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Autore: Vulpix    05/12/2011    2 recensioni
La ditta Vulpix&BNikki SPaU
(Sister Pronte a Uccidere [con la nostra ff])
È lieta di presentarvi la prima FF di Efp Castle scritta a 4 mani....
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FF NON COMPLETA... e non so se la completeremo mai...
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Vincitrice al 6° Turno dei CSA, 1° posto nella categoria SAD
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Questa ff inizia da Knockout (3x24) quindi SPOILER fin dal primo capitolo! (stiamo assumendo che sia spoiler fino a che l’episodio non viene trasmesso dalla Rai) Per l’esattezza il primo capitolo riprende la scena dell’hangar e da lì si sviluppano i capitoli successivi integrando le scene che si vedono nell’episodio con scene di nostra fantasia e proseguendo lungo una strada immaginaria attraverso una nostra versione dell’inizio della 4 stagione.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Rick Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta, Spoiler! | Contesto: Terza stagione, Quarta stagione
Capitoli:
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Nel capitolo precedente: Esposito, Ryan, Martha, Alexis, Jim e Rick sono in attesa di notizie della loro Kate nella sala d’aspetto adiacente alla zona operatoria.
Kate è sul tavolo operatorio ed è stata preparata per l’operazione.
Josh e Mike sono andati a prepararsi, quando Lanie interviene appena in tempo a salvare l’amica da una probabile crisi allergica. Josh scosso da questo fatto, vuole che anche Lanie sia in sala con lui durante l’operazione. Quindi, dopo aver sussurrato paroline dolci a Kate addormentata, dà il via all’operazione.


Istruzioni per l'uso: Anche in questo capitolo potete saltare le parti in blu senza perdere il filo della storia, oppure potete leggerle e farci contente. ;-)

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Quando le luci furono spente, permettendo così ai medici una visione migliore dei monitor e di evitare il riverbero della luce che avrebbe potuto creare artefatti , nella sala insieme alla penombra scese un’atmosfera calma, tesa e inquietante.
Solo un connubio dei tre termini poteva spiegare il clima di quel momento.
Calmo, perché rispecchiava lo stato di quiete che si percepiva in Kate: il suo respiro cadenzato, il battito del suo cuore regolare, il suo viso disteso, infondevano una tranquillità nel cuore dei presenti: lei dormiva beata.
Teso, perché nonostante ciò, la sua situazione non era delle migliori: i suoi parametri stabili rassicuravano Josh e i colleghi, ma quel proiettile ancora dentro di lei non rappresentava nulla di buono, era una minaccia che poteva portarla dentro al baratro in pochissimo tempo. Nonostante le apparenze, la vita di Beckett era appesa a un filo... quello dell’ elettrobisturi!
Inquietante, perché anche se tutti rimanevano in assoluto silenzio, concentrati nello svolgere ciascuno i propri compiti o pronti ad entrare in azione in caso di necessità, nel sottofondo nella sala risuonavano i suoni ticchettanti e ronzanti degli strumenti che circondavano Kate, che giaceva sola sul tavolo.
Era sola perché nonostante in sala fossero presenti 7 persone, di cui 5 pronte per l’intervento, accanto a lei non c’era nessuno a tenerle la mano, almeno non fisicamente, ma qualcuno, in una stanza non troppo lontana era lì ad affrontare tutto con lei, con il cuore e la mente... come sempre.

