John rimase così, a guardarla mezzo divertito.

**

(le note le scrive Martina)

Note

Eh, le note le scrivo io.

E’ originale, la Beth, da questo punto di vista.

Scrive un capitolo pseudo - straordinario, e alle note s’incanta, ma sarà un dettaglio, temo.

Beth è tanto più pacata e riflessiva di Thalie, immagino si sia capito.

Del resto, se non dà l’esempio lei…

Seria no, non ve l’assicurerei.

Ma mi vuole bene, lei.

Da oggi in poi, certo, ma ci si accontenta.

La ragazza delle forcine… Argh, è proprio mia sorella, temo.

Quanto a lei e John… Oh, è categorica, Lizzie.

Fino a un certo punto, si capisce.

Che lei e John… Avranno un rapporto strano, e tanto, tanto controverso, ma…

Son loro, e questo dice tutto.

Beh, spero -speriamo, che il capitolo l’ha scritto lei, e se ne prende le responsabilità- che vi sia piaciuto.

Fateci sapere, se vi va! ;)

Baci,

Thalie

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Beatles / Vai alla pagina dell'autore: bethlennonthalieharrison