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Autore: _Ery99_    14/12/2011    2 recensioni
Eccomi di nuovo qui con voi!!! Sono tornata con una nuova Draco/Hermione, ambientata dopo la guerra che parla di un Draco decisamente cambiato.. Tranquille: non si dichiarerà improvvisamente ad Hermione xD Vi ho incuriosito? Beh, non vi resta altro che leggere e, magari, lasciarmi un commentino.
Vostra,
_Ery99_
Genere: Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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 Profumava di rose, di menta e di morte.

Sospirava spesso. Piangeva molto.
Era diventato semplicemente vuoto dopo la Guerra, come un corpo che viene privato dell’anima, come un fiore che viene privato del polline, come un uomo che viene privato del sangue.
Non aveva dimora, né famiglia, né felicità.
Lo trovavo sempre lì. Vicino allo stagno subito dopo la radura poco lontano da casa mia, accovacciato fra due cespugli di rose. Rose bianche.
Non sapeva che io abitassi lì. E se lo sapeva non gliene importava.
Lo osservavo per ore ed ore nel pomeriggio, senza nemmeno aver bisogno di nascondermi.
Lo guardavo prendere una rosa tra le mani, carezzarla con le sue lunghe dita ossute e privarla di tutti i suoi petali. Uno ad uno.
E per ognuno di quelli strappati, così una lacrima rigava il suo volto. Non gemeva, non singhiozzava,  sospirava solo e lasciare fluire tutto il dolore che viveva dentro di lui. Che gli bruciava dentro. Che lo uccideva giorno dopo giorno.
Non mi ha detto niente di tutto ciò, nonostante fossi a pochi passi da lui, ed io non gliel’ho mai chiesto. La sua sofferenza, il suo sentirsi così sbagliato e fuori posto, lo si poteva leggere anche solo con l’olfatto.
Aspiravo spesso il suo profumo, fino a che non me ne intossicavo. Era una fragranza strana, un’ aroma che sapeva di rose, che avevano impregnato le sue dita, sapeva di menta e di morte,che era ormai indelebile nella sua mente e nel suo corpo senz’anima.
Sembrava un vecchio, con indosso vesti sgualcite e putride, che non aspetta altro che la pace eterna. Il suo desiderio ardente di incontrare quell’amica dal velo nero che ancora non si era prestata a lui era come tatuato sul suo corpo, indelebile, invisibile, intoccabile.
 

Una volta che,  di quella rosa innocente, non era rimasto nient’altro che lo stelo sottile, Draco lo rigirava tra le dita, graffiandosi i polsi e i palmi.
Lo afferrava, come fosse un pugnale, e tracciava solchi profondi sulla sua pelle lattea, che veniva macchiata dal suo sangue puro che sembrava giovargli, saziarlo, purificarlo.
Si arrotolava delicatamente la camicia fin sul gomito e cominciava a delineare con le spine i contorni del Marchio Nero sul suo avambraccio sinistro. Li ricordava a memoria.
Infatti chiudeva gli occhi e lacerava la carne e quell’ombra veniva oscurata da una macchia rossa, bollente, vitale.
Poi apriva gli occhi, sollevava di poco il braccio ed osservava il suo stesso sangue sgorgare a fiotti, dalle ferite che lui stesso si era inferto. Sorrideva. Un sorriso che ti arrivava dentro, vero e semplice, sincero, come solo quello di un bambino può esserlo.
Solo allora lo vedevo sorridere. Quando il Marchio veniva coperto dal suo sangue e dal suo essere bambino, dal suo sorriso e da ciò che era dentro di lui.
 

La prima volta ho avuto terrore vedendo ciò che faceva. Sembrava stesse per morire dissanguato. Le vene erano state tranciate di netto e sprizzavano gocce rosse ininterrottamente. La sua carnagione stava rapidamente impallidendo ed i suoi occhi erano diventati bianchi.
Ricordo di averlo afferrato dal bavero della camicia e averlo medicato. Con mia grande sorpresa, Draco non aveva opposto resistenza, ma aveva continuato a sorridere e fissare la sua essenza che scivolava via. Quando gli avevo coperto e medicato le ferite, il suo sorriso era svanito e mi aveva guardato ma era rimasto in silenzio. Era uno sguardo triste, disperato, sorpreso. Era lo sguardo di una bambina che non vede più tornare i genitori dopo un fatale incidente e si chiede il perché.
Alla fine aveva abbassato lo sguardo, come per scusarsi, ed era andato via. Non so dove. Non me l’ero sentita di seguirlo.
Il giorno dopo ero ritornata vicino allo stagno e, accucciato tra i due cespugli di rose, c’era lui. Che fissava la spina di una rosa bianca, i cui petali spiccavano sulle foglie cadute al suolo, trafiggergli la carne e tranciargli le vene. Coprirgli con la sua vera essenza il passato, incancellabile sull’arto che si torturava.
 

E’ da mesi che questa sequenza va avanti. Il suo dolore è entrato anche in me. Non gli ho rivolto neanche una parola fino ad ora ma guardarlo, respirarlo, mi fa più male.
Spesso mi sento in colpa di medicargli le ferite. Forse dovrei lasciarlo lì, sul quel prato cosparso di foglie, di petali bianchi; vicino allo stagno che a volte si tinge di rosso; in mezzo ai cespugli che sta lentamente spogliando; in attesa che la Morte arrivi e lo sorprenda col sorriso sulle labbra.
Forse lui vorrebbe così.
Oggi non sono andata a trovarlo. Sono rimasta nel soggiorno di casa mia, ma il tessuto della poltrona non mi è familiare come le foglie vicino allo stagno. Lo immagino lì, con  le gambe incrociate, gli occhi vuoti, i capelli sporchi che vengono smossi dalla brezza autunnale. E immagino il suo sangue disperdersi, il Marchio sparire, lo stelo,ormai inutile e spoglio, cadere in terra. Immagino il suo sorriso nascere e il respiro accelerare, lo sguardo appannarsi, la pelle raggrinzirsi, un ultimo sospiro strappato dalle sue labbra, sussurrare una preghiera al vento.
Mi alzo e mi faccio strada tra la radura. Vedo il suo corpo, cadavere. Mi avvicino. La camicia e il pantalone grigio sono imbrattati di sangue scarlatto. L’ombra nera dal suo braccio  è sparita, i petali sembrano fargli omaggio attorno a lui;i cespugli,che gli fanno da bara, sono privi di rose. Sono morti insieme a lui, i fiori oramai non servono più, sul suo volto è dipinto un sorriso beato.

Nell’aria c’è un profumo di rose, di menta e di morte.

  
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