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Autore: Enrychan    06/12/2011    2 recensioni
«La conoscenza è un’arma a doppio taglio, da’ī», replicò il filosofo. «È il canto della sirena. L’uomo è stato creato per inseguirla sempre, non per raggiungerla. Perché la conoscenza assoluta è come il sole: non puoi guardarlo direttamente senza restarne accecato».
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altaïr Ibn-La Ahad , Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Il ventinovesimo giorno di Jumādâ al-awwal del seicentotrentottesimo anno dell’Hijrah
Altaïr Ibn-La'Ahad in Alamut a suo figlio Darim, salve!
 
 
 
Due estati sono passate da quando lasciasti Alamut insieme alla delegazione di ‘Ala al-Dīn Muhammad ed ho l’impressione che altre ne trascorreranno prima che tu decida di fare ritorno.
La vostra spedizione è inutile, ma sono sicuro che questo già lo sai. I Cristiani non accetteranno mai di allearsi con noi. Per loro la minaccia dei Mongoli non è che un’eco lontana e confusa. Non mi stupirei se scoprissi che stanno valutando di scendere piuttosto a patti con loro. Luigi è abbastanza cieco da non alzare un dito almeno finché non avrà le orde di Ögedei Khan alle porte di Parigi; quanto a Enrico, è probabile che si senta al sicuro sulla sua isola nebbiosa, oltre la Manica che i cavalli mongoli non possono attraversare. Da quasi un mese a questa parte non fanno che giungere da nord notizie secondo le quali due nipoti di Genghis Khan, Batu e Möngke, avrebbero messo Küiev sotto assedio. Dicono che praticamente ogni porto sul Daryâ-ye Mazandaran, dalle foci del Volga fino a Baki, trabocchi di profughi russi in cerca di scampo dalla furia dei guerrieri del Khan. In Europa pensano o forse sperano che i Mongoli si riterranno soddisfatti dopo aver sottomesso il Rus, e si fermeranno prima di toccare i loro territori; ma è chiaro che il prossimo obiettivo dei signori dei cavalli è quello di espandersi a ovest fino a quando non raggiungeranno il loro unico vero confine invalicabile, l’oceano. Ora come ora, che i Mongoli si presentino ai piedi di Alamut può essere questione di qualche mese o al massimo di qualche anno: e quando lo faranno, Alamut cadrà. Quanto a Masyaf, non sarà altro che un altro ciottolo spazzato via dalla violenza dell’orda delle steppe.
Fin dall’inizio sapevi bene quanto me che quell’ambasciata era inutile, eppure hai deciso di partire comunque. Lo hai fatto perché desideravi sopra ogni altra cosa allontanarti da me. L’ho capito, anche se mi hai usato la cortesia di non rinfacciarmelo apertamente. Non intendo interferire con le tue scelte. Ma le ultime parole che ci siamo scambiati sono state dettate dall’ira e dal risentimento. Ho bisogno di sapere che non saranno le ultime che ci scambieremo in questa vita. Dopo ciò che è accaduto a Masyaf, tante sicurezze sono andate in frantumi.
Per cosa è morto Sef? Questa domanda mi assilla. La sento pulsare nella mente come una fitta durante le notti insonni, che ormai sono diventate la regola. Se almeno la nostra spedizione contro il grande Khan dei Mongoli fosse servita ad arrestarne l’avanzata, avrei potuto pensare che Sef era morto per questo. Avrei potuto compensare quel vuoto con la consapevolezza che, se ero stato assente per mio figlio nel momento in cui aveva avuto bisogno di me, almeno avevo ottenuto la sicurezza di Masyaf e dell’Ordine. Ma invece di fiaccare l’avanzata dei Mongoli, ne abbiamo attizzato le fiamme. Ora l’intera famiglia di Genghis Khan avanza contro l’Occidente assediandolo da più parti contemporaneamente. Dunque, per cosa è morto tuo fratello? Sull’altare di quale dio ho sacrificato mio figlio?
C’è un pensiero in particolare che credo finirà prima o poi per togliermi il lume della ragione. Che nei suoi ultimi istanti, Sef abbia creduto alla menzogna di Swami. Che abbia creduto che fossi stato io a ordinare la sua esecuzione.
