Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Averyn    07/12/2011    3 recensioni
Anni nel monastero senza nome per diventare il migliore dei Maghi Curatori, per poi trovarsi a vagare fuori dalle terre del Pollumanèth in compagnia di un vecchio ubriacone. Perdersi e ritrovarsi mille volte, ogni volta un po’ diversi. A volte credi di non essere mai pronto, ma poi le cose accadono da sole…e allora, improvvisamente, sai di esserlo. E il viaggio comincia.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
CAPITOLO I - IL CONSIGLIO DEGLI ANZIANI
 
Mentre raggiungeva la sala dove l’avrebbe accolto il Consiglio degli Anziani Bianchi, Dilomen si tormentava chiedendosi il motivo per cui l’avessero convocato; dopotutto aveva superato la prova da Curatore brillantemente
– i Curatori erano coloro che, tra i Maghi, avevano qualità speciali e venivano istruiti separatamente dai Maghi normali per sviluppare le loro capacità- e le prime missioni di tale carica non erano mai date direttamente dal Gran Consiglio, bensì tramite messaggi su pergamena.
Perciò Dilomen si sentiva eccitato e allo stesso tempo spaventato dalla notizia che i capi volessero vederlo di persona: doveva trattarsi di una missione davvero importante e, nonostante sapesse di doversi sentire fortunato per quel privilegio, non poteva fare a meno di chiedersi come si sarebbe dovuto comportare.

Fu con il fiato sospeso, quindi, che bussò alle porte dorate che si aprirono magicamente, facendolo entrare nella più vasta e maestosa sala del castello che Dilomen avesse mai visto: le pareti erano di oro lucente, alternate da sottili colonne bianche fasciate da bande dorate su cui erano incisi dei rilievi che narravano l’Inizio del Mondo che, a differenza di quelli nel resto del castello, erano in continuo movimento; il pavimento era di vetro puro, così lucido che chiunque avrebbe potuto specchiarsi e su cui non rimanevano le impronte, che scomparivano ad ogni passo, come risucchiate da un buco nero; e in fondo alla sala, disposti in diverse file, come un coro d’angeli, vi erano gli Anziani: trenta maghi e trenta streghe, per simboleggiare l’Equilibrio, il principio su cui si fondava l’intera comunità.
Erano belli ed eterni, nonostante i loro capelli bianchi e gli occhi segnati dal tempo; i loro visi erano senza età e non si sarebbe potuto definire quanti anni avessero avuto sulle spalle. Le loro vesti bianche dai ricami dorati, il loro viso autoritario che lo scrutava con curiosità, la loro energia solenne sovrastò Dilomen che, non appena si accorse di loro, gelò sul posto.

