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Autore: Frytty    06/12/2011    2 recensioni
Arlyn ha perso la memoria. Non ricorda di avere una vita, ma diverse cose, al suo rientro a casa, non quadrano e lei decide che se vuole ritornare ad essere felice come un tempo, non può semplicemente aspettare, ma agire.
E Robert, che ruolo ha nella sua vita?
E Tom? E' solo il suo migliore amico, come vuole farle credere?
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve!

Ho poco tempo per aggiornare, ma non volevo farvi attendere fin quando avessi completato la One-Shot Cailin/Rob, perché non ho ancora un'idea precisa e per scriverla mi occorre tempo e voglia, per cui eccomi qui.

Nelle recensioni che mi avete lasciato, ho letto che molte di voi hanno avuto dei dubbi per quanto riguardava Alexandra e il fatto se avesse svelato o meno ad Arlyn del bambino prima dell'incidente. Voglio chiarire a chi si sia posto questo dubbio e non abbia commentato per esprimerlo, che Arlyn era a conoscenza soltanto del fatto che Alex fosse rimasta incinta e avesse deciso di abortire, nient'altro (prima dell'incidente, perché ovviamente, dopo l'incidente non se ne ricorda più).

Ringrazio tutte coloro che hanno inserito questa Ff tra i preferiti/seguiti/da ricordare, che hanno commentato lo scorso capitolo e che hanno solo letto *.* GRAZIE MILLE! *.*

Il prossimo aggiornamento avverrà (spero) prima di Natale, ma per ogni info c'è comunque la mia pagina autore su Facebook :) Per quanto riguarda la shot Cailin/Rob, mi auguro di riuscire a postarla nel week-end (ispirazione permettendo ;D).

Vi auguro un buon prosieguo di settimana e una...

 

 

Buona Lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando aprii gli occhi, il primo rumore che udii fu quello della pioggia che picchiettava contro i vetri delle finestre della mia camera da letto.

Amavo la pioggia e amavo vivere a Londra proprio perché le giornate erano così raramente soleggiate.

Sembrava assurdo, ma quando tutti gli altri sembravano non fare altro che lamentarsi della pioggia e del cattivo tempo, io sorridevo come se non ci fosse stato niente di più bello al mondo.

Doveva essere mattina presto, forse il sole era sorto da poco, perché la stanza era ancora avvolta nella penombra.

Mi stiracchiai, allungando un braccio alla mia sinistra e cozzando contro qualcosa di sufficientemente morbido da farmi pensare potesse essere soltanto un essere umano.

Mi voltai allarmata, neanche mi aspettassi di trovare un ladro o uno sconosciuto accanto a me e riconobbi il volto addormentato e bellissimo di Robert.

Mugolò appena per il piccolo pugno ricevuto, voltandosi a pancia in su ed io sorrisi, raggomitolandomi accanto a lui e lasciandogli un bacio leggero sul collo, sperando di non averlo svegliato.

Speranza vana, perché, non appena ebbi chiuso gli occhi per riaddormentarmi, lo sentii sistemarsi di lato, circondarmi la vita con un braccio e poggiare il palmo aperto della sua mano sulla mia pancia, carezzandola gentilmente.

< Buongiorno. > Mi sussurrò, costringendomi a riaprire gli occhi.

< Bentornato. > Replicai con un sorriso, poggiando una mano sulla sua, lasciando che le nostre dita si intrecciassero.

< Come ti senti? > Mi chiese ancora.

< Bene. > Non era esattamente la verità. Avrei dovuto confessargli di Tom e, in più, c’erano ancora le parole di Alex che mi risuonavano nella testa, spingendomi a chiedere spiegazioni sul suo silenzio.

Mi baciò il lembo di pelle sensibile dietro l’orecchio, scostando i capelli, facendomi rabbrividire vergognosamente.

< Mi sei mancata. > Mi strinse ancora di più e non potei fare a meno di credergli. Nonostante quello che era successo tra lui e Alex, o tra lui e Kristen, da quando ero tornata a casa dopo il brutto incidente che mi aveva visto coinvolta, si era sempre dimostrato perfetto, l’uomo che tutte avrebbero desiderato.

Non aveva più avuto contatti con Kristen, se non per lavoro, si era dimostrato amorevole nei miei confronti, attento e gentile e mi aveva sempre sostenuta.

