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Autore: HarryJo    06/12/2011    7 recensioni
Ormai era evidente la piega che stava prendendo il Ministero, perché era così difficile tornare dalla parte giusta? Perché non poteva mettere da parte l’orgoglio e ammettere d’aver sbagliato?
Percy non lo sapeva dire, anche se avrebbe tanto voluto. E intanto la pioggia si portava via anche gli ultimi colori dell’aria che, indegno, aveva respirato accanto a lei.

Song-Fic su Percy Weasley, scritta per il contest "Storytelling" di Fabi, classificata tredicesima.
Quinta classificata al primo turno del "Questione di sangue - Contest" di LetTheFlamesBegin.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Percy Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Il passato non riusciva a tramontare.

 
 
 
Percy non si era mai sentito così solo. Guardava quelle innumerevoli pergamene riposte con enorme cura sopra la sua scrivania, tutte ben sigillate con ceralacca viola ben appuntata. La parsimonia che metteva nel suo lavoro era sempre così puntuale da risultare quasi maniaca, ma a lui sinceramente piaceva impegnarsi e dimostrare la sua precisione. Il suo posto al Ministero era la cosa a cui teneva di più.
Afferrò sospirando una delle pergamene vuote dal primo cassetto della scrivania, pronto a scriverci gli appunti del giorno ed archiviarli poi insieme al resto. Restò per un momento a guardare la carta bianca di fronte a sé e non poté fare a meno di pensare che lui era come quel foglio: vuoto, senza parole, insignificante. Lo era stato fino a quando non era giunta lei nella sua vita e gli aveva dato motivo di sorridere, di sentirsi importante. Ed ora era di nuovo solo.
Scosse impercettibilmente la testa cercando di togliersi quel pensiero e intinse lentamente la piuma nell’inchiostro.
 

Sheets of empty canvas
Untouched sheets of clay
Were laid spread out before me
As her body once did.

 
La pioggia cadeva distrattamente lasciando un ticchettio leggero sulle finestre del suo ufficio. Anche il cielo piangeva con lui.
Non ce la faceva. Pensare a lei era più forte di quanto potesse mai immaginare, il suo ricordo ribatteva prepotentemente nella sua mente a intervalli sempre più brevi. Aveva creduto di essere forte, era convinto che ce l’avrebbe fatta a dire addio anche all’ultimo dei suoi legami di quella vita passata. Non si era reso conto di quanto invece per lui avesse importanza la sua presenza.
Ora tutto ciò che avrebbe voluto fare era tornare da lei, ma non ne aveva il coraggio. Come avrebbe potuto ripresentarsi ai suoi occhi, dopo quello che aveva fatto? Lei era stata chiara, dopotutto.
E lui non poteva biasimarla se se n’era andata.
Ormai era evidente la piega che stava prendendo il Ministero, perché era così difficile tornare dalla parte giusta? Perché non poteva mettere da parte l’orgoglio e ammettere d’aver sbagliato?
Percy non lo sapeva dire, anche se avrebbe tanto voluto. E intanto la pioggia si portava via anche gli ultimi colori dell’aria che, indegno, aveva respirato accanto a lei.
 

All five horizons
Revolved around her soul
As the earth to the sun
Now the air I tasted and breathed
Has taken a turn.

