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Autore: Ravenclawer88    08/12/2011    0 recensioni
Ciao a tutti. Leggo e rileggo la saga di Harry Potter da dieci anni e fin da subito ho cominciato a rimuginare su come sarebbero potute andare le cose secondo me. E' un progetto molto lungo, in pratica rivisito l'intera saga, con personaggi, prospettive, dialoghi e ambientazioni diverse, insieme, ovviamente, a quelli che noi tutti conosciamo. Cercherò anche di dare una risposta a tutto quello che la Rowling ha lasciato in sospeso. Non posso inserire spoiler, ovviamente, ma posso garantirvi che di novità ce ne saranno moltissime. Un piccolo ma cruciale indizio: e se Lily e James avessero avuto una figlia, invece di un figlio? Spero sinceramente che vi piaccia.
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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E così era un mago. Un mago vero, non uno di quegli stupidi pagliacci che nascondevano conigli nel doppio fondo di un cappello o mazzi di carte truccati nelle maniche. Era un mago, un Mago con la “m” maiuscola. In fondo, lo aveva sempre saputo. O meglio, non si era mai minimamente sognato di poter fare magie, ma c'era una vocina, lì, da qualche parte, in un angolo remoto della sua testa, che gli diceva di essere speciale. O forse era stato quel serpente a dirglielo. Non ricordava bene, perché per molto tempo aveva cercato di convincersi di esserselo sognato. Non poteva essere... I serpenti non parlano. Eppure, mentre era steso sul suo letto, con gli occhi fissi da ore sullo squallido soffitto del dormitorio, sentì i dubbi riemergere. Certo. Ora tutto aveva un senso. Tutto adesso diveniva possibile. Tuttavia, non gliel'aveva detto, a quello là. Non sapeva neanche bene perché, ma non si era fidato. Avrebbe dovuto essergli grato, dopo tutto gli aveva dato la speranza di un futuro che non aveva mai neanche lontanamente osato sognare. Avrebbe dovuto provare quel senso di... non sapeva manco cosa, affetto, forse? No. Quella era una parola che non compariva nel suo personale vocabolario. Ma almeno una sorta di istintivo attaccamento, sull'onda di quella gioia selvaggia che lo aveva attraversato come una scarica elettrica al momento della rivelazione. Ma no. Non si era fidato. Il suo sesto senso gli diceva fin troppo chiaramente di guardarsi le spalle da quell'uomo alto, con la barba così lunga da poterla tranquillamente infilare nella cintura del vestito... E che vestito, poi! Il tutto completato da quegli assurdi stivali viola. Ma no. In qualche modo sapeva... Era molto meglio meglio tenere per sé il fatto che sapesse parlare con i serpenti. Se poi era così, visto che non ne era affatto certo. Ripensandoci, poi... Come aveva osato... Come aveva osato ridicolizzare con tanta leggerezza i suoi tesori, il simbolo del predominio che con tanta fatica e costanza aveva instaurato sugli altri bambini dell'orfanotrofio? No, se c'era una cosa che aveva ben chiara nella sua giovane mente di bambino, già così adulta per tanti versi, era proprio quella. Il potere, il potere... quello vero, era tutto. E inutile che la signorina Williams continuasse a leggere loro quelle stupide storie in cui il bene trionfa sempre sul male, alla fine, dopo mille peripezie. No, Tom Riddle lo sapeva già, fin da bambino. Bene e male non esistevano. Erano solo storielline inventate per rassicurare le menti fragili. Esisteva solo il potere... e coloro che erano troppo deboli per ottenerlo.

