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Autore: Bethan Flynn    07/12/2011    4 recensioni
-Hoshi, che cos’è?- sussurrò di nuovo il ragazzo, avvicinandosi a lei.
Gli sorrise, ma in quel sorriso non c’era gioia, e neppure odio.
C’erano paura, dolore, disperazione.
-E’ quello che potrei diventare io- mormorò solamente –la Caduta-.
Non tutti gli esperimenti sui non compatibili sono falliti.
Una ragazza è sopravvissuta.
E solo a lei spetta scegliere se la vita che le è rimasta sia la dannazione o la salvezza.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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-Che cosa significa questo?- quella voce irata la svegliò.
Aprì gli occhi, e fu come la prima volta che era giunta lì. Vedeva soltanto il soffitto bianco dell’infermeria dell’Ordine, troppo stremata per fare qualsiasi movimento.
Ma almeno era ancora viva, e se lei era viva voleva dire che lo era anche Hoshi.
-Abbassate la voce, generale…- iniziò Komui, ma un pugno sbattè violentemente sul tavolo.
-Chi è questa ragazza? Non è mia sorella, perché Hoshi è all’interno di Hebraska?- il tono salì di parecchie ottave, ferendole le orecchie.
-Hoshi!- qualcuno si era accorto che si era svegliata, evidentemente.
-Non chiamarla a quel modo! Lei non è Hoshi!-
Decise di provare a muoversi. Stare sdraiata lì ad ascoltare la rabbia di quell’uomo di certo non l’avrebbe aiutata.
-Te la senti di muoverti? Come stai?- Komui le fu subito accanto, sostenendole le spalle. I capelli bianchi piovvero in avanti a formare una tenda fra lei ed il mondo, che ora stava per venire a conoscenza della sua vera natura.
-E’… è stata dura- sussurrò, cercando di recuperare l’uso delle corde vocali –come sta?- l’uomo sorrise incoraggiante –il fatto che tu sia sveglia e riesca a muoverti è un ottimo segnale. Fra poco tornerò da Hebraska- Aster annuì, sfinita anche da quegli insignificanti movimenti.
-Chi sei tu?- alzò per la prima volta gli occhi neri ad incontrare quelli di Marian Cross e per la prima volta si sentì intimorita.
Aveva recitato una parte per anni con quell’uomo. Non poteva davvero biasimarlo se l’avrebbe odiata.
Del resto, per lei non significava niente. Si era attenuta a quel ruolo solo per via dei sentimenti di Hoshi, non per i suoi.
-Io… sono Aster- mormorò pianissimo –sono l’innocence di Hoshi- lo disse a voce alta per la prima volta, e fu in quel momento che avvertì profondamente il divario fra lei e quelle creature terrene.
Non l’avrebbero mai più guardata con gli stessi occhi.
-Che significa?- quella voce le fece correre un brivido lungo la schiena. Sentì lo stomaco contrarsi in una morsa gelida.
Perché era lì? Perché doveva sentire?
Era l’unica persona che non voleva che scoprisse tutto, l’unica persona che voleva che continuasse a considerarla umana.
-Significa che hanno ingannato tutti, Allen- sbottò il generale dando le spalle al letto.
-Non è vero!- si stupì di come suonò forte la sua voce in quella frase, a discapito della sua debolezza. Fissò gli uomini di fronte a sé, poi Allen, poi di nuovo il materasso –voglio parlare con Allen, da sola- aggiunse –uscite tutti, per favore- disse pianissimo.
Si sentiva uno straccio. Non sapeva come avrebbe fatto a spiegargli tutto, era certa che non avrebbe mai capito che i suoi sentimenti erano gli stessi di un essere umano, nonostante fosse fatta d’innocence.
Si prese la testa fra le mani. Non si era mai sentita così disperata.

