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Autore: RobTwili    09/12/2011    6 recensioni
Sequel di Redemption
Sono passati tre anni da quando Aileen ha varcato il cancello della clinica di disintossicazione.
Tre anni trascorsi a fianco di Robert.
Lui l’ha aiutata a superare ogni difficoltà, anche quando i fantasmi del passato hanno deciso di uscire.
Lei si è impegnata con tutta se stessa per cercare di non deludere lui, l’unica persona che abbia mai tenuto a lei.
Sono buoni, ottimi, amici; condividono una casa a Los Angeles.
C’è però un piccolo problema… Cupido, come sempre, è uno stronzo.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'My Redemption is Beside you'
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7
Sequel di Redemption. Non è necessario aver letto il prequel per comprendere questa storia. Ho cercato di riportare alcuni eventi in modo che possa risultare comprensibile a tutti.







«Ci vediamo stasera» mormorò, accarezzando di nuovo le mie labbra con le sue.
«Ciao» sussurrai, tra un bacio e l’altro.
«Ricordati di chiamare tua mamma, sai che devi dirgli che non riusciamo ad andare…» bofonchiò, mordendomi il labbro.
Mia madre, sì… abitava a Londra, no?
Ci aveva chiesto di ritornare lì per… qualche motivo, che al momento non riuscivo a ricordare.
«Mhhh» ribattei, incapace di formulare una risposta decente, mentre facevo scorrere la mia mano su e giù, lungo il suo fianco.
Separarmi da Lee, dal suo corpo, diventava ogni giorno più difficile.
Non riuscì a nascondere una risatina, prima di lasciarmi un ultimo bacio e correre verso la porta, chiudendosela alle spalle.
Erano passati tre giorni da quando Lee mi aveva confidato di amarmi.
Tre giorni in cui eravamo stati impegnati tra letto e cucina. Non avevamo poi molte pretese, dopo un pranzo o una cena veloce, Lee mi attirava di nuovo a letto, tentandomi in tutti i modi possibili.
Chissà perché, improvvisamente, i suoi completini trasparenti non erano più una tortura malvagia. Non lo erano quando Lee correva da me, che ero beatamente seduto sul divano in sala da pranzo; attirava la mia attenzione su di sé, sfoggiando solo un misero completino. Inevitabilmente, quegli inutili pezzi di stoffa finivano sparpagliati in qualche parte della casa, prima di essere raccolti un tempo indefinito dopo.
Volevo però che Lee provasse tutte le gioie dell’essere innamorati, anche il corteggiamento.
In fin dei conti, eravamo partiti dalla fine. Una cosa insolita, certo, ma poteva mai, qualcosa collegato a Lee, essere usuale?
Mi alzai dal divano, sistemandomi la maglia e prendendo in mano il telefono.
Sapevo esattamente chi chiamare.
Dopo aver composto il numero di telefono, feci la mia prenotazione. Volevo l’ordine entro le sette di sera, almeno mezz’ora prima che Lee tornasse a casa, visto che comunque dovevo preparare tutto.
Ringraziai il ragazzo con cui avevo parlato e riattaccai.
Doveva essere tutto perfetto, in fin dei conti, per quanto strano, quello era il mio primo appuntamento con Lee.
Seconda cosa importante: il cibo.
Lee amava quello cinese.
Chiamai il ristorante, prenotando una consegna a domicilio.
Non c’era altro da fare, no?
Per il dopocena avrei proposto a Lee qualche film, in fondo ne avevamo tanti.
Dopo aver sistemato un po’ del disordine che c’era in casa, corsi a farmi una doccia.
Quando, dopo aver frizionato i capelli con l’asciugamano, mi guardai allo specchio, cominciai a ridere da solo, davanti alla mia immagine.
«Cazzo Rob, ti sei rammollito» ghignai, guardando i miei occhi che sembravano addirittura più luminosi, per quanto erano felici.
