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Autore: Main_Rouge    09/12/2011    0 recensioni
Nel mondo di Karaenia, un enorme territorio racchiuso da profondi mari sconosciuti, le molte razze che lo abitano vivono in un fragile equilibrio. I suoi abitanti, creature strane ed affascinanti, convivono senza guerre da tempo immemore. Ma l'ambizione di un re rischierà di stravolgere la pace del mondo.
Dopo molto riflettere, alla fine mi sono deciso di aprire il testo che è sempre stato il mio obiettivo: un Fantasy compiuto, sensato e, perchè no, avvincente. Razze vecchie e nuove popoleranno questo mio strano mondo, mentre il giovane Caleen scoprirà il mondo che gli è sempre stato celato.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una densa pioggia scrosciava senza sosta. L’aria era umida, soffocante. Sotto la tetra cupola degli alberi, l’oscurità strisciava in ogni angolo del terreno, rintanandosi sotto enormi radici grinzose e tra l’erba alta e bagnata. Nemmeno un abitante osava avventurarsi fuori dalla sua tana e sfidare la furia della tempesta che, come un martello, si abbatteva con violenza sulla Foresta di Gaunt. Il vento soffiava minaccioso, creando sibili sinistri tra il fitto fogliame appesantito dall’acqua, e nel fango grosse pozzanghere stagnavano battute dalle gocce piovane. Ovunque nella foresta echeggiava un basso tremolio, un rumore ritmico, ma confuso dal continuo ululare dell’aria e dal frastuono della pioggia. Grida acute si disperdevano nel terribile fragore della natura, e rumore di zoccoli sulla terra bagnata. Nell’oscurità, una tenue luce rossastra si muoveva velocemente in lontananza, come un fuoco fatuo che si aggira tra gli alberi.
I suoi erano i movimenti rapidi e affannosi di una preda in fuga. Con il fiatone, una creatura luminosa dalle fattezze umane correva senza guardarsi indietro, cercando nella vegetazione un luogo abbastanza isolato e nascosto da coprire la sua scomoda luminescenza. Nonostante la paura avesse preso possesso di ogni suo arto, però, manteneva una leggiadria nei piedi inimmaginabile mentre correva con un passo che, per lui, era sgraziato e orribile. Sembrava gli bastasse sfiorare una superficie con la pianta per balzare via, come se vi scivolasse sopra, per poi continuare la corsa disperata. Era più piccolo di un essere umano adulto, alto su per giù un metro e trenta e minuto abbastanza da essere proporzionato. Il suo corpo esile e sinuoso, in più punti nero come pece, produceva un sottile filo di fumo grigiastro, che si contorceva in rapide volute perché scosso dallo spostamento d’aria generato dalla corsa della creatura. In più punti tenui fiamme gli avvolgevano le membra, creando la luce che ora lo stava condannando. Aveva il viso appena allungato in avanti, sottili occhi bianchi privi di pupilla e appena un accenno di naso. La sua bocca, una fessura senza labbra, era ora scossa da spasmi causati dalla lunga e faticosa corsa. Sapeva si non potersi fermare, perché sentiva ancora distintamente lo scalpiccio dei cavalli dietro di lui e i sonori ordini degli uomini su di loro. Senza voltarsi, aggrottò le sopracciglia e sibilò: -Kayess-; probabilmente un esclamazione non molto elegante nella sua lingua. Il basso fuoco tremava al vento: provava una sensazione di freddo come mai prima, e ciò lo spaventò ancor più dei suoi inseguitori.
Alla fine, quando stava iniziando a perdere le speranze, vide un grosso albero dai rami fitti e spioventi. Istintivamente, spostò il peso sul fianco sinistro per deviare nella direzione in cui aveva notato quel possibile nascondiglio. Dietro ai rami, sul centenario tronco nodoso, c’era una cavità abbastanza ampia da permettere ad un uomo adulto di nascondervisi. Vi si rintanò senza pensarci, sperando che il fogliame ne coprisse la figura affinché non risultasse dall’esterno. Dopo aver recuperato un po’ di fiato e lucidità, chiuse gli occhi e trasse un profondo sospiro. Solo ora riconobbe l’albero, un tanto raro quanto solido Vetusto di Grill. Erano alberi difficili da trovare, si dice perché in altri tempi erano stati abbattuti per il loro pregiato legname. Ricordò d’un tratto perché quella pianta gli era così familiare: era simile al Vetusto vicino alla sua prima abitazione, nella seconda fascia della foresta. Forse fu per questo che vi si avvicinò nonostante la situazione critica: ringraziò la buona stella che l’aveva ispirato. Gli vennero in mente i pomeriggi soleggiati passati sulla sua cima ad ammirare il cielo e la sua pace; era un bel modo per scappare da ciò che lo inseguiva, almeno con il pensiero.
D’improvviso, però, i suoi luminosi ricordi furono interrotti da un crescente rumore di zoccoli. Sentì il cuore accelerare fino a diventare assordante, quasi doloroso nel petto. Le mani gli tremavano, e non poté far altro che chiudere gli occhi e stringersi più forte le gambe sul petto, sperando di non essersi condannato fermandosi per un banale istinto. All’improvviso, mentre i cavalli divenivano sempre più vicini, il suo respiro gli parve si arrestasse per quello che credette furono minuti interi. Alcune sagome scure passarono davanti alle foglie, e vedendo che non rallettavano, la creatura luminescente credette, per un solo istante, di essere salvo.
Poi un grido gutturale e greve sovrastò gli zoccoli.
-Fermi!-.