Poteva anche avermi fatto del male in passato, ma stava sicuramente espiando le sue colpe.

Io, invece, l’avevo tradito con il suo migliore amico e, al solo pensiero di doverglielo confessare, mi tremavano le gambe.

< Anche tu. Tanto. > Risposi, carezzandogli dolcemente i capelli.

< Credi che sarà una bambina? > Chiuse nuovamente gli occhi, accarezzandomi dolcemente il ventre.

Feci spallucce.

< Non ne ho idea. > Sorrisi. < Tu cosa preferiresti? > Continuai, baciandogli una guancia.

< Una femminuccia sarebbe perfetto, ma l’importante è che stia bene, non importa il sesso. > Non potevo che dargli ragione.

Presi un respiro profondo: non riuscivo più a tenermi tutto dentro, era impossibile e sarei scoppiata.

< Devo dirti una cosa. > Cominciai, sperando di aver attirato così la sua attenzione.

< Mh-mh. > Mugugnò accanto al mio orecchio, gli occhi ancora chiusi.

Non puoi rimandare, Arlyn. Continuavo a ripetermi come incentivo, ma quando riaprii la bocca per parlare, furono altre le parole che vennero fuori.

< Alex aspettava un bambino da te. > Era la cosa a cui non avevo smesso di pensare da quando avevo parlato con lui a telefono e, per quanto la questione di Tom avesse indubbiamente il suo peso, volevo chiarire quella situazione con lui e verificare quello che mi aveva detto Alexandra.

Si irrigidì; ovviamente non se l’aspettava, ma io ero tranquilla, per quanto nervosa, perciò cercai di calmarlo continuando ad accarezzargli dolcemente i capelli più corti della nuca.

Sospirò e accoccolò il volto nell’incavo tra il collo e la spalla, solleticandomi la pelle scoperta con il suo respiro caldo.

< Te l’ha detto Alex, vero? > Domandò ovvio. Non poteva essere stata che lei.

Annuii.

< E’ stato uno sbaglio, Arlyn. Avevamo bevuto un po’, eravamo ubriachi e non sapevamo quello che stavamo facendo. Tu eri andata via per una questione importante con uno dei fornitori della libreria e la mattina dopo mi sono ritrovato nudo nel suo letto, senza essere sicuro di come vi ero finito. Ce ne pentimmo subito entrambi. > Spiegò.

Respirai profondamente, cercando di calmare il battito accelerato del mio cuore.

< Non seppi che era rimasta incinta, fin quando non mi telefonò dalla clinica nella quale si era recata per abortire. Aveva già firmato le carte, doveva solo attendere il suo turno e poi tutto sarebbe finito. Tentai di convincerla a non farlo, le dissi che mi sarei preso le mie responsabilità, che avrei riconosciuto il bambino e che non era necessario stroncasse una vita così, ma non volle darmi ascolto: aveva già deciso. Era sola, i suoi genitori non l’avrebbero supportata e lei non era in grado di prendersi cura di un bambino. Non aveva neanche preso in considerazione l’idea dell’adozione, o dell’affidamento. > Continuò, continuando ad accarezzarmi la pancia con dolcezza ed insistenza. Doveva essere stato terribile anche per lui.

< Non l’amavo, non avrei potuto sposarla solo perché portava in grembo una nuova vita, ma avrei potuto fornirle i mezzi necessari affinché non se ne liberasse in maniera così brusca e disperata, quasi fosse stata una malattia. Ti avremmo spiegato tutto e, anche se sarebbe stato difficile, avremmo cercato di trovare insieme un compromesso, ma lei non voleva più parlarne, voleva solo archiviare la cosa e mi fece promettere di non farne parola con nessuno, tanto meno con te; ho solo mantenuta la promessa. > Terminò, alzando gli occhi al mio viso.

Non sapevo cosa pensare, né cosa rispondere.