Tutti avevano preso posizione: l’anestesista alla destra di Kate, dal lato della testa di lei, Mike e Josh da un lato del tavolo operatorio e lo specializzando al lato opposto, vicino a lui l’infermiera con i vassoi a portata di mano. Poco più lontani, accanto a una workstation radioscopica, c’erano: Raphael, il tecnico che si occupava della scopìa, già posizionato alla consolle e, di fianco a quest’ultimo, Lanie.
Dopo un cenno da parte di Josh, Raph, aveva azionato il complesso radiogeno e fatto ruotare leggermente con inclinazione craneo/caudale per portarlo in posizione anteriore obliqua sinistra in modo da visualizzare meglio il cuore nella sua regione anatomica e il sistema di rilevazione stava acquisendo le prime immagini che già erano proiettate sui monitor, pronte per essere studiate da Josh e i suoi colleghi.
Sul monitor centrale presero forma le immagini. Mostravano la scopìa del torace di Kate e si riusciva a vedere bene il percorso fatto dal proiettile, dal foro di entrata fino al punto in cui aveva arrestato la sua corsa incastonandosi all’interno del tessuto intercostale.
Raphael digitò altri parametri di angolazione e immediatamente l’arco a C dell’apparecchio radioscopico ruotò sul proprio asse e si posizionò in modo da erogare i raggi nella direzione desiderata.
Pochi istanti dopo si udì uno strano stridio meccanico che fece immediatamente voltare Josh, con una espressione scura in volto, verso l’operatore:
“Dimmi che lo stridio che ho sentito è dovuto ai cuscinetti volventi… dimmi che è l’attrito e che non hai mosso la camera per zoomare… dimmi che non c’è nessun problema!”
Raphael alzò lo sguardo verso di lui con espressione perplessa e disse:
“Dottore, guardi qua.” indicando un punto nello schermo.
Immediatamente Josh e Mike guardarono il monitor che replicava l’immagine che Raphael indicava, mentre Lanie si avvicinò ancora di più alle sue spalle.
Josh si accostò al monitor, fino ad arrivare con il viso a pochi centimetri e scrutò per parecchi secondi ciò che gli veniva mostrato.
“Strano....sembrerebbe essersi posizionato nella parete infero-posteriore della T4” disse girandosi appena in direzione del collega.
“Già,” rispose Mike “direi che un respiro trattenuto o un piccolo movimento le ha salvato la vita… un millimetro più giù e il proiettile avrebbe avuto via libera verso il cuore!”. Gli poggiò una mano sulla spalla e aggiunse: “è stata fortunata! Dalla posizione del proiettile rispetto al foro di entrata sembra che un movimento ne abbia deviato il percorso!”
A quelle parole Lanie alzò gli occhi in direzione del tavolo operatorio e della sua più cara amica.
Lei non era un chirurgo, ma la sua preparazione come medico legale le permise di cogliere immediatamente l’essenza di quello che la scopìa stava rivelando: il proiettile era passato a pochi millimetri dal muscolo cardiaco e lo aveva mancato solo grazie al fatto che il corpo di Kate era stato spostato dalla traiettoria dello sparo. La consapevolezza la raggiunse come un fulmine: i cecchini non sbagliano, Castle le ha salvato la vita!
Fu destata dai suoi pensieri dalle parole di Mike, che la riportarono alla realtà della sala operatoria.
“Bene. Josh cominciamo con l’operazione.”
“Ok. David puoi intubarla” disse con un espressione tesa ma sicura.
Kate era immersa in un sonno profondo che però sarebbe durato ancora solo qualche minuto. Dopo di che si sarebbe svegliata se non le fosse stato somministrato altro Pentothal e un altro anestetico.
Per alcuni istanti le venne dato ossigeno puro attraverso la mascherina. Poi David le iniettò succinilcolina, una sostanza che paralizza per breve periodo tutto il corpo.
Le tolse la maschera, le aprì la bocca e le schizzò un getto di un altro farmaco nella gola per anestetizzare la trachea in modo da impedire il riflesso involontario della tosse. Le infilò un tubo in gola con l'ausilio di uno strumento chiamato ‘laringoscopio’, grazie al quale è possibile evitare che la lingua impedisca di ottenere una visuale completa della laringe, in corrispondenza delle corde vocali e permettendo un passaggio diretto dalla bocca fino a raggiungere la trachea e i polmoni.
L’intero processo di intubazione richiese solo pochi secondi. Subito dopo le venne
somministrato ossigeno e ossido nitroso, un leggero anestetico.
Per la questione analgesica le vennero somministrati atropina, nembutal e demerol mediante infusione continua, per mezzo di una pompa-siringa che regola la quantità di farmaco necessaria. Il controllo delle sue funzioni vitali, nonché il monitoraggio diretto della pressione arteriosa, della saturazione arteriosa di ossigeno, della respirazione e la somministrazione continua di sostanze anestetiche per via aerea, era assicurato per mezzo di una apparecchiatura sofisticata chiamata nel suo complesso “apparecchio di anestesia”.



****



“Quanto tempo è passato?” chiese Rick, ancora seduto accanto a Jim Beckett, senza staccare lo sguardo dal muro bianco che aveva di fronte.
“Mezz’ora? Forse di più...” gli rispose Jim.
Castle emise un mugugnio di assenso. Solo mezz’ora? Gli sembrava fosse passata un’eternità da quando la barella che trasportava Kate era stata inghiottita dalle porte automatiche. E Lanie dietro di lei.
“Andrà tutto bene, Rick.”
Lui si girò a guardare il volto teso e le occhiaie scure di Jim. Quell’uomo aveva una vita di sofferenza alle spalle, aveva perso la moglie, aveva perso se stesso nell’alcool e ora rischiava di perdere la figlia straordinaria che lo aveva aiutato a ritrovarsi, a tornare ad essere un uomo e non più un’ombra. Eppure adesso era lui, con grande forza d’animo, a rassicurare Rick mentre Kate era sotto ai ferri.
Jim capì lo sguardo dello scrittore e sollevandosi dallo schienale della seggiolina gli parlò con voce calda e tono deciso: “Katie è una ragazza forte, come lo era sua madre. Ma mentre Johanna era sola a lottare contro forze più grandi di lei, Kate ha tante persone che le sono vicine e le guardano le spalle. Ce la farà...”
Rick stava per replicare che era un suo compito guardarle le spalle e in questa occasione aveva fallito, quando gli venne in mente che lui non era l’unico a voler essere vicino a Kate. Sfilò il telefono dal taschino della giacca e cercò il numero di Josh.
Per quanto non potesse soffrire il dottor pallone-gonfiato-motociclista era giusto che lui sapesse cosa era accaduto, Kate avrebbe voluto così, in fondo gli aveva dato il numero di telefono del dottore proprio per questo tipo di eventualità.
Fece partire la chiamata ma il telefono di Josh risultò spento. Era sicuramente di turno in chissà quale ospedale di New York con il cuore di un paziente tra le mani o in qualche sperduta parte del mondo a salvare bambini.
Rick sospirò. Non era facile competere con tutto questo, ma quello non era il momento per farsi prendere dalla gelosia. In ogni caso non gli dispiacque poter evitare quella conversazione... Ma si ripromise di riprovare più tardi.


