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Autore: betacchi    10/12/2011    2 recensioni
Era tutto ciò che mi serviva per essere felice. Era tutto ciò che volevo, e l'unica cosa che non ebbi mai, se non per qualche minuto.
Non era bellissimo, ma il suo intelletto lo rendeva l'uomo più affascinante, per me.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Era una calda mattina di agosto, per quanto lo possa essere una mattinata di Londra nel 1865.
Come sempre, è la mia cameriera personale, Jeanne, a darmi il buongiorno aprendo le pesanti tende di velluto rosa che coprono la grande finestra che stà proprio davanti al mio letto.
- Buongiorno, signorina Mary. - - Bonjour, Jeanne. - dissi mentre, con lentezza quasi apatica, scendevo dal morbido materasso del mio letto a baldacchino.
Jeanne sorrise. Era francese (di Lione, per l'esattezza) e adorava quando le parlavo nella sua lingua natia. Diceva che il mio accento faceva invidia a chi era francese da generazioni.
IL francese non mi dispiaceva, come lingua. Era melodiosa e adatta ad una signorina, ma trovavo molto più pratico l'inglese.
Molto lentamente mi diressi verso il bagno, dove una vasca piena di acqua bollente, profumi e sali rilassanti mi attendeva ansiosa.
Io mi spogliai velocemente, e con un po' di difficoltà data l'alta temperatura dell'acqua, entrai nella vasca. Rimasi lì a fantasticare per un buona mezz'ora, prima di uscirne con i capelli e il corpo totalmente bagnati.
Il rude cambio di temperatura esterna mi fece rabbrividire. Non mi ero resa conto di quanto realmente facesse freddo.
Jeanne mi aiutò a vestirmi. Mi misi un abito azzurro, pieno di frange e fronzoli vari, in perfetto stile Rinascimentale. I miei lunghi capelli biondi erano raccolti in un'ampia coda.
Poi, scesi velocemente in sala, dove la mia famiglia aveva già finito di fare colazione. C'era mio fratello, George, che già si stava mettendo il cappotto, pronto per uscire.
- Sempre mattutina, eh, Mary? - disse con una vena di sarcasmo nella voce.
- Sai quanto adori vedere l'alba. - gli dissi scherzando, mentre prendevo posto.
- Suvvia, smettete di prendervi in giro. - fece nostro padre, già pronto per uscire. - George, sii veloce, ci attende una lunga giornata in banca. Lasciamo le signore alle loro faccende quotidiane e dirigiamoci senza indugio ai nostri posti di lavoro! - disse entusiasta.
Io sorrisi divertita e augurai ad entrambi una buona giornata.
Mangiai la mia colazione in silenzio, anche le a capotavola non mancava la mia matrigna.
Mio padre, John McGregor, era da poco vedovo quando conobbe la mia matrigna Linda. Era una di quelle sanguisughe approfittatrici che sapevano come spulciare soldi agli uomini. Mio padre cadde nel suo tranello, e dopo poco tempo la sposò.
Comunque, finì il pasto e mi diressi velocemente nello studio. Si erano ormai fatte le 10, quindi mancava poco all'arrivo del mio maestro.
Lui era il mio mentore, un esempio di vita, per me. Anche lui vedovo, veniva sempre accompagnato da suoi figli. Non era ricco, ma viveva agiatamente: si potrebbe definire un borghese.
Mentre riflettevo su queste cose, squillò il campanello. Il mio viso s'illuminò di gioia mentre scendevo nel salone per accogliere i miei ospiti quotidiani.
- Buongiorno, maestro! - lo salutai raggiante.
- Buongiorno a te, Mary. - il maestro mi rispose con il solito tono allegro mentre si toglieva il cappotto. I suoi due figli, Mycroft e Sherlock, mi rivolsero il solito inchino.
Erano tutti e tre di un'intelligenza senza eguali. Mycroft, il figlio maggiore, riusciva ad eseguire calcoli ed equazioni complesse in poco tempo; Sherlock era un mago nelle deduzioni, mentre il maestro sapeva praticamente tutto. Pensavo vivamente che Nostro Signore avesse dato a loro tutta l'intelligenza che gli era rimasta, mentre distribuiva i suoi doni al genere umano.
Salimmo chiacchierando fino allo studio. Ero impaziente di mostrare al maestro i compiti svolti. Ero ormai diventata brava con le operazioni matematiche, ma il mio forte era sempre stata la poesia.
Dopo la correzione, iniziò la lezione vera e propria.
Il maestro parlava sicuro, senza esitazioni, mentre i figli lo ascoltavano attentamente, a volta facendo domande che davano vita a veri e propri dibattiti.
Io li ascoltavo estasiata, sperano di diventare colta come loro.
Il tempo passo in fretta, e fu presto ora di pranzo. La cuoca, la signora Stevenson, aveva cucinato manzo e cipolle.
Non apprezzavo molto le cipolle (hanno un sapore troppo amaro) ed ero solita lasciarle sul piatto, ma alla fine, ero sempre costretta a mangiarle, dato che la cuoca ci rimaneva male se si lasciava qualcosa.
Dopo aver bevuto un leggero caffè, il maestro e Mycroft uscirono per sgranchirsi un po' le gambe, mentre io e Sherlock salimmo nello studio.
