Serie TV > Glee
Segui la storia  |       
Autore: lievebrezza    15/12/2011    22 recensioni
Blaine arriva in una nuova scuola. L'ultima cosa che vuole è innamorarsi della persona sbagliata; però succede. E tutto improvvisamente, diventa molto complicato, perchè a volte non si può evitare di amare qualcuno di proibito.
[Teacher!Blaine + Student!Kurt]
Genere: Drammatico, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Grazie a Medea, moglie e beta stupenda, come farei senza di te? Un piccolo edit (sì, ho preso il vizio) per dirvi che aggiornerò la storia due volte a settimana, il lunedì e il venerdì sera. Come al solito, manderò un mp per avvisare dell'aggiornamento chi ha messo la storia nelle seguite/preferite. A lunedì!

Capitolo secondo

Quando quel ragazzo era uscito dal bagno di corsa, chiudendosi la porta alle spalle, il primo istinto di Blaine era stato quello di corrergli dietro, per dirgli che… che aveva appena baciato un professore. Che è una cosa sbagliata da fare, che avrebbe dovuto almeno presentarsi, che non si può atterrare così sulla faccia di una persona e poi andarsene via. Blaine si ritrovò a pensare che magari non era un suo professore; ma c’erano comunque dei limiti da rispettare. Delle regole da seguire. Com’era la storia di quella insegnante di matematica arrestata a Philadelphia?

In verità, quello di seguire il ragazzo fuori dal bagno non era stato davvero il primo istinto di Blaine: il primo era stato quello di correre nella prima toilette e liberarsi approssimativamente di mezzo litro di pipì. L’essere improvvisamente solo gli aveva fatto ricordare il motivo per cui era entrato in quel bagno una decina di minuti prima; con la mente lucida e la vescica sgombra, aveva finalmente iniziato a ragionare, ma la guancia continuava a scottargli terribilmente.

Accidenti, che situazione.

Iniziò a camminare avanti e indietro, strisciando le dita sui lavandini e riflettendo su che cosa fosse meglio fare. In quanto insegnante, non poteva semplicemente lasciar correre.

Come prima cosa poteva andare da Figgings e denunciare l’atto di bullismo di cui il ragazzo era stato vittima, ma da come aveva reagito quando l’aveva proposto, probabilmente era inutile, forse addirittura dannoso. Blaine sapeva bene quanto gli adolescenti sanno essere meschini e quel poveretto sembrava saperlo altrettanto approfonditamente: ai ragazzi non sarebbe importato che era stato un professore a riportare l’accaduto, avrebbero reso la sua vita un inferno. Sempre che non lo fosse già. In effetti non era il ritratto della felicità, accucciato a terra e zuppo di granita ghiacciata.

Gli scocciava ammetterlo, ma probabilmente tacere era l’unico modo per non creargli ulteriori problemi; Blaine decise che avrebbe indagato sulla situazione e si sarebbe sforzato di trovare un modo di aiutarlo, dato che apparentemente nessuno fino a quel momento sembrava averlo fatto.

“Ok. Non faccio la spia. Che faccio?” si chiese Blaine, fermandosi per un istante, poi ricominciando a camminare nervoso. Aveva la sensazione che qualcosa andava necessariamente fatto. O detto. Ma, tanto per cominciare, non aveva idea di chi fosse quello studente, né aveva intenzione di perlustrare le aule per ritrovarlo. E anche se l’avesse incontrato, che gli avrebbe detto?

Avrebbe dovuto spiegargli l’imbarazzante equivoco che li aveva visti protagonisti: “Mi duole informarti che hai tenuto un atteggiamento inappropriato nei confronti di un insegnante.”. Blaine si schiaffeggiò la fronte alla sola idea di una conversazione simile e si lasciò sfuggire un lamento; perché, su tutti gli insegnati della scuola, era stato proprio lui a trovare quel ragazzo? Perché s’era fatto sfuggire con quel ragazzo che gli omosessuali in quel bagno erano due? Perché non aveva accettato di insegnare educazione fisica in New Mexico, anziché andare a Lima?

Caffè.

Blaine aveva bisogno di caffè bollente e con un po’ di fortuna avrebbe ritrovato la sala professori che Figgings gli aveva mostrato la settimana prima. Risoluto, si voltò per uscire, quando vide la maglia di quel ragazzo appallottolata su uno dei lavandini. Senza pensarci troppo, Blaine la prese: era ancora umida di acqua e sciroppo. Prima di rendersene conto, il profumo emanato dal tessuto si fece strada fino al suo naso; non ci aveva ovviamente affondato dentro il naso, ma un sottile profumo di vaniglia, unito a quello pungente della menta, l’avevano comunque raggiunto.

