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Autore: Natalja_Aljona    07/12/2011    1 recensioni
Capelli raccolti, capelli stille di grano, capelli luce di stelle, le sue stelle nelle tue mani.
Treccia sfatta sul vestito chiaro, chioma ribelle, arricciata, scompigliata, sciolti tra le braci delle tue mani, quei capelli.
E lei, a giocarci sempre, con quei capelli, ad intrecciarseli ancora con le dita leggere, a sfiorarti gli occhi, poi, con quelle dita, sbriciolare un sorriso sul timido rossore del volto e ridere, ridere, ridere di te.
Squarcio di cielo, cielo e vertigine, cielo e voragine.
Lei sorride da capogiro e tu davvero non ragioni.
"Alja, mi fai venire le vertigini".
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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Brian George Gibson

Vivevi di luce, eppure mai il sole ha lasciato un sogno a te


Mi davi la tua gioventù,

Nessuno mi ha fermato più

(L'Isola di Wight, Dik Dik)


Era pericoloso, Brian George Gibson.

Questo si ripetevano i Liverpooliani, questo ripeteva Regan Amelie Wilson, diffidente e sospettosa futura dirimpettaia del figlio del Capitano.

Ce n'era sempre stata, di gente pericolosa, a Wavertree.

Ma lui era straniero, aveva la pelle così scura, e poi quella fama da criminale, i precedenti penali!

S'era presentato alle porte del quartiere tra gli sguardi ammirati degli abitanti dei sobborghi circostanti e l'inquietudine di vicini di casa che volevano tenerlo a distanza.

Chi affascinato chi intimorito, però, di fronte al suo epiteto nessuno poteva mostrarsi indifferente.

Brian George Gibson era noto a tutti come "l'Egiziano".

Che rapporto avesse precisamente con l'Egitto, poi, nessuno pareva saperlo.

Forse la pelle molto più scura del consueto, l'accento indoeuropeo, o quell'aria incredibilmente esotica che si ritrovava avrebbero avrebbero potuto dar luogo a dei dubbi, ma il suo fiero etnocentrismo no.

Brian George Gibson, come avrebbero voluto l'anagrafe e la paternità, o Geórgos, come era sempre stato chiamato, era greco, di Sparta.

Era giovane, tanto, eppure non si faceva problemi a conversare amabilmente con il mendicante arabo di Penny Lane o con il dirimpettaio turco che, giunto a dare un buffetto sulla guancia e un bacio fugace alla figlia della donna che aveva abbandonato, aveva riconosciuto in lui uno dei suoi più cari amici "sulla nave", come ripeteva con disprezzo la Wilson, rammentandone i discorsi.

Sarà stato, appunto, il tradimento del marito bizantino con la "cugina ricca", ma Regan non aveva intenzione di fidarsi un'altra volta di uno straniero.

Il padre, invece, dopo aver constatato quali scempi il ragazzo fosse in grado di fare con l'inglese, si rivolgeva a lui nella sua lingua d'origine.

Non per niente aveva sposato Anasthàsja Zemekis, terzogenita del capo dei Kléftes di Spárti, ed aveva chiamato Magna Graecia la sua nave mercantile.

Capitano della Marina Inglese sì, ma era un anglosassone particolarmente filellenico, Sir John Arthur Gibson.

A Penny Lane, però, non c'era solo il mendicante arabo, e difatti Geórgos s'era presto imbattuto in una personcina con la quale le sue care lingue mediorientali sarebbero servite a ben poco, e a cui forse non sarebbero bastate a rubarle un sorriso, questa volta per colpa sua, le sue poche e discutibili conoscenze dell'inglese.

Era piccola, bionda e sfuggente, a tratti tenera e a tratti sospettosa, con la burrasca e le fiamme negli occhi, la fiammiferaia slava.

Uno scriccioletto dal fascino inaudito, seppur forse soltanto per lui, la cui età non voleva sapere per non star male all'idea d'esser davvero un dannato filibustiere a sognare i suoi capelli tra le dita.