Non è del tutto improbabile. Sef era così profondamente diverso da te. Così diverso da me. Da bambini, mentre tu scalpitavi per poter accedere al cerchio dell’addestramento, lui si dileguava per ricomparire nello studio dove io e Malik stavamo lavorando e non si arrendeva finché non otteneva di poter sedere sulle mie ginocchia. Una volta che si era sistemato, poteva rimanere per ore ad ascoltarci parlare di cose per lui incomprensibili e sicuramente noiose, senza interromperci e senza addormentarsi. Era capriccioso in un modo che non comprendevo.
Una mattina di molti anni dopo – si era appena sposato – venne da me e mi chiese: «Padre, vi prego di dirmi sinceramente se desiderate che vada via da Masyaf insieme a mia moglie».
All’epoca avevamo smesso di parlarci da tempo. Quella era la prima frase che mi rivolgeva da settimane. Temo di averla accolta con gelo. «Perché dovrei volere questo?», gli chiesi alzando lo sguardo dal foglio, il qalam a mezz’aria ancora carico d’inchiostro.
Il mio tono freddo lo mise in disagio. Me ne accorsi perché guardò nervosamente in giro. Era una cosa che faceva sempre quando il suo interlocutore lo metteva in difficoltà. «è l’impressione che ho, padre».
«Allora è un’impressione sbagliata», risposi sbrigativamente, accennando a riprendere la stesura del documento. «Vai da Malik. Ha bisogno di te per la biblioteca».
Di sottecchi, lo vidi inchinarsi rapidamente e uscire senza aggiungere altro.
Se in quegli anni non avessi dato per scontato quello che possedevo, forse ora non vivrei perennemente inseguito dai rimorsi. Qual è stato l’ultimo pensiero di tuo fratello prima di lasciare questo mondo? Mentre la lama gli affondava nella carne, si sarà chiesto se non fosse davvero per un mio ordine? Questa ipotesi mi fa impazzire. Mi costringe a desiderare la morte come non ho mai desiderato nient’altro al mondo. Anche se sono sicuro che non esista alcun paradiso né alcun inferno in cui io possa ritrovare tuo fratello. Non c’è nulla dopo la morte. Non c’è nessun Dio che possa salvarci.
Anche se so che non posso morire. Ho ancora alcune cose da fare. Devo riprendere Masyaf, toglierla dalle mani di Abbas e assicurarmi che l’Ordine sopravviva e che la Mela resti al sicuro finché non tornerà ad essere necessaria.
Sono consapevole che hai iniziato ad odiarmi per ciò che consideri nient’altro che un’ossessione malata per quell’oggetto. Ma il Frutto dell’Eden contiene un messaggio, Darim, ed è un messaggio importante. Devo fare in modo ch’esso venga trasmesso alla persona giusta, o le conseguenze saranno devastanti.
Non è ironico? A quest’unica eredità ho dedicato la mia vita, ho lasciato che la Mela la corrodesse finché non ne sono rimaste che briciole… ed il messaggio non è nemmeno destinato a me. Io non sono altro che un mezzo. Un nodo tra i tanti che devono susseguirsi perché la fune non si interrompa. La mia disperazione e i miei sensi di colpa non sono nulla e non hanno alcun significato nel quadro di questa partita millenaria. Non sono che l’infimo stridìo di un insetto. La morte di Sef, quella di Malik e di tua madre, sono solo piccoli incidenti di nessuna rilevanza, ampiamente previsti nell’ordine delle cose.
Odio quel manufatto. Vorrei non averlo mai trovato sul mio cammino. Se avessi seguito il consiglio di tua madre, me ne sarei liberato da tempo. Forse avrei dovuto farlo davvero. Se l’avessi fatto, forse lei sarebbe ancora viva. Di notte, quando non riesco a dormire, faccio ancora progetti di questo tipo. Uno più assurdo dell’altro. Potrei buttare la Mela nel crepaccio più profondo del Siälän. Oppure potrei gettarla in mare aperto, dove non potrebbe più essere ritrovato. Magari invece potrei portarla nel bel mezzo del deserto del Nağd e sotterrarvela profondamente.
