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Autore: Sunday_Rose    12/12/2011    1 recensioni
In qualche area della folla si possono trovare dei volti chiari, l’unione e l’uguaglianza fanno la forza ed è per questo che in questo magnifico giorno ci sono anche dei bianchi tra i neri, perché il mondo sta cambiando.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Washington, 28 agosto 1963

 
 
Sono felice di unirmi a voi in questa che passerà alla storia come la più grande dimostrazione per la libertà nella storia del nostro paese. Cento anni fa un grande americano, alla cui ombra ci leviamo oggi, firmò il Proclama sull’Emancipazione. Questo fondamentale decreto venne come un grande faro di speranza per milioni di schiavi negri che erano stati bruciati sul fuoco dell’avida ingiustizia. Venne come un’alba radiosa a porre termine alla lunga notte della cattività.


La voce risuona nell’enorme spazio della piazza. La tensione si può palpare con le mani, è fatta di sospiri trattenuti, risate nervose e l’adrenalina che porta con sé un’aria di riforme. La voce che risuona non è quella di un bianco che fa una campagna di propaganda e il suo pubblico non è composto da bianchi ma da neri. Su un piccolo palchetto un grande uomo di colore sta facendo il discorso che cambierà la storia dell’America,  ha coraggio e vuole un cambiamento tanto quanto lo vogliono quelle migliaia di persone di colore che sono lì, in quella piazza ad ascoltarlo. Perché tutti abbiamo un sogno e il loro è quello dell’uguaglianza!


Ma cento anni dopo, il negro ancora non è libero; cento anni dopo, la vita del negro è ancora purtroppo paralizzata dai ceppi della segregazione e dalle catene della discriminazione; cento anni dopo, il negro ancora vive su un’isola di povertà solitaria in un vasto oceano di prosperità materiale; cento anni dopo; il negro langue ancora ai margini della società americana e si trova esiliato nella sua stessa terra.


Verità, cruda verità che spezza i cuori dal dolore e che distrugge le vite. Cento anni che dovevano essere di cambiamento ma che alla fine si sono dimostrati una mera illusione. Non ci sono diritti e eguaglianza ma discriminazione e povertà.


Per questo siamo venuti qui, oggi, per rappresentare la nostra condizione vergognosa. In un certo senso siamo venuti alla capitale del paese per incassare un assegno. Quando gli architetti della repubblica scrissero le sublimi parole della Costituzione e la Dichiarazione d’Indipendenza, firmarono un "pagherò" del quale ogni americano sarebbe diventato erede. Questo "pagherò" permetteva che tutti gli uomini, si, i negri tanto quanto i bianchi, avrebbero goduto dei principi inalienabili della vita, della libertà e del perseguimento della felicità.


Le parole pronunciate dall’uomo di colore fanno paura ai bianchi ma ai neri danno un piccolo sprazzo di felicità. Queste sono le parole della verità, che qualcuno per un secolo ha voluto nascondere ma ora “i negri” come gli americani li chiamano vogliono che la promessa di una vita migliore sia mantenuta, hanno aspettato troppo, per l’America è arrivato il momento di accettare il diverso e dargli un posto nella società.


E’ ovvio, oggi, che l’America è venuta meno a questo "pagherò" per ciò che riguarda i suoi cittadini di colore. Invece di onorare questo suo sacro obbligo, l’America ha consegnato ai negri un assegno fasullo; un assegno che si trova compilato con la frase: "fondi insufficienti". Noi ci rifiutiamo di credere che i fondi siano insufficienti nei grandi caveau delle opportunità offerte da questo paese. E quindi siamo venuti per incassare questo assegno, un assegno che ci darà, a presentazione, le ricchezze della libertà e della garanzia di giustizia.


L’uomo vuole vedere i suoi diritti messi in pratica, vuole vedere le persone come lui poter camminare sullo stesso marciapiede degli altri, non vuole i posti riservati solo ai neri ma vuole posti comuni. Vuole un mondo migliore e tra poco la Storia grazie a lui cambierà.
 