< Devi credermi, è andata così. Non sai quante volte sono stato tentato di parlartene, non sai quante volte ho dovuto mordermi la lingua per continuare a tener fede a quella promessa e non sai quante volte ho pensato a cosa ne sarebbe stato di me se avessi dovuto prendermi cura di un bambino. Ho sempre creduto, irrazionalmente, che Alex avesse fatto la scelta giusta: nessuna complicazione, poche spiegazioni e, inoltre, non ti avrei persa, non avrei messo a repentaglio quello che avevamo costruito fino ad allora; eppure, tornavo sempre ad immaginarmi nelle vesti di papà, con un fagottino tra le braccia, i pannolini da cambiare e il latte da scaldare. E' stato difficile liberarmi di quel pensiero. > Scosse la testa e per un lungo istante mi sembrò di avere davanti un Robert diverso, un Robert che non avevo ancora conosciuto. Mi ero sempre sentita al sicuro con lui, non mi aveva mai fatto pesare il suo essere celebre, non mi aveva mai trascinata ad eventi mondani contro la mia volontà e mi aveva, spesso e volentieri, fatto dimenticare di vivere accanto ad una star di Hollywood che avrebbe benissimo potuto avere altre centinaia di donne ai piedi, pronte a sposarlo e ad adorarlo; non conoscevo di lui il lato famoso, conoscevo il lato reale, vero e, mai come allora, rafforzai la mia idea.

Avevo già creduto ad Alexandra, non avrei non potuto credere a Robert, ma il pensiero che avesse sofferto, il pensiero che, probabilmente, se gli avessi comunicato la mia intenzione di abortire si sarebbe ribellato e non avrei fatto altro che spezzargli il cuore, non mi permise di articolare nessuna risposta per un tempo che a entrambi parve infinito, solo il picchiettio costante della pioggia contro i vetri a farci compagnia.

< Dev'essere stato... orribile. > Mormorai alla fine.

Sentii Robert sospirare sollevato e baciarmi una tempia.

< Lo è stato. Mi spiace non avertelo detto prima. > Mi sistemò i capelli dietro le orecchie con attenzione, facendomi sorridere.

Non riuscivo ad essere arrabbiata con lui, o con Alexandra. Forse lo sarei stata se solo non fosse successa la stessa cosa a me e a Tom.

< L'hai detto anche tu: hai solo mantenuto la promessa e con la storia dell'incidente, non credo avrei sopportato altre notizie sconvolgenti. > Risi appena e lui con me.

< Ho un'altra cosa da confessarti. > Cominciai. Adesso non potevo tergiversare, non potevo tirarmi indietro e non potevo fingere di voler prendere tempo.

Corrugò le sopracciglia, forse credendo si trattasse ancora di lui, ed io non riuscii a guardarlo negli occhi più di qualche secondo; avevo paura, era innegabile. Cosa avrei fatto se mi avesse abbandonata? Cosa ne sarebbe stato del bambino? Sarebbe cresciuto senza un padre e con una madre che non aveva la minima idea di come prendersi cura di lui? Sapevo che non si poteva seguire un corso per imparare ad essere dei bravi genitori, così come sapevo che con i bambini ci volevano pazienza e amore, ma io non ricordavo niente della mia vita passata, ero confusa e avevo una libreria da mandare avanti, nel bene e nel male, cos'avrei fatto? Chiesto aiuto ai miei genitori con i quali non riuscivo neanche a comportarmi come una figlia? Non li telefonavo mai e a malapena avevo il coraggio di andarli a trovare con mio padre che non faceva altro che trattarmi come una specie di menomata mentale, terminando ogni frase con un sentito te lo ricordi, tesoro? No! Non potevo ricordarmelo, e allora? Avrei tanto voluto avere il coraggio di rispondere così, invece l'unica cosa che facevo era scoppiare a piangere e rifugiarmi tra le braccia di mia madre che mi diceva di non dare peso alle sue parole, si comportava così solo perché non era ancora riuscito a rendersi conto di quello che mi era successo.

Ricacciai indietro le lacrime e presi un respiro profondo prima di parlare.

< Sono... sono andata a letto con Tom. > Chiusi gli occhi in attesa di una qualsiasi sua reazione e mi morsi il labbro inferiore fino a farlo sanguinare.

< Tu cosa? E' uno scherzo, vero? > Si allontanò da me, osservandomi spaesato.

Scossi la testa e una lacrima mi rotolò giù lungo la guancia, calda e salata.