 
« Non possiamo più vederci ».
Il freddo gelo di novembre si insinuava sotto ai vestiti di Percy con più forza che mai. Un turbine violento di tempesta sembrava essersi scatenato dentro al suo cuore udendo quella frase. Guardava gli occhi della ragazza confuso, spaesato, per la prima volta dopo tanto tempo.
« Perché? Non… Non mi ami più? »
Era riuscito a biascicare solo quelle deboli parole, sussurrate al vento che le aveva prese e portate con sé.
« Non sono io che non amo più » aveva risposto lei, con gli occhi incastonati da lacrime. Ma era forte e non si era mai lasciata abbattere dal dolore e non aveva mai pianto: Percy era sicuro che nemmeno in quel momento avrebbe permesso all’acqua di scavarle il viso. « Sei tu ».
« Cosa? Non è vero! Io ti amo ancora, non potrei mai smettere! »
L’aveva urlato, come per scuoterla, ma non c’era riuscito.
« Se mi amassi sul serio » aveva detto fissandolo negli occhi, determinata, « rinunceresti al tuo posto al Ministero. Sono una Mezzosangue, Percy, e sai bene cosa fanno ora a quelli come me… »
« Ma io ti proteggerò » aveva ingenuamente ribattuto. « Non permetterei mai che ti facessero niente del male. Io ti amo » aveva poi aggiunto, con un tono quasi implorante.
« Allora scappa. Vieni via con me, nascondiamoci. Non sottometterti a questo regime, vieni via con me ».
Quelle parole sembravano così semplici, ma non lo erano. Gli stava chiedendo di darle prova del suo amore, di dimostrarle quanto valeva per lei. Perché era così difficile dirle di sì?
« Io… » aveva esitato. Andare via con lei avrebbe significato perdere il suo lavoro, tutto quello per cui tanto aveva lottato. Aveva tolto lo sguardo dai suoi occhi, incapace di continuare a fissarla e si era messo a guardare con malinconia la sciarpa viola che portava al collo. Un suo regalo.
« Addio, Perce » aveva mormorato, dandogli un bacio sulla guancia e fuggendo via. In quel momento si pentì.
« Penelope! »
Ma lei non si era voltata.
                                                                                                                                              

Oh, and all I taught her was everything
Oh, I know she gave me all that she wore.
And now my bitter hands
Chafe beneath the clouds
Of what was everything.
 

Continuava a scrivere senza trovare il benché minimo senso in quelle parole confuse. Lavorava meccanicamente e non era concentrato; la sua mente vagava al giorno prima.
Ripose la piuma d’oca sul tavolo, sfinito, per sfregarsi gli occhi coperti da lacrime.
Si era lasciato sfuggire dalle mani ogni persona – per cosa, poi? Avesse avuto un motivo qualsiasi per aver lasciato andare tutto, sarebbe stato forse quasi comprensibile, ma invece non c’era nulla che valesse tanto la pena. Stupido orgoglio che lo dilaniava, stupida voglia di dimostrare di essere il migliore, stupida paura di abbassare la testa e ammettere, finalmente, di aver sbagliato tutto.
Tolse le mani dagli occhi che gli bruciavano e incrociò con lo sguardo l’unico portafoto che era rimasto sulla scrivania da quando se n’era andato di casa. Era una foto di Penelope in un elegante vestito viola che lo guardava e sorrideva – almeno, così faceva di solito.
In quel momento Penelope non era lì. Probabilmente si era nascosta dietro la cornice, lontano dal suo sguardo e stava soffrendo, almeno quanto lui. Fece per prendere in mano il portafoto per stringerlo e sussurrare il suo nome, ma, distrattamente, colpì con il gomito la boccetta dell’inchiostro nero aperta lì vicino, che rovesciò tutto il suo contenuto sulla foto, lasciando un’enorme macchia.
Per un momento Percy rimase sbigottito a guardare i suoi ricordi macchiati, prima di prendere la bacchetta e, lentamente, prosciugare l’inchiostro. Ma non poteva fare a meno di pensare che quello era un segno.
 

Oh, the pictures have
All been washed in black
Tattooed everything.

 
Percy non riusciva più a concentrarsi. Era inutile restare lì a lavorare se la sua mente era altrove; il Ministro l’avrebbe perdonato di sicuro se si fosse preso mezza giornata libera. Dopotutto era uno dei suoi migliori dipendenti, non avrebbe mai potuto arrabbiarsi. Avrebbe consegnato il lavoro entro la scadenza come sempre – anzi, con largo anticipo – e non ci sarebbe stato alcun problema.
Uscì dal Ministero salutando distrattamente qualche altro dipendente che gli veniva incontro. Nessuno di loro sembrava troppo contento, portavano sul volto delle espressioni affrante, pensierose, corrucciate. Percy era come loro: immerso in un’organizzazione finalizzata al potere, senza averlo mai veramente desiderato. Ma ora era troppo tardi per tornare indietro senza dover mettere da parte l’orgoglio.
Si insinuò in uno dei camini della Metropolvere, pronto per ritrovarsi nel suo nuovo appartamento che il Ministero gli aveva procurato dopo essere fuggito di casa. Faceva ogni gesto meccanicamente, senza ritrovare un senso a tutto quello che, fino a qualche giorno prima, sembrava averlo.
Si ritrovò nel salotto del suo interno e rimase in piedi a guardare le pareti vuote per qualche minuto. Si sentiva vuoto, affranto, come un fiore che piano piano stava appassendo, per sempre. I suoi giorni erano ormai terminati.
« Janis! »
Fuori dalla finestra giungevano alcune voci. Due ragazzini stavano giocando, spensierati, sotto casa sua. Uno dei due era Michael Douglas, il figlio dei vicini di Percy, e stava rincorrendo Janis Collins, la sua migliore amica. Succedeva spesso di sentire il loro vociare durante quelle ore del giorno, e Percy si era sempre sentito bene guardandoli, rivedendo in quella serenità un tempo di pace ormai perduto. I bambini non riuscivano a capire qual era l’atmosfera che vigeva tra i maghi in quel periodo, pensavano solo a divertirsi e a sognare ancora il loro futuro, ignari.
Ma quel giorno Percy non sorrideva mentre li guardava. Rivedeva Penelope nei loro occhi, nei gesti, in ciò che aveva perduto per sempre. E si sentiva appassire sempre di più, inesorabilmente.
 