La vide infilare le lunghe dita sottili fra le ciocche di capelli bianchi e rimanere lì a capo chino, senza dire una parola.
Appena la porta si chiuse, afferrò uno sgabello e si sedette vicino al letto, circondandole le spalle con un braccio. Non sapeva cosa fosse successo, aveva il netto sentore che quello di cui Hoshi, o Aster, voleva parlargli non fossero buone notizie, ma non riusciva a vederla in quello stato.
Avrebbe quasi preferito che tornasse gelida e scostante come al solito.
Sentì una mano della ragazza stringere la sua, fredda come il marmo.
-Hoshi…- un brusco scuotimento di testa.
-Non chiamarmi più così, Allen- mormorò –non è quello il mio nome, io non sono Hoshi- si tirò su lentamente, il volto inespressivo, gli occhi neri in cui il ragazzo scorse tutte le emozioni che si stava sforzando atrocemente di non far trapelare.
Iniziò a raccontargli tutto, un fiume in piena di rivelazioni che lo lasciavano sempre più stordito.
-Nessuno sa come sia possibile, ma io sono effettivamente un essere umano, solo mossa dall’innocence, o meglio, fatta di innocence- mormorò –ma il mio corpo funziona come il vostro… e anche la mia mente- Allen intuì dove voleva arrivare con quel discorso, e decise di prendere il toro per le corna.
Mentre Aster parlava, aveva pensato che non gliene sarebbe importato nulla se lei fosse stata fatta di innocence o di marmo, se fosse stata terrena o aliena. Quello che veramente gli interessava sapere, era una cosa sola.
-Aster- disse il suo nome prendendola per mano, interrompendola.
Avrebbe dovuto fare l’abitudine a chiamarla in quel modo, più che al resto, pensò sospirando.
Poi la guardò negli occhi, e tutte le sue convinzioni non fecero che rafforzarsi quando li vide lucidi.
-Allen, io non…- iniziò lei in un sussurro, ma il ragazzo le mise un dito sulle labbra, sorridendo.
-Per quanto mi riguarda, potresti anche venire dalla luna- disse, pensando a quanto comunque sembrasse così –io sono innamorato di te. Ti ho mentito quando ti ho detto che doveva finire, e me ne sono reso conto quando ti ho creduta morta- vide lo stupore misto alla speranza farsi largo sul suo viso –non importa se non sei la vera Hoshi, io è te che conosco. Devo sapere soltanto una cosa- tornò a guardarla seriamente, e lei annuì col cuore in gola.
-Quella notte, stavi fingendo?-
La mente della ragazza volò alle due minuscole parole che gli aveva detto, ed in un istante ripercorse ogni sfaccettatura dei motivi per cui le aveva concepite e la bocca le aveva realizzate senza nemmeno stare a pensare se fossero giuste o sbagliate.
No, non aveva mentito.
Quando Allen aveva detto che sarebbe dovuto finire tutto, era stato come se il mondo si fosse ribaltato. Aveva pensato che forse era la sua maledizione, il non poter essere affine al mondo dei sentimenti umani. Aveva creduto che l’unica cosa verso cui avrebbe potuto indirizzarsi fosse la sua missione di Innocence.
Ma come fare, dopo che si è sperimentata la luce che si è in grado di irradiare e di ricevere, a cadere di nuovo nel buio del proprio interno, estraneo ad ogni specie e freddo come un materiale sconosciuto?
Non voleva mai più riprovare quella disperazione. La morte sarebbe stata preferibile.
Il dolore fisico che fino a quel momento l’aveva tanto terrorizzata e riempita d’odio non le sembrava più così insopportabile, al confronto.
Scosse piano la testa, senza smettere di guardare Allen negli occhi neppure per un secondo.
-Però sai cosa sono. Finirò per trasformarmi nel tuo opposto- a quelle parole, Aster gli strinse una mano e gli scostò una ciocca di capelli che era finita davanti agli occhi.
Fosse anche diventato un Noah, non avrebbe potuto smettere di amarli.
Allora disse l’unica cosa possibile.
-Quando succederà, ti ucciderò- sussurrò –tu sai cosa sono io- lo sguardo del ragazzo si fece dapprima stupito, poi sul suo volto si disegnò il sorriso dolce che lei amava.
-Soltanto tu potevi dirlo. E’ per questo che ti amo-
Dopo quelle parole, per un bel po’ non ce ne furono altre.
Con un futuro così incerto di fronte, entrambi vedevano nell’altro l’unica propria sicurezza.