Non pensai nemmeno di radermi la barba: sapevo che Lee la amava.
Indossai un paio di jeans e una camicia: era pur sempre un appuntamento e io volevo essere elegante.
Il campanello suonò, facendomi correre giù per le scale.
«Sì?» chiesi, al citofono.
«Sono qui per l’ordine che è stato fatto oggi pomeriggio» rispose una voce di uomo.
«Oh sì, apro subito». Speravo fosse qualcuno abbastanza discreto da non svelare la mia identità nel caso in cui mi avesse conosciuto.
«Potrebbe aprire il cancello grande? C’è tanta roba da scaricare» si lamentò.
«Certo» risposi, trattenendo a stento un sorriso.
Non era mai troppo, quando si trattava di Lee.
Lasciai che il fattorino scaricasse tutto il contenuto del camion davanti alla porta di casa e, dopo averlo pagato, aspettai che uscisse per poter richiudere il cancello.
Cominciai a sistemare i fiori, disponendoli a piccoli mazzetti, tutti attorno alla stanza.
Non ero di certo un arredatore, ma mi sembrava di aver fatto un buon lavoro.
Quando appoggiai l’ultimo mazzo di rose sopra al piano, il campanello suonò di nuovo.
«Sì?» chiesi, sapendo già che era il ragazzo del ristorante cinese.
«Ordinazione dal ristorante cinese» ribatté, mentre aprivo il cancello per farlo entrare.
Dopo averlo pagato, lo salutai e ringraziai, aspettando che uscisse da casa.
Lee sarebbe arrivata entro cinque minuti, non c’era altro da fare, ma ero comunque agitato e non riuscivo a rimanere fermo.
Accesi le candele sul tavolo della cucina e sentii un’auto rallentare.
Doveva essere arrivata.
Chiusi la porta della cucina alle mie spalle e, dopo essermi sistemato la camicia, andai davanti alla porta per aspettare Lee.
«Rob sono a ca…» strillò, prima di fermarsi, una volta accortasi di tutte le rose rosse che erano sparse per il salone.
«Ciao Lee» mormorai, sfiorandole le labbra con le mie.
«Vuoi diventare un fiorista o qualche stalker ha pensato che la nostra casa avesse bisogno di un tocco di… rosso?» ghignò, togliendosi le scarpe.
«Veramente… sono per te» sussurrai imbarazzato.
Che cosa mi era venuto in mente?
Lei non era una ragazza come le altre, perché avevo comprato tutte quelle rose?
«Cosa?» domandò, stupita.
«Io… le ho comprate per te, per farti un regalo» mormorai, giocherellando con una rosa che era lì vicino.
«Per me?» chiese Lee, avvicinandosi a me.
«Sì, io… lasciamo stare» mormorai, sbuffando.
Avevo sbagliato tutto.
«Rob». Mi abbracciò, baciandomi sulle labbra. «Sono tantissime» osservò, avvicinandosi a un mazzo di rose. «Sono bellissime» disse emozionata, accarezzando un bocciolo con i polpastrelli.
Il suo sorriso mi contagiò e pensai che in quella stanza c’era qualcosa di più bello di un centinaio di rose.
«Ti sbagli» soffiai al suo orecchio, abbracciandola da dietro.
«Cosa?» sussurrò, portando le sue mani sopra alle mie, che le stavano accarezzando la pancia.
«Non sono bellissime, non quanto te» fremetti, sfiorandole l’orecchio con le labbra.
«Rob» mugugnò, strusciandosi contro di me.
«No». Feci un passo indietro, prima di perdere il controllo. «Non adesso. C’è una sorpresa per te» le spiegai, mentre cominciava a ridere.
«Ho capito perché mi volevi fare una sorpresa, perché dopo vuoi il contentino, eh?». Tornò vicina a me, circondandomi il collo con le sue braccia e mordicchiandomi il labbro.
