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Autore: Dragana    09/12/2011    7 recensioni
Spin-off di “Una giornata di sole”
Scoprire che la propria ragazza è un licantropo e ci sono cose nel mondo che non si possono prendere a fucilate può essere destabilizzante, specie se non se ne può parlare con nessuno. Meno male che c’è il signor Wolf che, si sa, risolve i problemi.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jacob Black, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
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Note iniziali: Questa storia è uno spin-off di “Una giornata di sole”; si svolge tra il capitolo 8 e il capitolo 9, ossia dopo l’attacco del Vampiro Senza Nome Che Muore Subito. Perché Abraham ha fatto tanto il disinvolto, ma dite la verità: non ci aveva creduto nessuno.
Buona lettura!






A vannagio

La prima volta che ti ho vista pioveva
ma tu sei sempre un raggio di sole!
Tantissimi auguri!



IL NONNO E IL SIGNOR WOLF


Arrivato alla fine di quel lunghissimo sabato, Abraham si chiuse la porta di casa alle spalle e poi infilò le chiavi nella toppa per chiudere, clack, clack, cl…
Arrivato alla terza mandata si bloccò. Tanto non serve a niente, gli venne da pensare. Se qualcosa avesse voluto introdursi a casa sua l’avrebbe fatto, e senza troppe difficoltà. Si sentì come quando, da bambino, la mamma spegneva la luce e la casa diventava improvvisamente piena di strani rumori. Gli tremò la mano, ancora stretta attorno alla chiave.
Si impose di finire di chiudere la porta. …ack. Bene. Andava tutto bene. In trentasette anni nessun vampiro era mai entrato in casa sua, non avrebbero certo cominciato quella sera. Certo, c’era anche da considerare che in trentasette anni nessun vampiro gli aveva mai tagliato la strada nel bosco. Pensò di tenere il fucile vicino al letto, poi si ricordò che tanto il fucile era inutile e comunque gli era caduto di mano quando la vampira bionda l’aveva afferrato, salvandogli la vita.
Il braccio di quella Rosalie sembrava una sbarra di ferro. Il fianco gli faceva un male cane.
Si domandò cosa avrebbe mai potuto fare contro gente che aveva braccia come sbarre di ferro.
Finiscila, Abraham.
Si girò, appoggiandosi con le spalle alla porta. Cercò istintivamente con lo sguardo le cose più banali: il suo ombrello, un paio di atti che si era portato a casa per finirli nel week-end, il plaid colorato sul divano. Era tutto come prima, tutto come quando era uscito di casa, meno di dodici ore fa. Una vita fa.
I suoi occhi si fissarono sulla foto dei suoi genitori, una vecchia foto scattata il giorno del loro matrimonio, pochi anni prima che lui nascesse.
-Mà, sai la mia ragazza, Leah? Ecco, ho appena scoperto che è un licantropo.-
-Ah, davvero? Bizzarro! Ma non puoi pensarci adesso, Abe. Ci penserai domani.-
Sua madre adorava “Via col vento”. Non se ne perdeva una replica. Lui se la ricordava, piccolissimo, che scoppiava a ridere ogni volta che Rossella sparava al soldato sudista e poi diceva: “ho ucciso un uomo… ma non posso pensarci adesso. Ci penserò domani”.
In effetti, sua madre aveva ragione su due cose: quella scena faceva ridere, e adesso era troppo stanco per pensare a Leah che diventava un lupo. Sperava che fosse riuscita ad addormentarsi; scartò l’idea di chiamare Sue per assicurarsene, e si costrinse ad andare a letto.