****



Non appena David ebbe terminato con la procedura di intubazione, mentre lui e lo specializzando si occupavano di fermare con cerotti il tubo che fuoriusciva dalla bocca di Kate, Josh toccò con i polpastrelli la parte sinistra inferiore del torace, descrivendo un arco lungo le costole, percorrendole delicatamente fino ad arrivare allo sterno. Immediatamente individuò come avrebbe dovuto procedere per arrivare al proiettile, facendosi largo tra derma e tessuto muscolare e aprendo la mano sinistra in direzione dell’infermiera
“Lido.”
Lully, come era chiamata dai colleghi, prontamente prese la siringa che aveva sul vassoio e la riempì con lidocaina al 2% e poi la porse a Josh.
Appena fu tra le sue mani, anche se si fidava ciecamente del suo staff, la portò comunque vicino al viso in direzione verticale e con la mano destra spinse il pistone per far uscire eventuale aria rimasta. Dopo di che, aiutandosi con la mano sinistra poggiata sulla pelle di Kate, ne sollevò un po’ come in un pizzicotto e la punse delicatamente, inettando lentamente il farmaco per praticare anche un’anestesia cutanea locale.
Quando ebbe terminato, gettò la siringa nel cestino al suo fianco, mentre Mike era già pronto per passargli il manipolo dell’elettrobisturi.
Con estrema sicurezza, Josh praticò la prima incisione. Partendo dallo sterno, pressappoco all’altezza del foro, praticò un incisione subsifoidale in modo da farsi strada al di sotto delle costole. Appena fu in prossimità del proiettile, terminò di erogare corrente per non rischiare di farlo spostare e proseguì l’operazione con gli utensili tradizionali.
I due medici discussero la procedura operatoria e convennero di valutare per prima cosa le strutture principali: le arterie.
Stabilirono che il campo operatorio era nella norma e che nessuna di esse era stata recisa dal passaggio del proiettile, quindi, procedettero per cercare di estrarlo.
Josh si muoveva abilmente all’interno del tessuto, ma nonostante il solco prodotto dal proiettile nella sua corsa fosse abbastanza profondo, non era sufficientemente ampio da permettergli di agire rapidamente. Il piccolo corpo metallico si era incastonato in profondità e quando il dottore tentò di estrarlo, un’arteria venne accidentalmente urtata con il bisturi e ne scaturì un sottile getto di sangue in uno zampillo ad arco lungo almeno trenta centimetri. L’emorragia venne subito fermata. Mike si occupò di cucire l’arteria con un minuscolo ago, dalle dimensioni di una ciglia, dopo averla irrorata con eparina per impedire la formazione di coaguli.
Di tanto in tanto David interveniva per regolare i vari parametri dell’anestesia in funzione delle diverse esigenze che si presentavano durante la procedura chirurgica.
Col procedere Mike notò che il campo operatorio presentava un aumento di sangue dovuto all’emorragia che avevano appena fermato. Tastò l’arteria radiale e verificò che adesso le pulsazioni erano aumentate.
Mentre Josh continuava a incidere il tessuto, cercando di creare un varco sufficiente per estrarre il proiettile, Mike si rivolse a David per averne conferma:
“Parametri?”.
L’anestesista guardò il monitor al suo fianco che riportava:
FC      146
p   107/57/75
t      38,5.
“Frequenza cardiaca, pressione e temperatura in incremento” e immediatamente operò alcuni cambiamenti per aumentare l’apporto di ossigeno e per infondere Verapamil, un farmaco che aiuta a dilatare i vasi sanguigni e può deprimere la contrattilità del cuore in modo da diminuire la frequenza cardiaca.
Josh attese che David ebbe terminato e appena il farmaco iniziò a fare effetto, riprese l’intervento, non prima di aver ordinato che un campione del sangue di Kate fosse inviato alla banca del sangue perché inviassero le sacche del giusto gruppo sanguigno.
Dagli aghi delle flebo che l’infermiere aveva inserito nelle braccia, venero eseguiti dei prelievi. Venne inserito il catetere, che al momento era tappato, ma pronto per essere utilizzato per la trasfusione delle 5 unità di sangue che presto sarebbero state pronte per essere infuse.