«Lee, un attimo per favore». La respinsi ancora. Era difficile resisterle, ma dovevo farlo se volevo mostrarle tutto quello che avevo preparato.
«Va bene» sbuffò, incrociando le braccia al petto, arrabbiata.
«Dai» ridacchiai, lasciandole un bacio tra i capelli. «Ascolta, questo è un appuntamento. Ti ho comprato i fiori, adesso andiamo a cena» spiegai, continuando a guardarla.
«Ah, perché dopo la cena… giusto, se è un appuntamento» sghignazzò di nuovo.
«Lee, per favore, potresti non pensare a fare l’amore per cinque minuti?». Non chiedevo tanto.
Già era difficile per me resistere, se in più lei continuava a ricordarmelo, non saremmo usciti da quella casa.
«Sei tu che me lo ricordi, continui a guardarmi in quel modo che… cazzo Rob! Ti salterei addosso» disse, senza pensare di  usare mezze misure.
«Lee, per favore» piagnucolai, ormai convinto che avremmo fatto l’amore di nuovo lì, sul divano.
«Ok. Basta. Sto rinchiudendo gli ormoni in cassaforte, quella che aprirai tu stasera» ridacchiò, prima di ritornare seria dopo lo sguardo che le lanciai. «Dicevamo. Dobbiamo uscire a cena? Questo è perfetto, perché ho un vestito che ho comprato. Credo che ti piacerà, sai?» sogghignò, pizzicandomi un fianco.
«Ti prego, non dirmi che è uno di quelli che ti metti senza reggiseno e che ha lo scollo fino all’ombelico. Lee, non farmi questo» mi lamentai, sporgendo il labbro inferiore come un bambino.
«Sono sicura che ti piacerà» ripeté, mordicchiandomi il labbro. «Vado a cambiarmi allora» sussurrò, dopo un veloce bacio.
Non sapevo perché, ma di Lee non mi fidavo.
Più che altro era la sua scelta sui vestiti.
La sua passione per quelli scollati.
Li amavo, certo, ma mi piaceva di più levarglieli; e in quel momento non potevo farlo.
Qualche minuto dopo, sentii Lee imprecare dal piano di sopra.
«Tutto bene?» gridai, alzandomi dal divano.
«Sì, sono i tacchi. Sto scendendo» mi informò.
Pochi secondi dopo, Lee comparve davanti a me.
Rimasi a guardarla per quasi un minuto, incapace di formulare una frase sensata.
«Fa tanto schifo? In negozio tutti hanno detto che mi stava bene» mormorò, guardandosi il vestito.
«È uno scherzo?» chiesi, con un filo di voce.
«No. Fa schifo, vero?» tornò a chiedere, togliendosi le scarpe per andare a cambiarsi.
«Ti avevo chiesto solo una cosa: non indossare vestiti scollati, che porti senza reggiseno. E tu che fai? Ne indossi uno con lo scollo fino all’ombelico, che mi fa vedere il tuo seno se ti giri di fianco» spiegai, avvicinandomi a lei e accusandola di volermi sedurre.
«Sì, ma… non ho tette, cioè, non devo nascondere niente» ribatté, tastandosi il seno con le mani.
«Sta ferma, che peggiori la situazione» gemetti, prendendo i polsi tra le mie mani, per fermala.
«Ti piace?» chiese, aprendosi in un sorriso radioso.
«Il discorso non è se mi piace o no, il problema è che con questi… pezzi di stoffa messi a casaccio su un manichino e poi indossati da te… io non capisco proprio più niente Lee» confidai.
Lee cominciò a ridere, prima di abbracciarmi.
«Quanto sei cretino» soffiò sulle mie labbra, baciandomi.
Chiusi gli occhi, lasciandomi trasportare dalle labbra di Lee e dal rumore dei nostri baci.