“Dilomen” Il suono del suo nome sembrò lontano quando una dei saggi, una donna seduta nella fila di mezzo, lo salutò solennemente.
“Vieni, avvicinati. Prendi posto!”
Non appena il giovane avanzò di qualche passo, una sedia dall’aspetto molto comodo si materializzò di fronte al Consiglio. Sentendosi imbarazzato, prese la poltrona e si sedette velocemente, guardando spaventato i membri Anziani, in attesa.
“Benvenuto, Dilomen;” disse la stessa strega che aveva preso la parola, “sappiamo e siamo soddisfatti del tuo esito da Curatore; hai appena finito l’Addestramento, ora potrai uscire dall’Accademia per compiere missioni importanti!” Dilomen annuì, tremante. “Tutto il Consiglio è fiero di te.”
I Membri gli sorrisero, solari: il ragazzo sperò con tutto il cuore che non l’avessero convocato solo per questo. “Non ti abbiamo fatto chiamare solo per congratularci, ovviamente” aggiunse infatti lei, come se avesse percepito i suoi pensieri; parlava in fretta, con tono di scuse, come se avesse detto qualcosa sopra le righe o di sconveniente. “Anzi, riteniamo che tu abbia qualità superiori persino fra i Curatori.” 
Poi tacque, lasciando al ragazzo il tempo di elaborare quella frase; ma Dilomen non lo fece e attese, esitante, che continuasse. Incrociò gli sguardi degli altri Anziani, ma i loro volti erano imperscrutabili e questo non lo aiutò a cogliere la situazione.
“Come ti avranno detto,” spiegò lei con tono velato, “quando un Anziano sa che la sua vita sta per concludersi, sceglie un suo giovane successore: io, Thèìla, ho preso oggi parola al Consiglio per rivelarti che sei stato scelto come futuro Anziano.”
D’improvviso, il tempo sembrò fermarsi; rimase completamente pietrificato sulla sedia, lo sguardo perso nel vuoto, chiedendosi ancora se stesse sognando.
“Sto diventando vecchia, Dilomen,” continuò l'Anziana, sorridente, cercando di far capire al giovane che era  tutto vero.
“Ed è tradizione che le Streghe sostituiscano i Maghi, così come i Maghi  le Streghe: fa tutto parte dell’Equilibrio. Non dovresti essere sorpreso della nostra scelta: dopotutto, sei il Curatore migliore da sette secoli, ormai! ” 
Nonostante cercasse di mantenere il controllo, il ragazzo non riusciva ancora a capire; un senso di mal di stomaco s’insinuò dentro di lui e più guardava il Consiglio, meno desiderava diventare uno di loro; gli piaceva la sua vita, e più li studiava e più si rendeva conto che, diventando un Anziano, avrebbe perso tutto quel poco che gli era rimasto da quando era diventato un Curatore; ad esempio, i pochi affetti che aveva…e non si sentiva pronto per quel compito, che vedeva come una montagna insormontabile dinanzi a lui.
 “Ci dev’essere un errore!” Ribatté con una certa foga nella voce, le gambe che tremolavano incontrollabilmente, perché a ogni parola gli sembrava di apparire eccessivamente sfrontato.
“Io non ho mai… mai dimostrato niente più degli altri….”
L’intero Consiglio si scambiò un’occhiata stupita, credendolo un folle a dire quelle cose. “ Io non…” tentò di dire di nuovo il ragazzo, anche se con difficoltà, lo sguardo basso per la vergogna. “Voglio dire, i miei compagni Curatori… avrebbero fatto le stesse cose che ho fatto io. Non ho mai dimostrato di essere speciale .” Il volto della donna si tramutò in un’espressione grave, scambiando di tanto intanto sguardi con gli altri membri, che attendevano una sua decisone. “Dilomen” fece questa con un sospiro, cercando di farlo ragionare. “Se ti abbiamo scelto è perché sei il Curatore migliore degli ultimi secoli! Hai una condotta eccezionale: sei coraggioso, leale. Sai prendere le decisioni giuste al momento giusto e uscire dalle situazioni più disastrate…”
“Già, ma…” Il giovane esitò; era vero ciò che diceva, tuttavia non riusciva a riconoscersi in quelle parole. Incrociò lo sguardo dell’Anziana, che lo spinse a continuare: “Non ho mai pensato a un futuro come Anziano” Alzò il volto verso la sua nuova mentore, tirando su con il naso, prendendo coraggio.
“In tutti questo tempo, mi sono impegnato unicamente per diventare un Curatore, come tutti gli altri. Sono in questa sede da tredici anni ed è sempre stato questo il mio sogno: curare e prendermi cura del prossimo; non ho mai aspirato ad altro.”

Il silenzio calò sulla sala, seguito da un leggero borbottio fra i Maghi e le Streghe. Dopo un momento di confusione, la Saggia Theìla emerse tra le teste degli Anziani e il Consiglio si ricompose. “Questo vorrebbe dire” osservò questa “che non vuoi essere un Anziano?” Fu allora che il giovane Dilomen indugiò, guardando alla sua destra e alla sua sinistra, come per trovare risposta; nella realtà dei fatti, neanche lui sapeva cosa voleva. “Io…. Non lo so. È solo che…è un compito così difficile… sento che mi state dando troppa fiducia… sono troppo giovane e… e inesperto! ”

Saggi si scambiarono di nuovo un’occhiata e il ragazzo attese, sprofondando nello sconforto: sapeva che essere Scelto voleva dire essere superiore, fuori dal comune, e in quella comunità essere considerati in questo modo voleva dire grande onore: ma lui sentiva che non lo meritava, come mettere il mantello dorato sulle spalle del re sbagliato. Poi uno degli Anziani, un uomo dalla barba molto lunga e le sopracciglia cespugliose, si schiarì la gola e Dilomen si ricompose per prestargli attenzione. “Giovane Dilomen” iniziò questo, solennemente, e il Mago avanzò automaticamente sul bordo della poltrona, in tensione. “Abbiamo riflettuto: è molto raro che un Prescelto rifiuti il posto dall’Anziano suo Mentore assegnatogli. Dobbiamo ammettere che negli ultimi dieci secoli, questa proposta è stata presa con la massima responsabilità e, a volte, anche con incoscienza. Tu sei stato il primo che ricordiamo aver rifiutato il tuo posto perché ti senti pari agli altri.”