---

Quanto tempo era che era rinchiuso in quella stanza?
Giorni, settimane, mesi?
Non lo sapeva più. L’interrogatorio del vecchio Bookman l’aveva privato di ogni contatto col mondo esterno, ed anche quando aveva sentito i rumori della battaglia, i crolli e le grida, era rimasto lì, inerme, senza neppure ribellarsi.
Perché aveva attaccato Hoshi a quel modo?
Non lo sapeva nemmeno lui. Era come se una forza cui non aveva potuto opporsi l’avesse spinto e manovrato; una forza resa ancor più potente dalle lacrime di Linalee.
Dunque era quello il prezzo da pagare per un Bookman che si lasciava prendere dalle emozioni?
Il non avere controllo su di sé?
Sentì la porta aprirsi con un leggero clic, ma non si voltò a guardare. Era sicuramente il Vecchio, tornato per ricominciare a metterlo sotto torchio. Ma anche i suoi sensi intorpiditi si accorsero della differenza nei passi che attraversavano la stanza diretti al suo letto.
Si tirò su di scatto, il cuore che iniziò all’improvviso a battere a mille, il corpo avvolto dallo stesso fuoco che l’aveva reso folle.
-Cosa ci fai qui?- la sua voce quasi lo spaventò: non era niente più che un roco sussurro, nulla era rimasto della sua finta gaiezza.
Ironico, pensò. Per la prima volta si stava davvero mostrando senza alcuna barriera.
E non era davvero un bell’aspetto. Lo dedusse anche dall’occhiata per metà sconcertata e per metà addolorata che gli lanciarono quegli occhi scuri.
La ragazza gli porse un bicchiere senza dire una parola.
-Se il Vecchio scopre che sei qui…-
-Avrà tempo da perdere, ora che il segreto di Hoshi è noto a tutti- fu la risposta appena mormorata. Un campanello si accese nella sua testa.
-Che segreto?- chiese, incapace di trattenersi.
Linalee sorrise mestamente –lei… non è la vera Hoshi, la sorella del Generale. E’ la sua arma anti-akuma-
Lavi la guardò senza dire una parola. Per lui non significava niente, ma dubitava che per la ragazza fosse lo stesso. In poche parole, Allen si era innamorato di un’arma.
La sentì sospirare –a quanto pare agisce e pensa esattamente come un essere umano. Nessuno sa cosa sia successo-
-E la sua compatibile? Dov’è?-
-Vive rinchiusa dentro Hebraska. Dicono che altrimenti non riuscirebbe a sopportare lo sforzo continuo della sincronizzazione-
-E Allen lo sa?- Lavi decise di tirare la bomba. Era inutile rimandare quel discorso e continuare a girarci intorno. Linalee annuì, chinando la testa.
Ci furono degli interi, interminabili minuti di silenzio, durante i quali il ragazzo si sforzò di mandar giù quello che la compagna gli aveva portato da mangiare. Il rumore delle sue mandibole riempiva il vuoto della stanza.
-Lavi…- fece lei a un certo punto –mi hanno detto perché hai attaccato Ho… Aster- si corresse avvampando. Evidentemente, il vero nome dell’arma era quello, pensò Lavi. Alle parole di Linalee il cuore aveva iniziato ad andargli a mille. Era sicuro del rifiuto, ma non del fatto che gli sarebbe scivolato addosso senza lasciare tracce, come era solita fare ogni emozione di troppo fino a poco tempo prima.
-Io… non posso ricambiarti. Non ora, non in questa situazione- nel freddo che afferrava le viscere di Lavi in una morsa, il ragazzo sentì un barlume tiepido di speranza.
“Non ora” pensò.
-Ho bisogno di tempo. E anche tu- continuò la cinese –hai attaccato una compagna per un motivo inutile. Sei arrabbiato con Allen, che adesso porta sulle spalle un destino molto peggiore del nostro- la voce le si incrinò –ed io devo dimenticarlo e andare avanti. Prima, non potrò far nulla. Mi dispiace, Lavi- si alzò di scatto dal letto, ma il ragazzo capì di non volerla lasciare andare, non ancora, non prima di aver tentato il tutto per tutto.
Senza dire una parola le afferrò un polso con delicatezza ma con decisione e la tirò a sé.
Serrò l’unica palpebra per non vedere gli occhi sgranati di lei mentre le loro labbra si incrociavano in un bacio proibito, protetto dal silenzio e dalla consapevolezza che ciò che l’aveva scatenato non sarebbe dovuto esistere.
Rimase ad occhi chiusi finchè non udì il rumore della porta che si chiudeva dietro le spalle di Linalee.