Se me ne sbarazzassi, torneresti da me?
Una domanda senza senso, naturalmente. Non badare ai vaneggiamenti di un vecchio. Questa lettera non arriverà nemmeno nelle tue mani. Solo il fuoco sa quante altre ne ha divorate; io ho perso il conto. Non perché creda che tu non possa capire. Da parte mia non è che una maldestra autodifesa.
Se mi fermassi a riflettere in modo più lucido, forse mi accorgerei che tante colpe che riverso sulla Mela in realtà sono mie. Dopotutto, fui io a permettere ad Abbas di rimanere nell’Ordine; eppure mi aveva dimostrato più di una volta che non solo non mi portava rispetto, ma nemmeno considerazione. Fui abbastanza arrogante da mettere in pericolo l’intera confraternita pur di non venire meno a un mio insensato ideale, come se questo mi rendesse in qualche modo migliore di chi mi aveva preceduto. Quando la Mela si limitò a mostrarmi il pericolo incombente da est, fui io a decidere di partire e di lasciare Sef a Masyaf. Ha moglie e figli, mi dicevo, non posso certo portarlo con me. La verità e che non lo volevo con me.  Fino a questo punto era arrivata la mia incapacità di comunicare con lui. Se quel giorno gli avessi chiesto di venire con noi, Abbas avrebbe assunto il controllo della fortezza ma almeno io non avrei perso tuo fratello.
Sono tornato a Masyaf che il suo corpo era già cibo per vermi da anni. Non riesco a sopportarlo. Ho vissuto per tutto quel tempo nella mia colpevole inconsapevolezza mentre mio figlio marciva sotto terra. E Malik, il mio povero amico, che per due volte ha pagato il prezzo atroce delle mie decisioni ed per due volte ha trovato la forza di perdonarmi. Quanto a tua madre, incolpare la Mela della sua morte è un comodo espediente per cercare di dimenticare che in quel momento ero io che la stavo impugnando, non Abbas. Sono stato io ad ucciderla, non la Mela.
Capisco bene perché gli uomini hanno creato Dio. Non siamo nient’altro che minuscoli punti nell’universo, senz’altro scopo che vivere e morire. Siamo degli esseri deboli. In alcuni casi, non abbiamo altro a cui aggrapparci. Quando certi spaventosi pensieri ti assalgono, ti ritrovi a chiamare lo stesso Dio in cui non credi, fino allo sfinimento.
“Allah misericordioso, permettimi di morire. Permettimi di scomparire. Permettimi di evaporare”.
C’è un qualcosa di penoso eppure spietatamente logico nel fatto che abbia cominciato a pregare con una simile intensità nel momento in cui ho smesso di credere in Dio.
Amare è compiere un Salto della Fede. Non ne sono pentito. Non puoi pentirti della splendida vertigine. Non puoi pentirti della sensazione di cinque dita minuscole che ti stringono l’indice con forza insospettata. Non puoi pentirti di vedere tuo figlio tenere tra le braccia il suo bambino, come tu avevi fatto con lui fino solo a qualche anno prima. Ma ciò che viene dopo è la dovuta compensazione. Ho ricevuto probabilmente più di quanto avessi lavorato per ottenere, e il prezzo da corrispondere è alto. Per più di trent’anni ho vissuto il mio stato di grazia ed ora lo sto ripagando con la moneta del dolore.
Sei l’unica cosa che mi sia rimasta, Darim. Non intendo costringerti alla mia compagnia. Ho solo bisogno di sapere che non perderò anche te. Ho bisogno di sapere che esiste ancora almeno un motivo per il quale devo conservare la ragione. Per il quale devo continuare a respirare.
Il cuore è una porta chiusa. Quando decidiamo di lasciarne aperto uno spiraglio, in quel preciso istante rinunciamo a proteggerci. Prima o poi ne soffriremo. Consapevolmente o inconsapevolmente accettiamo questo scambio, perché siamo convinti che ne valga la pena.
In qualunque tempo, in qualunque luogo, per te, figlio mio, quella porta sarà sempre socchiusa.
 