Forse il tempo l'aveva tradita, notava guardandola, ma l'infanzia, oltre al gelo, le era rimasta negli occhi, non poteva esser cresciuta in fretta quanto lui.

La pazienza, no, non era una delle doti di cui era solito vantarsi.

Ne aveva solo una vaga idea, ma davvero non sapeva aspettare, lui.

L'età da marito cominciava a dodici anni, e dodici anni non li aveva ancora, la piccina che gli faceva scordare anche il carcere, la bimba che, chissà come, gli ricordava la nostalgia come la libertà.

"Natal'ja", l'aveva sentita chiamare da un ragazzo dai suoi stelli lineamenti nordici, stille di fumo e di mare negli occhi e medesima lingua dal suono mille volte più glaciale del suo greco.

L'aveva trovato impressionante, inizialmente.

Li aveva creduti gemelli, ma s'era dovuto ricredere: la cosa avrebbe implicato come minimo che fossero coetanei, e il ragazzo di anni ne aveva almeno venti.

Aveva ipotizzato che la fiammiferaia fosse sua figlia, e avrebbe anche potuto avere senso, se fosse stato possibile diventar padre a dieci anni o giù di lì.

Poi s'era informato: la fatina di Wavertree era russa, siberiana, ma con il ragazzo parlava in polacco.

Quest'ultimo, Nikolaj, aveva dodici anni più di lei ed era suo cugino.

Natal'ja era la figlia quasi legittima di Harold Morrison, il falconiere - filosofo, che avrebbe sposato sua madre -Julyeta, "la ragazza dei biscotti"- entro l'anno.

Gliel'aveva detto Aisling, la figlia dell'ottomano Rajit e di Regan, con la quale parlava in turco.

Lei, della biondina slava, era la migliore amica, e aveva notato in quest'ultima, quando parlava con Lilì, una luce negli occhi tra la curiosità e la delusione.

Gli era sembrato perfino che guardasse male l'amica, dopo una di quelle conversazioni, e che le chiedesse: "What did he tell you? What is his name?".

Aveva ripetuto le due domande ad alta voce, nel tentativo di tradurle, ma tutto ciò ch'era riuscito ad ottenere era stato farla arrossire furiosamente furiosamente mentre si scioglieva e rifaceva la treccia fino a tirarsi i capelli.

"He's so beautiful, but he never speak to me", aveva sussurrato un'altra volta, facendosi nivea in volto quando le si era avvicinato per domandarle un fiammifero, possibilmente con l'aiuto di Aisling.

Quel "beautiful" gli ricordava un po' il bouleuterion d'Atene, e George pensò che volesse entrare in politica, nonostante la giovane età.

Nella confusione delle sue riflessioni gliel'aveva fumata praticamente in faccia, la sigaretta accesa con il suo fiammifero, e poi spenta tra le pagine del suo libro, che poi aveva riconosciuto come il Candide di Voltaire.

Per la rabbia e l'umiliazione Natal'ja era corsa in casa, e ai "Sygnómi" che le aveva gridato dietro per scusarsi aveva creduto che volesse una "signature", una firma, e che fosse perciò un venditore ambulante, e nemmeno di quelli troppo onesti.

Un giorno aveva finto di sfiorarle inavvertitamente la mano, facendola scattare come un'antilope saltante.

-Khristos, what an idiot! I don't know what do you want from me, but I don't want to know it!-

-Don't want, don't know, don't don't, want know... Oh, Ouranós!- aveva sospirato lui, guardandola quasi sofferente.

Lei aveva sgranato gli occhi e, dopo una manciata di secondi, gli aveva sorriso.

Non sembrava un tipo troppo raccomandabile, Geórgos, ma a quelli come lui, in fondo, era abituata.

No, non esattamente.

Di ragazzi come lui, Natal'ja non ne aveva mai conosciuti.

Un trauma mentale, un colpo al cuore, un sogno, un incanto.

Non sapeva bene come definirlo, il suo incontro con lo Spartano.

Ma poi... Poi se n'era innamorata.


Geórgos, in Egitto, era stato soldato.