L’operazione procedeva lentamente, Josh era giunto in prossimità del proiettile e aveva cambiato un paio di volte utensili, passando dal bisturi classico che è simile a un coltello, a quello più piccolo e sottile che serve per scostare i lembi di tessuto muscolare, senza reciderli completamente. Lully gli aveva passato un mini divaricatore che aveva già posizionato e ora cercava di fare 'spazio' nei dintorni del proiettile, provando ad allargare di un paio di millimetri il diametro del foro, in modo da riuscire a inserire le punte della clamp che avrebbe usato per estrarlo dal suo alloggiamento.
Cinque minuti dopo era pronto per effettuare l'estrazione. Prese con la mano destra la clamp e con la sinistra una garza che avrebbe usato per tamponare immediatamente in caso di fuoriuscita di sangue.
Guardò in direzione di David che gli rispose con un cenno di assenso e dopo aver fatto un sospiro si chinò il più possibile, avvicinandosi al petto di Kate, cinse il proiettile con la clamp e contò mentalmente fino a tre, poi in un unica mossa tirò indietro il braccio, estraendo il proiettile.
Nel momento in cui questo si mosse di qualche millimetro, un nuovo zampillo di sangue fuoriuscì con forza, spingendo il proiettile e inondando il campo operatorio.
Mentre Josh tentava di placare la potenza del getto, con la garza, Mike prese l'elettrobisturi e impostando i parametri sul coagulo puro, si sostituì al collega intervenendo sui vasi capillari che erano limitrofi al foro, bloccando la fuoriuscita del sangue.
"Cazzo, ha perso troppo sangue! Preparate le sacche per la trasfusione!" esclamò Josh perdendo il suo atteggiamento pacato.
Immediatamente Lully si diresse al piccolo frigo medico che conteneva le sacche e dopo averne presa una, la posizionò all'interno dell'emodializzatore, un’apparecchiatura che serve per trasfondere il sangue nel paziente. Azionò il comando per far muovere il piatto/contenitore così da riportare il sangue alla temperatura fisiologica e farlo sciogliere meglio per agevolarne la fluidità. Attaccò all'apparecchio i cateteri che poi inserì nel beccuccio triangolare collegandolo, dopo aver tolto il tappetto, a quello che era inserito nel braccio di Kate.