---

Colpo, colpo, parata. Rumore di lama contro lama, spostamenti dal rumore appena percettibile, fulminei come colpi di vento. Ogni tanto il cozzare dei metalli l’uno contro l’altro svegliava il pubblico che assisteva meravigliato al combattimento.
Lei, da una parte. L’innocence, l’arma, ormai lo sapevano tutti. Combatteva con tutta se stessa per recuperare l’allenamento perduto durante l’ultima convalescenza.
Dall’altra, uno spadaccino che fino a quel momento avevano ritenuto tutti impossibile da sconfiggere, e che invece stava trovando chi gli desse molto filo da torcere.
Nella sala d’allenamento non volava una mosca. Tutti gli occhi erano puntati o sulla ragazza o sul giapponese, ma non c’era come al solito un allegro chiacchiericcio su chi dei due avrebbe vinto. Gli astanti li osservavano, in silenzio, meditando.
Allen era fra loro, e non le staccò gli occhi di dosso un momento. Sembrava che si stesse riprendendo bene, segno che le condizioni della vera Hoshi dovevano essersi stabilizzate. Per una settimana Aster era stata costretta a letto, e poi non aveva potuto quasi camminare senza appoggiarsi a qualcuno. Inutile dire che Allen era stato ben felice di assolvere all’incarico, ma oltre alla non indifferente scocciatura di trovarsi Link sempre incollato sapeva benissimo che per l’orgoglio di Aster quella situazione non sarebbe potuta continuare a lungo.
Sospirò. Aster. Ancora non ci aveva fatto l’abitudine. Strano che dopo tutto ciò che aveva scoperto l’unico problema rilevante per lui fosse il nome.
“I miei crucci mi stanno rendendo insensibile” pensò. Dopo aver saputo della memory del Quattordicesimo Noah impiantata dentro di sé, tutto era iniziato a sembrargli così falso, così senza ragion d’essere, come se fino a quel momento avesse vissuto in un limbo, totalmente inconsapevole di cosa fossero veramente il pericolo e la paura.
E peggio ancora, aveva avvertito chiaramente quanto nessuno dei suoi compagni, nessuno degli altri Esorcisti, era riuscito a capire il suo stato d’animo. Era come se lui avesse mosso un passo, in avanti o indietro non avrebbe saputo dirlo, e su quel differente gradino l’unica che aveva osato seguirlo era stata lei. Aster.
Un tocco fresco sul braccio lo distrasse dal combattimento e da quei pensieri. Vide Linalee fissarlo e fargli cenno di seguirla. Spostò incerto gli occhi sul combattimento, fissando Aster, che per una frazione di secondo incrociò il suo sguardo, fissò impercettibilmente Linalee e annuì. Allen seguì la compagna sospirando.
Altri problemi? Sperava davvero di no.