I take a walk outside
I'm surrounded by
Some kids at play
I can feel their laughter
So why do I sear?

 
Si girò, incapace di continuare a guardare quel riflesso negli occhi. Non sapeva dire se fosse il passato a farlo sentire sbagliato o piuttosto la prospettiva di un futuro completamente vuoto, senza prospettiva. Nel frattempo restava sospeso nel presente, confuso, astratto e quasi surreale.
Non aveva mai nemmeno per un attimo pensato che sarebbe potuta finire in quel modo, che sarebbe rimasto veramente solo, nella cupa luce della sua abitazione, a rimirare qualcosa perduto per sempre nel riflesso di qualcun altro. Penelope era stata l’ultima sua grande certezza, e – diamine, perché era stato così orgoglioso ed egoista? – ora l’aveva persa.
Come avrebbe mai potuto godersi il suo presente se il passato non riusciva a tramontare?
L’unica cosa che era tramontata era stata lei, in così poco tempo, con così tanta fretta… E lo aveva lasciato a vagare nel nulla.
Eppure, tutto quello che voleva era lì. Aveva tanto desiderato un lavoro importante, che i suoi sforzi venissero riconosciuti al Ministero per far vedere a tutti – specialmente alla sua famiglia – quanto valesse. Ci aveva sperato, aveva lottato per quello senza curarsi minimamente di cosa perdesse per la strada – se il suo obbiettivo rimaneva comunque a portata di mano.
E ora non riusciva a godersi quel presente. Apprezzava molto più ora quel passato che tanto aveva denigrato.
« Ci godremo il presente quando, in futuro, sarà passato» diceva sempre sua madre, quando Arthur si mostrava preoccupato dalla loro precaria situazione economica. « Quindi non scoraggiamoci, ce la faremo. E quando in futuro ci guarderemo indietro e ricorderemo di questo momento, penseremo che ci sembrava un ostacolo insormontabile non lo era poi così tanto ».
Ma, Percy ne era certo, lui non avrebbe mai goduto di quel presente, nemmeno quando sarebbe diventato solo passato.
 

Oh, and twisted thoughts
That spin round my head
I'm spinning, oh, I'm spinning
How quick the sun can drop away?

 
Senza pensarci, prese in mano una delle foto appoggiate all’armadio che gli era vicino. Ritraeva Penelope, ovviamente. Ogni altra fotografia, che ritraesse la sua famiglia, l’aveva riposta in fondo ad una valigia quando era andato via da casa e non l’aveva più nemmeno sfiorata.
Penelope ancora salutava, felice, alla sua direzione. Allora non c’erano problemi, poteva continuare a portare quella sua sciarpa viola senza preoccuparsi minimamente del futuro, convinta che tutto potesse proseguire nel migliore dei modi. Che motivo c’era, allora, di temere la vita?
Nessun regime li minacciava; portare un sorriso nel volto era minimo.
Percy si chiese se la ragazza nella fotografia potesse capire quanto vuoto c’era dentro di lui. Mentre questo pensiero lo torturava, sbatté accidentalmente contro la credenza e la bacchetta che aveva appena poggiato ruzzolò giù dal ripiano; fortunatamente Percy fu veloce e riuscì ad afferrarla prima che toccasse terra. Ma, al contempo, lasciò cadere il portafoto.
Pezzi di vetro ricoprirono il pavimento in modo sparso, e Percy non poté fare a meno di accucciarsi a terra e raccogliere uno dei frammenti più grandi. Lo osservò, con un po’ di tristezza: gli sembrava di tenere in mano un pezzo del suo cuore infranto.
 