Era un tipo tendenzialmente taciturno. Se ne stava seduto sulla sua solita poltrona a leggere libri di chimica, mente io leggevo i romanzi della libreria di mia madre.
- Ehm...Sherlock. - dissi dopo qualche minuto.
- Dimmi pure. - mi sorrise. Era qualcosa di fantastico. Non perchè fosse un bel sorriso, ma perchè era una cosa così inusuale da vedere sul suo viso sempre serio.
Passarono un paio di minuti prima dell'arrivo della mia risposta. - Ecco...ti andrebbe di raccontarmi una delle tue storie? - gli chiesi leggermente rossa in viso.
Si limitò ad annuire, prima di raccontarmi come avesse facilmente ritrovato la collana che era stata rubata alla Duchessa che abitava a Regent Street.
- Impossibile! - esclamai alla fine del racconto. - Io non ci sarei mai arrivata! Mi devi assolutamente dire come fai, uno di questi giorni. -
- be', escludendo tutto ciò che è impossibile, quel che rimane, per quanto improbabile, dev'essere la verità. - affermò lui. Io scoppiai a ridere. Non perchè fosse divertente, ma la sua sola presenza mi rendeva felice.
Non che fosse di particolare bellezza, ma mi ci volle pochissimo per innamorarmi di lui. E ogni cosa che faceva, per me, era stupenda e degna di essere notata.
Penso, comunque, che lui non si accorse mai dei miei sentimenti. Non sapete quante notti piansi per causa sua! I pericoli che correva, ogni volta che gli capitava un caso, non facevano che procurare affanni al mio povero cuore. Ma era lui che aveva deciso lui.
Quella sera, inaspettatamente, mi chiese di cenare con lui.
- Cosa? - chiesi ormai visibilmente imbarazzata.
- Se non ti va...è che avrei bisogno di un parere su di una cosa. -
- Be'...va..va bene - gli sorrisi. Il mio respiro si era fatto affannoso. - Dammi solo il tempo di cambiarmi. -
Corsi in camera. Non ci potevo credere! Mi misi il mio vestito migliore dopo essermi fatta un bagni veloce. Lasciai i capelli sciolti, ed evitai il trucco: rovinava la mia pelle.
Scesi poi in salone, dove lui era già pronto per uscire. Mi misi velocemente il cappotto e uscimmo.
Lui chiamò poi una carrozza, che ci portò a Piccadilly.
- Dove andiamo, Sherlock? - gli chiesi, dato che si stava inoltrando in un vicolo alquanto buoi.
- E' una scorciatoia. -
In effetti, dopo pochi minuti ci ritrovammo davanti ad un piccolo ristorante.
Sorrisi. Logico, lui che stava sempre in giro per i suoi casi sapeva mille scorciatoie.
Mangiammo chiacchierando del più e del meno. Alla fine della serata, ci fermammo ad Hide Park.
- Allora, che volevi chiedermi? - chiesi infine.
- Niente...era un pretesto. -
Rimasi molto stupita, prima di scoppiare a ridere. Era il solito.
Stavo ancora ridendo quando successe ciò che non mi sarei mai aspettata. Con molta disinvoltura, mi baciò.
Senza preavviso, così. Io sgranai gli occhi, prima di chiuderli e di assaporare con gioia il momento che credevo non sarebbe mai avvenuto.
Dopo una mezz'oretta, durante la quale parlammo un po' imbarazzati, decidemmo di comune accordo che era ora di tornare a casa. Stavamo appunto passando per quel vicolo buio quando un uomo barcollante ci venne addosso.
Sherlock lo spinse leggermente, ma quello persisteva.
- Ehi, bellezza, che ne dici di farti un giretto con me? Dai, non fare i capricci. - disse tentando di mettermi le mani addosso.
- Lasciala stare e levati. - fece Sherlock.
Ma l'uomo gli diede un calcio e lo cadde svenuto. Lo aveva preso in un punto non poco delicato.
- Su, bellina, vieni qui. -
Io mi scansai impaurita. Perchè stava succedendo proprio oggi?
L'uomo si avvicinava. Io stavo per urlare, ma mi strinse così forte da impedirmi qualsiasi movimento.
- Dai, su, lasciati andare. - l'uomo stava iniziando ad allargarsi troppo.
Iniziai a scrollarmi per far si che lasciasse la presa. Alla fine, optai per un bel calcio, che riuscii solo ad allontanarlo.
- Brutta puttana! - gridò quello.
Poco dopo tirò fuori dalla tasca del logo cappotto un affilato coltello.
- Ora vediamo chi si farà male... -
Ero terrorizzata. Non sapevo che fare. Tentai di scappare, ma era troppo veloce. Non perché fossi lenta, ma il lungo vestito mi impediva di correre troppo veloce.
- Corri, scappa via! - era la voce di Sherlock. Sentire che stava bene mi risollevò il morale. Forse mi rilassai troppo, però.
Senza rendermene conto, rallentai.
L'uomo però continuò a correre, ed in poco tempo mi raggiunse.
Devo dire che morire non è stato poi tanto brutto. L'unica cosa che rimpiango, è il fatto di non aver potuto amare Sherlock con tutta me stessa, come avrei voluto fare. Il mio ultimo ricordo, prima di spirare, sono le labbra di Sherlock che si posarono leggermente sulle mie, bagnate da calde lacrime che nessuno mai ebbe l'onore di vedere.
   
 
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