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Autore: Faust_Lee_Gahan    10/12/2011    5 recensioni
"Non morire mai."
[Sherlock/John]
Genere: Angst, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Teenage Angst

Summary: «Non morire mai.»

Pairing: Teen!Sherlock/Teen!John (AU)

Words: 1587

Rating: Arancione

Desclaimers:

Notes: Io non volevo fare una cosa angst... Mannacc!! >_<

Ma … cioè... Anni 90, Sherlock & John! Capitemi! XD



Teenage Angst



Since I was born I started to decay.

Now nothing ever – ever - goes my way.”

(Placebo)




Il liceo era pieno di idioti. E per questo non vedeva l'ora di uscirne.

Era quello che Sherlock gli ripeteva tutti i giorni da quando lo conosceva. Spesso si chiedeva perché se la facesse ancora con lui. Quando esprimeva i suoi dubbi ad alta voce, lui semplicemente sorrideva e il più delle volte taceva.

«Non sei così idiota.» rispondeva ogni tanto

A volte, John si stupiva. Era vero che era un anno avanti a Sherlock, eppure si domandava come mai l'amico, col cervello che si ritrovava, non fosse già plurilaureato a Cambridge e non facesse già qualche lavoro super segreto, o roba simile.

Andava in giro per i corridoi con aria da padrone, roba che gli mancava solo il mantello, e sarebbe stato un perfetto Superman. Un Superman un po' irritabile, molto irritante.

A volte, gli sembrava insuperabile. Imbattibile.

Il suo migliore amico.

«Mycroft come sta?»

«Cosa?»

«Non aveva un colloquio per un lavoro importante?»

«Ah, sì! Non saprei, glielo chiederò oggi, mi sa.»

«Holmes!»

I due si voltarono, e videro il loro professore di Scienze guardarlo con aria apprensiva.

«Sì, signore?»

«Ti vuole vedere il Preside.» disse

«Stavolta non ho fatto niente, sa.» si mise subito sulla difensiva lui, facendo nascere un sorriso sghembo sul volto di John.

«Fai poco lo spiritoso, Holmes. Se trovo un altro paio d'occhi nel freezer della mensa, proporrò la sospensione!» sbottò e se ne andò.

«Se trovo un altro paio d'occhi nel freezer della mensa, proporrò la sospensione!» gli fece il verso Sherlock «Solo perché è invidioso perché io sono un centinaio di volte più intelligente, e frustrato perché lo correggo almeno un paio di volte a lezione, non vuol dire che tutti i disastri di questa scuola sono opera mia!»

«Sì, ma gli occhi nel freezer li hai messi tu.»

«Era un esperimento!» ribatté piccato, come se il resto del mondo non comprendesse il suo genio, e forse era così. «Ci vediamo dopo!» aggiunse allontanandosi nel corridoio.


John aspettò Sherlock fuori il portone della scuola. Aspettò fino a quando non fossero usciti tutti, e ancora dopo. Era proprio mentre stava per andarsene che Sherlock arrivò.

«Si può sapere dov'eri?» chiese

«Dal Preside.» disse lui atono

«L'hai fatta proprio grossa eh?» scherzò

Sherlock alzò per un attimo il viso e John poté vederlo in faccia. Lo sguardo era fisso, incredulo, quasi stupito. Non l'aveva mai visto così. E il suo amico non era un tipo che si sconvolgeva facilmente.

«Ma che è successo?» domandò preoccupato

«Mio padre è morto.»

John lo guardò, senza sapere cosa fare o dire. In queste cose non si sa mai cosa fare o dire. Ed era frustrante.

Sherlock non lo guardava.

John voleva solo abbracciarlo, dirgli che sarebbe andato tutto bene, eppure aveva paura anche di toccarlo, sfiorarlo e perfino guardarlo. Si vantava di conoscerlo bene, eppure adesso non riusciva a capire quale fosse la mossa giusta da fare.

Realizzò che in fondo non c'è mai una mossa giusta da fare quando muore tuo padre, così gli prese semplicemente la spalla.

«Mi dispiace. Mi dispiace, Sherlock... Io...» balbettò «Ma com'è successo?»

