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Autore: niKwolstenholme    11/12/2011    2 recensioni
Questa storia ha partecipato al contest Rimpianto Vs Rimorso indetto da Fede85, classificandosi ottava. Il testo è rimasto discretamente aderente al tema del concorso e tratta del dolore che attanaglia il cuore del protagonista.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lei protende le mani verso di me, ha un sorriso che le illumina il volto.  Le preoccupazioni del mondo scivolano addosso a quel sorriso, e si dissolvono nel vento. La brezza che spira è piacevole , e il rumore che provoca tra le fronde degli alberi è un coro di voci soavi.
L'erba si muove sinuosamente sotto i nostri piedi nudi, facendoci il solletico. Lei ride, e nei suoi occhi vedo riflesso il mio amore.
La luce intorno a noi è arancione per via del tramonto, è la luce che associo al paradiso.
I suoi capelli neri d'ebano riflettono i raggi del sole calante, creando davanti a me incredibili giochi di colore. Sono in pace finalmente. Non sono mai stato così sicuro di qualcosa. Voglio rimanere in questa radura per sempre, con lei.
Adesso però è notte nel bosco e  il sole ha ceduto il posto alla luna. La brezza  adesso è fredda e penetrante. Gli alberi che prima ondeggiavano delicati, ora sono sagome di scheletri che si protendono minacciose contro di noi.
No, non noi. Sono da solo, lei è scomparsa. Non so dove sia. Un attimo prima era con me.
Dove è andata, cosa è successo? La notte sembra essere arrivata così in fretta, non è possibile. Le sarà accaduto qualcosa? Disperato allora, mi metto a cercala nella radura, che non è la stessa. Era accogliente poco fa, un luogo di pace da condividere con la persona che amo, ma adesso è un luogo tetro e minaccioso, e sono solo.
Dov'è lei? Non può essere sparita così rapidamente.
Mi dirigo verso la prima apertura che vedo tra gli alberi, è scura,buia. Si espande davanti a me, si fa sempre più grande. Sembra una gigantesca bocca, pronta ad inghiottirmi. Ma lei potrebbe essere lì, devo andare. Oltre gli alberi adesso scorgo della luce, proietta ombre lugubri sull'erba, è di colore arancione ma non della stessa tonalità tranquillizzante. Adesso è un colore fatale, e mi ci vogliono pochi secondi a capire che succede.
Le fiamme sono già arrivate da me, e sono in trappola. Il fumo mi ferisce gli occhi e mi penetra nei polmoni. Tutto comincia a girare e la temperatura si alza. Con le lacrime che mi solcano il viso, avanzo ormai carponi, disperato, ma non c'è nulla da fare.
Il mio ultimo pensiero è per lei, che si allontana lentamente da me, ma non posso seguirla.




Lei è morta.
Questa è la cosa che penso quando mi sveglio, ogni volta che mi sveglio. Sono sempre sudato e ho il fiato corto. Per i primi secondi dal risveglio, mi sembra che le pareti della stanza da letto si chiudano su di me.
Adesso vivo da solo. Solo, come mi sono sentito da quando lei non c'è più, nonostante tutti mi siano stati vicino. Sono ancora circondato da persone, amici, parenti, ma nessuno può darmi quello mi dava lei.
La gioia, la tranquillità, la consapevolezza di non aver bisogno di altro per stare bene.
Per me adesso è rimasta una vita vuota. Tutti se ne sono resi conto. Ho più numeri di psicologi che capelli in testa ormai. Il mio non è un problema psicologico, ho affrontato la sua scomparsa. Dio sa quanto è stata dura, ma ce l'ho fatta. Semplicemente, anche se non ho problemi a rassegnarmi, non è facile continuare.
Lei era unica, era l'unica. Ci sarà mai qualcun altra come lei? Io non credo. Come è possibile, dopo aver avuto la vita in pugno e averla persa in un attimo, sperare di poter riprovare quelle sensazioni, quel sapore. Ormai è tutto un sogno, tutto scorre senza significato, dopo aver assaggiatola sua presenza, sapere che non potrò più godere di quelle emozioni, mi fa impazzire.
Ma ovviamente è un altra la cosa che mi tormenta. Non l'ho mai detta a nessuno ed è per questo che adesso sto scrivendo questo.
Sono riuscito a reprimere tutto ciò per così tanto.
In cuor mio speravo di poter avere la fortuna di andare avanti. Di innamorarmi di nuovo, di trovare un pò di stabilità. Ma gli anni dopo la sua morte sono stati come un prolungato giro sulle montagne russe, confusi, sbiaditi.
La cosa triste è che anche il passato, con i suoi colori sgargianti,sta iniziando ad offuscarsi. Ricordo ancora il terrore e l'angoscia che ho provato quando alzandomi non mi ricordavo il suo volto. Dopo il solito sogno, ho ripensato a lei. A com'era un giorno in spiaggia, con il vento che le accarezzava i capelli. Lei era di spalle e si voltava lentamente verso di me, ma il suo volto, quella notte, era sfuocato.
Da allora non ho mai avuto tanta paura, ma ormai ad essa sta subentrando la rassegnazione. Rassegnazione al fatto che nonostante le centinaia di foto mi sto dimenticando il suo viso. Il viso che mi bastava guardare per sentirmi tranquillo quando ero turbato, il viso che baciavo quando ero felice.

