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Autore: Bobbs    05/12/2011    0 recensioni
I giorni al mio diciottesimo compleanno si avvicinavano. Il regalo più bello che la mia famiglia potesse farmi era un viaggio. Un viaggio in Giappone.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi svegliai col sorgere del sole. Era una mattina cocente di agosto. E mancava un mese esatto dal compiere i miei diciotto anni. 
   Sollevai le lenzuola azzurrine e con un balzo mi alzai dal letto. Infilai i piedi nelle infradito rosse. Tirai su le veneziane e spalancai le finestre. Mi stiracchiai le braccia. Lentamente mi avviai in cucina. Un odore di crepes alla nutella mi salì al naso. Mia madre, com'era solita fare la domenica mattina, stava ai fornelli a preparare la colazione. Mi diede un bacio sulla fronte. «Buongiorno, cara. Come hai dormito?». Risposi con un gemito. Mia madre sorrise e poi dissi: «Bene, mamma. Tu?». Lei mi mise sotto al naso una crepe fumante e mi disse che aveva dormito come un’angioletta. Addentai la mia crepe alla nutella. Versai il succo di arancia nel bicchiere. Ne bevvi un sorso. La porta del balcone si aprì. Era mio padre. Mi diede anche lui il buongiorno e io ricambiai.
   Appena ebbi finito la colazione, misi il piatto e il bicchiere nel lavandino e andai in salotto, dove erano seduti mia sorella e mio fratello. Mia sorella aveva i capelli mossi e bruni sciolti sulle spalle. Era a gambe incrociate sul divano bianco. Mio fratello, invece, aveva i capelli alzati da una cresta. Sedeva come un re sulla poltrona affianco al divano. Fissavano concentrati la tv, non si accorsero nemmeno della mia presenza. Mi sedetti silenziosa accanto a mia sorella e le chiesi cosa stavano guardando. «Un film, è ambientato in Giappone» rispose distratta. Sul mio volto comparve un sorriso a trentadue denti. Ciò che aveva a che fare con il Giappone, aveva a che fare anche con me. Mi misi comoda sul sofà e mi immersi nel film.
 
   Mia madre ci chiamò per il pranzo giusto quando i titoli di coda iniziarono a scorrere. Il film era un horror sui vampiri. Mio fratello spense la tv e come delle pecore ci avviavamo verso la sala da pranzo. Mio papà era già seduto e mia madre aveva una pentola in mano. Io e i miei fratelli ci sedemmo. Con un mestolo mia mamma ci metteva la pasta nei piatti. Pasta al sugo con carne. Aggiunsi una spolverata di parmigiano e una volta che tutti si erano seduti, diedi il buon appetito. La pasta era calda e cotta al dente, come piaceva a me e mio padre. Mio padre seguiva attentamente il telegiornale. I suoi boccoli ormai ingrigiti pendevano come molle dal suo collo. Io e mio fratello ci guardammo. Mio fratello aveva sedici anni, occhi e capelli di un castano splendente. All’età di quattordici anni decise di iscriversi ad un corso di Kung Fu. Quindi sotto la sua canotta nera trionfavano muscoli scolpiti. Mi fece una faccia buffa e scoppiai a ridere. Mi seguì nella risata anche lui. Mio padre aggrottò le sopracciglia e ci rimproverò con lo sguardo: segno che l’avevamo disturbato. Mia sorella, diciannovenne, si mise un dito sulla bocca, dicendoci di fare silenzio. Io e mio fratello ci scambiammo un sorriso, poi iniziai a mangiare la carne.
Quando la pubblicità iniziò, aprii bocca. «Ma’, papà, dato che manca un solo mese al mio diciottesimo compleanno, stavo prendendo in considerazione il regalo che magari voi potreste farmi» dissi agitando le mani. Mia madre mi fece segno di proseguire. «Pensavo ad un viaggio» aggiunsi. Mia mamma si pulì la bocca. «E dove vorresti andare?» domandò. Sospirai. «In Giappone». Mia sorella rise in silenzio. La guardai di sottecchi. Poi mia madre disse: «Tesoro» rivolgendosi a mio padre, «hai sentito dove tua figlia vorrebbe andare?»
Sbuffai. Mio padre affermò che non se ne parlava, così obbiettai. «Sì, però a lei l’avete fatta andare a Manga!» strillai indicando mia sorella. Manga era un paese africano dove la nostra sorella adottiva viveva. Mia madre abbassò lo sguardo, così fu mio padre a parlare. «Manca ancora un mese. Si vedrà. In tanto la mia decisione è no». Mi alzai in piedi e mi chiusi in camera sbattendo la porta. Mi stavo comportando come una ragazzina, ma in fondo era quello che ero. Appesi il sacco da boxe che avevano regalato quell’anno a mio fratello, e iniziai a tirare pugni. Più forti che mai.

 

 

 

 

  
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