Non riusciva a prendere sonno, nonostante la stanchezza.
Si era rigirato almeno diecimila volte, aveva contato ogni genere di bestia, aveva perfino provato il metodo del training autogeno (rilassare un arto alla volta) che piaceva tanto a Daisy. Riciclare i consigli della sua ex voleva dire essere proprio neanche alla frutta, all’ammazzacaffè, considerò quando anche il training autogeno fallì.
Si sforzò di tenere gli occhi chiusi e di non pensare a niente. Poi improvvisamente sentì un rumore: qualcuno bussava alla finestra, peccato che la sua stanza da letto fosse al secondo piano e non fosse possibile per nessun essere umano salire fino a lì. Raggelato, si girò lentamente. C’era un’ombra dietro le tende.
Nonostante fosse disarmato, si alzò dal letto e aprì le tende di scatto: niente. Aprì anche la finestra. Guardò di sotto e c’era Leah.
Stava per chiederle cosa diamine ci facesse lì, il dottore era stato tassativo, doveva stare a letto, quando si accorse di un’ombra che le guizzava alle spalle; gridò per avvertirla, ma si accorse di avere la gola paralizzata e di non riuscire a emettere alcun suono. Rantolò il suo nome, ma lei continuava a guardarlo e a sorridere, dicendogli che gli aveva prestato apposta “Uomini d’arme” perché una dei protagonisti è una licantropa, e intanto l’ombra le arrivava sempre più vicino, ed era un vampiro con la faccia simile a un teschio. Cercò di farle dei gesti, invano.
Il vampiro la fece a pezzi davanti ai suoi occhi, senza che lui potesse fare niente per aiutarla. Era paralizzato dal terrore, sapeva che avrebbe dovuto chiamare Jacob, o i Cullen, ma i suoi piedi sembravano inchiodati al pavimento.
Poi il vampiro con la faccia da teschio si girò verso di lui. Aveva gli occhi rossi e la bocca sporca del sangue di Leah. Spiccò un salto.
Abraham gridò e si ritrovò nel letto, madido di sudore, e solo.

Si alzò imprecando. Accese tutte le luci e decise di andarsi a prendere un bicchiere d’acqua. Arrivato in cucina pensò che un bicchiere di brandy sarebbe stato meglio. Lo buttò giù tutto in una volta. Cristo, sapere che aveva amici che se li avesse chiamati si sarebbero precipitati da lui e non poterli chiamare perché, come gli avevano ripetuto una ventina di volte, “tutto questo deve rimanere segreto”, era una vera tortura. Pensò di chiamarli lo stesso e inventare una scusa. Poi gli venne in mente che presto o tardi Harleen e Pamela avrebbero saputo che lui era stato tanto in crisi da aver avuto bisogno di qualcuno nel cuore della notte, gli avrebbero chiesto cosa c’era che non andava e non avrebbero mollato l’osso fino a estorcergli una completa e incondizionata confessione. No, decisamente non era proprio il caso.
Non voleva tornare a letto. Non voleva accendere la televisione (“se qualcosa fa rumore non lo sento” era il motivo esatto per cui non voleva farlo, anche se aveva una certa difficoltà ad ammetterlo a se stesso). Decise di leggere qualcosa sul divano; notò che c’era appoggiato il Codice. Si rese conto che era la cosa più simile a un’arma che avesse a portata di mano (“devo informarla, esimio vampiro, che questa è proprietà privata e la sua è violazione di domicilio. Sono un avvocato, e se non si sbriga a portare il suo culo pallido fuori da qui non si ritroverà neanche le lacrime per piangere”. Certo, come no).
Leah chiamava quel divano “il divano killer”, perché appena ci si appoggiava si addormentava quasi automaticamente. Scostò il plaid e saltò fuori una sciarpetta verde con dei fili dorati, quelle cose leggere che portano le donne attorno al collo; gli venne in mente che Leah si era lamentata che le faceva caldo. Se la rigirò tra le dita. Aveva il suo odore; se la avvolse attorno al collo e cominciò a leggere.
Venne distratto da un rumore che lo fece sussultare. Senza pensarci afferrò il Codice, i sensi all’erta. Niente.
Stava diventando paranoico. Il Codice, santo Dio. Cercò di nuovo con lo sguardo qualcosa che lo calmasse, e stavolta si fissò sul quadro che aveva comprato in una bottega a Volterra, in Toscana. Era come una finestra su un mondo di calma e di sole; rappresentava una pieve sperduta in mezzo alla campagna, inondata di luce. Aveva chiesto informazioni, ma nessuno sapeva né chi fosse l’artista né dove fosse quella pieve, e negli ultimi tempi gli era venuto in mente spesso che sarebbe stato bello cercarla assieme a Leah. Sospirò.
Poi sentì di nuovo il rumore; sembrava un fruscio, fuori.
Se devo morire, voglio vedere la morte in faccia, pensò. Si alzò dal divano e si avvicinò alla finestra, guardingo. Scostò le tende.
Un lupo. Un enorme, fottuto lupo rossiccio, che si infilò nelle ombre appena si accorse del movimento delle tende. Era un altro incubo, di sicuro, non poteva essere altrimenti… o sì? Dove l’aveva già visto?
Aprì la finestra (tanto se vuole entrare entra comunque) e chiamò: –Jacob Black!-
Uno. (E se non è lui?)
Due. (Ma quanti ce ne saranno?)
Tre. (Più che altro: e se fosse pericoloso?)
Quattro. (Chi mi dice che non ce ne siano alcuni che hanno intenzioni ostili?)
Cin…
-Ehi, Nonno, se ti levi da lì salto dentro e mi dai qualcosa da mangiare, che fare la guardia mi fa venire una fame da lupi!-
Abraham sorrise, sollevato.
-Gira l’angolo, Jake. Vengo ad aprirti la porta.-