****



Mentre Rick stava imprecando mentalmente contro la segreteria telefonica del ‘ragazzo-motociclista’ -era la quarta telefonata che faceva e ancora di lui non c’era traccia- un’ennesima infermiera era uscita dalla sala operatoria e stava percorrendo il corridoio.
Ormai nessuno faceva più caso al via vai del personale. Si erano abituati all’assenza di notizie ed erano calati in uno stato di attesa e sconforto.
Ryan ed Esposito si alternavano tra una telefonata in distretto e una alla scientifica e percorrevano avanti e indietro quel corridoio, che sembrava dovesse presto avere dei solchi profondi sul pavimento dovuti ai loro passi.
Martha e Alexis si tenevano strette le mani: la piccola Castle sembrava aver ceduto alla stanchezza, mentre la diva teneva d’occhio il figlio, aspettandosi da un momento all’altro di vederlo piegarsi sotto il peso dell’angoscia. Nella vita lui non aveva mai dovuto sopportare prove di questo tipo, aveva sempre ingannato il destino con il suo charme e le sue accattivanti parole e ora l’attesa lo divorava.
Jim era accanto allo scrittore, aveva i gomiti poggiati sulle gambe e con le mani sorreggeva la testa, se le passava sul viso, cercando di nascondere le lacrime che gli inumidivano gli occhi e di stemperare la tensione.
Ad un tratto un’infermiera, uscì dalla porta che li separava dalle sale del blocco operatorio e si avvicinò al gruppo.
“I parenti del detective Beckett?”
Nel preciso istante in cui l’infermiera iniziò a parlare, Rick e Jim balzarono in piedi, scattando verso di lei. Poco dopo anche gli altri si mossero in quella direzione.
Nel vedere tutti piombarle addosso, ma nessuno risponderle, ripeté di nuovo la frase.
Stavolta fu Jim a rispondere:
“Sono il padre” disse con la voce carica di tensione, incalzando la sua interlocutrice con lo sguardo per farla continuare.
“Lei è l’unico parente?”
“Sì… ma la prego parli… come sta mia figlia??? Loro fanno parte della famiglia…parli liberamente.”
L’infermiera consultò alcuni fogli che teneva in mano e finalmente, dopo quelle che a Rick parvero ore, ma erano appena una trentina di secondi, rispose:
“Sua figlia è ancora in sala operatoria. L’intervento è ancora in corso e io non posso dirle nulla al riguardo. Sono qui perché durante l’intervento si è verificata la necessità di farle una trasfusio….”
“Cosa??? Come sta ora?” intervenne Richard, quasi scagliandosi contro la povera infermiera. Javier e Kevin lo placarono posandogli ciascuno una mano sulla spalla.
“Si calmi signore” rispose e poi proseguì “ha perso molto sangue durante l’estrazione del proiettile e si è resa necessaria la trasfusione. Ma non sono qui per darvi cattive notizie”
“Se è per questo nemmeno buone” si lasciò sfuggire Ryan.
“...ma per questioni interne all’ospedale. Dato che il sangue a disposizione non è molto, per ogni sacca di sangue ‘presa in prestito’ “ disse mimando le virgolette “ bisogna restituirne una. Non verrà trasfusa direttamente alla paziente ma andrà alla banca del sangue. Per cui sono qui per chiedervi chi di voi può donare?”
Immediatamente, tutti e quattro gli uomini si fecero avanti per mettersi a disposizione, ma altrettanto velocemente la donna iniziò a dire:
“Lei, signor Beckett, è il più anziano quindi per il momento sarà meglio che eviti la donazione. Se dovesse essere necessario verrò a chiamarla. ”
Jim la guardò con aria sconsolata, sperando che qualcuno degli altri volontari potesse donarlo al posto suo.
“In ogni caso, la paziente ha un gruppo sanguigno raro, che può accettare solo donazioni dal suo stesso gruppo e da 0 negativo.... Purtroppo di questo gruppo è difficile trovare sacche disponibili…dunque necessitiamo di donatori con lo stesso gruppo o con un gruppo compatibile alla donazione.” continuò l’infermiera, rivolgendosi ai tre volontari rimasti.
“Di che gruppo avete bisogno?” intervenne Kevin prima di specificare il proprio.
“B negativo” rispose perentoria.
A quell’affermazione, nella saletta calò il silenzio. Ognuno era concentrato sui ricordi delle scuole sui vari tipi di gruppi e compatibilità.
“Ovviamente potete donare il sangue anche se non avete il gruppo giusto, la banca del sangue ha sempre bisogno di scorte. Qualcuno di voi ha il tesserino da donatore?”
Ryan e Esposito risposero affermativamente.
“Ottimo! Quando è stata l’ultima volta che avete fatto una donazione?”
I due si scambiarono uno sguardo mesto, avevano dimenticato che le donazioni non potevano essere ripetute a breve distanza di tempo:
“Due settimane fa, facciamo parte dell’associazione donatori del corpo di polizia.” rispose Esposito.
“Capisco, ma questo significa che devo scartare anche voi. Devono passare un minimo di quattro mesi tra una donazione e l’altra.”
Fu Richard a intervenire:
“Io posso donare! E sono compatibile… sono 0 negativo! ” e prima che l’infermiera potesse dire qualcosa continuò “Sono un donatore universale! E non vuol dire nulla che Kate non è una mia parente… e poi l’ha detto lei che non verrà trasfuso alla paziente!”
L’infermiera lo guardò, un po’ frastornata da quel vortice di parole:
“D’accordo… faremo delle analisi preliminari, per verificare che lei sia un donatore accettabile e poi procederemo con il prelievo del sangue.”
“Mi dica quello che devo fare e lo farò!” rispose serio Richard.
Martha e Alexis si guardarono esterrefatte per un secondo e poi la madre quasi in un sussurro ma che fu ben udito da tutti si lasciò sfuggire
“Oh come vorrei essere lì dentro e vedere mio figlio che per una volta ubbidisce...” provocando una serie di risatine camuffate.
A riportare tutti alla serietà del momento pensò Alexis, che con voce tremendamente preoccupata:
“Papà ma sei sicuro?” inarcando un sopracciglio nel classico modo in cui lo faceva sempre Beckett
“Sì. Certo!” rispose lui serissimo
“Ragiona, Richard..” intervenne nuovamente la madre “tu fai storie al solo nominare un prelievo… svieni ogni volta che ti devono fare le analisi del sangue, come farai alle prese con una sacca intera?”
Richard Castle temeva gli aghi e le punture, poteva affrontare un killer armato fino ai denti ma era letteralmente terrorizzato all’idea di una siringa. Eppure nulla in quel momento lo spaventava di più dell’idea di perdere la sua Kate! Per lei avrebbe affrontato tutto, sempre , e un ago, una sacca, una donazione non poteva minimamente competere con quello che stava affrontando lei la dentro.
Risvegliatosi dai suoi tremendi pensieri, prese il coraggio a due mani e cercando di sdrammatizzare, come al suo solito, come anche lei avrebbe voluto facesse -gliel’aveva anche detto nel container- rispose:
“Beh non occorre che io sia cosciente... possono continuare anche se svengo… e poi potrebbe essere la soluzione migliore per me in questo momento...”
“Qual è il suo nome, signore?” gli chiese l’infermiera pronta ad annotarlo sui suoi fogli.
“Richard Castle.”
“Bene. Le assicuro signor Castle che faremo in modo che lei non svenga...” lo apostrofò l’infermiera.
Rick annuì indicandole che era pronto ad andare. Prima di muoversi, diede un ultimo sguardo a quella porta, dietro la quale aveva lasciato andare il suo cuore, poi rivolto ai presenti:
“Avvertitemi appena avete novità!”
“Certo.” rispose Jim posandogli una mano sulla spalla e ringraziandolo con un sorriso, per il suo gesto generoso.
“Sono pronto!” rispose all’infermiera ed entrambi si avviarono verso la sala infermieri


