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Autore: ronnie_serpe    09/12/2011    1 recensioni
- Un giorno scoprirò cosa ti è successo, fosse l’ultima cosa che faccio! – promise Draco, con voce sicura, rivolto alla giovane Grifondoro che però non diede nessun segno di averlo sentito.
Attese ancora per poco ma alla fine si arrese e si avvicinò alla porta. Aveva già la mano sulla maniglia quando lei lo fermò.
- Un giorno ti chiesi perché mi odiassi tanto e tu mi risposi che semplicemente la vita fa schifo. Allora non capii ma ora so cosa intendevi. E hai ragione. –
La voce di Hermione era velata di tristezza mentre parlava, ancora rivolta alla finestra.
Prese un respiro profondo e si voltò, il viso una maschera inespressiva.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Blaise Zabini, Ginny Weasley, Un po' tutti | Coppie: Draco/Hermione
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VII libro alternativo
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EVERYBODY HURTS

When the day is long and the night, the night is yours alone,
When you're sure you've had enough of this life, well hang on
Don't let yourself go, everybody cries and everybody hurts sometimes
R.E.M. – Everybody Hurts

- Dove credi di andare così presto, ‘Mione? E per di più senza chiedere il permesso a nessuno. – chiese l’individuo pressoché sconosciuto che stava spaparanzato, in boxer e maglietta, sul divano di casa sua e chissà perché si permetteva anche di parlarle.
Hermione osservò disgustata gli occhi color fango dell’uomo, i capelli radi biondo-rossicci, la pancia pronunciata che si intravedeva anche da sotto la maglietta e le gambe pelose quanto quelle di una scimmia dell’uomo.
Certo che se li cerca proprio belli, mia madre! pensò, nauseata da quella vista.
- Senti, carissimo… - cominciò usando il tono gelido che aveva adottato abitualmente ormai da qualche mese.
- Tom! – la interruppe piccato lui, come ogni volta che l’aveva incontrato che gironzolava per casa e aveva dovuto rivolgergli la parola. Sua madre cambiava talmente tanti fidanzati che ormai non si sforzava neanche più di ricordare i loro nomi, di cui peraltro non gliene importava niente.
- Come ti pare.. – continuò ancora più fredda di prima - Comunque sappi che, se credi di potermi comandare a bacchetta solo perché porti a letto mia madre, ti sbagli di grosso! Un padre coglione ce l’ho già e ti assicuro che mi basta e avanza. Quindi gira al largo e non rivolgermi più la parola, grazie, Tom! –
Il tono della ragazza era rimasto piatto e gelido per tutto la durata del discorso, tranne per quell’ultima parola, sibilata quasi come un insulto.
Quel nome le ricordava troppo l’estate di merda che per fortuna stava per finire.
Aveva passato tutto il mese di giugno a cercare di sconfiggere quel decerebrato pazzo di Voldemort, che doveva aver preso come massima personale il proverbio “L’erba cattiva non muore mai!” e che finalmente, dopo infiniti e sfiancanti sforzi, aveva liberato il mondo della sua inutile presenza.
Poi era tornata a casa, convinta di poter finalmente godere della sua nuova vita, senza guerra e paura, e aveva trovato suo padre che faceva l’adolescente innamorato con un’insulsa ragazza che poteva avere al massimo vent’anni e sua madre che cercava affogare il dispiacere nel sesso.
Non avevano neanche avuto la decenza di dirglielo. Lo aveva scoperto sfogliando per caso un giornale di gossip in un piccolo bar al centro di Londra. Era venuta a sapere, leggendo uno stupido articolo, il tradimento di suo padre che, non contento di essere andato a letto con la segretaria e ora futura moglie, l’aveva pure messa incita decidendo di lasciare la signora Granger per cominciare una nuova e stupenda vita da perfetto idiota.
Senza curarsi delle persone presenti nell’affollata via londinese si era Smaterializzata a casa sua dove aveva costretto sua madre a dirle la verità. E lei, scoppiando in lacrime, aveva finalmente confessato che suo padre Gerard non era a New York per un convegno come le aveva fatto credere per quasi una settimana, ma ormai viveva con la nuova famiglia in una piccola villetta alla periferia di Londra.
Ma in quel momento Hermione non sapeva che non aveva ancora toccato il fondo.
Infatti, non contenta delle spiegazioni della madre, si era Materializzata nella nuova casa di suo padre cercando ulteriori spiegazioni. Lui, con un sorriso smagliante, l’aveva presentata alla sua “nuova mamma”, come l’aveva definita, e le aveva proposto di restare a vivere con loro.
Ecco, in quel momento Hermione aveva capito di avere finalmente e definitivamente toccato il fondo. Se non era impazzita in quel momento, c’era mancato poco.