–Sono il signor Wolf. Risolvo i problemi.-
Jacob Black si presentò davanti alla porta con un ghigno in faccia, nudo come il giorno in cui era venuto al mondo. Abraham lo vece entrare velocemente sperando con tutto se stesso che la signora Graygoose, colei che sapeva i fatti suoi prima ancora che li sapesse lui, a quell’ora fosse a letto.
-È successo qualcosa a Leah?-, gli chiese. Jacob alzò le sopracciglia.
-Leah dorme il sonno dei giusti, grazie a una dose massiccia di quello che credo sia sedativo per elefanti. Porti spesso quei cosi da checca?-
Abraham ci mise un attimo a capire a cosa si riferiva: aveva ancora il foulard verde attorno al collo. Rise.
-E tu ti presenti spesso nudo a casa di altri uomini?-
Rise anche Jacob.
-Non pensavo di dover tornare in forma umana, Nonno!-
-Ti secca se ti prendo per lo meno i pantaloni di una tuta?-
Lui fece spallucce, guardandosi attorno.
-Fai pure. Capisco che vederti davanti il mio enorme birillo ti crei complessi di inferiorità.-
Abraham si limitò ad alzare un sopracciglio e tornare di sopra, per poi scendere con un paio di pantaloni neri dall’aspetto abbastanza comodo.
-Ti staranno un po’ stretti, Jake. Ma ho finito le taglie comode.-
-Eh, in effetti mi staranno stretti, Nonno, sai com’è…-
-Per quanto mi riguarda, ho smesso a quattordici anni di fare a chi ce l’ha più lungo. Non contare su di me.-
Jacob sbuffò e borbottò qualcosa con le parole “noioso”, “avvocato” e “perfettino”. Abraham non reagì in alcun modo.
-Come mai sei qui? Sono in pericolo o roba del genere?- domandò.
-No, figurati, è tutto il giorno che pattugliamo, niente di niente. Avete avuto sfiga e basta. Ma dovevo stare qui almeno stanotte; se quando Leah guarisce viene a sapere che nessuno si è preoccupato di montare la guardia attorno a casa tua, mi stacca quello che ho in mezzo alle gambe e lo dà in pasto alle capre, capisci?-
Abraham annuì.
-Senti, Nonno, ce l’hai o no qualcosa da mangiare?-
-Ho la torta che ha fatto Leah. Le viene benissimo, anche se ogni volta riduce la cucina a un campo di battaglia.-
Jacob si illuminò.
-Ecco, tirala fuori… oh, e hai anche della coca? O della birra? Anzi no, sai cosa vorrei? Qualcosa di quelle robe italiane che fai bere a Leah e di cui lei non si ricorda mai il nome, ma ti trova così eccitante quando glielo dici!-
Abraham, che stava tirando fuori le posate, se ne fece sfuggire qualcuna che cadde a terra fragorosamente. Jacob si era stampato in faccia un sorriso che dimostrava senza ombra di dubbio che l’avesse detto di proposito per provocare una reazione del genere; era evidente che si sentiva molto soddisfatto di sé.
-Leah ti ha detto così?-
Lui scrollò le spalle. –In un certo senso. Leah non ha segreti, per me. Cose da lupi, sai.-
-Ecco, allora, per l’appunto.-
Abraham aveva tagliato due fette di torta, aveva preso tovagliette, forchette e due bicchieri. Aveva portato tutto in salotto. Poi aveva tirato fuori una bottiglia di vino. Intanto Jacob si era già finito la sua fetta e aveva portato in salotto il piatto della torta sbriciolando ovunque. Magari anche questa è una cosa da lupi, sospirò Abraham. Versò il vino.
-Non mi dici che vino è, Abe?- cinguettò Jacob sbattendo le ciglia. Lui soffocò una risata.
-Leah non fa così. Lei mi chiede se siamo più nell’ambito Sangiovese o Brunello. Il giorno che me l’ha chiesto quando le ho aperto un bianco ho capito che avevo tralasciato le basi… senti, Jacob.-
-Mhmpf?- fece lui, con la bocca piena di torta.
-Spiegami queste cose da lupi. Credo sia il caso, no?-
Jake finì il vino in poche sorsate.
-Buona, ‘sta roba da avvocati fighetti. Pensavo peggio. No, Nonno, non ti spiegherò un bel niente.-
-E perché no?-
-Perché tocca a lei. Vedi, Abraham… noi gliel’avevamo detto. Tutti noi. Io, suo fratello, sua mamma, i ragazzi… ma lei niente. Non le toglierò le castagne dal fuoco. Però, se vuoi ti racconto una cosa di Leah.-
-Prego.-
Jacob sbuffò, come se si fosse pentito e adesso parlare gli costasse fatica. Si mosse sul divano, impacciato.
- Allora, è successo un po’ di tempo fa… non tantissimo. Qualche mese. Insomma, c’era questa tipa che, beh, con me si è comportata un po’… come dire?-
- Da stronza?-
- No, per carità! Non proprio da stronza, ma... tipo. È solo che, insomma, aveva le sue grane ed io ero cotto di lei. Non è stata proprio corretta nei miei confronti, questo è vero.-