«Rob…» mugolò, quando feci scorrere la mia mano lungo la sua schiena. «Rob» ritentò, non appena la mia mano scese, verso il suo sedere. «La… la cena, ricordi?». Appoggiò le sue mani sul mio petto, allontanandomi appena da lei.
«Sì, la cena» mormorai, schiarendomi la voce.
Cena, non dopocena.
«Andiamo?» chiese, sfiorandomi velocemente le labbra.
«Certo» risposi sorridendole, prima di circondarle le spalle con un braccio.
«È tanto distante questo ristorante?» si informò, mentre le aprivo la porta di casa per farla uscire.
«No, qui dietro l’angolo» ghignai, incapace di trattenermi.
«Ok». Lee alzò il viso per guardarmi, e rispose felice al mio sorriso.
Solo in quel momento ricordai un particolare: da quando Lee dormiva nel mio stesso letto aveva smesso di fare incubi.
Non si svegliava più urlando, non si muoveva più irrequieta tra le lenzuola, scacciando fantasmi dal passato.
Sembrava davvero felice.
La condussi dietro la casa, fino alla porta della cucina.
«Rob, perché stiamo andando nella nostra cucina?» chiese, confusa.
Quando aprii la portafinestra e Lee si accorse della tavola imbandita e ornata di candele, si immobilizzò.
«Wow» mormorò, avvicinandosi lentamente al tavolo.
Sfiorò con la punta delle dita i petali di una rosa che avevo posato in mezzo al tavolo e, lentamente, tornò di fianco a me.
«Io…» cercò di dire, mentre i suoi occhi diventavano lucidi.
«Non farlo, non piangere» sussurrai, prendendole il viso tra le mani e baciandola dolcemente. «Non piangere» tornai a ripetere, tra un bacio e l’altro. «Te lo meriti, capito? E mi sento idiota al solo pensiero di averti privato di questo per tutti questi anni» mormorai, togliendole con il pollice la lacrima che stava scendendo sulla sua guancia.
«Tu non ti rendi conto di quello che dici» sussurrò, scuotendo la testa.
«Sì che me ne rendo conto, e so benissimo che ho ragione» spiegai, dandole un bacio sulla punta del naso.
«Tu non ti accorgi nemmeno dei difetti che ho. Vedi solo il mio unico pregio» insisté, senza però allontanarsi da me.
«Il tuo unico pregio» ripetei, incapace di nascondere un sorriso, «e quale sarebbe questo pregio?» chiesi.
Lee non capiva che era una persona splendida.
«Che riesco a fare l’amore bene, per colpa di quello che facevo» sussurrò, abbassando lo sguardo, imbarazzata.
«Ti ho insegnato io a fare l’amore, e no, non è quello il tuo unico pregio. Il tuo pregio è essere te stessa, nonostante tutto. Perché tu sei Lee e non ti cambierei con nessuna, ok? Ti sottovaluti e non mi piace questa cosa». Respirai a fondo, prima di accorgermi che Lee stava piangendo.
«Tu sei innamorato di qualcosa che forse nemmeno sono. Se un giorno ti accorgerai che in verità l’idea che avevi di me era sbagliata che cosa succederà?» singhiozzò, tra un singhiozzo e l’altro.
«Non succederà mai. Io so quello che sei, l’ho capito» spiegai, raccogliendo una lacrima con le mie labbra.
«Stupido attore innamorato» rise, tra le lacrime, prima di darmi un bacio.
«Sciocca cameriere cieca» risposi, abbracciandola.
«Ci vedo» cercò di sdrammatizzare, sciogliendo l’abbraccio per tirarmi un pugno sulla spalla.
«Ho ordinato dal ristorante cinese» le dissi, prendendo le confezioni che mi aveva lasciato il fattorino.
Vedere la felicità negli occhi di Lee mentre cenavamo era qualcosa di unico, un calore che riusciva a riempirmi il petto.
«Guardiamo un film?» proposi, soffiando sulle candele per spegnerle.
