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Autore: Panenutella    10/12/2011    7 recensioni
Lo guardai meglio: era un angelo….
Aveva il viso cordiale e aperto. Gli occhi neri e profondi come due pozzi guardavano attenti il mondo e risplendevano come la luna. I suoi lineamenti era fini e eleganti, proprio come quelli di un Elfo. La sua stretta era gentile, la sua pelle calda. I capelli corti e neri erano pettinati in modo sbarazzino. Indossava una maglietta bianca a maniche corte e mi salutò con un largo sorriso.
Nella mia mente contorta cominciai a sbavare come un mastino.
ATTENZIONE: la protagonista interpreta il ruolo della figlia di Galadriel – ovviamente inventata da me -, Hery, che ha una storia d’amore con Legolas e segue i protagonisti nel loro viaggio.
La maggior parte degli avvenimenti narrati in questa fic sono realmente accaduti, ma sono raccontati dal POV della protagonista.
Divertitevi, leggete e recensite in tanti! :)
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Orlando Bloom
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lesley's World'
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Consiglio la lettura di questo breve capitolo (o Spin-Off, se così posso definirlo) con questa magnifica musica in sottofondo:  
http://www.youtube.com/watch?v=mZlVaAMsoM8


Sogno
.


Non avevo mai creduto a quelle storie della luce in fondo al tunnel, delle esperienze extra-corporee, della visione dei morti. Credevo che tutto quello che le persone vedessero prima di morire o quando erano in stato di coma fossero solo sogni, solo immagini prodotte da una mente uscita solo un pochino dai binari. Ne ero fermamente convinta. 
Eppure, quello che vidi poco dopo la roccia contro la mia fronte, dopo il buio accecante – se mai il buio possa essere accecante, ma avevo avuto esattamente quella sensazione - per me non fu un semplice sogno. Sentivo le emozioni sulla mia pelle, sentivo tutto e niente allo stesso tempo. 
La sensazione era di giacere sull’erba di un prato in pendenza, di notte. La rugiada sui sottili steli d’erba mi bagnava la pelle e scintillava sotto il chiarore delle stelle. Il mio viso era rivolto verso quelle piccole lucine che scintillavano accanto a me. Per quante preoccupazioni potessi avere in quel momento, per quanti tormenti mi sconvolgessero l’anima prima di arrivare lì, mi sentii in pace. Fu allora che sollevai lo sguardo verso il cielo. Mi accorsi di non essere per niente sotto il cielo stellato. Davanti a me si estendeva l’intero universo, ed io potevo vederlo con la stessa nitidezza di come potevo vedere ogni singolo stelo d’erba intorno a me. Miliardi di stelle fluttuavano in tutto lo spazio: stelle rosse, azzurre e gialle. In mezzo ad esse, dominava una magnifica galassia a spirale, al centro della quale splendeva una luce abbagliante. Era lo spettacolo più bello che si potesse mai immaginare, ben più emozionante della classica luce in fondo al tunnel. I bracci della galassia ruotavano lentamente in quell’immenso infinito. 
Osservavo tutto con la massima calma, sopraffatta dalla meravigliosa grandezza di quello che mi sovrastava. Mi sentii così piccola, ma allo stesso tempo parte integrante di tutto quello che vedevo: lui non poteva esistere senza di me, e io non potevo esistere senza di lui, in una relazione importante e indivisibile. Morivo io, moriva anche lui. Vivevo io, viveva anche lui. Io e quell’infinito eravamo inseparabili.
Fu in quel momento che mi accorsi che in ognuno dei bracci della galassia c’era un viso che conoscevo. Nessuno escluso. 
Vidi i miei genitori, seduti a godersi la cena al tavolo della nostra casa a New York, con un bel piatto di spaghetti davanti, ignari di tutto quello che stava accadendo. 
Vidi Jessica, seduta su una panchina del Central Park, a osservare le paperelle del laghetto mangiando un toast. 
Vidi Zio Ian a Matamata, con un telefono cellulare in mano, che camminava avanti e indietro sul sentiero, intento a parlare affannosamente con qualcuno.
Insieme ai volti di quelle persone, mi giungevano alla memoria dei ricordi, lontani e vividi e vicini e sbiaditi al tempo stesso. Ricordi di momenti passati in mezzo all’amore di chi mi voleva bene. In quel preciso istante fu come se l’infinito mi parlasse.
Ricordi quando ti abbiamo fatto la festa a sorpresa nella mensa?
Avrei voluto sorridere, ma non avevo controllo del mio corpo. Sorrisi col pensiero.
Vidi Ilana, seduta per terra chissà dove, che singhiozzava spaventata. Vidi Elijah con lei, che cercava di consolarla cingendole le spalle con un braccio. 
Vidi Billy e Dominic, sempre insieme nonostante tutto. 
Ricordi quando Jess ne ha dette di tutti i colori a Colt e poi l’abbiamo festeggiata?
Vidi Sean con sua figlia in braccio, che parlava preoccupato a sua moglie.
Vidi Emma, che stava venendo informata da qualcuno.
Vidi Liv, in Inghilterra, seduta davanti al computer in casa sua.