Soldato bambino a sette anni, schiavo dei Turchi, voluto e preteso dal capo degli alleati, Ibrahim Pascià.

Era costata cara, a lui, la Guerra d'Indipendenza Greca.

Poi era tornato a Sparta, e a Sparta a sorridere.

C'era stata Liverpool, dopo, il cugino di Natal'ja da affrontare e l'accusa d'averlo ucciso.

La condanna a morte e l'evasione dopo la quale non l'aveva più vista, lei.

Le sue mille promesse, le speranze infrante... Non l'aveva nemmeno salutata.

Era tornato in Grecia, sperava di rivederla, sapeva che non sarebbe successo.

Era ricominciata la guerra, la guerra civile, tra i briganti di suo nonno e il Conte di Micene.

E un giorno non ce l'aveva fatta, a rimanere in piedi, non ce l'aveva fatta più.

Dicevano che sarebbe potuto morire da un giorno all'altro, e quel giorno era arrivata lei.

Era tornata lei.

Natal'ja.

Davvero non c'era più tempo per morire.

Sarebbe stato per un'altra volta.


E confesso il mio peccato, io non mi accontento mai

E non c'è pazzia che non farei

(Vita da Pirata, Edoardo Bennato)


Brian George Gibson, Sparta, 27 Febbraio 1821 - Riyadh, 2 Aprile 1847


Ventisei anni non lo so, se li ho vissuti, se me li son bruciati volando troppo in alto e neanche in questo sono stato il primo, quando mai?

Son sempre stato quello che le regole se le giocava a briscola, io, quello che non riusciva a star tranquillo nemmeno in punto di morte, e a volte faceva più piangere che ridere.

Ma ventisei anni son pochi, cielo mio.

L'Arabia era bella, l'Arabia l'ho vista davvero per un giorno o poco più, quel giorno poteva succedere tanto, ma sono morto io.

Ventisei anni di fuoco, ventisei anni di niente, Dio.

A Sparta a fare il grand'uomo, a Damasco a difendere i Siriani, a Riyadh a lasciarci la pelle, perché con la vita ci ho giocato troppo, io.

Ventisei anni son bastati, dai.
A far il cretino fino all'ultimo, giurando di non aver paura.

M'ha fatto sorridere, quel giorno, Rajit.

Gee, ti vogliono ammazzare!

Non erano mica i primi, me la sarei cavata.

Davanti al patibolo li ho mandati al diavolo tutti, com'erano suscettibili!

E cosa mi han detto l'ultimo giorno, gli Ottomani a cui in fondo son stato simpatico fin dall'inizio, visto come si son venduti l'anima solo per mettermi le catene ai piedi?

Scegli tu a chi dedicare la tua sconfitta, Geórgos.

Natal'ja aveva il mio cuore, ce l'ha ancora, lei ci credeva, in me.

Questa sconfitta tenetela voi, se ci credete.


Io no, non ho mai avuto vita facile

Ma benedico il giorno in cui iniziai a ribellarmi a quelle regole

(Le vie del rock sono infinite, Edoardo Bennato)



Note


Ouranós (greco): Cielo.

Khristos (russo): Cristo

Sygnómi (greco): Scusa.

Wavertree: Quartiere della periferia di Liverpool.

Kléftes (greco): Letteralmente "ladri", nello specifico briganti e partigiani della Guerra d'Indipendenza Greca (1821 - 1829).

Spárti (greco): Sparta.

Bouleuterion: Edificio in cui, nelle poleis greche, aveva luogo il consiglio del demos.


Eccolo qui, George.

Un po' diabolico un po' arrogante, un po' Icaro un po' Achille, dolce, incoerente, ribelle, sregolato George.

George che la vita l'ha bruciata per paura di perderla, George ch'è cresciuto davvero troppo in fretta, ma con Natal'ja, per Natal'ja è sempre stato diverso, qualsiasi cosa, anche a Riyadh, davanti al patibolo, anche quando era troppo tardi.

Spero che vi sia piaciuto, ecco. ;)


A presto,

Marty

  
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