«Va bene» acconsentì Lee, mentre mi trascinava in sala da pranzo, togliendosi le scarpe per distendersi sul divano. «Scegli bene, non quelli che piacciono a te» mi rimproverò, quando mi avvicinai alla mensola che conteneva tutti i DVD di Jack Nicholson.
Deviai velocemente verso le commedie romantiche, le preferite di Lee.
«Questo dovrebbe andare bene» mormorai, inserendo il disco nel lettore DVD e avvicinandomi al divano.
«Dove pensi di andare?» mi provocò, rimanendo distesa sul divano senza lasciarmi spazio.
«Vorrei rimanere di fianco a te, posso?» chiesi, unendo le mani.
«Devi trovare il metodo che mi faccia spostare» sussurrò, ammiccando.
«Mhhh… chissà cosa dovrò fare» borbottai, portandomi un indice al mento, fingendo di pensarci.
«Prova a pensare» sussurrò provocandomi, mentre si umettava le labbra con la lingua.
«Credo di aver capito, sì». Mi avvicinai al suo viso lentamente, sicuro che avrei vinto.
«Siamo sulla buona strada» mormorò, pronta a ricevere un bacio.
Quando sentii le mie labbra sfiorare le sue, mi fermai.
Sentivo il calore della sua bocca sulla mia, ma non volevo che lei vincesse.
Portai le mie mani sui suoi fianchi e cominciai a farle il solletico.
«Rob» cominciò a strillare, tra le risate, «stronzo» urlò di nuovo, cercando di fermare le mie mani.
Riuscii a distendermi dietro Lee, con la schiena appoggiata allo schienale del divano e smisi di farle il solletico.
«Ero sicuro che avrei trovato il metodo esatto» dissi, fiero di me stesso, guadagnandomi una gomitata di Lee sul mio stomaco.
«Dopo che mi hai negato un bacio, sappi che questa sera vai in bianco» sbottò, spostandosi verso il bordo del divano per non rimanere a contatto con il mio corpo.
«Sul serio?» chiesi, avvicinandomi a lei e portando una mano sulla sua pancia perché non cadesse.
«» ribatté, sicura di se stessa.
«Che peccato» soffiai al suo orecchio, solleticandole la pancia da sopra il vestito.
«Non funziona» mormorò, cercando di mantenere il controllo.
Sapevo che stava cedendo.
«Sicura?» chiesi, mordicchiandole il lobo.
Sentivo il suo respiro accelerare.
«». Non voleva arrendersi.
«Vorrà dire che dormirò da solo, nel mio grande letto» mormorai, attirandola a me.
Sentii distintamente il respiro morirle in gola, quando si rese conto di quanto ero eccitato.
«Forse è il caso che ti calmi, perché poi rimani insoddisfatto, a meno che tu non utilizzi il buon vecchio metodo…» cominciò, credendo di fermarmi.
Sapevo di avere la vittoria in pugno.
«Hai ragione, ma vedi… non ci riesco». Cominciai a torturarla con dei piccoli baci sul collo, stringendola di più a me.
«Rob» mi rimproverò, piegando la testa di lato e lasciandomi più pelle da baciare.
«Mi devo fermare?» chiesi, tra un bacio e l’altro, mordicchiandole la spalla.
«Io…» balbettò, portando una mano tra i miei capelli per farmi avvicinare di più al suo collo.
«Devo fermarmi?» domandai di nuovo, facendo scorrere la mia mano lungo tutto il suo fianco, fino ad arrivare alla sua coscia.
«Forse» mugolò, quando volontariamente le mie dita alzarono la gonna del suo vestito.
«Ok, mi fermo» dissi, ritornando con la schiena appoggiata al divano e spostando le mani dalle gambe di Lee.
«Ehi» si lamentò, voltandosi a guardarmi. «Non starai mica scherzando, vero?». Nonostante l’unica luce fosse quella emanata dallo schermo della TV, potevo vedere le guance arrossate di Lee.