Indeciso sul da farsi, quando lesse sull’etichetta che la maglia era di Marc Jacobs e che probabilmente costava almeno cento dollari, si convinse a portarla via: qualcuno avrebbe potuto gettarla o rubarla, se l’avesse lasciata lì. O peggio, quel ragazzo avrebbe potuto accusarlo di essere stato proprio lui ad arraffarla, magari dicendo a tutti che l’aveva anche visto a petto nudo. Da un amichevole scambio di opinioni alla denuncia per molestie il passo era breve e Blaine non aveva una consolidata carriera accademica dietro cui nascondersi. Poteva già immaginarsi i cittadini di Lima con fiaccole e forconi che circondavano il suo appartamento.

Scosse la testa, stupendosi di come la sua mente fosse ancora capace di galoppare senza freno, se non si sforzava di trattenerla. Guardò di nuovo la maglia: il giorno successivo l’avrebbe riportata a scuola stirata e lavata; non sapeva bene a chi avrebbe potuto affidarla, ma confidava di trovare una soluzione. Era sicuro che quel ragazzo avrebbe apprezzato quella piccola attenzione, dopotutto era il minimo che poteva fare per aiutarlo nell’immediato.

Uscì dal bagno con la maglia stretta in pugno e la portò nella sua aula: la arrotolò con cura, in modo che la parte asciutta fosse all’esterno e la ficcò nella sua borsa. Seduto alla scrivania, appoggiò il viso contro il palmo di una mano e ricominciò a pensare.

Prima di rendersene conto, la mente stava vagando su pelle liscia, su occhi azzurri e capelli castani. Su quello sguardo prima ferito, poi così improvvisamente fiducioso e altrettanto velocemente diventato imbarazzato. Per la seconda volta nel giro di pochi minuti, Blaine scosse la testa e scacciò via i pensieri che la affollavano.

Caffè.

Adesso sì, che doveva prendersi un caffè. Si alzò e camminò verso la segreteria, dove ricordava di aver visto l’accesso alla sala professori; mentre percorreva il corridoio, trovò due ragazzoni che spintonavano un piccoletto.

“Dacci i soldi del pranzo. Forza, non farti pregare!” L’altro frugava nervosamente nella sua tracolla, ma più lo spintonavano più gli risultava difficile afferrare qualcosa all’interno della borsa. Blaine affrettò il passo e in pochi istanti fu da loro.

“Che accidenti state facendo? Smettetela immediatamente.” Disse con il tono più professionale e autorevole che riusciva a simulare. I due si voltarono: se uno non sembrava minimamente disturbato dalla sua presenza, l’altro lo osservava confuso. Era evidente che si stava chiedendo chi fosse quel tizio, per arrivare da loro e interromperli con tanta sicurezza. Quando si voltarono per ricominciare a tormentare il ragazzino, decidendo di non dargli minimamente credito, decise che in questo caso era necessario intervenire.

“Bene. Andiamo dal preside.”

Prima che potessero dire altro, Blaine li afferrò entrambi per la felpa e iniziò a camminare verso l’ufficio del preside; fecero resistenza solo per qualche secondo, ma non smise per un attimo di tirarli con determinazione, senza mostrare la paura che aveva di prendersi a sua volta uno spintone. O peggio.

Quando arrivarono davanti alla porta di Figgings, erano entrambi silenziosi: non tanto per paura di quello che sarebbe accaduto, quanto piuttosto per la sorpresa. In tutti quegli anni, nessuno dei professori aveva mai fatto troppo caso a quello che succedeva nei corridoi e al massimo si limitavano a un rimprovero scherzoso; d’altro canto, tutti loro stavano ben attenti a limitarsi, quando c’erano dei professori nelle vicinanze. Ma chi poteva immaginare che quel tappo tutto leccato fosse un professore? E che avesse anche le palle di intervenire?

“Signor Preside?” chiese entrando nel suo ufficio, spingendo gentilmente i ragazzi verso l’interno. Riluttanti, si piazzarono ai lati della scrivania del preside. L’altro, con la tracolla stretta al petto, sedette fuori, insieme alla segretaria.

“Buongiorno, professor Anderson!” lo salutò sorridente l’altro. “Vedo che ha fatto conoscenza di alcuni dei nostri migliori giocatori di football, non sapevo che fosse coinvolto nella gestione della squadra!”