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La pioggia picchiettava insistentemente sul vetro del vagone, mentre viaggiava rapido il treno che lo stava portando verso Hogwarts. Di fronte a lui sedeva un bambino corpulento, dall'aria un po' disorientata sotto quella zazzera di capelli biondi tagliati a scodella. Avery, aveva detto di chiamarsi, o qualcosa del genere. Tom non gli aveva prestato molta attenzione. Era immerso nei suoi pensieri, cercando di mettere ordine nel tumultuoso flusso di ricordi che si accavallavano nella sua mente. Quante cose erano successe! E in così poco tempo! Nel giro di qualche settimana la sua vita era cambiata molto più che in tutti gli undici anni precedenti. Il giorno dopo la visita di Silente si era svegliato indolenzito, con gli occhi gonfi. Aveva dormito poco e male. Nelle settimane successive avrebbe giurato di essersi sognato tutto, se non fosse stato per l'odiosa signorina Williams, che non perdeva occasione di sottolineare il suo stupore per il fatto che qualcuno avesse scelto lui, proprio lui, per una scuola così importante, offrendosi perfino di pagarne la retta. Tom sapeva essere paziente. Nei lunghi anni trascorsi all'orfanotrofio aveva imparato ad incassare le offese, o persino i pugni dei ragazzi più grandi. Ma non aveva mai dimenticato. No, dimenticare, perdonare... tutti sinonimi di debolezza. E chi ricerca il potere non può certo permettersi di mostrarsi debole. Aveva saputo aspettare, trovando sempre, presto o tardi, l'occasione per vendicarsi di ogni torto subito. E gliel'avrebbe fatta pagare. Oh, si! Anche a lei! Quella sciocca della signorina Williams, quella sudicia... babbana, ormai poteva chiamarla così, si sarebbe pentita amaramente di averlo tanto deriso e disprezzato. Lui sarebbe comunque tornato, non importava quanto tempo ci fosse voluto.
Eppure, non era stato facile. Il tempo passava e lui non aveva la minima idea di cosa fare, di come fare. Continuava a rileggere quella preziosa lettera redatta in inchiostro verde, che conservava sotto il cuscino come una reliquia, unica prova del fatto che presto sarebbe uscito da quell'inferno, molto prima di quanto si fosse mai aspettato. Ma come? Non aveva un soldo, e soprattutto non aveva idea di come procurarsi tutta quella roba menzionata nella lista per gli studenti del primo anno. Calderone, libri di incantesimi, scorte di vermicoli per le pozioni? Li avevano portati in gita a Londra parecchie volte, ma non ricordava di aver mai visto un negozio che vendesse bacchette magiche. Aveva il suo biglietto del treno, certo, anche se il fatto di non aver la più pallida idea di dove si trovasse il binario 9 e ¾ gli procurava continue strette allo stomaco. Poi, un giorno, verso la metà di agosto, Silente era tornato. Tom non era stato molto felice di vederlo. Certo, la sua visita significava che avrebbe potuto liberarsi, una volta per tutte, delle mille preoccupazioni che lo assillavano, ma avrebbe preferito che la scuola mandasse qualcun altro. C'era qualcosa nei cristallini occhi azzurri del mago che faceva vacillare ogni sua certezza. Silente aveva modi gentili e affabili e sembrava una persona incline allo scherzo e alla comprensione. Ma Tom non aveva dimenticato lo scintillio scorto dietro gli occhiali a mezzaluna quando aveva dato fuoco al suo armadio. Quando con tanta facilità aveva scoperto i suoi tesori, il simbolo del suo essere infinitamente superiore a quella patetica banda di mocciosi che aveva intorno. Lo sguardo di Silente si era fatto improvvisamente severo e nella sua voce era stato possibile cogliere una nota tagliente nient'affatto rassicurante. Lo aveva... lo aveva rimproverato!, redarguendolo sul fatto che a Hogwarts il furto non veniva tollerato. Ma quale furto, poi. Lui non aveva bisogno di rubare. Era capacissimo di convincere gli altri bambini a consegnargli spontaneamente ciò a cui tenevano di più. Perché lui era più forte, era superiore, era... potente.

Il treno fu scosso da un sobbalzo e Tom fu distolto per un attimo dal flusso dei suoi pensieri, nel quale si reimmerse prontamente, non senza aver notato, tuttavia, quanto la parola “potere” ricorresse spesso nei sui pensieri ultimamente. L'idea di affermare la sua supremazia sugli altri lo aveva sempre solleticato parecchio, fin da quando, piccolissimo, riusciva sempre ad accaparrarsi i giocattoli migliori tra i pochi di cui l'orfanotrofio disponeva. Eppure, ora sentiva che qualcosa stava cambiando in lui, quell'idea gli era penetrata sotto la pelle, gli bruciava dentro, infiammandogli le viscere.