Il giovane non poteva fare a meno di irrigidirsi, seguendo con determinazione le parole dell’Anziano, impaurito dalla mèta di quel colloquio che, sapeva, stava per giungere a una conclusione, almeno per quanto riguardava il suo futuro. “Perciò, solo per questa volta, daremo la possibilità di scegliere di diventare un Anziano o meno. Tuttavia” aggiunse, alzando una mano per far tacere Dilomen, perché quello era sul punto di ribattere, “questa decisione non va presa troppo in fretta. Di fatti, abbiamo ritenuto giusto affidarti comunque una prova da superare: solo passata quella saprai qual è davvero il tuo posto.”
Questa volta fu il turno di Dilomen a rimanere basito: non sapeva come reagire a quella notizia; a quanto pareva, doveva comunque affrontare qualcosa, che fosse diventato Anziano o meno e non si poteva contestare ancora una decisone del Consiglio. Perciò, non vedendo altra scelta, annuì, accettando così quella proposta.

Il Mago allora agitò una mano nell’aria come un maestro d’orchestra, e subito nelle mani del ragazzo apparve una mappa delle terre attorno alla città del Pollumanèth. Poi, una linea rossa apparve su di essa, tracciando lentamente la strada che il ragazzo avrebbe dovuto percorrere. Con la coda dell’occhio, vide che il percorso segnato seguiva il dito del Saggio su una mappa invisibile.
“Partirai dal Pollumanèth” cominciò ad illustrare questo, “per poi proseguire verso le Terre di Mezzo di Horse, fino al Deserto dei Re Perduti.” La linea rossa si fermò proprio sul posto indicato, formando un punto dove comparve la parola SEDE DEI MAGHI.
 
“Qui vive una colonia dei Maghi Bianchi. È lì che dovrai arrivare, per poi tornare indietro. E consegnerai questo messaggio. ” Con uno schiocco di dita, apparve una pergamena rilegata da un sottile filo di seta rosso intenso. Dilomen lo raccolse, e poi studiò di nuovo il percorso. Doveva ammettere che non era una prova particolarmente difficile: il Deserto dei Re Perduti era distante, ma non così tanto da correre particolari rischi. Si chiese se fosse davvero quello lo scopo del viaggio. “Capiamo la tua sorpresa, giovane Curatore” spiegò l’Anziano, leggendo l’espressione sul volto del ragazzo, “dobbiamo annunciarti, infatti, che non sarà il viaggio d’andata la vera prova, ma sarà fare ritorno.”
Il povero Curatore non sapeva proprio che cosa dire, così non fece niente, restando immobile, le preoccupazioni e le ansie che crescevano sempre più, cosciente del non potersi più tirare indietro. “Partirai fra tre giorni. Ti consigliamo di prendere tutto ciò che ti sarà necessario e di salutare le persone a te più care, ma fai attenzione: nessuno di loro dovrà sapere dove vai né cosa fai: persone pericolose e brutte faccende s’aggirano nel mondo, ed è meglio per tutti non far sapere a nessuno la nostra posizione.” Dilomen s’alzò dalla sedia, che scomparve automaticamente in una nube di fumo e, dopo essersi inchinato solennemente in segno di saluto dinanzi al Consiglio, s’allontanò verso l’uscita. “Dilomen” la voce della Saggia Theila lo fece voltare indietro. “Ci auguriamo che tu scelga il compagno più adatto per partire.” Dilomen si lasciò sfuggire un sorriso; aveva capito di chi stava parlando.
 