- Una stronza, allora.-
- Eccheppalle, Nonno! Devi per forza fare l’avvocato? Guarda che lo hai detto tu, eh? Non io.-
-Va bene. Allora c’è questa tipa con le sue grane e tu sei cotto di lei.-
-Ecco. Ma non semplicemente cotto. Io… pensavo che lei fosse la donna della mia vita, capito? E credo lo sia ancora, in un certo senso. Ma insomma… lei poteva fare di me quello che voleva, e lo faceva. Io soffrivo, ma capivo le sue motivazioni. Capivo perché lo faceva.-
Abraham lo guardava intensamente, le sopracciglia aggrottate. Annuì, senza fare ulteriori commenti. Jacob cominciava a capire perché la gente raccontasse più cose all’avvocato che al confessore.
-Solo che obbiettivamente lei con me non si stava comportando benissimo. Ripeto, aveva i suoi motivi, ma non lo stava facendo. Naturalmente le persone che le stavano intorno, i suoi amici, suo… marito, a loro non importava di me. A noi importava lei.-
-E i tuoi amici?-
Ecco. Si chiese se glielo insegnavano al college, agli avvocati, a centrare il punto ogni volta.
-I miei amici. Loro… suppongo lo facessero per rispetto, ecco. Sapevano che io non volevo interferenze. Che a me andava bene così, anche se soffrivo come un cane, letteralmente. Ma lei no. Leah…-
Notò che Abraham aveva appena increspato le labbra. Se lo aspettava, che ci fosse un “ma” vicino al nome di Leah.
-Leah è andata a casa sua e le ha fatto una cazziata epocale. È… ecco, senti, tanto lo verrai a sapere, te lo posso anche dire: la tipa con le grane è Bella. Swan. La figlia di Charlie. Leah è andata da lei sapendo che si stava infilando in una casa piena di vampiri. E poi…-
Si tormentò le dita. Maledisse Leah per non averle dette lei, le cose, a quell’avvocato del cazzo.
-E poi non è solo questo. Lei lo sapeva che mi sarei incazzato, cosa che infatti ho fatto. E che… adesso non posso scendere nei dettagli, cose da lupi, ma potevo sul serio toglierle l’unica speranza che aveva di non rovinarsi la vita. Però…-
-Però l’ha fatto lo stesso.-
Jacob annuì.
-Sì. L’ha fatto lo stesso. Per me. Nessuno tranne lei ha mai fatto una cosa così per me, Nonno.-
Rimasero in silenzio qualche istante.
-E perché me lo stai raccontando?- chiese alla fine Abraham.
-Per farti capire quanto Leah sia una ragazza fantastica. Se le dici che te l’ho detto ti stacco la testa a morsi, sei avvertito.-
-Ma lo so che…- si interruppe. Guardò Jake di sottecchi e abbozzò un sorriso, nascondendolo in una fetta di torta. Poi tornò serio.
-Sai cos’è che mi fa paura?-
Jake scosse la testa. –No, Nonno. L’impotenza? La demenza senile? I russi comunisti che ci porteranno via le donne e mangeranno i nostri bambini?-
-No. Mi fa paura la consapevolezza che ci sia tutta una parte di realtà che non conoscevo, che ho ignorato per tutta la vita e che sia una parte di realtà che può sbattermi giù la porta con un pugno e girarmi la testa con una mano, e io non posso prenderla a fucilate. Questo mi fa una cazzo di paura fottuta, Jake.-
Jacob si versò dell’altro vino. Aveva un’espressione assorta, seria. Quando alla fine gli parlò Abraham vide gli occhi di un adulto, gli occhi che nel suo immaginario avevano i capotribù pellerossa, quelli con la faccia dura, piume in testa e la responsabilità di un popolo sulle spalle.
-Sai, Abe… è normale avere paura. Ci siamo passati tutti. Il giorno prima eravamo dei cazzoni che pensavano alle moto o a come farci baciare da quella che ci piaceva, nemmeno trombarla, baciare, e il giorno dopo eravamo lupi. Ad alcuni di noi non avevano detto niente, papà e il vecchio Aetara ogni tanto raccontavano qualcosa ma naturalmente nessuno li prendeva sul serio, e poi… bam! Hai una tribù intera da proteggere contro gente che non fa una piega se la prendi a fucilate, sì. È figo solo nei fumetti, Nonno. Anche noi avevamo paura, io ho ancora paura, cazzo. E quindi? Cosa possiamo farci? Niente. Prenderci le responsabilità anche se non le vogliamo, e combattere.-
Abraham sospirò.
-Jake… tu hai paura, ma puoi fare qualcosa. Non sei… completamente impotente, capito cosa voglio dire? Io che armi ho? Un fucile inutile, e le leggi degli esseri umani, che suppongo siano inutili.-
-Certo che lo sono. Dillo ad Aro, che i Cullen hanno diritto a un avvocato.-
-Chi è Aro?-