Quel giorno, per la prima volta nella sua vita, aveva contemplato l’idea di suicidarsi, buttandosi sotto il treno che passava in quel momento sulle rotaie vicino alla nuova casetta di colui che non poteva credere essere suo padre, o magari con una semplice Maledizione Senza Perdono, per trovare finalmente la pace tanto agognata e distante.
Si era barricata nella sua stanza per giorni interi, senza bere ne mangiare, ignorando le voci dei suoi genitori che ogni tanto venivano a bussare alla porta e fissando inespressiva il soffitto rosa pallido. Non una lacrima era uscita dai suoi occhi ormai spenti. Non ne trovava l’utilità, non riusciva a scorgere lo scopo di quelle stille salate che tante volte avevano bagnato i suoi occhi ma che ora erano completamente scomparse.
Poi, un giorno, doveva essere metà luglio, si era alzata dal letto gelido su cui era distesa da chissà quanti giorni e, dopo una doccia veloce, era uscita di casa, ignorando la madre seduta al tavolo del soggiorno che faceva colazione e che l’aveva salutata felice.
Era entrata nel primo negozio di vestiti sulla strada e, dopo aver afferrato alcuni capi neri era entrata nel camerino.
Per tutto il tempo della prova aveva osservato la sua immagine allo specchio.
Quei pochi giorni avevano lasciato dietro di se un Hermione completamente diversa. Nessun sorriso illuminava il suo volto e nessuna scintilla di gioia brillava nei suoi occhi d’ambra. La voglia di vivere e di amare era scomparsa dalla sua espressione lasciando il posto all’indifferenza e al distacco. Era diventata apatica e disinteressata al resto del mondo. L’angoscia l’attanagliò per qualche istante, prima che soffocasse anche quella insieme a tutte le altre sue emozioni.
Un guscio vuoto, ecco cos’era diventata.
Tornata a casa, sempre ignorando la madre, aveva bruciato tutti i vestiti colorati e allegri che tanto le piacevano fino a pochi giorni prima e aveva riempito l‘armadio di abiti, scarpe, borse rigorosamente scuri.
Da allora era stata pessimista e cinica, sfiduciata e diffidente verso chiunque. L’unico momento in cui riusciva a ritornare l’Hermione di un tempo era quando si immergeva nella lettura dei suoi amati romanzi, di qualunque genere fossero. Passava ore immersa nella lettura, ignorando chiunque la disturbasse.
Harry, Ron e Ginny non sapevano nulla della sua situazione. Non rispondeva alle loro lettere.
La verità era che temeva il confronto. Aveva paura di quello che avrebbero pensato, vedendola così spenta e apatica.
Hermione lasciò perdere tutti quei pensieri, ritornando alla realtà. Tod, o come diavolo si chiamava, stava blaterando qualcosa di cui non gliene fregava niente da ormai qualche minuto. Non si prese neanche la briga di ascoltare i discorsi insignificanti dell’uomo. Si voltò e, ignorandolo completamente, si diresse verso l’ampio atrio di casa.
- E, Rod. Non chiamarmi mai più ‘Mione. Per te sono solo e soltanto Granger! – dichiarò, quasi sputando quel cognome che l’aveva sempre resa così orgogliosa ma che adesso riusciva solo a disgustarla, prima di sbattere la porta dietro di se.
Fuori, dopo una mattinata particolarmente uggiosa, pioveva dirotto. Nonostante questo la via londinese era affollata di gente, nascosta sotto ad immensi ombrelli colorati, che correva da un negozio all’altro cercando di bagnarsi meno possibile.
Hermione aprì l’ombrello che aveva nella borsa e, dopo aver infilato l’I-pod nelle orecchie, si incamminò lentamente. Le piaceva la pioggia, le era sempre piaciuta. La incantava vederla cadere, amava vedere il paesaggio quasi nascosto dalle fitte gocce e passava ore ad osservare i nuvoloni neri che si rincorrevano nel cielo plumbeo.
La pioggia le ricordava la sua infanzia, il periodo più spensierato della sua vita. Rammentava quando, da piccola, osservava dalla finestra il temporale fino a che non diventava solo una pioggerella leggera. Poi infilava i suoi stivaletti rossi, l’impermeabile giallo che la faceva sembrare un pulcino e scendeva di corsa in cortile dove saltellava per ore nelle pozzanghere, ridendo e giocando assieme a quel padre che ormai non riconosceva più.
Anche ora le veniva voglia da saltare nelle pozzanghere che riempivano il marciapiede per provare di nuovo la spensieratezza e la tranquillità di quegli anni.
Ma questo purtroppo non sarà mai più possibile pensò amaramente mentre il marciapiede scorreva sotto i suoi piedi e i pensieri vagavano incontrastati nella sua mente.
Le canzoni che si avvicendavano sull’I-Pod le tennero compagnia per tutto il pomeriggio. Passeggiò per le piccole viuzze di Londra fino a che la pioggia battente la inzuppò anche sotto l’ombrello e solo allora si lasciò scivolare sul marciapiede continuando a seguire le note e i suoi pensieri.
 