“Non sono adatto a questo compito” si lagnò sconsolato il ragazzo, sdraiandosi accanto alla sorella Deila sul prato poco fuori l’Accademia, nei campi accanto al villaggio. La ragazza era una Strega comune; non aveva poteri curativi ed era riuscita a vederla solo in quelle fuggiasche scappatelle dai confini della Sede. Era l’unica persona che voleva vedere; era l’anello che lo congiungeva alla normalità, alla sua famiglia, cosa che gli mancava e che avrebbe voluto sempre vivere.
Gli scuri boccoli della ragazza si stendevano sul prato come tanti ruscelli tra le colline.
“Tu parti” affermò questa, come se stesse assaporando l’evidenza dei fatti; i suoi occhi scuri, così simili a quelli del ragazzo, erano puntati fissi su per il cielo e sulle nuvole dalle tante strane forme.
“Non voglio andarmene” protestò nuovamente il ragazzo, poggiando le mani sul petto, coprendo così il disegno sulla tunica, il suo simbolo di Curatore, la spirale. “Non adesso che avrei più tempo per vedere la mia famiglia. Ho passato tutta la mia vita rinchiuso in quel castello… e ora che posso avere più tempo per….”
“Non l’avresti avuto comunque” ribatté lei, saggia. “ Come Curatore, avresti dedicato molto più tempo agli altri e forse io non avrei più fatto parte della tua vita…”
Automaticamente, la mano del giovane scese su quella della ragazza, stringendola nella sua con intensità.
“Ma sarei comunque rimasto nel villaggio. E sarei venuto al matrimonio…” La ragazza scoppiò in una risata amara; era incredibile quanto potessero essere potenti le illusioni. “Non è vero, non saresti venuto” disse, seria. “Lo so quali sono i doveri dei Curatori, me li hai elencati: pensare prima agli altri che a te stesso, curarli, essere la loro guida se necessario. Tutte cose che tengono impegnato sempre un Curatore e che non gli permettono di avere una vita privata; ed io faccio parte di questa.”

Un lampo di tristezza attraversò il volto della giovane, spingendo Dilomen a stringere la sua mano ancora più forte; e sentiva che la invidiava, perché avrebbe voluto la sua vita, come sapeva che lei avrebbe voluto la sua; il loro rapporto si stabiliva su questo sottile, terribile equilibrio.
 “Io vorrei la tua vita, Deila.” Confessò. “È una vita semplice, dove non ci sono imprevisti, dove sarai felice...” La ragazza non rispose ma si voltò dall’altra parte, come per cacciare via le lacrime e l’insicurezza; senza guardarlo, si mise seduta sull’erba, prestando attenzione al paesaggio attorno a loro. Dilomen capì solo in quel momento che le cose non erano esattamente come le aveva immaginate e si chiese cosa ci fosse che la turbasse così tanto; così le mise una mano sulla spalla, solidale. Aveva conosciuto Eido, il suo fidanzato, ed era un Mago dalle doti eccellenti, soprattutto umane; si chiese quindi come mai fosse così infelice. “Dimmi cosa ti turba.”
Deila indugiò; era come se non sapesse spiegarlo a parole. “Io… io non credo di amarlo. Voglio dire” continuò lei, con lo stesso tono di chi cerca di rimediare a un errore o volesse rimangiarsi la parola, “ non è vero, lo amo, e sento affetto per lui… ma non voglio sposarmi. Per tutto questo tempo, Dilomen, mi sono sempre sentita come se… se la mia vita fosse stata sbagliata. Sento che… non è la strada per me, come se avessi dovuto fare qualcos’altro…”

“La vita è stata ingiusta con tutti e due, allora”  commentò il fratello, cingendole le spalle con il braccio. “ Dilomen io… io avrei preferito essere una Curatrice.”
Il cuore del ragazzo si strinse in una morsa, perché la capiva e viveva lo stesso sentimento e si ribellava dentro di sé; perché non poteva vivere una vita con tutti gli altri? Cosa importavano le sue doti? Voleva essere come tutti gli altri maghi, ed era questo il motivo per cui la partenza dal Pollumanèth gli pesava così tanto. “Lo so” disse soltanto, deciso a mantenere un tono fermo nonostante non riuscisse a nascondere il tremolio nella voce. “Io avrei voluto essere al tuo posto.”

I due s’abbracciarono e si strinsero forte l’uno all’altra; fu in quel momento che Dilomen augurò alla sorella tutta la felicità di questo mondo, perché se lo meritava, perché lei lavorava più di lui e perché Eido era la persona più bella e più adatta a lei che avesse mai potuto immaginare. Quando si sciolsero, notò una bacchetta marrone giacente sull’erba e la prese fra le mani, studiandola con curiosità; era finemente intagliata, con qualche runa che incisa lungo il legno che recitava:

questa bacchetta appartiene a Deila.