Abraham ebbe l’impressione che Jacob non avesse sputato per terra solo perché non gli sembrava il caso di sputare sui pavimenti altrui. Sbuffò.
-Il peggiore bastardo sorridente figlio di puttana che… lascia stare. Questo adesso non c’entra, e poi è a Leah che spettano le spiegazioni, te l’ho già detto. Comunque, Nonno, ce l’hanno fatta anche le femmine. Non mi dire che cedi tu.-
-Le femmine? Jacob, non dare per scontate le cose, se poi non ha intenzione di spiegarmele, va bene?-
-Ok, cazzo, le ragazze degli altri: Emily l’hai vista, è la ragazza di Sam, l’ex di Leah… poi Kim di Jared, mia sorella…-
-Aspetta. Aspetta. Quanti lupi ci sono, esattamente, oltre a voi cinque?-
-Nonno, checazzo, allora! Ce ne sono altri tredici, va bene?-
-E uno è Sam. Leah e Sam sono lupi.-
A Jacob si aprì in volto un ghigno enorme. L’Uomo sconfitto dal Cazzone. Piangiamone la prematura scomparsa e intoniamo canti di requiem.
-E tu e la tua ex siete avvocati. Leah dovrebbe essere gelosa per questo?-
Abraham incassò; in effetti se l’era cercata. Si chiese se fosse normale farsi venire i travasi di bile immaginando la propria ragazza lupo rotolarsi tra le frasche con un altro lupo; tutto ciò era talmente surreale che scoppiò a ridere come un matto.
-Nonno… mica mi rimani secco, eh? Cos’hai da ridere?-
Abraham aveva male alla pancia e gli mancava il respiro. Cercò di riprendersi, ma ogni tanto esplodeva di nuovo in uno scoppio di risate isteriche.
-Non è un avvocato, Jake. La mia ex, dico. Lavora negli uffici dei grandi magazzini a Port-Angeles, se lavora, perché ha avuto una bimba da poco… niente frasche!-
-Frasche? Dì, Nonno, ti sei rincretinito? Chiamo l’ambulanza?-
-Chiamala, ma attento perché non si sa mai, potrebbe esserci come dottore un vampi…- non riuscì a finire la frase, soffocato dalle risate. Jacob si chiese se il metodo degli schiaffi per far riprendere la gente dalle crisi isteriche non avrebbe finito per staccare la testa all’Uomo Della Vita Di Leah, e decise di lascare perdere.
-Nonno, non impazzire, non puoi, se impazzisci Leah non me lo perdonerebbe mai! Facciamo una cosa normale, ok? Guardiamo un film. Cosa vuoi vedere? Biancaneve sotto i nani? La caricavano in centouno? Il marchese del grilletto? Eh?-
Lui finì di ridere e si asciugò gli occhi con la sciarpetta di Leah. Ogni tanto esplodeva in un nuovo scoppio di risa convulse.
-Quelli ho smesso di vederli al college. Ma se proprio ne senti il bisogno vedo di recupararteli… intanto guarda in quel mobile, ho i DVD.-
Jacob si mise a scartabellare i film.
-Quelli di Toretto li ho già visti, questo è sfrancicamaroni e non ne ho voglia, “L’avvocato del diavolo” ha ha ha… che cos’è “Lock & Stock”?-
-Lo stesso regista di “Snatch”…-
-Allora questo! Questo lo devo vedere! Eh, Nonno?-
Abraham annuì, continuando a ridere di tanto in tanto. Si mise comodo mentre Jacob faceva quello che voleva col suo televisore e gli sbriciolava tutto il divano con la torta di Leah. Arrivò al punto in cui Rory Breaker dà fuoco al tizio che non vuole fargli vedere la partita, poi si addormentò.
Quando riaprì gli occhi il film era finito da un pezzo e Jacob era accanto a lui che russava rumorosamente sul divano killer. Il suo corpo era talmente caldo che non aveva sentito nemmeno la mancanza del plaid; da quando conosceva Leah quel plaid era diventato praticamente inutile. Si chiese se fosse un’altra cosa da lupi. Si alzò lentamente dal divano.
Jacob gli afferrò il braccio; improvvisamente era sveglissimo, e lo smicciava dal basso.
-Dove pensavi di andare, Nonno?-
Abraham trattenne un sorriso.
-In bagno, Jake. Posso andare in bagno, per favore?-
Lui bofonchiò qualcosa e lo lasciò andare. Quando tornò, Jacob aveva spento la TV e dormicchiava, ma appena lo sentì lo guardò tra le palpebre socchiuse.
-Guarda che puoi dormire, Jake. Se preferisci puoi anche andare a letto, ho la stanza degli ospiti di sopra.-
-Non dormo. Riposo gli occhi. Tu vai a letto?-
Per tutta risposta Abraham si sedette sul divano killer.
-Dormo qui, stanotte.-
-Ti faccio compagnia, Nonno. Così se arrivano i vampiri cattivoni ti salvo.-
Abraham fece un sorrisetto ironico, ma Jacob chiuse gli occhi proprio in quel momento e non se ne accorse.
-Lodevole.-
-Lo faccio solo per Leah-, biascicò.
-Lo so-, rispose Abraham, tirandosi addosso il plaid.