Siamo anche venuti in questo santuario per ricordare all’America l’urgenza appassionata dell’adesso. Questo non è il momento in cui ci si possa permettere che le cose si raffreddino o che si trangugi il tranquillante del gradualismo. Questo è il momento di realizzare le promesse della democrazia; questo è il momento di levarsi dall’oscura e desolata valle della segregazione al sentiero radioso della giustizia.; questo è il momento di elevare la nostra nazione dalle sabbie mobili dell’ingiustizia razziale alla solida roccia della fratellanza; questo è il tempo di rendere vera la giustizia per tutti i figli di Dio. Sarebbe la fine per questa nazione se non valutasse appieno l’urgenza del momento. Questa estate soffocante della legittima impazienza dei negri non finirà fino a quando non sarà stato raggiunto un tonificante autunno di libertà ed uguaglianza.


Migliaia di persone sono lì in quel momento, tutte con il fiato sospeso. C’è chi è venuto da molto lontano come la famiglia della piccola  Ully  Lover altri ancora abitano a pochi metri di distanza, nel “ghetto dei neri” come la giovane Janet  Jung. Ma non importa da dove si viene perché ora sono tutti qui per uno scopo: la libertà. Questi sono gli anni in cui l’impossibile diventa possibile, gli anni del cambiamento, dell’evoluzione, gli anni in cui un solo grido si alza, un grido unico che coinvolge milioni di persone: IO HO UN SOGNO!


Il 1963 non è una fine, ma un inizio. E coloro che sperano che i negri abbiano bisogno di sfogare un poco le loro tensioni e poi se ne
staranno appagati, avranno un rude risveglio, se il paese riprenderà a funzionare come se niente fosse successo.


E’ arrivato il momento di reagire, di cambiare il nostro futuro e  lo dobbiamo fare con le nostre mani. Loro hanno bisogno di capire che il mondo sta cambiando e noi non staremo qui, fermi a non fare nulla ma cambieremo anche noi.


Non ci sarà in America né riposo né tranquillità fino a quando ai negri non saranno concessi i loro diritti di cittadini. I turbini della rivolta continueranno a scuotere le fondamenta della nostra nazione fino a quando non sarà sorto il giorno luminoso della giustizia.


L’adrenalina inizia a salire, bisogna combattere. Tra le persone iniziano a girare le parole “guerra”, “battaglia”, “rivoluzione”, “proteste”…
 
Ma c’è qualcosa che debbo dire alla mia gente che si trova qui sulla tiepida soglia che conduce al palazzo della giustizia. In questo nostro procedere verso la giusta meta non dobbiamo macchiarci di azioni ingiuste. Cerchiamo di non soddisfare la nostra sete di libertà bevendo alla coppa dell’odio e del risentimento. Dovremo per sempre condurre la nostra lotta al piano alto della dignità e della disciplina. Non dovremo permettere che la nostra protesta creativa degeneri in violenza fisica. Dovremo continuamente elevarci alle maestose vette di chi risponde alla forza fisica con la forza dell’anima.
 
La voce si alza ancora di più e fa zittire il brusio della folla. Ora riecheggiano le parole “giusta meta”, “dignità”, “forza dell’anima”… Si può combattere con le armi ma non si può combattere e vincere la forza dell’anima perché quella sarà eterna. Ci sarà sempre qualcuno che porterà avanti un’idea e che non smetterà di credere in un ideale ed è questo che dobbiamo dimostrare al mondo, che ora un popolo si è unito per combattere l’ingiustizia ma non con le armi ma con la dignità.
 
Questa meravigliosa nuova militanza che ha interessato la comunità negra non dovrà condurci a una mancanza di fiducia in tutta la comunità bianca, perché molti dei nostri fratelli bianchi, come prova la loro presenza qui oggi, sono giunti a capire che il loro destino è legato col nostro destino, e sono giunti a capire che la loro libertà è inestricabilmente legata alla nostra libertà. Questa offesa che ci accomuna, e che si è fatta tempesta per le mura fortificate dell’ingiustizia, dovrà essere combattuta da un esercito di due razze. Non possiamo camminare da soli.