Silente era la prima persona mai incontrata da Tom in grado di far vacillare le sue certezze. Per la prima volta, di fronte al suo armadio in fiamme, si era sentito inerme, incapace di fare qualsiasi cosa, se non fissare con odio l'autore di tale gesto. E questo certo a Silente non era sfuggito, il bagliore dietro gli occhiali a mezza luna era comparso di nuovo. Tom in seguito se ne era accorto, ci aveva ragionato su un bel po' per l'esattezza, ed era giunto alla conclusione che doveva sfruttare al meglio quella che considerava la sua miglior virtù, la capacità di affascinare le persone di cui voleva servirsi. Quando Silente era tornato, dunque, per accompagnarlo a Diagon Alley, aveva assunto un'aria dimessa, mostrando un atteggiamento più docile, malleabile e soprattutto entusiasta, come immaginava che qualsiasi undicenne che si affacciava al mondo della magia dovesse sentirsi. Ma questa parte non gli risultò certo difficile. Per un ragazzino cresciuto nel mondo dei Babbani, fin dall'ingresso nel Paiolo Magico c'era di che stupirsi, eccome, se ce n'era! Tom si guardava intorno sbalordito, ancora incapace di credere che solo due strade più in là ci fosse la fermata della metropolitana da cui erano scesi.
La scuola metteva a disposizione degli studenti bisognosi un fondo a cui attingere per rifornirsi di tutto il materiale necessario, quindi Silente lo accompagnò a comprare la divisa, i libri, il calderone e a fare scorta di ingredienti per le pozioni. Ma Tom fremeva, poiché il momento che tanto sognava, fin da quando aveva ricevuto la sua lettera, non era ancora giunto. Finalmente si fermarono di fronte ad un negozio in fondo alla via, dall'aria apparentemente trascurata e poco interessante. Se Silente non glielo avesse indicato, probabilmente lo avrebbe oltrepassato senza nemmeno notarlo, tanti erano i colori, i suoni e le creature incredibili che si scorgevano da ogni angolo della via. Ma quando lesse l'insegna sbiadita dal tempo e dalle intemperie, il suo stomaco si contrasse: “Da Olivander”, recitava l'insegna, “Bacchette magiche dal 328 a.C.”. Eccolo. Finalmente. Il momento tanto atteso stava per arrivare. Tom stentava a controllare il tremito delle sue mani, tanto che Silente gli sorrise con indulgenza: “Coraggio, Tom, entra. So bene che questo è il momento più atteso da tutti i giovani maghi”. Entrarono e l'interno del negozio non si rivelò diverso da come appariva fuori. Si ritrovarono in un ambiente angusto e polveroso, stipato di piccole scatole rettangolari fino al soffitto. Subito si fece loro incontro un mago di mezza età dagli occhi sbiaditi, che si rivolse a Silente: “Albus! Quanto tempo! A cosa devo la tua visita?”. “Sono qui con il giovane Tom”, rispose Silente, “che deve comprare la sua prima bacchetta”. “Oh! Primo anno a Hogwarts, eh?”, il mago si rivolse al ragazzo. “Molto bene, molto bene...” borbottò e sparì nel retrobottega del negozio. Quando ne riemerse, portava con sé una pila di quelle strane scatole, che si rivelarono contenere ognuna una bacchetta magica. “Vedi, giovanotto”, si rivolse nuovamente Olivander a Tom, “Non esiste una bacchetta che sia uguale ad un'altra. Per crearne l'anima io uso esclusivamente corda di cuore di drago, pelo di crine di unicorno e piume di fenice. Altri costruttori utilizzano anche altri materiali, che definirei quantomeno...” si interruppe come se stesse cercando la parola adatta “insoliti”, proseguì, “Ma comunque, veniamo a noi! Che ne dici di provare questa? Dieci pollici, legno di quercia, corda di cuore di drago, rigida”. Tom la prese in mano, sentendosi piuttosto eccitato, ma non successe proprio nulla e Olivander gliela strappò dalle dita quasi subito. “No, no, così non va proprio... Proviamone un'altra”. Ma nemmeno quella andava bene. “Tom, non scoraggiarti”, intervenne Silente, “Contrariamente a quanto puoi pensare, è la bacchetta a scegliere il mago”. Tom non rispose, tanta era la frustrazione che stava montando dentro di lui. “Vediamo, vediamo un po'...” bofonchiava intanto Olivander. “Ah! Si! Proviamo un po' questa. Legno di tasso, piuma di fenice, tredici pollici e mezzo. Molto flessibile”. Tom la prese in mano e immediatamente sentì una sensazione di calore irradiarsi a tutta la mano, mentre dalla bacchetta spruzzavano scintille dorate. Era una sensazione strana da spiegare, ma era come se la bacchetta, o meglio, la sua mano, fosse lì, dove avrebbe sempre dovuto essere. Sul volto del ragazzo si dipinse un'espressione di trionfo. “Ah! Ecco, è stato scelto. Singolare, Silente, davvero singolare....”