«Certo. Mi hai detto tu che devo fermarmi perché questa notte mi lasci in bianco». Feci spallucce, fingendomi disinteressato.
«Mi sembra che tu ti sia spinto anche troppo avanti, no?». Si strusciò contro di me, per rendere l’idea.
«Non importa». Strinsi i denti, per trattenere un gemito.
«Peccato… avevo comprato un completino nuovo che volevo farti vedere. Sai quei bustini che ti piacciono tanto? Era azzurro e nero. Di pizzo» continuò, stuzzicandomi.
«Non mi interessano di certo un paio di centimetri di stoffa colorata. Non cederò per così poco». Perché mi stavo facendo del male da solo?
Era come darsi la zappa sui piedi.
«Hai ragione. Sei un uomo. Io sono stanca, vado a dormire. Ci vediamo domani» bisbigliò, baciandomi appena la bocca.
«Notte» ribattei, cercando di nascondere il panico.
Qualcosa mi diceva che Lee aveva in mente un piano diabolico.
Corse su per le scale, chiudendo la porta della sua camera.
Che diavolo aveva in mente?
Sapevo che voleva farmela pagare per lo scherzetto che le avevo fatto.
Continuai a guardare le immagini del film senza veramente seguirlo.
Erano solo figure colorate che si muovevano.
La porta della camera di Lee si aprì qualche minuto dopo.
«Rob?» strillò, scendendo le scale.
«Sì?». Non avevo nemmeno il coraggio di voltarmi per guardarla.
«Domani mattina, potresti svegliarmi tu? Devo andare a lavorare». Accese la luce, portandosi davanti al televisore.
Sgranai gli occhi incapace di dire qualsiasi cosa.
Lee, lei… lei era davanti a me, con quel bustino di pizzo nero e blu, e con le culottes coordinate.
«Rob? Ci sei?». Sventolò la mano davanti al mio viso.
«Certo…» bofonchiai, per rispondere a entrambe le sue domande.
«Grazie, sei un tesoro». Si avvicinò a me, piegandosi per darmi un bacio sulla guancia.
Chiusi gli occhi quando mi resi conto che il seno di Lee era davanti a me.
Dovevo resistere.
Era Lee quella che doveva cedere.
«Vado a farmi una doccia» urlai, salendo le scale pochi minuti dopo di lei.
Forse avevo trovato la leva giusta per farla cedere.
Lee non rispose, rimanendo chiusa in camera sua.
Dopo essermi spogliato, entrai dentro al box doccia, lasciando che l’acqua calda sciogliesse i miei muscoli tesi.
«Lee» urlai, trattenendo un sorriso.
«Che c’è?» rispose, da dietro la porta.
«Potresti prendere il bagnoschiuma? È finito e se esco per prenderlo bagno tutto il pavimento». Sentivo già il profumo della vittoria.
«Che palle Rob» sbottò, aprendo la porta.
Lasciai appositamente la porta del box aperta, cosicché Lee potesse vedermi, nudo.
«Tieni» sbottò, lasciando cadere il barattolo di sapone a terra, quando si accorse di me.
«Grazie». Sorrisi, tendendo la mano verso di lei.
«Sei uno stronzo» mormorò, avvicinandosi a me.
«Prego?» chiesi, fingendomi sorpreso.
«Sei uno stronzo, io non ti ho sbattuto le tette in faccia». Portò le mani dietro il suo bustino, armeggiando con qualcosa.
Quando, qualche secondo dopo, il suo bustino toccò il pavimento, spalancai gli occhi stupito.
«Veramente l’hai fatto, prima» precisai, facendo un passo verso di lei.
«Sì, ma erano coperte, tu mi hai sbattuto in faccia il tuo… coso. Sei nudo». Portò le mani dentro l’elastico dei suoi slip, e li abbassò subito dopo, rimanendo nuda davanti a me.