Quasi d’istinto, tutta l’unità di cavalleria si arrestò tra i nitriti spaventati. Nessuno osava parlare. La creatura nell’albero, che aveva smesso di nuovo di respirare, piegò le gambe all’indietro, come per prepararsi ad un ultimo disperato salto.
Nella pioggia, si udì un sinistro stridore metallico, un tonfo e un verso di compiacimento. Intuì che l’uomo dalla voce cavernosa, il comandante dell’unità molto probabilmente, era sceso da cavallo. Sentì il clangore delle parti della sua armatura toccarsi in una cacofonia sferragliante, mentre i suoi passi pesanti venivano attutiti dalla fanghiglia sotto i suoi piedi. La sua spettrale sagoma appariva appena, come un ombra davanti alla luce, oltre i rami. Ad un tratto, i passi dell’uomo si arrestarono. Trasse un profondo respiro con il naso, rimase qualche secondo senza espirare. Poi, mentre tendeva i muscoli in attesa, al fuggitivo parve che l’uomo davanti a lui lanciasse un sorriso vittorioso. –Zolfo…- esclamò compiaciuto. In un attimo, il corpulento umano scostò con la mano sinistra guantata i rami spioventi che facevano da barriera alla creatura. Da divertito, il suo ghigno divenne eccitato.
Senza pensarci, la creatura fece scattare i delicati moscoli delle gambe nel tentativo disperato di uccidere l’enorme soldato. Nei pochi attimi che li separarono, notò che l’uomo aveva un viso grinzoso e squadrato, coperto da un gran numero di vecchie cicatrici, tutte sbiaditi ad eccezione di un taglio profondo sopra il labbro che, nella parte sinistra del volto, compiva un arco appena accennato fino e terminare nell’incavo di un occhio verde e luminoso, tanto da contrastare sulla carnagione scura. Un rapido sguardo ai fluenti capelli grigiastri, lunghi abbastanza da raggiungere la base del collo taurino; erano selvaggi e sudaticci, ma comunque liscissimi. L’armatura rossa emanò uno scintillio innaturale quando colpita dalla luce delle poche fiamme sul corpo della creatura. Questi, intanto, aveva puntato direttamente gli occhi dell’uomo: sapeva che non poteva fuggire, quindi aveva deciso che, almeno, avrebbe ucciso il suo inseguitore, e se non ci fosse riuscito, avrebbe almeno fatto sì che il suo sguardo vacuo e pieno di odio fosse l’ultima immagine della sua vita.
Ma con riflessi ferini, il grosso capitano piegò la testa lateralmente, si fece superare di getto e con un movimento fulmineo afferrò la sottile caviglia del suo aggressore che, scosso dall’impatto, si accasciò ed iniziò a penzolare come un corpo morto. La caviglia afferrata dall’uomo gli doleva: soffriva come non aveva mai sofferto prima, come se sentisse che il poco potere che gli restava in corpo stava venendo risucchiato con violenza. Lentamente, le sue fiamme si spensero del tutto, lasciandolo completamente nero, fumante e in fin di vita, ma cosciente. Tutto ciò che poté fare con le poche energie residue fu immaginare che il guanto dell’armatura del soldato fosse un’arma particolare.
Con fare calmo ma deciso, il colosso alzò il braccio fino a portare la testa della sua preda all’altezza della sua. Quindi, guardandolo dritto negli occhi sibilò con un espressione feroce in volto: -Finalmente sei mio, spiritello-. Vide chiaramente gli occhi dello spirito farsi più sottili, e provò una gioia immensa nel capire che era una, seppur faticosa, occhiata truce di odio. Accennò un sorriso, quindi si voltò, iniziando ad ignorare il carico che stringeva nella mano destra, come se vi stringesse non un essere vivente, ma un sacco, o un cosciotto d’agnello. Con poche parole secche, fece scattare cinque soldati. Questi avevano in mano degli oggetti scuri metallici, all’apparenza abbastanza pesanti, che fino ad allora avevano tenuto nella bisaccia del rispettivo cavallo. Con fare un po’ maldestro, i cinque oggetti, uno nelle mani di ogni soldato, furono portati al capitano. Quindi, furono avvicinati al collo, ai polsi ed alle caviglie dello spirito, ora tenuto per la vita. Non aveva più nemmeno la forza per divincolarsi. Appena avvicinati al suo corpo, gli oggetti scattarono con un rumore metallico, come se avessero reagito alla sua presenza, e divennero tanti anelli spessi almeno cinque centimetri. Da ogni anello partirono tre differenti fasci di energia sfrigolante: due verso gli anelli adiacenti e uno verso l’area davanti alla creatura ormai completamente spenta.
Quando i fili di luce si unirono a formare una corda unica, il corpulento soldato dall’armatura rossa la afferrò con la pesante mano destra, risalì a cavallo con naturalezza e iniziò a dare disposizioni per il ritorno. Ma prima di partire lanciò un’ultima occhiata allo Spirito di fuoco che aveva appena catturato. Aveva abbandonato la testa in avanti, e i suoi arti erano tesi in una posizione innaturale. Avrebbe voluto denigrarlo, umiliarlo con qualche appellativo sminuente e facendogli notare il guinzaglio con cui lo teneva immobilizzato. Ma non lo fece. Nel momento in cui incontrò i suoi occhi afflitti, capì che ogni parola sarebbe stata inutile. Quindi, si rigirò, e guardando dritto davanti a sé lanciò un grido e partì al galoppo nella foresta, seguito dai molti soldati che lo avevano accompagnato nella battuta di caccia e con la pioggia che, insistente, continuava a battere sulle foglie degli alberi.
  
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