«Si è sparato nel suo studio, se è questo che intendevi. Un modo davvero squallido di suicidarsi... Col silenziatore, poi!» Era freddo, atono. Quasi disgustato. «Così... infantile...»

«Sherlock...»

«L'ha trovato mia madre stamattina. Davvero poco elegante da parte sua, farsi trovare in quel modo...»

«Sherlock.»

«Adesso devo andare. Mycroft mi aspetta con la macchina all'angolo della strada. Ti darei un passaggio a casa, ma dobbiamo andare a organizzare il funerale per domani.»

Prima che John potesse fare o dire qualcosa, se ne andò a grandi passi, più veloci del solito.

Ebbe l'impressione di vedere un mantello rosso che cadeva.


Se John aveva pensato che vederlo in quello stato uscito da scuola e non poter fare niente fosse frustrante, non conosceva parole per descrivere la sensazione che provò il giorno dopo. Quello che vedeva non era un supereroe super intelligente, super forte, irritante e irritabile.

Era solo un diciassettenne che aveva appena perso suo padre.

Vestito di nero, con il cappotto lungo e la sciarpa, sembrava infinitamente più piccolo del suo metro e ottanta.

John e la sua famiglia rimasero in disparte, e solo verso la fine Sherlock si voltò e lo scorse. Senza parlare, si allontanò da suo fratello e sua madre puntando dritto verso di lui.

Anche John si avvicinò a lui di qualche passo e l'amico lo raggiunse in poche falcate.

«Sei qui...» mormorò

«Dove volevi che fossi?»

Sherlock sospirò. Abbassò la testa e poggiò la fronte contro la sua. John sapeva che era un gesto troppo vero, troppo intimo, da fare davanti a tutte quelle persone. Ma a Sherlock non era mai fregato niente, e quindi seguì il suo esempio, e anzi strinse con la mano la nuca del suo amico.

«Portami via da qui.» sussurrò lui

«Vuoi che rimanga da te?»

«No. Non ci voglio tornare in quella casa!»

John sospirò. Guardò i suoi occhi chiusi e ne percepì tutta la disperazione.

«Ok. Andiamocene.»

Sherlock lo guardò, quasi stupito.

«Ti porto via.» ribadì, prendendogli le mani. «Ti porto via di qui.»

Si staccò da lui e camminò sicuro verso l'uscita, con Sherlock che lo seguiva. Sherlock che lo fissava come se fosse la cosa migliore del mondo. Sherlock che gli teneva la mano, e lui che gliela stringeva.


John lo portò a casa sua, nella sua stanza. Chiuse la porta e per una volta Harry non fece battute. John gliene fu silenziosamente grato.

Sherlock era seduto sul suo letto e fissava il vuoto. Non voleva costringerlo a parlare, se non voleva. Si sedette accanto a lui. «Come stai?» gli chiese inevitabilmente.

Era una domanda stupida. Come doveva stare un adolescente – che, per inciso, aveva già dei seri problemi da solo - che aveva appena perso suo padre nel peggiore dei modi?

«Come uno che non sa vivere in un mondo dove il padre è morto stecchito.» disse

«Sì, questo non cambierà mai.» annuì John comprensivo (1)

«Vuoi stare qui a non fare niente?» aggiunse

Sherlock annuì. «Sì, grazie.»

John si stese sul letto. Sherlock si sistemò con la testa sulla sua pancia e il resto del corpo tra le sue gambe.

«Lo sai che è una posizione decisamente equivoca, vero?»

«Sì, ma non mi interessa.» disse «E non interessa neanche a te.»

John alzò le spalle, mettendogli automaticamente la mano nei capelli.

«John, cosa fanno i padri coi loro figli, di norma?» chiese all'improvviso

Lui ne fu inizialmente spiazzato, non sapendo bene cosa rispondere. «Li ascoltano, li guidano... Li educano...» elencò infine

«No, questo lo so!» lo interruppe «E' la stessa cosa che fanno le madri. Intendo, materialmente cosa fanno un padre e un figlio?»

«Non lo so... Giocano insieme a qualche sport, direi.»

«Tu hai mai giocato insieme a tuo padre a qualche sport?»