“Ricordi la prima volta in cui Billy e Dom hanno cantato ‘Wannabe’, il giorno in cui sei arrivata?”
Vidi Bean e Viggo con la sua inseparabile spada, che cercava di tenere calmo qualcuno, quasi nevrotico.
Vidi Peter, Fran, Philippa, e tutti gli altri.
Vidi tutti loro, e capii che avevano un pensiero in comune in testa. Me.
Ricordi quando Elijah ti voleva insegnare a nuotare?
Smisi di osservare i bracci della galassia, e mi concentrai sul centro.
Risplendeva di luce propria, e tutti i bracci ruotavano intorno a lui. Ma non era vuoto come mi aspettavo: al centro campeggiava un’immagine, più viva e nitida delle altre. Compresi la logica perfetta di quell’universo: al centro c’era la persona cui tenevo di più. Orlando stava protestando con una donna di cui non riuscivo a mettere a fuoco il viso. Era disperato. Bean e Viggo erano proprio con lui. 
Disse una cosa a quella donna, che a un certo punto si fermò e lo lasciò passare. 
Ricordi quando abbiamo dormito insieme perché nella mia stanza non c’era il riscaldamento e Billy si era fregato tutte le coperte?
La scena al centro della galassia cambiò. Orlando era seduto su una sedia e mi teneva la mano. Quella vista mosse qualcosa da qualche parte dentro di me: stavo vedendo me stessa da qualche posto sconosciuto a tutti gli altri.
Orlando strinse la mano con delicatezza e mosse le labbra.
Lesley, ti prego, non lasciarmi da solo”.
Appena pronunciò il mio nome, successero tante cose contemporaneamente.
Capii che quell’universo era formato dall’amore che le persone avevano nei miei confronti.
La galassia si espanse in un lampo di luce accecante.
L’erba scomparì.
Sotto di me si spalancò un buco nero.
Fui risucchiata a grande velocità nel buio, atterrando di botto all’interno del mio corpo, dov’era giusto che stessi.
Il tutto nella frazione di mezzo secondo.
Cercai di riprendere conoscenza del mio corpo. Il primo senso a risvegliarsi fu l’olfatto. Avvertii odore di medicinali e di una stanza sconosciuta. Poi si svegliò il gusto: avevo un sapore orribile in gola. Fu il turno dell’udito: sentii annunci provenire da qualche parte e dei ritmici bip provenire da qualche macchinario accanto a me.
Toccò al tatto. Ripresi sensibilità a partire dai piedi, salendo lungo le gambe fino ad arrivare al bacino, al petto, alle braccia, alle mani, al collo, alla testa. Respiravo a fatica e la gola mi raschiava.
Scombussolata, tirai un respiro più lungo degli altri. Ancora uno, ancora uno, ancora uno e aprii lentamente gli occhi.
   
 
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