And now my bitter hands
Cradle broken glass
Of what was everything.
All the pictures have all been
Washed in black,
Tattooed everything...

 
Meccanicamente mormorò un Reparo tenendo la bacchetta puntata contro i cocci sofferti. Per un momento gli passò per la testa l’assurdo e sciocco pensiero di tentare di pronunciare lo stesso incantesimo contro il suo cuore, sperando di vederlo ricomporsi senza soffrire.
Ma, in realtà, voleva sentire quel dolore. Era convinto che fosse giusto, per lui, pagarla per ciò che aveva fatto. E tutto l’amore che c’era stato era svanito, ridotto ad un passato.
Un passato che fino a quando era stato presente non era riuscito ad apprezzare.
Ed ora solo una nube nera attraversava, gelida, il suo cuore.
 

All the love gone bad
Turned my world to black
Tattooed all I see,
All that I am, All I'll be...

 
Penelope era tornata a sorridere nel portafoto e Percy, se possibile, si sentiva ancora peggio.
Non aveva mai capito bene come funzionassero le foto nel mondo magico: se tu parlavi loro ti ascoltavano? O si limitavano ad annuire, a far finta di comprendere le tue parole? Probabilmente nemmeno ti vedevano.
« Vorrei tanto che il tuo sorriso fosse ancora con me » mormorò, scioccamente, accarezzando la cornice di legno. Penelope continuava a sorridere accarezzando la sciarpa viola.
« Sorriderai per qualcun altro un giorno ». La voce gli si spezzò in gola, temendo la vista di una Penelope con al collo una sciarpa di un altro colore, che stringeva a sé un altro ragazzo – qualcuno che non aveva paura di amarla apertamente. « Non hai idea di quanto mi faccia male sapere che non sarò io, quella persona ».
Ma sapeva che era tutta colpa sua. Che non poteva espiarla in nessun altro e in nient’altro; per quanto volesse dare la colpa solo ed esclusivamente a quel regime soffocante, gli era stata data la possibilità di combattere, di resistere, di fuggire, accanto a lei.
E lui aveva rifiutato.
Tolse l’ultima lacrima che rigava il suo viso con un gesto brusco e, chiudendo gli occhi, stese la foto sul ripiano della credenza, di modo che non fosse più visibile.
E non ci sarebbero più state sciarpe viola a ricordargli il passato che aveva lasciato andare.
 

I know someday you'll have a beautiful life,
I know you'll be a sun in somebody else's sky, but why
Why, why can't it be, why can't it be mine?





 

{Spazio HarryJo.
Buonsalve a tutti. Pubblico questa orribile One-Shot che è in attesa di giudizio dal Storytelling di Fabi_
La canzone su cui è basata la ff è "Black" dei Pearl Jam. Ascoltatela! L'amo! *w*
Non amo il personaggio di Percy ed è proprio per questo che ci ho scritto. Quando scrivo sui personaggi che non amo trovo estremamente semplice riscoprirli, in qualche modo; insomma, quando ho concluso questa One-Shot Percy mi è sembrato più comprensibile, più – in qualche modo – umano ed apprezzabile.
L’idea non è un granché probabilmente. 
Ho ipotizzato che Percy e Penelope non si fossero mai lasciati prima del settimo libro; non ho trovato informazioni in tal proposito né sul Lexicon né in nessun sito on-line, quindi, considerato l’animo “conservatore” di Percy pensavo che fosse probabile che fossero stati insieme tanto a lungo. Infine, vi dirò, per me l’idea che il Ministero sia la causa della loro rottura è buona, perché metterebbe sul punto di far ragionare Percy su ciò che sta facendo e su quanto sta perdendo. Bene, ho concluso, grazie per aver letto questa… cosa! (oddio quanto ho scritto nelle note o.o’)
Vado, lasciatemi una recensioncina se non avete niente di meglio da fare,
A presto,
Erica Weasley

 

   
 
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