La luce filtrava a malapena dalle serrande abbassate, e i pochi raggi che penetravano nella stanza riflettevano la polvere nell'aria pesante. Era la lezione più noiosa che avessi mai seguito, e la mia mente vagheggiava alla serata che mi si prospettava.
Quasi non me ne accorsi quando il professore ci congedò, dandoci appuntamento alla settimana successiva, spegnendo il proiettore. Era il weekend ed avevo appena iniziato l'università. Eravamo tutti entusiasti del nuovo ambiente e delle nuove amicizie.
Quando uscii nell'ampio cortile, mi soffermai a cogliere l'aria autunnale. Nonostante il sole faceva freddo, ma era una bella giornata. Me lo ricordo come se fosse ieri.
Mi strinsi nel mio cappotto per tornarmene a casa. Poi accadde. Fui travolto da una macchina mentre attraversavo, non sentii dolore, svenni praticamente subito.
Quando ripresi conoscenza lei era lì che mi strigeva la mano.
Si accorse che mi ero svegliato, e i suoi bellissimi occhi si splancarono a fissarmi.
"Oddio meno male sei sveglio!" disse , abbracciandomi cautamente, "non sai quanto mi dispiace" aggiunse.


Lei fu la prima persona che vidi appena sveglio, sul letto d'ospedale, la stessa che mi aveva investito, la stessa di cui di li a poco tempo, mi sarei follemente innamorato.

Anche se il tempo mi sta portando via le immagini, continuo ogni tanto a sentire i sapori e le emozioni, di quei giorni.
Come il primo bacio, leggero e profumato, delicato, come una timida carezza. Quando pure queste flebili memorie svaniranno, non saprò davvero che fare.
Non che adesso abbia una minima idea di cosa fare. Lei mi sembra ancora così vicina, ma allo stesso tempo così distante.


Il computer segnava il settantacinque percento di completamento. Il backup degli ultimi dati stava andando piuttosto a rilento. Poco male perchè mi avrebbe dato il tempo di finire di compilare le carte posate con cura davanti a me. Avevo appena cominciato il nuovo lavoro, ed ero sommerso dalle scartoffie. Il telefono squillò una volta, ma non me ne curai, ero troppo impegnato e questione di una mezzora avrei potuto richiamare chiunque mi avesse cercato. Dopo qualche minuto squillò di nuovo, ma per la seconda volta non lo ascoltai.
Dopo una quindicina di minuti, fu il mio cellulare a squillare, era arrivato un sms. Nuovamente non prestai atenzione, ormai avevo quasi finito, e mancava poco sia alla fine del backup sia alla fine delle carte, ormai tutte compilate con cura.
Quando uscii Cindy, la ragazza della portineria mi bloccò. "Una chiamta urgente per lei Dr Fisher".
Appena arrivai, la vidi distesa sul letto, con addosso un camice di carta ed attaccata ad un numero non definito di flebo. La sua bellezza era stata risucchiata da quel posto, era come se tutti quei tubi, e aghi, anzichè aiutarla, le stessero sottraendo quel poco di vita che le rimaneva.
Una parte del viso era  coperta da una benda che trasudava un po di sangue, ero impietrito.
Praticamente tutto il corpo era fasciato, bendato e tenuto saldo al letto per evitare movimenti bruschi da parte sua. Non era cosciente, l'unico suono che emetteva era un respiro strozzato che usciva irregolare, come se ci fosse qualcosa ad ustruirlo, non mi scorderò mai quel suono.
Non ebbi occasione di dirle addio, i medici dissero di aver fatto il possibile, ma che le sue condizioni erano troppo gravi.