In qualche area della folla si possono trovare dei volti chiari,  l’unione e l’uguaglianza fanno la forza ed è per questo che in questo magnifico giorno ci sono anche dei bianchi tra i neri, perché il mondo sta cambiando.
 
E mentre avanziamo, dovremo impegnarci a marciare per sempre in avanti. Non possiamo tornare indietro. Ci sono quelli che chiedono a coloro che chiedono i diritti civili: "Quando vi riterrete soddisfatti?" Non saremo mai soddisfatti finché il negro sarà vittima degli indicibili orrori a cui viene sottoposto dalla polizia.


La folla non si accontenterà questa volta dei giochetti di maestria della politica, vuole un cambiamento. E i bianchi hanno paura!


Non potremo mai essere soddisfatti finché i nostri corpi, stanchi per la fatica del viaggio, non potranno trovare alloggio nei motel sulle strade e negli alberghi delle città. Non potremo essere soddisfatti finché gli spostamenti sociali davvero permessi ai negri saranno da un ghetto piccolo a un ghetto più grande. Non potremo mai essere soddisfatti finché i nostri figli saranno privati della loro dignità da cartelli che dicono:"Riservato ai bianchi". Non potremo mai essere soddisfatti finché i negri del Mississippi non potranno votare e i negri di New York crederanno di non avere nulla per cui votare. No, non siamo ancora soddisfatti, e non lo saremo finché la giustizia non scorrerà come l’acqua e il diritto come un fiume possente.

No, ora le persone di colore vogliono realizzare il loro sogno e non si stancheranno fino a quando non avranno raggiunto il loro scopo.


Non ha dimenticato che alcuni di voi sono giunti qui dopo enormi prove e tribolazioni. Alcuni di voi sono venuti appena usciti dalle anguste celle di un carcere. Alcuni di voi sono venuti da zone in cui la domanda di libertà ci ha lasciato percossi dalle tempeste della persecuzione e intontiti dalle raffiche della brutalità della polizia. Siete voi i veterani della sofferenza creativa. Continuate ad operare con la certezza che la sofferenza immeritata è redentrice.

Ognuno di noi  ha una storia da raccontare, la maggior parte di esse sono tristi e dolorose ma ora non bisogna dimenticare che ognuno di noi, a suo modo, è un eroe della libertà.
 
Ritornate nel Mississippi; ritornate in Alabama; ritornate nel South Carolina; ritornate in Georgia; ritornate in Louisiana; ritornate ai vostri quartieri e ai ghetti delle città del Nord, sapendo che in qualche modo questa situazione può cambiare, e cambierà. Non lasciamoci sprofondare nella valle della disperazione.


Si deve combattere e lo si deve fare in qualsiasi parte degli Stati Uniti d’America, l’adrenalina nella folla si alza sempre più. La libertà sta diventando una consapevolezza nella mente di ognuno.
 
E perciò, amici miei, vi dico che, anche se dovrete affrontare le asperità di oggi e di domani, io ho sempre davanti a me un sogno. E’ un sogno profondamente radicato nel sogno americano, che un giorno questa nazione si leverà in piedi e vivrà fino in fondo il senso delle sue convinzioni: noi riteniamo ovvia questa verità, che tutti gli uomini sono creati uguali.


Anche se questo sogno non potrà essere realizzato subito, il piccolo uomo di colore che sta parlando alla folla sa che questo sogno non scomparirà mai e continuerà a vivere fino alla sua realizzazione.


Io ho davanti a me un sogno, che un giorno sulle rosse colline della Georgia i figli di coloro che un tempo furono schiavi e i figli di coloro che un tempo possedettero schiavi, sapranno sedere insieme al tavolo della fratellanza.


Le lacrime d’emozione iniziano a scendere sulle gote delle persone riunite, neri e bianchi che vivono la stessa continua emozione di felicità e orgoglio.


Io ho davanti a me un sogno, che un giorno perfino lo stato del Mississippi, uno stato colmo dell’arroganza dell’ingiustizia, colmo dell’arroganza dell’oppressione, si trasformerà in un’oasi di libertà e giustizia.