Il suono prolungato si intromise nei sogni agitati di Draco Malfoy che aprì gli occhi di scatto, cercando di calmare il respiro irregolare.
Si girò su un fianco osservando la pioggia battente che appannava il vetro dell’immensa finestra, cercando di ignorare il suono insistente del campanello.
Non aveva nessuna intenzione di alzarsi, ci sarebbe andato Blaise. Erano ormai quasi due mesi che i due amici vivevano nello stesso appartamento, nell’attico di un edificio situato nel centro di Londra.
Draco, finita la scuola da poco, aveva deciso di abbandonare il Manor dove aveva vissuto fin da bambino. Suo padre Lucius, dalla sconfitta del Signore Oscuro, era diventato l’ombra di stesso e si aggirava per l’immensa villa come un anima in pena, piangendo o inveendo contro chissà chi mentre sua madre Narcissa passava le giornate chiusa nella sua stanza a fissare insistentemente il muro.
Vedendo i genitori che tanto aveva venerato in quegli anni e che aveva sempre cercato di rendere orgogliosi di lui ridotti in quello stato, se n’era andato, amareggiato da tutto quello che il destino gli stava togliendo.
Il campanello suonò per l’ennesima volta, strappandolo alle sue riflessioni.
Vista l’insistenza decise di andare ad aprire. Doveva essere importante.
Senza curarsi di indossare qualcosa sopra i pantaloni della tuta spalancò la porta trovandosi di fronte un giovane fattorino con un enorme pacco tra le mani.
- Signor Zabini? – chiese il ragazzo con voce annoiata.
Draco lo fulminò con lo sguardo. Quell’insulso Babbano lo aveva svegliato per uno stupido pacco!
- No! – ringhiò facendo per chiedere la porta deciso a tornare a letto.
- Posso lasciare a lei, allora?
- Le sembro per caso un fattorino? Torna domani! – sibilò il biondo e sbatté la porta in faccia al poverino.
Ormai completamente sveglio Draco decise di prepararsi un caffè e di sfogliare qualche giornale nell’attesa del ritorno di Blaise.
Entrò nella moderna cucina di cui era dotato l’appartamento e in pochi secondi preparò il suo amato caffè.
Stava per cominciare a gustarlo, seduto su uno sgabello della cucina, quando un biglietto azzurro attirò la sua attenzione. Era di Blaise.
Dopo averlo letto velocemente si alzò con ancora la tazza in mano ed entrò in camera sua, spalancando l’armadio per decidere cosa indossare.
Vivendo in mezzo ai Babbani aveva cominciato ad adottare il loro modo di vestire. Ora nel suo armadio, oltre a camicie fatte su misura e pantaloni eleganti, facevano bella mostra felpe e t-shirt, jeans e tute da ginnastica, tutto rigorosamente firmato ovviamente.
Con un incantesimo di esilio mandò la tazza ormai vuota in cucina ed entrò nell’immenso bagno privato che aveva nella stanza. Fece una veloce doccia calda, asciugò i capelli biondo palatino e il corpo con un colpo di bacchetta e si affrettò a vestirsi.
Indossò jeans grigio fumo e una felpa poco più scura, visto il tempo non moto mite, e sneakers bianche, infilò il portafogli nella tasca posteriore dei pantaloni e uscì velocemente di casa.
 