. “Cosa c'è di singolare?”, chiese Silente. “Beh, si dà il caso che la piuma che costituisce l'anima della bacchetta del ragazzo provenga proprio dalla tua fenice...”. I brillanti occhi azzurri di Silente saettarono rapidamente verso Tom e lo osservarono come se lo vedesse per prima volta. “Una bacchetta potente, ah si.... Credo proprio che lei diverrà un ottimo mago, signor...?” Olivander guardò Tom con aria interrogativa.
“Riddle”, borbottò Tom a denti stretti. Non sapeva per quale motivo, ma il suo cognome non gli era mai andato a genio. Riddle... indovinello... nella sua mente risuonarono in lontananza le canzonature dei suoi ormai ex compagni dell'orfanotrofio: “Indovina, indovinello, chi ha il nome che è un tranello?”. Era sempre stato infastidito da tutto ciò ma ora.... Come poteva anche solo pensare di farsi strada in quel suo nuovo mondo così affascinante con un nome del genere? In un mondo in cui c'erano persone che si chiamavano Silente, Olivander, Bathilda Bagshot (come aveva letto sulla copertina del suo nuovo libro di Storia della Magia)? No. Lui aveva uno stupido nome Babbano. Babbano... quel termine gli piaceva, era come se finalmente desse un senso al suo essersi sempre sentito fuori posto ovunque andasse. E probabilmente era proprio colpa loro, dei Babbani. Erano così maledettamente normali, così deboli e, perché no?, inferiori... eppure si erano sempre permessi di trattarlo come materiale di scarto. No. Tom Riddle gliel'avrebbe fatta vedere. Sarebbe diventato qualcuno. In quel preciso momento giurò a se stesso che sarebbe diventato il miglio allievo della scuola, che avrebbe scoperto ogni segreto, svelato ogni arcano di quel mondo che tanto lo affascinava, fino ad ottenere il rispetto che sentiva di meritare. Ancora immerso in questi pensieri, fu riaccompagnato alla fermata della metropolitana da Silente, il quale gli spiegò come fare per raggiungere il binario 9 e ¾ il primo settembre, poi si separarono.

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Una voce all'altoparlante lo riportò bruscamente alla realtà: “Arriveremo ad Hogwarts tra mezz'ora, gli studenti sono pregati di indossare le divise”. Il ragazzo non si mosse, poiché la sua l'aveva indossata non appena salito sul treno. Spogliarsi dei suoi abiti babbani gli aveva provocato un fremito d'eccitazione, quasi a voler simboleggiare il suo lasciarsi alle spalle quel mondo tanto odiato. Sapeva cosa sarebbe accaduto di lì a poco. Al Ghirigoro, insieme a Silente, aveva comprato anche un libro facoltativo, Storia di Hogwarts, e lo aveva letteralmente divorato, ansioso com'era di saperne il più possibile sul posto in cui avrebbe trascorso i prossimi sette anni della sua vita. Sapeva quindi che, una volta scesi dal treno, gli studenti del primo anno sarebbero stati accompagnati verso il lago, che avrebbero attraversato su piccole barche di legno, per entrare poi nel castello attraverso una porta secondaria. Dopo di che avrebbe avuto luogo la cerimonia dello Smistamento. Sapeva tutto anche sulle quattro Case. Aveva letto poi di come Grifondoro avesse creato il Cappello Parlante, che ogni settembre, da oltre mille anni, indirizzava i ragazzi verso la loro Casa, quella che sarebbe stata la loro famiglia per tutto il tempo trascorso nella scuola. Come tutti i suoi coetanei, non poteva impedirsi di pensare con trepidazione al momento in cui il Cappello sarebbe stato posto sulla sua testa, ma si tenne in disparte rispetto alla folla sovreccitata e chiassosa di ragazzini che si accalcava verso le barche.