****



Makedizione Kate, forza! Non ti arrendere! Lanie osservava impotente tutto quello che stava accadendo sul tavolo operatorio. Avrebbe voluto poter prendere parte attivamente alle procedure, poter aiutare Kate con le sue mani che però andavano bene solo per sezionare cadaveri e che sulla sua amica avrebbero solo fatto disastri. Del resto Josh sembrava sapere esattamente quello che faceva. Si chiese però se anche lui non fosse troppo coinvolto emotivamente, se quell’emorragia non fosse stata in realtà causata da un tremore della sua mano.

Per i minuti successivi Beckett venne sottoposta ad una terapia a base di fleboclisi per somministrarle plasma e soluzione fisiologica per reintegrare il fabbisogno idrico.
In aggiunta le diedero anche dosi massicce di antibiotici per scongiurare infezioni e risposte allergiche secondarie al contatto precedente con la betadina.

Josh che per quei minuti aveva lasciato il posto al collega, tornò ad occuparsi in prima persona di Kate. Assicuratosi che la zona coperta di sangue fosse stata cauterizzata e ripulita, si rivolse verso David:
“I parametri stanno tornando lentamente nella norma… ora riprendo con l’intervento ma preferirei che le assicurassi una anestesia maggiore”
“Non sono d’accordo!” rispose secco David “l’idea è quella di somministrare il minimo necessario per operare…”
Josh stava per controbattere ma l’anestesista lo anticipò continuando sulla sua linea “dobbiamo fare in modo che la paziente si svegli il più presto possibile dopo l’operazione”
“Mah..”
“Stai tranquillo Josh! Stabilirò il bisogno di anestetico guardando la paziente… se la dose fosse troppo leggera, avrebbe già cominciato ad agitarsi e a respirare irregolarmente!” intervenne David, spiegando il tutto come se fosse davanti a un principiante e non a uno dei migliori chirurghi che avesse mai conosciuto, ma in quel momento il suo stimato collega sembrava troppo sconvolto da ciò che stava accadendo, per poter ragionare freddamente!
Guardò Mike, che capì al volo i pensieri dell’anestesista e con un leggero movimento del capo gli fece capire che il Dr. Josh Davison sarebbe stato in grado di affrontare quella situazione.
David si lasciò convincere, ben sapendo che come era successo qualche minuto prima, in caso di necessità Mike avrebbe fatto da spalla a Josh.

Qualche minuto dopo la situazione era tornata stabile e la saturazione di ossigeno era di nuovo nella norma. Le venne prelevato un altro piccolo quantitativo di sangue che fu analizzato nell’apposita apparecchiatura presente nella stanza limitrofa a quella della sala, per sottoporlo ad esami di laboratorio che indicarono un valore ematocrito del 18%, il che significava che aveva un numero di globuli rossi che era metà della norma e il numero dei globuli bianchi era 18.000.
Intanto Josh sembrava essersi ripreso e concentrato sul suo lavoro, aveva ricominciato a tamponare, pulire e in fine suturare il solco provocato dal proiettile. La ferita non era troppo larga ma abbastanza profonda e lui procedeva lentamente per paura di provocare altre emorragie.