< Eravamo ubriachi ed io... non... mi sono resa conto che mi avesse accompagnata a casa, volevo solo dormire... quando mi sono svegliata, la mattina successiva, era lì, che mi dormiva accanto e... la prima cosa che ho fatto è stata scappare in bagno e continuare a convincermi che forse era tutto un sogno, che probabilmente non avevamo neanche fatto sesso, che... > Cercai di spiegarmi tra un singhiozzo e l'altro, fin quando non proruppi in un pianto disperato che mi tolse il respiro e la parola.

Avevo paura di aprire gli occhi e fronteggiare il suo sguardo disgustato o, peggio, la sua rabbia.

< Credevo aveste chiarito. Credevo avessi detto che non provavi nulla per lui! > Non urlò, ma il tono freddo e deluso con cui pronunciò quella frase fu, se possibile, ancora più doloroso di un grido.

< E' così! E' così, io non provo assolutamente nulla per lui! > Riuscii a rispondere, avvicinandomi.

Avrebbe dovuto capire: in fondo, era successa la stessa cosa anche tra lui e Alexandra.

< Il bambino è suo? > Non so cosa lesse nel mio sguardo inondato di lacrime e disperazione, ma bastò a fargli abbandonare la rigida freddezza di pochi istanti prima.

Scossi la testa. Non poteva essere di Tom: uno dei test aveva specificatamente chiarito che doveva essere all'incirca alla seconda settimana.

Tentai di calmarmi, respirando profondamente e concentrandomi su qualcosa di positivo, così come mi avevano insegnato a fare in ospedale, quando venivo colta da una delle mie solite crisi di panico quando non riuscivo a ricordare un avvenimento che mi veniva riferito con aspettativa.

Avvertii la mano di Robert stringere la mia e quel contatto bastò a farmi rilassare.

< Va tutto bene, Arlyn, calma, sei al sicuro. > Mi strinse a sé, stringendomi, accarezzandomi i capelli e mormorandomi di non preoccuparmi.

Mi aggrappai a lui, gli ultimi residui di lacrime e singhiozzi che svanirono presto.

< Non lasciarmi. Ho bisogno di te, non lasciarmi. > Pregai come se stessi recitando una nenia.

< Shh! Non vado da nessuna parte, sono qui e non ti lascio. Sono qui. > Rispose, baciandomi la fronte.

Gli credetti, perché, in fondo, cos'altro avrei potuto fare?

Avevamo sbagliato entrambi, ma era chiaro che, senza farci del male, non saremmo stati la coppia che tutti ricordavano che fossimo.

Alex non faceva che ripetermi che litigavo continuamente con lui per via delle sue colleghe, che io consideravo molto più attraenti di me e molto più intelligenti e che non la smettevo di rimproverarlo perché non voleva mai portarmi con sé alle manifestazioni cinematografiche o alle premier, quando era chiaro che ero io che non avevo intenzione di separarmi da Londra e dal mio lavoro.

Erano litigi banali, certo, me ne rendevo conto anch'io, così come mi rendevo conto che dopo l'incidente ero radicalmente cambiata e così anche lui, ma, non è proprio per i litigi banali che coppie apparentemente felici di neo-sposi divorziano?

Robert non mi aveva mai trascurata, né mi aveva mai collocata al secondo posto rispetto alla sua carriera o ai suoi impegni; non avrei saputo chiedere di meglio, ma allora perché sembrava così difficile essere felici?

 

Non mi ero neanche resa conto di essermi nuovamente addormentata, fin quando non venni svegliata gentilmente da Robert.

< E' ora di alzarsi, dolly. > Sussurrò.

Strinsi gli occhi e poi li aprii con cautela, abituandomi ai pochi raggi di sole che raggiungevano la stanza e il letto.

Mi sollevai, sedendomi, la schiena contro la testiera del letto e vidi Robert fare lo stesso, sistemando al centro un vassoio con la colazione.

< Spero ti piaccia. > Sorrise ed io ebbi un tuffo al cuore al pensiero che avesse preparato tutto per me, per farmi capire che ero importante.

Ricambiai il sorriso e afferrai una brioche alla marmellata, sorseggiando il latte tiepido.

Il mio stomaco, però, sembrò non approvare e, neanche il tempo di ingoiare il secondo boccone di brioche, fui costretta a scappare verso il bagno per rigurgitare quello che avevo appena mangiato.