Serpeverde. Il più grande tra i quattro. Colui che selezionava i suoi studenti con più accuratezza, ricercando la determinazione, l'ambizione e la spregiudicatezza nei suoi allievi. Colui che più di ogni altro voleva tenere la feccia babbana fuori da Hogwarts. Tom era rimasto immediatamente affascinato da quella Casa, ma temeva che non vi sarebbe mai stato indirizzato, considerate le sue origini, di cui tanto cominciava a vergognarsi. Poi però aveva cominciato a leggere. E a pensare. Non si nasce maghi per caso. Per quanto frutto di generazioni e generazioni di babbani, dev'essere sempre possibile risalire ad un antenato con poteri magici. Il gene magico poteva rimanere silente per decenni e poi risvegliarsi improvvisamente, ma un motivo c'era sempre. E poi, si era chiesto Tom, cosa sapeva in fondo lui dei suoi genitori? Sapeva che sua madre era morta dandolo alla luce, vivendo soltanto il tempo necessario per chiamarlo Tom, come suo padre, e Orvoloson, come suo nonno. Suo padre invece se l'era data a gambe. Da quelle poche informazioni che erano riusciti a raccogliere all'orfanotrofio, doveva essersene andato ben prima della nascita del figlio, lasciando la moglie incinta e nella più totale disperazione. No, suo padre non poteva davvero essere un mago. La signorina Williams gli aveva detto che, probabilmente, essendo di famiglia ricca e influente, aveva commesso un piccolo “errore”, ma che certo non avrebbe mai voluto tenere con sé un figlio nato da una donna qualunque, che era arrivata sulle scale dell'orfanotrofio ormai in travaglio, completamente sfigurata. Prima di quell'estate, il ragazzo aveva sempre preso per buona quella spiegazione, ritenendola assai plausibile, per quanto umiliante, e si era limitato a considerare suo padre un volgare bastardo, come ce n'erano tanti in giro. Ma ora Tom era troppo entusiasta del suo nuovo mondo per poter anche solo essere sfiorato dal pensiero che suo padre fosse un mago. Una nuova ipotesi si stava affacciando alla sua mente. E se suo padre se ne fosse andato perché aveva scoperto che sua madre era una strega? Certo, questo suonava molto più logico, ora. Ma allora, se dotata di poteri magici, perché non aveva fatto niente per salvarsi? Perché lo aveva abbandonato?
Questi pensieri non potevano che colmarlo di amarezza e di rabbia repressa, tanto che a malapena notò la grandiosità della Sala Grande in cui erano stati finalmente fatti entrare, in cui stava per aver inizio la cerimonia dello Smistamento. Sudando freddo, con i palmi delle mani ghiacciati, Tom attese pazientemente che arrivasse il suo turno. Quando un mago alto e tarchiato, che ricordava vagamente un tricheco, chiamò il suo nome, la sua schiena fu percorsa da un lungo brivido. Salì con incertezza i pochi gradini che lo separavano dallo sgabello e attese, con la certezza quasi assoluta di veder infranti, di lì a poco, tutti i suoi sogni. E invece accadde. Non appena il Cappello sfiorò la sua testa, gridò forte: ”Serpeverde!”, e Tom fu salutato dall'applauso del tavolo da lui più lontano. Ancora incredulo, ma con un sorriso soddisfatto dipinto sul volto, si avviò a raggiungere i suoi nuovi compagni, con ormai in cuore la consapevolezza che Salazar lo avrebbe portato sulla via della grandezza.


  
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