Abraham si svegliò riposato e tranquillo; aveva appena un po’ male al collo, ma fuori non pioveva e non aveva avuto altri incubi. Accese il telefono.
“Se non sei a Paperopoli, fai un’opera di bene e passa a farmi un saluto. Madre saprà ricompensarti. Io no, ma lo farò in futuro. Sarò La Tua Fottuta Umile Serva, promesso.”
Gli venne da ridere. Tipico di Leah non dare per scontato che sarebbe passato da lei appena sveglio anche se gliel’aveva detto almeno sei volte la sera prima. Per scrivere il messaggio sicuramente si era alzata di nascosto; giurò a se stesso di dirlo a Sue.
-È finita la torta, Nonno-, esordì Jacob stiracchiandosi sul divano.
-Buongiorno anche a te. Lo so, l’hai finita tu.-
-Vero. Quindi cosa mi offri, come ricompensa per essere rimasto tutta la notte a fare la guardia?-
-Un caffè come Dio comanda. Anche se…-
-Se cosa?-
Abraham lo fissò con lo sguardo acuto che nel suo immaginario aveva Sherlock Holmes o roba così.
-Jacob, dimmi la verità: tu non facevi la guardia per sicurezza, contro eventuali vampiri. Tu facevi la guardia a me, perché non mi venisse in mente di filarmela da qualche parte, giusto?-
Jake ghignò.
-Sei perspicace, Nonno. L’hai capito quando ti sei svegliato per pisciare?-
-No, lì ne ho avuto la conferma, ma lo sospettavo già da prima. Il fatto è che non avevo la minima intenzione di filarmela da nessuna parte. Non ci ho nemmeno pensato. La realtà che mi spaventa esisterebbe comunque, Leah
esisterebbe comunque, e questo non potrei mai dimenticarlo. Che senso avrebbe scappare?-