«Sappi che io non cedo» mormorai. Ero così vicino a lei che sentivo il suo seno premere contro il mio petto.
«Nemmeno io, ti ho detto che stanotte ti mando in bianco» sussurrò, circondando il mio collo con le sue braccia.
«Ottimo» bofonchiai, accarezzando le sue labbra con le mie.
«Perfetto» rispose Lee, prima di cominciare a baciarmi.
Istintivamente portai le mie mani sulla sua schiena, per avvicinarla ancora di più a me.
Lee circondò la mia vita con le sue gambe, stringendo le sue braccia attorno al mio collo.
Indietreggiai, fino a scontrarmi con la parete della doccia, poi, cercando di orientarmi solo attraverso il tatto, trovai il rubinetto e aprii l’acqua, portandoci sotto al getto.
Sentii un gemito di Lee, quando appoggiai la sua schiena contro la parete fredda.
Lasciai le mie labbra libere di correre sul suo collo, fino ad arrivare al suo seno.
Le mani di Lee tra i miei capelli, le sue gambe a circondarmi il bacino.
Ci amammo così, lasciando che ognuno si alimentasse del piacere dell’altro, rubandoci il respiro e rincorrendo il ritmo frenetico dei nostri cuori.
 
C’era una promessa che avevo fatto a Lee, ma che non ero riuscito a mantenere, non ancora almeno.
Volevo e dovevo scrivere il testo della canzone che le avevo regalato per il compleanno.
Era una canzone d’amore, ne ero certo, però…
Non era la solita storiella.
Lui l’aveva rincorsa per un lungo tempo, soffrendo dei suoi rifiuti.
Si era innamorato di lei all’improvviso, quando lei era distratta.
Seduto al piano, sfioravo i tasti canticchiando parole a caso.
Lo spartito davanti a me era quasi illeggibile.
Parole scritte e cancellate, riscritte e cancellate di nuovo.
Mi mancava una frase importante, una frase che non riuscivo a trovare.
«I was set…» cominciai, sperando di riuscire a continuare.
«I was set for that mistake». Sì, sembrava avere senso.
«I was set for that mistake, But you moved». Mi piaceva. Sorrisi soddisfatto, scrivendo le parole sul foglio.
«And when there’s nothing that I couldn’t take» continuai, scoprendo che mi piaceva.
«Quando non c’è niente che non posso prendere… quando non c’è niente che non posso prendere…»ripetei, sperando che mi venisse un’idea.
«It’s all on you darlin’» canticchiò qualcuno, al mio orecchio.
Sorrisi, incapace di trattenermi.
Appoggiai la sigaretta sul posacenere, tornando a cantare quello che avevo composto.
«I was set for that mistake, But you moved
And when there’s nothing that I couldn’t take
It’s all on you baby». Alzai il volto per guardare Lee.
Le sue mani appoggiate alle mie spalle, il suo corpo contro la mia schiena.
Abbassò il volto, dandomi un bacio.
Il suo naso sfiorò il mio mento e per qualche secondo mi dimenticai di continuare a suonare.
«Continua, mi piace» soffiò sulle mie labbra, lasciandomi un nuovo bacio in quel modo strano.
«It’s all on you? Non ti sembra un po’ troppo egocentrica?» scherzai, tornando a suonare.
«È una canzone d’amore, no?» chiese, sedendosi di fianco a me sullo sgabello.
«Più o meno, lui è innamorato di lei, ma lei non sembra accorgersene» spiegai, rallentando il ritmo.
«In ogni caso, se è una canzone d’amore, è tutto su di lei, o lui» mormorò, avvicinandosi al mio viso per darmi un altro bacio.
«Mi piace questa dipendenza» scherzai, mordicchiandole il labbro.
«Anche a me». Si alzò, sedendosi sulle mie ginocchia, cominciando a torturare il mio collo con i suoi denti.