 
 
 
 
 
Altaïr fece per firmare la lettera, ma si bloccò. La rilesse un paio di volte. Infine posò il qalam, prese tra due dita il foglio denso della sua calligrafia minuta e lo tenne sopra alla candela che fino a quel momento era servita ad illuminarglielo. Immediatamente la carta iniziò a mandare un sottile fumo grigio. Subito dopo, l’angolo più vicino alla fiamma si annerì e cominciò ad accartocciarsi e a disfarsi. Il vecchio girò il foglio in modo che prendesse fuoco anche da un altro lato e ripeté ancora la stessa operazione, finché la carta fu così consumata che il fuoco arrivò a bruciargli i polpastrelli. Allora il da’ī gettò ciò che restava in un braciere spento. Per diversi minuti rimase immobile ad osservare con sguardo distante il baluginare fioco degli ultimi brandelli della sua lettera, che si riduceva rapidamente ad una impalpabile polvere nera. E per un breve, lunghissimo e insensato istante, la invidiò con tutte le sue forze.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
NOTE
 
Per prima cosa spero di non avere offeso nessuno, descrivendo Altaïr come profondamente ateo. Non l’ho fatto perché anche io lo sono, ma perché è un aspetto reale del personaggio, che si evince dalla lettura del Codex. Quindi le mie convinzioni religiose non c’entrano nulla.
 
Riguardo alla depressione di Altaïr, anche questa è del tutto in character, anche se è filtrata attraverso la mia personale esperienza.
Il rapporto di Altaïr con Sef invece è inventato, per il semplice fatto che Sef non viene mai mostrato come personaggio né nel libro La crociata segreta, né nel videogioco Assassin’s Creed Revelations, quindi ho dovuto immaginare.
 
È assolutamente vera la questione dell’ambasciata di ‘Ala al-Dīn Muhammad III ai re cristiani d’Europa, al fine di proporre loro un’alleanza contro l’incombente minaccia dei Mongoli. Ho pensato che inserire Darim nella scorta dei legati poteva avere un senso, ma questo non viene specificato nella storia originale di Assassin’s Creed. Ovviamente l’iniziativa del signore di Alamut non ebbe successo. Qualche anno dopo, Luigi IX re di Francia propose addirittura un’alleanza agli stessi Mongoli! Quanto agli Inglesi, ciò che si sa è che il vescovo di Winchester non lasciò neppure che gli ambasciatori finissero di parlare prima di aggredirli verbalmente e costringerli a fare dietrofront.
 
Khawaja Muhammad ibn Muhammad ibn Hasan Tūsī, meglio noto come Nasīr al-Dīn al-Tūsī, è una reale figura storica. Fu un brillante filosofo, scienziato, astronomo e soggiornò a lungo ad Alamut, dove abbracciò la disciplina degli Ismailiti (ossia gli Assassini). Era spesso chiamato al-muhaqiq, ossia l’erudito, lo studioso. Dopo aver conquistato la fortezza (1256), il leader mongolo Hulegu Khan gli permise di rimanere e anzi agevolò in ogni modo i suoi studi di astronomia. È più probabile che a questo periodo si possa far risalire la costruzione di strumenti complessi come il quadrante azimutale descritto nel testo, ma io mi sono presa la libertà di situarlo più indietro nel tempo.
 
Il ventinovesimo giorno di Jumādâ al-awwal del seicentotrentottesimo anno dell’Hijrah è il 16 dicembre 1240. Naturalmente si tratta del calendario islamico, in cui gli anni si contano a partire dall’Egira, ossia la fuga di Maometto dalla Mecca a Medina.
 
Küiev è Kyev. Nel momento in cui Altaïr scrive la lettera, in realtà la città era già caduta nelle mani dei Mongoli; ma tenendo conto delle difficoltose comunicazioni dell’epoca è comprensibile che il nostro non ne sia ancora al corrente.
 
Daryâ-ye Mazandaran è il Mar Caspio

Un’ultima nota riguardo al titolo: è ripreso da quello della famosa canzone dei Metallica. All'inizio il titolo della fanfic doveva essere semplicemente Il cuore è una porta chiusa. Ho pensato di inserire anche The Unforgiven perché la musica e soprattutto il testo sono stati determinanti per la mia ispirazione!
   
 
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