-…Ah. E perché non me lo hai detto subito, allora?-
Lui sorrise.
-Perché vedi, adesso devo andare da Leah, e domani al lavoro e poi di nuovo da Leah, e quindi…-
Si interruppe. Il sorriso si fece terribilmente beffardo.
-E quindi cosa?-
Leah aveva ragione. Quell’uomo era davvero capace di fare scintillare gli occhi.
-E quindi avevo veramente bisogno di sfogarmi con qualcuno e poi dormire tranquillo, stanotte.-













Note: Bene, è tipo dalla fine dell’estate che ho in mente questa storia, ma poi, tra una cosa e l’altra, non la scrivevo mai. Però poi succede che vannagio compia gli anni (eh, prima o poi capita a tutti) e siccome è stata lei a portare alla ribalta il Nonno, ho pensato che gliela dovevo. Mi aveva perfino aiutato, infatti le prime battute del dialogo in cui Jacob racconta delle sue grane con Bella (fino a: - Eccheppalle, Nonno! Devi per forza fare l’avvocato? Guarda che lo hai detto tu, eh? Non io. “, che mi è piaciuta da matti) me le aveva scritte lei.
Spero che apprezzerai il risultato finale, Giò!
Per il resto, in ordine di apparizione: la battuta di Rossella O’Hara fa ridere. Davvero, quella scena per me è sempre stata comicissima! Certo se avessi riso meno e dato retta a Mammy forse a quest’ora sarei fidanzata, ma sorvoliamo, che è meglio…
“Uomini d’arme” è un libro di Terry Pratchett e c’è davvero una licantropa. Bella, bionda e poliziotta.
Il quadro che ha comprato Abraham a Volterra… ebbene, io so chi l’ha dipinto e cosa rappresenta. Dico solo che non è una grande idea cercare quella pieve, per nulla.
La battuta “Sono il signor Wolf, risolvo i problemi” viene dritta da “Pulp Fiction”. Lo sapevate, vero?
La battuta di Jacob “mi stacca quello che ho in mezzo alle gambe e lo dà in pasto alle capre” viene dritta dritta da un personaggio di una serie di libri. Non, non è un membro della Confraternita del Pugnale Nero, ma si tratta di Shagga figlio di Dolf de “La canzone del ghiaccio e del fuoco”.
I film porno che cita Jacob, giuro, esistono.
Se qualcuno volesse godersi la scena di “Lock & Stock” in cui Rory Breaker da fuoco al tizio che non vuole fargli guardare la partita, vada qui: http://www.youtube.com/watch?v=BDCot9Mh2yg

Infine, GRAZIE. Grazie a voi che se siete qui è perché avete letto anche “Una giornata di sole” e non sapete quanto mi avete fatta felice con i vostri commenti e le vostre risate, grazie a chi leggerà e passerà di qui, grazie a tutti voi.
E di nuovo AUGURI, GIOVANNA!

   
 
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