«Lee… aspetta, prima di perdere il controllo… devo chiederti una cosa» sussurrai, circondandole i polsi con la mia mano.
«Che succede?» domandò, confusa.
«Ecco… è… sono, sono due settimane che… insomma, in qualche modo stiamo assieme, e vorrei… se per te non è un problema, mi piacerebbe dirlo… ai miei» finii la frase in un sussurro.
Sentii Lee irrigidirsi; aveva perfino smesso di respirare.
«Io… ok» mormorò, per nulla convinta delle sue parole.
«No, non è ok per te, non mentire. Che succede?». Lasciai i suoi polsi, accarezzandole una gamba.
«Ecco, non è che non voglia dirlo, non mi interessa, sinceramente. È solo che… che cosa diranno i tuoi? Insomma, non credo che loro mi accettino, non sono la ragazza giusta per te» borbottò, abbassando lo sguardo.
«Cosa stai dicendo? Perché non dovresti essere quella giusta per me?» chiesi allibito. Perché aveva pensato una cosa del genere?
«Andiamo Rob! Quale madre vorrebbe che il proprio figlio andasse a letto con una ex spogliarellista e putta…». Non le lasciai nemmeno il tempo di finire la parola, riuscii a fermarla appoggiandole l’indice sulle labbra.
«Primo, non sei mai stata una puttana, e non voglio più sentire quella parola associata a te, secondo, eri una spogliarellista perché non hai avuto altra scelta. Terzo, e ascoltami bene, mia mamma ti ama come se fossi sua figlia, perché ha capito che sei una persona speciale. Sei riuscita a ricominciare tutto da zero Lee, e non è una cosa che molte persone riescono a fare. Solo chi ha un grande spirito e un grande cuore ci riesce, e tu ci sei riuscita. Claire l’ha capito, e probabilmente sperava che io e te ci mettessimo assieme dalla prima volta che ti ha visto. Quindi, quando ti sentirai pronta, glielo faremo sapere». Presi un respiro profondo, per recuperare un po’ d’ossigeno.
«Questa è una delle cose più belle che tu mi abbia mai detto» mormorò, socchiudendo gli occhi, «e no, non piangerò» borbottò, cominciando a mordersi il labbro.
«Bene, perché non voglio vedere lacrime» la ammonii, dandole un bacio sulla clavicola.
«Credo che dovremmo dirlo anche a Tom» disse Lee, cercando di trattenere un sorriso.
«Lo diremo prima a lui, va bene? Così almeno sarai più tranquilla». Non volevo forzarla.
«Ok, facciamolo». Prese un respiro profondo.
«D’accordo» ghignai, alzandomi dallo sgabello e sorreggendo Lee con le braccia.
«Rob, che fai?» rise, appoggiando la fronte sulla mia spalla.
«Hai detto facciamolo, ti sto portando in camera per farlo, o vuoi sperimentare qualche posto su cui non l’abbiamo ancora fatto?» la provocai, distendendola sul letto.
«Io volevo dire facciamolo! Diciamo ai tuoi. Però, visto che ci siamo…» ne approfittò, togliendosi la maglia.
«Lee… sei proprio un diavolo. Vuoi sempre rimanere a letto con me». Scossi la testa, fingendo di essere deluso.
«Stai zitto e baciami». Mi pizzicò il fianco, attirandomi verso di lei.

 
 
 
 
Scusate immensamente per il ritardo, ma come ho ripetuto nel gruppo, non è colpa mia.
In ogni caso, metterò le foto del vestito di Lee nel gruppo perché sono di fretta.
Vi ricordo che per natale c’è in palio una OS pov Lee di un capitolo a scelta, potete votare nel gruppo, per ora sta vincendo una OS sull’originale dei nerd.
QUI potete aggiungermi come amica.
QUI il gruppo spoiler.
Alla prossima settimana.
Un bacione.
   
 
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