Solo un pazzo come Blaise poteva chiedergli di uscire con quel tempo da lupi.
Non aveva fatto che pochi passi fuori dalla porta che si ritrovò zuppo dalla testa ai piedi nonostante l’ombrello che aveva aperto già nell’atrio.
Stava percorrendo velocemente un piccolo vicolo, diretto al bar dove Blaise lo aspettava, quando vide una figura ammantata di nero accasciarsi a terra.
Si bloccò, indeciso sul da farsi.
I mesi passati da Mangiamorte erano stati terribili. Tutti i giorni vedevano donne, uomini, bambini torturati fino alla morte, persone costrette contro la loro volontà ad eseguire ordini terribili, magari solo per vedere un caro, prigioniero del Signore Oscuro.
E per mesi non aveva fatto nulla, aveva smesso di vivere, di lottare. Tante volte aveva pensato di farla finita.
Ma poi aveva visto una luce in fondo a quel tunnel buio e aveva lottato fino allo strenuo delle forze per raggiungerla.
La luce, la sua salvezze, si era presentata inaspettatamente davanti ai suoi occhi e quasi subito era scomparsa, ma era bastato quel poco.
E se l’era ripromesso allora. Mai più morte. Aveva fin troppo vite sulla coscienza per permettersi di averne altre.
Così si avvicinò alla figura per controllare almeno se stesse bene o se avesse bisogno di un medico.
Era a pochi metri quando la persona alzò gli occhi e lui la riconobbe.
- Granger?! –
Lo shock distorse la sua voce e la fece quasi tremare.
- Malfoy… - affermò Hermione Granger senza nessuna particolare inflessione.
Anzi, la sua voce era fredda e piatta come se stesse parlando del tempo.
Ma non era quello che aveva tanto scioccato Draco Malfoy. I suoi occhi erano come degli specchi che riflettevano il mondo esterno senza che ciò che c’era all’interno uscisse.
Ricordava lo sguardo che Hermione ostentava a scuola. Era si indifferente, ma così pieno di orgoglio e sicurezza che ti veniva l’impulso di abbassare gli occhi.
Niente di tutto questo vedeva in quel momento Draco. Solo un piatto mare ambrato, senza un filo di vento a smuovere quella desolazione.
Il ragazzo rimase in silenzio, incapace per la prima di dire qualunque cosa, anche solo un insulto.
Intanto Hermione si era alzata e gli si era avvicinata.
- Sei diverso... – sussurrò quando si trovò a pochi centimetri dal suo viso.
Quella vicinanza e la scarica di emozione che scese lungo la sua spiana dorsale permise a Draco di ritrovare la favella.
- Potrei dire la stessa di te. E qui sorge una domanda: cosa ti è successo?! –
- Vale sempre la pena di fare una domanda. Non è detto che gli altri ti rispondano. – fu l’enigmatica risposta di Hermione, che si allontanò impercettibilmente.
Draco alzò un braccio per bloccarla prima che si allontanasse ma con un abile scarto Hermione lo evitò e si scostò sempre più.
La ragazza non aveva però fatto i conti con i riflessi da Cercatore del Serpeverde che la raggiunse in poche ampie falcate e le bloccò ogni via d’uscita.
- Che vuoi, Malfoy?! –
Questa volta un leggera stizza incrinò la voce atona di Hermione e una scintilla di rabbia illuminò il suo sguardo solo per un attimo.
- Te! – rispose quasi esitante Draco, guardandola per l’ennesima volta negli occhi e cercando dov’era scomparsa la vera Hermione. Quella orgogliosa che lo avrebbe steso con un ceffone sole per avere avuto l’ardire di sfiorarla.
E per la prima volta agì senza seguire la ragione ma solo l’istinto di un attimo.
Appoggiò le labbra su quelle calde e vellutate di Hermione e strinse a se quel corpo morbido e gracile.
La luce in fondo al tunnel, eccola lì, diversa eppure sempre uguale.
 
- Malfoy, hai avuto quello che volevi. Ora vattene! – il tono di Hermione era ritornato inespressivo come poche ore prima.
La ragazza si coprì il busto nudo con il lenzuolo e si alzò dal letto.
Draco fece lo stesso, cominciando a raccogliere i suoi vestiti sparsi in tutta la stanza.
Poteva definirsi felice. L’aveva rivista, in quei pochi attimi di estasi, la Grifondoro orgogliosa e testarda che era diventata il suo motivo di vita. E, anche se non aveva capito, c’era ancora tempo.
L’avrebbe aspettata tutta la vita.
Finì di vestirsi in pochi minuti e la osservò per pochi altri secondi, alla finestra mentre guardava la pioggia cadere sulla città.
- Un giorno scoprirò cosa ti è successo, fosse l’ultima cosa che faccio! – promise Draco, con voce sicura, rivolto alla giovane Grifondoro che però non diede nessun segno di averlo sentito.
Attese ancora per poco ma alla fine si arrese e si avvicinò alla porta. Aveva già la mano sulla maniglia quando lei lo fermò.
- Un giorno ti chiesi perché mi odiassi tanto e tu mi risposi che semplicemente la vita fa schifo. Allora non capii ma ora so cosa intendevi. E hai ragione. –
La voce di Hermione era velata di tristezza mentre parlava, ancora rivolta alla finestra.
Prese un respiro profondo e si voltò, il viso una maschera inespressiva.
- Oggi non c’è mai stato! – ordinò con voce atona, prima che uscissi dalla stanza.



ANGOLO AUTRICE

Questa è la prima fanfiction che pubblico quindi non siate troppo cattivi. :)
In verità ho avuto quest'idea ma non sono con precisione come continuarla. Quindi suggerimenti, critiche e commenti sono ben accetti.
Grazie a chiunque la leggerà
Veronica

  
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