Ogni Mago Comune possedeva una bacchetta sulla quale poi compariva il segno di proprietà e, successivamente, l’essenza di ciò che eri o il compito a quale eri destinato a seconda delle tue scelte o quelle delle persone, le cui conseguenze potevano ricadere su di te, e questo accadeva, generalmente, solo con il passare degli anni.
La bacchetta sapeva e avrebbe sempre saputo.
Anche sul suo bastone era inciso il suo nome, ma nient’altro. “È una bella bacchetta” osservò lui, incantato da quel fine oggetto. Deila sorrise, compiaciuta, e fece per riprenderla, quando Dilomen, rigirandola fra le mani, notò qualche nuova runa misteriosa.
“Che succede?” chiese la sorella ma Dilomen la ignorò; con curiosità, prese a leggere avidamente ciò che recitava la didascalia:
 
Deila, colei che alleverà il Mezzo-demone perché rimarrà senza un padre.
 
Il cuore di Dilomen perse un battito; rilesse più volte la scritta e ogni volta si convinceva che non poteva essere quello il destino di Deila e che, se era veramente così, avrebbe dovuto cambiarlo.
Dunque era questo che attendeva la sorella? Avrebbe avuto un figlio dagli insoliti poteri?
Come evitare quell’unione fuori dal matrimonio, che un demone irretisse sua sorella? Non poteva credere di certo che Edo fosse il demone, perché di lui non aveva né l’aspetto né l’atteggiamento e da Curatore quale era avrebbe dovuto riconoscerlo come tale. Chi era allora costui?

Perso com’era nei suoi ragionamenti non si era accorto che Deila si stava avvicinando a lui per vedere la scritta ; e come questa osò, lui si riscosse dai suoi pensieri e avvicinò la bacchetta al petto, come se volesse proteggerla. La sorella lo guardò stranamente, poiché non poteva provare un senso di protezione qualcuno che non era proprietario della bacchetta. “Dilomen?” chiese, preoccupata. “Tutto bene?” Il giovane sembrò riprendersi davvero solo in quel momento; sbatté le palpebre e la presa sull’oggetto si allentò e il suo sguardo cadde subito sulla scritta, per rileggerla di nuovo, per provare a se stesso di non essere impazzito; ma il legno era liscio. Le incisioni sulla bacchetta erano sparite. Lentamente allungò la bacchetta e la restituì senza parlare. Si chiese cosa potesse essere accaduto; forse era quello l’effetto che faceva leggere il destino di altre persone ma mai, mai si sarebbe aspettato una cosa del genere, di agitarsi così tanto.
 Si rizzò in piedi di scatto, pulendosi la tunica dall’erba e dalla terra, sotto lo sguardo stupito della sorella. “ Sei sicuro di sentirti bene?” insisté questa, seguendo basita l’improvvisa frenesia del fratello, ma il giovane ancora una volta non le rispose. Dilomen si grattò la testa riccia, poi prese il bastone e trovò finalmente il coraggio di guardarla negli occhi. Non sapeva se Deila avrebbe mai letto quella scritta, né sapeva se fosse il caso di dirglielo.
Forse un giorno se ne sarebbe accorta, ma solo quando la bacchetta avrebbe deciso che era il tempo. “Devo andare.” Disse semplicemente lui e, con il suo bastone, si allontanò. Quella scritta lo turbava non solo perché era legata al destino della sorella; ma perché, in qualche modo, sentiva che aveva a che fare anche con il suo.
 
 