Era passata più di un ora e all’interno della sala vigeva un rigoroso silenzio, fatta eccezione dei rumori prodotti dalle apparecchiature e dal movimento del personale di sala.
Ad un tratto un nuovo ticchettio invase la sala. Proveniva da un monitor alle spalle di David.
Contemporaneamente tutti si voltarono in quella direzione e anche lui si spostò di lato per visualizzare bene lo schermo.
Sul monitor c’erano quattro tracciati orizzontali, uno sotto l’altro che venivano disegnati in tempo reale sulla base degli impulsi elettrici rilevati dai sensori sul corpo di Kate. Erano delle onde che si riproducevano con regolarità e rappresentavano il ritmo cardiaco del cuore di Kate.
In un angolino, sulla destra, c’erano dei numeri: i primi erano i battiti che rappresentavano la frequenza cardiaca e i valori della pressione arteriosa e la saturazione di ossigeno, che in quel momento andavano progressivamente a decrementare, e lo facevano velocemente, troppo velocemente…
Sopra di esse, in un angolo a destra, un cuoricino rosso pulsava fortissimo: era la spia che indicava che qualcosa stava succedendo al cuore di Kate!
Josh smise di fare ciò in cui era impegnato e sollevò il viso verso quel monitor che adesso mostrava i quattro tracciati che ad ogni passaggio del cursore diventavano delle linee sempre più piatte…
Passarono solo millesimi di secondo, ma a lui sembrò un tempo infinito… le sue mani, il suo corpo, i suoi occhi, la sua mente furono bloccati per un attimo da quella visione…
Una sola cosa era rimasta a pulsare frenetica sul monitor: il cuoricino e la scritta ARREST.
Mike notò immediatamente lo stato in cui si trovava il collega e decise di intervenire.
“carica a 100J e tieniti pronta per azionare!” disse rivolto all’infermiera mentre si avvicinò velocemente, spintonandola da un lato con forza.
Intanto si apprestò a effettuare l’unica soluzione possibile in quel momento: il massaggio cardiaco a torace chiuso.
Lo specializzando che era dall’altra parte, si avvicinò alla consolle dei comandi del tavolo e cercando di non effettuare bruschi movimenti, lo fece abbassare verticalmente in modo che il dottore si trovasse più in alto rispetto al corpo di Kate.
Mike si posizionò di lato al lettino, quasi come se volesse saltarci su e intrecciando i palmi delle mani uno sopra l’altro, li posizionò sul torace di Kate cercando di sfruttare la collocazione anatomica del cuore, tra lo sterno e la colonna vertebrale... Prese un profondo respiro ed effettuò una pressione ritmica sullo sterno per comprimere il cuore a sufficienza da far ripartire il battito spontaneo:
“1..2..3…” contava per darsi il ritmo mentre esercitava la pressione.
“forza dai… 1..2..3..4…” continuando ancora in quei movimenti mentre sul monitor si ripetevano le stesse immagini, secondo dopo secondo….



****



Sono incredibilmente sopravvissuto ad un ago enorme.
Il centro trasfusionale era tranquillo, nella sala andavano e venivano un paio di infermieri, ma il medico che gli aveva inserito l’ago e il piccolo tubicino era sparito dietro qualche porta, portando via con se la sacca con 500 ml del suo sangue.
Rick non aveva emesso il più piccolo lamento nemmeno quando l’infermiera gli aveva sfilato l’ago a farfalla e al suo posto gli aveva applicato un cerotto nell’incavo del gomito.
La verità era che non si era quasi accorto di tutta l’operazione di prelievo, la sua mente era altrove, la sua mente era con Kate sul tavolo operatorio.
“Resti sdraiato, le dirò io quando potrà alzarsi.” gli disse l’infermiera.
Castle annuì.
Se ne stava lì tranquillamente disteso ad aspettare che gli dessero il permesso di ritornare dalla ‘sua famiglia’, ma la sua mente e il suo cuore non erano tranquilli.
Continuavano a tornargli in mente le ultime ore, dal momento in cui aveva visto quel luccichio al cimitero, allo sparo, a lui che si buttava su Kate, alle tre parole che finalmente aveva pronunciato ma che quasi sicuramente lei non aveva sentito.
All’improvviso si sentì squotere dall’interno. Sentiva il cuore pulsargli nelle orecchie, probabilmente, pensò, perché il lettino su cui giaceva era reclinato all’indietro in modo che le sue gambe fossero sollevate più in alto rispetto alla testa. Una precauzione per evitare gli abbassamenti di pressione dovuti al prelievo.
Lanciò un’occhiata all’orologio sulla parete: quanto tempo era passato? Quando sarebbe stato autorizzato ad alzarsi? Voleva tornare in sala d’aspetto con gli altri, forse l’intervento era finito e lui era lì bloccato, senza notizie, senza contatti.
Il respiro si era fatto più frequente e irregolare. E se qualcosa fosse andato storto? E lui era lì sdraiato a non fare niente...
Kate!
Sentì la sua stessa voce risuonargli nella testa come se non appartenesse a lui. Il cuore gli batteva all’impazzata e le orecchie gli pulsavano. Sentiva un senso di oppressione sul petto...
Sentiva uno strano suono ronzargli in testa ma non trovò nessun apparecchio nelle sue vicinanze che lo produceva. Il suo respiro si faceva sempre più affannoso... Non riusciva a starsene fermo lì. Le immagini di Kate gli si affollavano nella testa, alcune erano sovrapposte con altre che non aveva mai visto prima. Lei non era più sulla barella ma in una stanza semibuia e quel ticchettio assordante stava diventando un suono continuo.
Sentì il bisogno di fuggire da quella stanza, da quel lettino dove era sdraiato. Doveva alzarsi, doveva andare da lei. Si sollevò, mise i piedi a terra da un lato del lettino, ma quando vi portò il peso le gambe non erano in grado di sorreggerlo.
Finì a terra portandosi dietro un vassoietto pieno di cerotti e garze.
“Signor Castle!”
Due infermiere erano accorse allertate dal frastuono della caduta. Lo aiutarono a sistemarsi di nuovo sul lettino.
“Le avevo detto che poteva alzarsi solo quando l’avessi autorizzata...” lo ammonì una di loro.
Castle bofonchiò una frase di scuse e lasciò andare la testa all’indietro sul lettino. Sentiva ancora quel peso sul petto, come se qualcosa lo schiacciasse.
“Sto bene” disse all’infermiera “posso tornare in sala d’aspetto?”
“Non ancora. Resti sdraiato. Mi ha capito?”
Castle annuì. E socchiuse gli occhi. Nel nero delle palpebre vedeva centinaia di piccoli pallini verdi roteare e sciamare come un nugolo di api.
“Tenga gli occhi aperti, signor Castle!” lo chiamò l’infermiera.
Rick li riaprì e fu colpito dalla luce come da un centinaio di minuscoli aghi che gli trapassavano le cornee. Di nuovo sentì i suoni esterni attutirsi e il pulsare del suo cuore divenire il solo suono udibile. Sempre più forte e sempre più frequente. La gola gli si chiuse. Non riusciva più a respirare. Stava soffocando. L’avrebbe persa per sempre.
Un colpo alla schiena lo ridestò. Era di nuovo a terra, accanto al lettino.
Le infermiere questa volta non tentarono di rialzarlo, ma gli sollevarono la testa con cuscino e gli posaro le gambe su una piccola panca. Il dottore in pochi secondi arrivò in soccorso e gli controllò le pupille, gli auscultò il cuore, gli misurò la pressione.
“Signor Castle, stia tranquillo. Si rilassi. Ha avuto uno sbalzo di pressione. Tra poco l’aiuteremo noi a rialzarsi.”
“Sto bene....” mormorò lui. Questa volta era vero, i battiti erano tornati regolari. “Credo di aver avuto un’attacco di panico.”
ll medico annuì e gli controllò ancora le pupille:
“E’ possibile... Ma resti ancora sdraiato per qualche minuto.”