La libertà si fa più vicina e palpabile per tutti ora che sanno che c’è qualcuno che insieme a loro combatterà.
 
Io ho davanti a me un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere.Ho davanti a me un sogno, oggi!.


L’uomo che parla guarda quattro bimbi piccoli, gli sorride perché lui crede in quello che sta dicendo e sa che anche altri ci credono e che questo sarà il futuro dell’America.


Io ho davanti a me un sogno, che un giorno ogni valle sarà esaltata, ogni collina e ogni montagna saranno umiliate, i luoghi scabri saranno fatti piani e i luoghi tortuosi raddrizzati e la gloria del Signore si mostrerà e tutti gli essere viventi, insieme, la vedranno. E’ questa la nostra speranza. Questa è la fede con la quale io mi avvio verso il Sud.

Un’America unita e libera, un sogno grande ma non impossibile.
 
Con questa fede saremo in grado di strappare alla montagna della disperazione una pietra di speranza. Con questa fede saremo in grado di trasformare le stridenti discordie della nostra nazione in una bellissima sinfonia di fratellanza. Con questa fede saremo in grado di lavorare insieme, di pregare insieme, di lottare insieme, di andare insieme in carcere, di difendere insieme la libertà, sapendo che un giorno saremo liberi. Quello sarà il giorno in cui tutti i figli di Dio sapranno cantare con significati nuovi: paese mio, di te, dolce terra di libertà, di te io canto; terra dove morirono i miei padri, terra orgoglio del pellegrino, da ogni pendice di montagna risuoni la libertà; e se l’America vuole essere una grande nazione possa questo accadere.
 
Il sogno di un futuro migliore infiamma i cuori della folla, gli occhi brillano, i sorrisi nascono e le mani si uniscono in un’unica catena.
 
Risuoni quindi la libertà dalle poderose montagne dello stato di New York.
Risuoni la libertà negli alti Allegheny della Pennsylvania.
Risuoni la libertà dalle Montagne Rocciose del Colorado, imbiancate di neve.
Risuoni la libertà dai dolci pendii della California.
Ma non soltanto.
Risuoni la libertà dalla Stone Mountain della Georgia.
Risuoni la libertà dalla Lookout Mountain del Tennessee.
Risuoni la libertà da ogni monte e monticello del Mississippi. Da ogni pendice risuoni la libertà.
 
“RISUONI LA LIBERTA’ ”,
parole che colpiscono,
parole che segnano,
parole che rimarranno nella Storia mondiale.
 
E quando lasciamo risuonare la libertà, quando le permettiamo di risuonare da ogni villaggio e da ogni borgo, da ogni stato e da ogni città, acceleriamo anche quel giorno in cui tutti i figli di Dio, neri e bianchi, ebrei e gentili, cattolici e protestanti, sapranno unire le mani e cantare con le parole del vecchio spiritual: "Liberi finalmente, liberi finalmente; grazie Dio Onnipotente, siamo liberi finalmente".
 
Un ringraziamento forte e deciso che rispecchia il pensiero di intere folle. Bianchi e neri uniti, questo era il sogno di un popolo che ha combattuto per i suoi diritti e che alla fine li ha vinti semplicemente credendo in quel unico e unitario sogno.
 

10 dicembre 2011
 

 
Quarantotto anni dopo quell’uomo non c’è più, ucciso da un proiettile ma quelle parole riecheggiano ancora nei cuori dei neri d’America.
 
Quarantotto anni dopo un nero è diventato Presidente degli Stati Uniti.
 
Quarantotto anni dopo il 28 agosto 1963 è rimasto nella memoria di tutti i popoli del mondo.
 
Quarantotto anni dopo uno dei simboli della libertà  è la frase “I have a dream”!
 
Quarantotto anni dopo Martin Luther King è uno dei più grandi uomini che hanno cambiato la Storia e che l’hanno fatta.




Note dell'autrice:
Le parti evidenziate non sono state scritte da me ma sono le parti che compongono il discorso di Martin Luther King... :)

   
 
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