E tre giorni passarono. Era una fresca giornata e ad accompagnare il sorgere del sole vi era la stessa brezza leggera da ovest, quella che aveva accompagnato Dilomen dagli Anziani. Doveva essere quindi molto importante. Respirando l’aria buona dell’alba, il giovane diede un ultimo sguardo al grande monumento bianco che era stato la sua casa fin da quando era bambino; quella vera, ormai, non la ricordava più. Vestito di stracci, s’incamminò con il suo bastone per i campi del Pollumanèth, poco lontano da dove aveva passato quello strano pomeriggio con Deila, fino a giungere alla soglia di un bosco e fu lì che si fermò, e fischiò sonoramente.
Poco dopo si udì un soffice rumore di zoccoli venire dagli alberi e, bello come un incanto, un unicorno si mostrò; aveva il manto più bello e più lucente che Dilomen avesse mai visto, e i suoi occhi erano neri e profondi come la notte. Nel cuore del giovane regnò la pace. La creatura s’avvicinò a lui di qualche passo, quel tanto da permettergli di accarezzargli il muso con la mano.
“Ciao, Horn” salutò piano il ragazzo, sereno nel cuore. Quell’animale era stato uno dei suoi amici più fidati da quando Dilomen, qualche anno prima, mentre svolgeva un compito da Apprendista Curatore, si era imbattuto in lui nella foresta e aveva curato le sue ferite. Da quel momento fra loro si era creato un legame che neanche la morte avrebbe potuto dissipare. Era questo il compagno che aveva scelto per affrontare il suo viaggio.
Accarezzava il muso e il manto di Horn, quando alle sue spalle sentì degli strani rumori. Subito si voltò e vide, con sua grande sorpresa, arrivare sua sorella, seguita da due signori… i suoi genitori.

Il cuore cominciò battere forte; tutto sembrò improvvisamente surreale; era passato così tanto tempo che a mala pena ricordava i loro nomi… E prima che potesse rendersene conto lo abbracciarono, infondendogli tanta felicità, una sensazione che non provava da tempo; per la prima volta, si sentiva parte di qualcosa e al sicuro. Sua madre, così simile a sua sorella, gli prese il viso fra le mani e lo guardò negli occhi con una determinazione simile alla sua.

“Stai per affrontare un viaggio importante, Dilomen” disse con orgoglio; la sua voce era come linfa vitale; avrebbe voluto rincontrarla in un’altra occasione. “Siamo molto fieri di te.”

Il giovane non poté fare a meno di sorridere a quelle parole; era tanto, tanto tempo che non le sentiva dette con quel tono, se non in modo austero. E adesso erano calde e accoglienti e lo rincuorarono. Il marito si avvicinò alla compagna con un gran sorriso; l’energia che quell’uomo emanava era stupefacente, e Dilomen si sentì in sintonia con lui anche solo avendo visto il suo sorriso. “A questo proposito” disse questo, “abbiamo portato una cosa che ti proteggerà e che ti farà sempre sentire vicino a casa.”
Fu allora che Deila, bella come un sogno, s’avvicinò con un ciondolo a forma di spirale fra le mani. Gli occhi di Dilomen s’inumidirono e, chinando leggermente il capo, si fece mettere il ciondolo al collo.
“Ora, nei momenti di solitudine, potrai guardarlo e sentirti a casa tutte le volte che vorrai.”

Trattenendo a stento le lacrime, i quattro si abbracciarono; Dilomen non poté fare a meno di capire ancora una volta quanto, in tutto il tempo passato, si fosse sentito solo.
Salì in groppa a Horn, pronto a partire; e fu allora che la paura prese possesso del suo cuore.
Guardò la sua famiglia, per trovare di nuovo coraggio.
“Devi andare, Dilomen.” Lo incitò la sorella, serena. “Tornerai, lo so che lo farai. E quando ci rincontreremo, mi racconterai tutte le straordinarie avventure che hai vissuto fuori dal Pollumanèth.” 
Le parole della ragazza lo resero felice e ansioso di tornare, anche se non era nemmeno partito. “Vai, figlio mio” disse il padre. “E rendici onore.”  Guardando i volti dei suoi familiari uno per uno e leggendovi tranquillità e serenità, decise che non c’era motivo di avere timore e che tutto sarebbe andato per il meglio. Così incitò Horn a partire.
“E, Dilomen” lo fermò la sorella prima che potesse correre per le praterie, fuori dalla regione. “Tu al matrimonio sarai presente in ogni caso.” E poggiò la mano destra sul cuore.
Dilomen sorrise e, lasciato partire l’amico equino, abbandonò il Pollumanèth, diventando un puntino sempre più lontano fra le colline, verso nuove avventure.

 
 
 NOTE DELL'AUTRICE: EHIIIII gente come va???? nell'attesa di pubblicare il seguito dell'altra storia con kiarettinalove, mi sono messa a scrivere d'impegno una storia che avevo in progetto da ben 4 anni (ebbene si!) cosa ne pensate? me la lasciate una rensioncina?? tanti abbracci, Averyn
 
 
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Averyn