Il preside salutò altrettanto allegro i ragazzi, che raddrizzarono la schiena e rivolsero un sorrisetto beffardo a Blaine. Era evidente che il timore di pochi minuti prima era svanito, sostituito da una serena confidenza.

“No, non sono coinvolto nella gestione della squadra. Ho solo trovato questi ragazzi in corridoio, durante le ore di lezione, intenti a spintonare un ragazzo del terzo anno per farsi dare i suoi soldi.”

Poi successe l’incredibile. Figgings rise, seguito dai due ragazzi. Blaine li osservò sconvolto.

“Anderson, non posso credere che lei si sia fatto abbindolare! Questi ragazzoni amano scherzare, non ruberebbero mai del denaro agli altri studenti, né si permetterebbero mai di mettergli le mani addosso. Non è vero, ragazzi?”

Il preside s’alzò e diede due pugnetti sulla spalla di ciascuno, fingendo un piccolo incontro di boxe. Inutile dire che Blaine aveva osservato l’intera scena senza dire una parola.

“Le sto dicendo che li ho visti con i miei occhi spintonare quel ragazzo. E che ho sentito chiaramente le minacce che gli hanno rivolto per farsi dare i soldi. Siamo solo al primo giorno di scuola, se non facciamo niente adesso, entro la fine dell’anno che cosa arriveranno a combinare? Mi dispiace, ma non sono abituato a chiudere gli occhi di fronte a episodi di questo tipo e pretendo che i ragazzi ricevano una punizione.”

Parlò con una determinazione tale che Figgings smise di giocherellare con i ragazzi e lo guardò incerto.

“Ma è solo il primo giorno di scuola…” disse stringendosi nelle spalle.

“Appunto. E’ SOLO il primo giorno di scuola. È la seconda ora del primo giorno di scuola e questi ragazzi hanno già saltato una lezione e minacciato fisicamente e verbalmente un compagno. Se non vuole occuparsene personalmente, sono a disposizione per delle ore di punizione dopo la fine delle lezioni oggi stesso. Così come sono disponibile per degli incontri con i loro genitori.” Blaine s’impuntò, incrociando le braccia sul petto. Non aveva intenzione di mollare, questo doveva essere ben chiaro.

Figgings fece un sospiro, poi sedette alla scrivania.

“Va bene… Ragazzi, oggi dopo la scuola rimarrete due ore dopo il termine delle lezioni. Andate nell’aula del professor Anderson, deciderà lui che cosa farvi fare. Contento?” disse scocciato a Blaine, mentre compilava distrattamente il foglio della punizione.

“Non è a me che sta facendo un favore.” Rispose piccato l’altro. “Vi aspetto alle 15.00, portate dei guanti di gomma, potete chiederli agli inservienti.”

Ignorò le proteste dei ragazzi e li condusse fuori dall’ufficio. Quando se ne andarono, lamentandosi a gran voce, tornò dal ragazzo seduto fuori dall’ufficio di Figgins.

“Grazie.” Gli disse accennando un sorriso.

“Che lezione dovresti avere ora?”

“Biologia.”

“Bene, ti accompagno io in aula, così posso spiegare all’insegnante perché hai tardato.”

Il ragazzo prese la sua borsa e lui lo seguì: ovviamente Blaine non si ricordava dove accidenti era il laboratorio di biologia. Ma come aveva fatto a non perdersi durante i suoi tre anni alla Dalton, che era grande almeno dieci volte di più di questo liceo infernale?

 

Kurt ascoltava distrattamente la lezione di biologia, quando qualcuno bussò alla porta dell’aula: con sua sorpresa, entrarono Dean, il secchione del terzo anno che aveva sempre il raffreddore, e il ragazzo che aveva conosciuto una mezz’ora prima nel bagno. Allora erano compagni di corso.

“Sei in ritardo.” Disse la Jones a Dean, che tirò su rumorosamente con il naso e corse al suo banco senza aggiungere nulla, se non un silenzioso sguardo al ragazzo dietro di lui. Kurt osservò sorpreso quel breve scambio di battute, chiedendosi perché l’altro ragazzo aveva tardato tanto e perché la Jones non glielo stava facendo notare, a differenza di come aveva fatto con Dean.

“Questa è una giustificazione firmata da me e dal preside.” Il ragazzo porse un foglio alla Jones, che lo lesse brevemente e alla fine fece un sospiro esasperato. “Dean era con me.”

Una possibile spiegazione si stava lentamente facendo strada nella testa di Kurt, che si rifiutava ostinatamente di lasciarla venire a galla. C’era solo un gruppo ristretto tra le persone della scuola, autorizzate a firmare giustificazioni: i genitori e i professori. Evidentemente non era il padre di Dean, che era un bifolco cinquantenne che indossava solo camicie di denim scolorito, quindi…

“Oh. Accidenti.”