Quando tornai a casa il mondo finì di crollarmi addosso. Lungo il viaggio di ritorno pensavo di non poter sentirmi peggio di come stavo, ma mi sbagliavo di grosso.
Seduto sul bordo del letto ero immobile, a cercare di ricomporre qualcosa di quello che era successo. Sembrava di essere in un sogno, il mondo era denso, e impediva i miei movimenti, l'aria era pesante e satura, carica di un oscuro messaggio, lei non c'era più. Mi stesi, non per volontà mia, ma per necessità, il mio corpo non stava più alzato da solo, e non rispondeva più ai comandi del mio cervello.
Una volta sdraiato, il cellulare mi scivolò dalla tasca della giacca, cadendo sul pavimento. Il rumore mi scosse dal torpore e dalla disperazione che mi attagnagliavano e soffocavano, così lo raccolsi subito. C'era il messaggio che prima avevo ignorato, lo aprii. Quelle potevano essere le sue ultime parole per me. Infatti sullo schermo luminoso, nella stanza buia apparve un suo sms:
SPERAVO IN UN TUO PASSAGGIO A CASA... MA STAI LAVORANDO EVIDENTEMENTE... NO PROBLEM... PRENDO UN TAXI, CI VEDIAMO DIRETTAMENTE AL RISTORANTE ALLE 8...UN BACIO

Non era possibile, no, assolutamente no. Come poteva essere?
Il messaggio, un messaggio innocente, di quelli che se ne potrebbero trovare a migliaia,mi squarciava il cuore come una lama arrugginita. Era colpa mia. Lei aveva preso un taxi. La macchina aveva sbandato, ed era andata a sbattere contro un camion che procedeva nel senso opposto. L'urto era stato violentissimo, e la collissione le era stata fatale. Ero troppo sconvolto per ricordare anche l'altro piccolo particolare che il messaggio mi richiamava apertamente. Ciò che adesso mi sta spingendo a scrivere tutto questo. Il particolare che mi ha causato più dolore, più angoscia, come lancie infuocate conficcate nel petto. Un fitta continua nella mia testa, che ho tentato di seppellire, ma che adesso non posso più celare dentro di me.

L'anello che le volevo portarle, si trova ancora nel cassetto in cui lo lasciai quella mattina.
L'immagine di quel maledetto cassetto mi ha perseguitato per tutto questo tempo. Lo sentivo nel sonno, e ormai lo sento anche da sveglio. Mi chiama, mi rimprovera, mi deride. Ha una sua voce, una voce cupa e malinconica, nella quale percepisco tutto il mio dolore. Non ho avuto occasione di mostrarle l'anello, e mai l'avrò. Nessuno sapeva, nessuno sa.
In questo momento mi sta chiamando, mi dice che è colpa mia, che non ho saputo cogliere l'occasione, che non avrò più felicità, solo incubi.
Adesso ho la scatola in mano, non so se ho il coraggio di aprirla. Non voglio aprirla, non voglio soffrire ancora di più.

 
Stavo passengiando quando passai davanti alla vetrina.  Mi sembrò di essere colpito come da uno schiaffo. Ricordo di aver visto l'anello e di aver pensato a lei, a lei distesa sull'erba con il sorriso sulle labbra, a lei che rideva, spensierata. Poi ricordo di aver pensato a noi due, sposati, insieme, in una bellisima casa sul mare, sdraiati sulla sabbia.

Quei ricordi mi stanno invadendo, con tutte le loro speranze che adesso non sono altro che mere fantasie. Tutti i miei sogni, le mie aspettative, il mio desiderio di renderla felice per il resto della vita. Il desiderio di starle accanto ogni giorno, e di averla accanto ogni giorno. Tutto è svanito in un lampo. Seduto qui, da solo, la casa mi sembra così grande, ma così piena. Piena di tutte le immagini che avevo creato di noi due, immagini che non ci saranno mai.

Ora rivedo quel futuro, come lo vedevo quel giorno. Lo rivedo nei riflessi del diamante posto sopra l'anello che tengo in mano in questo momento.
Un tempo ero felice, adesso no.
Un tempo vedevo un futuro felice, adesso no.

Nda
Ho provato a rendere bene il rimpianto e il rimorso del protagonista. Non tutto è venuto fuori come volevo, ma mi dico abbastanza soddisfatto, anche se ammetto che non so come una cosa del genere sia potuta venire fuori da me. Magari ero ubriaco
  
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