Sentii i passi di Robert seguirmi, arrestandosi sulla soglia della stanza.

< Tutto bene? > Mi domandò con apprensione.

Annuii, scostandomi i capelli dalla fronte sudata, tirando lo sciacquone e avvicinandomi al lavabo per sciacquarmi la bocca e il viso.

< Dev'essere la gravidanza. > Affermai, osservandomi allo specchio e riconoscendomi appena.

< Questo vuol dire che sono un pessimo cuoco? > Scherzò, arrivandomi alle spalle e circondandomi la vita con le braccia, poggiando il mento sulla mia spalla, sorridendomi attraverso la superficie riflettente.

< Potrebbe. Magari al bambino non piace la marmellata di amarena. > Scherzai anch'io, lieta del fatto che non fosse andato via, che fosse ancora con me a sostenermi e a sorridermi.

< Neanche siamo nati e cominciamo a fare i capricci? > Si rivolse alla mia pancia, carezzandola dolcemente.

Risi.

Ero sicura del fatto che sarebbe diventato un ottimo papà, riuscivo a leggerglielo negli occhi.

< Hai già pensato di prenotare una visita? > Continuò, guidandomi nuovamente in camera da letto, spostando il vassoio con la colazione su una sedia.

< No, ma posso informarmi. > Risposi, facendo spallucce e aprendo l'armadio per scegliere cosa indossare, liberandomi, nel contempo, del pigiama.

Stavo giusto prendendo in considerazione l'idea di indossare una gonna, quando sentii le sue braccia avvolgermi e il suo respiro solleticarmi il collo, regalandomi un brivido.

Mi baciò dolcemente una guancia, poi scostò le mani dalla mia vita e raccolse i capelli sulla schiena, pettinandoli con le dita, cominciando ad intrecciarli con dolcezza e maestria, baciandomi di tanto in tanto una spalla.

Ero colpita e sopraffatta da tutte queste attenzioni, specie dopo quello che gli avevo confessato poche ore prima.

< Sai cosa si dice delle donne incinta? > Mi domandò, fermando la treccia con un elastico celeste.

< Cosa? > Chiesi curiosa, voltandomi verso di lui e guardandolo negli occhi, studiando la sua espressione serena e sorridente.

< Che diventino più belle. > Rispose, avvicinandosi al mio viso, tanto che sarebbe stato sufficiente un mio movimento per baciarlo.

< Ed io come ti sembro? > Soffiai, osservando le sue labbra rosse. Non avevo ancora avuto modo di baciarlo.

< Bellissima. > Socchiuse gli occhi e io arrossii.

< Più di prima? > Mormorai in imbarazzo.

< Come prima e anche di più. > Rispose, mettendo fine all'agonia e baciandomi le labbra.

Le mie mani corsero ai suoi capelli, strattonandoli, chiedendo di più e lo sentii sorridere sulla mia bocca, tra un bacio e l'altro.

< Siamo pretenziose oggi? > Mormorò roco, separandosi dalle mie labbra per riprendere fiato.

Arrossii e mi morsi un labbro, colpevole.

Non attese una mia risposta e cominciò subito a torturarmi il collo e la spalla di baci soffici, costringendomi a gemere, le gambe molli.

< Quanto tempo abbiamo? > Mi chiese, mordendomi un braccio ed io lanciai uno sguardo veloce alla sveglia sul comodino.

< Quaranta minuti. > Sospirai, lasciandomi spogliare della canotta.

< Me ne servono molti meno. > Rispose, baciandomi nuovamente e adagiandomi con delicatezza sul letto, come se potessi rompermi o frantumarmi tra le sue mani.

Sorrisi, spogliandolo dei boxer, avvertendo immediatamente la sua eccitazione sulla mia pelle più nascosta e sensibile.

Gemetti, inarcando la schiena; sebbene non ricordassi molto del mio passato, fare l'amore con Robert era una delle esperienze più belle e complete che avevo mai vissuto.

 

I segni delle tue mani li ho impressi su tutto il corpo. La tua carne è la mia carne. Mi hai decifrato e adesso sono un libro aperto. 

Il messaggio è semplice: il mio amore per te. 

Voglio che tu viva. 

Perdona i miei sbagli. 

Perdonami.

Jeanette Winterson-"Scritto sul corpo"

 

   
 
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