«No, ma mio padre se n'è andato quando io e Harry eravamo piccoli.»

«Oh. Già. Beh, io col mio non ci ho mai giocato. A niente. Non era quello che si potrebbe definire un padre affettuoso, ma... era . Fisso. E adesso è sparito. Non è più lì.»

Sherlock chiuse gli occhi.

«Mio padre è morto.» mormorò, forse più a se stesso

«Sì, è morto.»

Strinse leggermente il maglione di John, lasciando che i brividi provocati dalle sue dita tra i capelli lo rilassassero.


Sherlock aprì gli occhi. Era più buio intorno a lui e si chiese quanto aveva potuto dormire. Alzò la testa verso John e lo trovò sveglio, che lo guardava e gli sorrideva. Per quanto potesse sorridere in quel frangente.

«Non me lo sono sognato, vero?» disse

«No.»

Sospirò. «Quanto ho dormito?»

«Un po'.»

«Che ora è?»

John guardò la sveglia sul suo comodino. «L'una e un quarto del mattino.»

«Tu hai dormito?»

«No.»

«Perché?»

«Perché avevo paura che ti svegliassi e ti sentissi solo.»

Sherlock lo scrutò senza dire niente, ma, se lo conosceva abbastanza, John riuscì a leggere un barlume di gratitudine nei suoi occhi. O comunque qualcosa di molto simile.

«Hai fame?» chiese

Sherlock scosse la testa. «E tu?»

«Nemmeno io.»

«Ma non hai mangiato niente.»

«Nemmeno tu.»

«Io mangio sempre poco. Tu, invece, a scuola hai sempre qualche schifezza a portata di mano.»

John sogghignò. Aveva un debole per le schifezze, e allora?

«Ho dormito davvero così tanto?»

«Sembri sorpreso.»

«Dormo pochissimo, di solito. E ieri notte non ho dormito affatto.»

John non chiese perché. «Forse eri solo stanco. E ti sei preso una pausa.»

Sherlock annuì piano, osservandolo. A volte sembrava che volesse fottergli l'anima per poterla analizzare sotto un microscopio.

Sfregò il viso contro il suo maglione, respirando pesantemente. John riusciva a sentire il fiato caldo filtrare attraverso la trama del maglione. Non aveva smesso di tenere una mano tra i suoi capelli, e si premette la testa del suo migliore amico più addosso.

D'un tratto Sherlock alzò lo sguardo, come se si fosse ricordato di qualcosa. Arrivò alla sua stessa altezza. Premette la sua fronte contro quella di John, più forte di come aveva fatto prima. E lui in risposta gli strinse la nuca di nuovo.

«Tu non ti azzardare a morire.» sussurrò Sherlock

Lui spostò un po' la testa, solo un po', per guardarlo meglio.

«Come?»

«Non morire mai.»

Qualunque altra persona al mondo l'avrebbe impostata come una richiesta disperata, ma lui l'aveva ordinato e basta. John lo fissò negli occhi per qualche secondo e poi annuì. «Farò del mio meglio.»

Anche Sherlock annuì. «Ok. Bene.»

Avrebbe fatto del suo meglio, questo era certo. Se ci sarebbe stato lui, avrebbe potuto dirsi vivo.




Notes, again:

Allora, siamo nel 1994. Nella mia testa Sherlock ha 17 anni e John 19. Perché? Vi chiederete voi. Così, a cazzo. Mi servivano queste età e facendo due calcoli... vabbeh, niente.

E' da prima di White Walls che la sto meditando ma mi ero bloccata e il Be Alternative (scoperto troppo tardi) mi ha sbloccata!

La canzone è Teenage Angst dei Placebo, e (1) è una citazione di Cristina Yang in Grey's Anatomy. E' venuta una cosa super triste e mi dispiace! XD Non è venuta bene come volevo. Alcune parti potevano venire meglio secondo me, ma... vabbeh. Lasciamo ai posteri l'ardua sentenza.

Il solito ringraziamento a rosmy90. Lo sai, ormai! E a ginnyx o Jolly Camaleonte che dir si voglia che mi ha aperto le porte del Be Alternative! (http://sherlockfest-it.livejournal.com/8791.html)

Baci.



  
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