****



Il massaggio cardiaco non sembrava aver sortito nessun effetto… il ticchettio proveniente dal monitor, si era trasformato in un fastidioso suono continuo.
Il defibrillatore aveva terminato la carica dei condensatori e Lully esclamò con voce potente:
“Dottore sono pronta!”
Mike tolse immediatamente le mani dal torace di Kate e anche tutti gli altri fecero un passo indietro.
Lully premette il tasto avvio, mentre esclamava “Libera!” Un millesimo di secondo dopo, sotto lo sguardo attento e preoccupato di tutti i presenti, la detective Beckett fece un salto sul lettino, partendo dal busto che si portò dietro l’intero corpo e tutto ciò ad esso attaccato.
Mentre David si preoccupava dei tubi che le fuoriuscivano dalla bocca, Mike e gli infermieri degli altri accessi, il monitor sembrava non dare segni di un miglioramento della situazione. Quella prima scarica del defibrillatore non aveva portato nessun effetto in Kate, ma aveva provocato in Josh una scossa altrettanto forte da destarlo dal suo stato catatonico e riattivarlo!
Si avvicinò al dispositivo, estrasse le piastre dell’apparecchio e mentre si apprestava a posizionarle sul torace, una lateralmente e una poco più su del seno, ordinò
“Carica a 200”
Lully eseguì l’ordine e immediatamente l’apparecchio fischiò indicando che stava caricando i condensatori.
La stessa scena si ripeté, ma stavolta Josh, dopo aver comandato agli altri di liberare il campo, premette con più forza le due piastre contro il torace, come se stesse ancora praticando un massaggio cardiaco.
Appena Kate tornò rilassata, anche il suo cuore sembrò riavviarsi. Diede solo un piccolo accenno a riprendere il ritmico movimento, ma era ancora troppo debole e troppo lento.
A Josh non restò altro da fare che ordinare allo specializzando di effettuare un iniezione di adrenalina e confidare nella forza che lei aveva e che in passato, più di una volta aveva dimostrato!
Qualche decimo di secondo dopo, il suo corpo reagì come un leone.... il battito sembrava tornare in ritmo, la pressione diminuire e nel giro di un minuto l’equipe poté lasciarsi sfuggire un sospiro di sollievo. Il pericolo era passato...




SPaU commento...

Eccoci! Finalmente siamo tornate! ci abbiamo messo un pò ma questo è un super-capitolo!
Speriamo che vi abbia preso, che vi abbia emozionato e soprattutto che adesso siate in fremente attesa del PROSSIMO!
Cercheremo di non farvi attendere troppo...è una promessa!

Al 15o capitolo di Solo grazie a te
Vulpix & BNikki

   
 
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