Aster scorse di sfuggita Linalee avvicinarsi ad Allen, ed involontariamente le scappò un colpo più forte che il giapponese riuscì a stento ad evitare, guardandola storto.
Si riprese quasi subito, ma il benefico vuoto che il combattimento aveva creato in lei era stato spezzato da quella scena, ed ora voleva concludere per andarlo a cercare da qualche altra parte.
Non voleva pensare. Non voleva farsi venire dubbi, non su Allen. Credeva in lui.
Strinse gli occhi, serrando il ritmo dei colpi finchè la katana di Kanda non volò via di parecchi metri, conficcandosi nel terreno. Fu come se quella bolla di silenzio si frantumasse all’improvviso: tutti quelli che stavano guardando iniziarono a cicaleggiare a più non posso. Aspettò che il moro recuperasse la sua arma, poi quando le passò accanto gli sussurrò un “grazie” appena percettibile, cui rispose un secco cenno d’assenso.
Era stata lei a chiedergli di allenarsi. Aveva bisogno di qualcuno freddo come quel tipo per recuperare la sua calma scostante: in quei giorni sentiva che sarebbe stata necessaria. Kanda aveva accettato senza farle alcun tipo di domanda, e questo era stato un altro punto a favore.
Si somigliavano, ma non si sarebbero capiti mai. Avevano entrambi troppi segreti, troppe ferite da leccarsi.
-Ho… Aster- la chiamò una voce profonda. Si girò controvoglia, ma con un lieve sorriso sulle labbra. Non voleva essere scortese con quel tipo. Era uno dei pochi a non meritarselo, oltre ad Allen, l’unico che tentasse sul serio di chiamarla col suo vero nome.
-Dimmi, Marie-
-Ci hanno assegnato una missione di gruppo, partiremo domani all’alba- disse con un mezzo sorriso, ma la ragazza fece una faccia sgomenta.
-Una missione? Adesso? Ma dico, l’hanno visto come siamo conciati?- Marie era ancora pieno di fasciature, Allen e Lavi meglio non parlarne, Crowley manco s’era svegliato e Linalee passava ancora gran parte della giornata a riposo. Le uniche eccezioni erano lei e Kanda, miracolosamente guarito in tre giorni, come al solito.
Il ragazzo sospirò –lo so, ma a quanto pare è una cosa urgente- Aster sospirò –e va bene. Sarà meglio che vada a prepararmi allora- lo salutò ed imboccò le scale che portavano alla propria stanza.
Una figura ossuta e trafelata le si schiantò addosso da un corridoio laterale, facendola cadere a terra.
-Ehi, ma fa’ attenzione!- ringhiò Aster, massaggiandosi la schiena dolorante. Una terrorizzata Miranda scattò in piedi in meno di un secondo, aiutandola a rialzarsi in maniera eccessivamente nervosa.
-Scusami! Oh santo cielo, scusami! Non volevo, è che… è che… è che…- balbettò all’infinito, finchè all’altra non scappò un sorriso.
-Ehi, calma. Non ti mangerò per questo- Miranda fece una faccia appena appena sollevata, ma quando Aster fece per andarsene le afferrò una manica.
-Senti, stavo cercando te…- mormorò incerta e rossa in volto. La ragazza inarcò un sopracciglio, aspettando che parlasse.
-So… so che sei in missione con Marie. Io… non so cosa fare, ho chiesto a Komui di mandarvi con voi, ma ha detto che sono ancora troppo debole, ma lui hai visto com’è conciato, io…- Aster aveva già intuito dove sarebbe andata a parare la conversazione appena aveva sentito il nome del ragazzo di mezzo. Strinse amichevolmente una spalla a Miranda –ci penserò io a lui- disse tranquillamente –cercherò di fartelo tornare più intero possibile- l’altra le rivolse uno sguardo grato, poi la lasciò andare.

Filò come un razzo per i corridoi, pregando di non essere costretta ad incappare proprio in quello in cui Linalee aveva trascinato Allen.
Speranza vana, come volevasi dimostrare.
Sentì le voci dietro ad un angolo, e fece appena in tempo a fermarsi, appoggiando la schiena alla parete fredda.
-Linalee, non potremmo andare da un’altra parte? Aster potrebbe…- il sussurro di Allen le giungeva alle orecchie perfettamente percettibile, amplificato dal vuoto dei corridoi.
-Ci vorrà poco. Lei si sta allenando ancora- contro ogni suo comportamento precedente, Aster non si scansò. Rimase lì, in ascolto.