Scivolò lentamente contro lo schienale, nascondendosi dietro Puck e quella montagna umana della sua fidanzata, Lauren. Finn fortunatamente gli aveva tenuto il posto accanto al suo, nell’ultima fila, così era stato semplice sparire alla vista.

“Non si dimentichi della riunione di stasera. Mi raccomando, ci saranno tutti gli insegnanti.” La Jones ficcò il foglio nel registro e gli fece un cenno di saluto, poi il ragazzo uscì dall’aula.

Il volto di Kurt ormai era in fiamme: era stato emotivamente contenuto per anni, non toccava persone che non fossero parenti o amici strettissimi praticamente da sempre, e l’unica volta che aveva avuto uno slancio verso un ragazzo carino e gentile, era venuto fuori che era un insegnante. Cosa c’era che non andava in lui?

Forse all’ultima svendita quella strega a cui aveva strappato dalle mani una cintura di Gucci gli aveva lanciato una maledizione. O forse con il suo SUV aveva investito il gatto di qualcuno.

“Coso, stai bene?” Finn, assonnato, attirò la sua attenzione.

“Come? Io… sì, sto bene. Fa caldo, non è vero?” disse sventolandosi il viso con la mano. Sarebbe andato tutto bene: sicuramente quel professore non era uno dei suoi. Si sarebbero limitati a qualche occhiata imbarazzata nelle poche occasioni in cui si sarebbero incrociati nei corridoi, poi avrebbero dimenticato l’accaduto.

O Kurt si sarebbe seppellito vivo.

O avrebbe fatto un trapianto di faccia.

Una soluzione l’avrebbe trovata.

“Hai visto? Con Dean ha scritto pure la giustificazione, a te invece ha scritto la nota. Che stronzo.” Disse Finn, tornando a sdraiarsi sul banco. Kurt, pietrificato, si voltò verso di lui.

“Chi?”  chiese con gli occhi sbarrati.

Non il nuovo professore di letteratura. Non il nuovo professore di letteratura. Non il nuovo professore di letteratura. Non il nuovo professore di letteratura. Ti prego, non il nuovo professore di letteratura.         

“Ma Anderson, no? Il nuovo professore di letteratura, con quel nome assurdo. Blaine… o qualcosa del genere.” Rispose Finn, senza lasciare più nessun dubbio.

Bene. Fantastico.

Ora sì, che le iniziali sul fazzoletto avevano un senso. Ce l’aveva ancora stretto in una mano: dischiuse lentamente le dita e lisciò la parte con le lettere elegantemente ricamate.

Blaine Anderson.

Renderglielo sarebbe stato di certo imbarazzante, soprattutto ora che era stropicciato e sudaticcio; decide di lavarlo e stirarlo quello stesso pomeriggio, così almeno non avrebbe aggiunto alla pessima impressione che già aveva dato anche quella di essere una persona con scarsa cura di sé. Aprì il libro di biologia, cercando di non pensare a quando era stato accorto nell’inumidire l’asciugamano con acqua tiepida, prima di passarglielo, o quanto era morbida la guancia su cui aveva posato le labbra. O a quando il cuore aveva pompato forte mentre correva fuori dal bagno.

Perché Kurt aveva già preso delle cotte in passato, era piombato dentro nell’innamoramento come un folle che si butta in pozzo: aveva insistito anche quando aveva saputo che Finn era etero, e lo stesso aveva fatto con Sam. Si era ripromesso di non abbandonarsi a pensieri fantasiosi sull’amore finchè non avrebbe abbandonato quel buco di città, ma quando si era ritrovato davanti quel ragazzo bellissimo, gentile e beh… gay, c’era ricascato come una pera cotta, prendendosi pure la libertà di baciarlo. Perché Kurt, in fondo, non desiderava altro che essere amato, stretto, coccolato e confortato. Voleva qualcuno con cui parlare liberamente, qualcuno che sapesse com’era, qualcuno che lo accettasse, così com’era: maledizione, aveva solo diciotto anni, non poteva biasimare se stesso per aver buttato tutto quel desiderio sulla prima persona che aveva mostrato un briciolo di disponibilità nei suoi confronti.

Scribacchiò distrattamente sul quaderno fino alla fine della lezione, con Finn che gli pisolava placidamente accanto mentre riponeva tutte le sue speranze, una dopo l’altra, nel cassettino dei progetti per il futuro. Ci sarebbe stato tempo, prima o poi avrebbe incontrato qualcuno.