-Cosa ci trovi in lei, Allen?- la domanda posta senza tanti giri di parole ebbe l’effetto di fargli strabuzzare gli occhi.
-Linalee, non credo sia…- balbettò incerto. Da una parte non voleva darle un dolore, rivangando la sua totale e spassionata adorazione per Aster, dall’altra si era un po’ risentito per quella specie di richiesta di spiegazioni, come se stesse facendo qualcosa di sbagliato.
Lo è, Allen. Molto sbagliato. Ma perché non dovresti farlo?
Rieccola. L’aveva quasi scordata. La voce che aveva sentito nell’oblio della furia, durante la battaglia, risuonò nella sua testa.
Perché sarebbe sbagliato? Non gli passò nemmeno per l’anticamera del cervello di chiedersi chi fosse a parlare nella sua testa. La sola idea lo riempiva d’orrore, eppure non riusciva ad avvertirla come una presenza molesta.
Perché lei è il nostro opposto. Ma vi è molto di lei in te. Detto questo, la voce tacque, e il ragazzo riemerse dallo stato catatonico in cui era piombato, trovandosi nuovamente di fronte gli occhi lucidi e ansiosi di Linalee.
-Ma insomma, si può sapere che avete tutti?- la aggredì con un moto di stizza improvvisa, così contrario al suo solito contegno che se ne stupì senza fare però in tempo né a pentirsene, né a frenarsi –è fatta d’innocence. E allora? Hai sentito tuo fratello, pensa e prova sentimenti come un essere umano, lei è un essere umano- disse con enfasi. La ragazza sgranò gli occhi, sorpresa da quello scatto improvviso, poi scosse la testa, afferrandogli una manica.
-Non lo è, Allen. L’innocence non è umana- sussurrò, ma quelle parole non fecero altro che infervorare la sua rabbia. Liberò il polso dalle dita di Linalee con uno strattone.
-Se l’innocence non è umana, allora neppure noi lo siamo! Devo ricordarti che ne siamo compatibili?- la sua voce era salita di parecchie ottave, e la cinese si ritrasse spaventata. Si impose di calmarsi.
“Ma che diamine mi sta succedendo?”
-Non sarà umana, Linalee- mormorò con un tono di voce più basso –ma nemmeno io lo sono. Non del tutto- entrambi pensarono di scatto al Noah che premeva dentro di lui, che lo incitava ad abbandonarglisi, a seguirlo nell’oscurità.
-Ma tu sei nato come un essere umano, tu non sei parte delle tenebre, Allen..!- esclamò la ragazza, tentando nuovamente di avvicinarsi a lui, ma l’albino si scansò.
-Nemmeno lei fa parte delle tenebre. E’ così semplice da capire, perché non ci riesci?- ne aveva abbastanza di quel discorso. Se le intenzioni di Linalee erano quelle di distogliere la sua attenzione da Aster, avrebbe fatto meglio a dirle che era una battaglia persa in partenza.
-Perché finirà per distruggerti, qualsiasi cosa accada!- strillò improvvisamente la cinese, perdendo la calma –se sconfiggeremo il Conte e troveremo il cuore, lei scomparirà senza lasciare traccia! Ci hai mai pensato? E se il Quattordicesimo…- prese bruscamente fiato. Aveva sempre evitato di nominarlo davanti a lui, ed ora che l’aveva fatto assieme a quel nome uscirono anche le lacrime –se il Quattordicesimo riuscisse a prendere possesso del tuo corpo, lei ti ucciderebbe- sussurrò piangendo, ma Allen, per tutta risposta, le sorrise.
-E’ proprio per questo che la amo, Linalee- disse con dolcezza –lei è l’unica che potrebbe salvarmi, qualora io mi trasformassi in Noah- le lacrime continuavano a scorrere sulle guance della cinese –io e lei siamo entrambi condannati, e lo saremmo anche se ci separassimo. Se non ci fosse lei, voi sareste costretti ad uccidermi comunque. Lasciate che a farlo sia chi decido io- disse con fermezza, poi, dopo un momento di esitazione, passò un dito sul viso di Linalee, sorridendo. Del suo scatto di rabbia improvviso, di quella voce che aveva levato i suoi più affossati istinti in superficie, non erano rimaste tracce.
-Il Dio che tanto amate ci ha già dato un’esistenza più dura del normale. Lasciate che siamo felici, finchè ci sarà concesso- quelle parole le doveva anche ad Aster. Non voleva che continuasse ad essere oggetto di quell’attenzione impaurita e maligna.

Fece appena in tempo a sgattaiolare via, prima di sentire i passi concitati di Linalee nella direzione opposta alla sua.
L’ascoltare quel dialogo l’aveva frastornata.
Da una parte era arrabbiata con la cinese: dopo tutto quello che era successo, dopo che Lavi l’aveva attaccata per colpa sua, dopo che lei, Aster, l’aveva aiutata a recuperare l’innocence, era andata da Allen per convincerlo a lasciarla perdere.
E poi pretendeva pure di esserle amica. Scosse la testa: evidentemente l’ipocrisia contro cui il suo odio l’aveva messa in guardia esisteva davvero, in fondo.
Dall’altro lato, non avrebbe potuto essere più felice. Le parole di Allen, il suo scatto di rabbia, la fermezza con cui aveva parlato di loro, le avevano fatto capire che lui non l’avrebbe abbandonata, perché avevano un disperato bisogno l’uno dell’altra.







Note dell'Autrice:

Prima cosa fondamentale: se c'è ancora qualche anima pia che segue questa fanfiction, chiedo SCUSA per il ritardo immenso.
Avevo già detto di aver avuto un momento di crisi con questa fanfiction, soltanto ora mi pare d'essermi sbloccata... è stata dura!
Per farmi perdonare ho messo un capitolo piuttosto lungo, spero di riuscire ad aggiornare i prossimi se non con regolarità almeno non troppo distanti l'uno dall'altro!

Grazie a tutti coloro che leggono!!

Baci <3

Bethan
   
 
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