 

All’intervallo, Blaine prese coraggio ed entrò nella stanza dei professori: inspiegabilmente, al suo ingresso ci fu una breve pausa di silenzio, seguita da un sommesso mormorìo. Mentre raggiungeva la macchinetta del caffè, in un percorso che da pochi metri sembrava essere diventato infinito, carpì qualche parola.

“Imporsi su Figgins…”

“… non siamo alla Dalton.”

“Il morale della squadra…”

“… chi si crede di essere.”

Prese una bustina di zucchero e sedette a uno dei tavolini liberi, tenendo lo sguardo fisso sulla sua tazza mentre girava lentamente il cucchiaino nel liquido bollente. Stava iniziando a chiedersi se quella della punizione era stata davvero una buona mossa, quando una donna in pantaloncini corti, delle dimensioni di un armadio a tre ante, entrò nella stanza.

“Chi è Blaine Anderson?” tuonò, con i pugni appoggiati sui fianchi. Tutti i presenti si voltarono di scatto verso di lui, che aveva timidamente alzato una mano per rispondere all’appello; in pochi passi, la donna era al suo tavolo. Afferrò due ciambelle e una sedia, poi vi sedette sopra a cavalcioni.

“Giusto te, stavo cercando.” Nella stanza c’era un silenzio tombale, tutti erano pronti a godersi lo spettacolo della nuova allenatrice che faceva a pezzi il professorino che aveva osato far mettere in punizione due dei suoi giocatori. Lei diede un morso gigantesco a una delle ciambelle, poi lo puntò con il dito.

“Io sono la coach Beiste. Anche io sono nuova, e che sia maledetta se non è vero, sono contenta che qualcuno mi aiuti a mettere in riga quegli animali.” Poggiò le ciambelle e gli allungò la mano, con le dita ancora sporche di glassa; Blaine, sorpreso, appoggiò il cucchiaino e la strinse, senza dire nulla.

“Quelli sono delle bestie senza rispetto, ieri ho fatto i provini e ho fatto una fatica cane a impormi e farmi ascoltare. E sono quindici anni che alleno ininterrottamente. La mia filosofia di gioco è chiara: gioca bene e gioca giusto. In genere se uno non ha rispetto degli altri giocatori, dell’allenatore o degli schemi di gioco, è perché è abituato a non avere rispetto per nessuno anche fuori dal campo. Quindi chapeau, Blaine. Finalmente uno che la pensa come me.”

Lui sorrise silenziosamente e bevve un sorso di caffè, poi iniziarono a parlare del più e del meno, almeno finchè Emma Pilsbury non arrivò al loro tavolo.

“Scusatemi se vi interrompo. Blaine, non è vero? Volevo chiederti se al termine dell’intervallo puoi venire con me, ho un’idea per la punizione di oggi.”

Blaine annuì, poi anche lei sedette con loro, sorseggiando una tisana dal thermos e guardando impaurita la Beiste che raccontava di quando le si era incastrato un osso di pollo in gola. Quando suonò finalmente la campanello, la coach diede una scrollata di spalle a entrambi a mo’ di saluto, poi se ne andò in palestra, lasciandoli soli.

“Cosa avevi intenzione di fare durante le due ore di punizione?” chiese Emma, poggiando il thermos e raccogliendosi le mani in grembo. “So che i ragazzi hanno chiesto dei guanti di gomma a uno degli inservienti, quindi non hai progettato di farli studiare.”

Lui si strinse nelle spalle. “C’è sempre qualche angolo della scuola disgustosamente sporco. Pensavo di farli ripulire qualche schifezza, di solito è un buon deterrente.” Alla sola idea, lei rabbrividì.

“Allora avevo immaginato giusto. Vieni con me, ho un piccolo suggerimento.” Si alzò e gli fece cenno di seguirla. Non camminarono a lungo: Emma si fermò davanti a uno dei bagni principali, lungo il corridoio su cui si affacciavano la maggior parte delle aule.

“Questo è il bagno dei maschi.” Disse lei aprendo la porta. “Ho voluto aspettare la fine dell’intervallo per essere sicura che non ci fosse nessuno. Ecco, è così da almeno due anni.”

In un primo momento, Blaine non capì che cosa doveva guardare. Sembrava un bagno normale, normale quanto può esserlo un bagno maschile in un liceo pubblico: uno dei distributori di sapone era rotto, i cestini traboccavano di cartacce, per terra c’erano macchie d’acqua ovunque e i muri erano pieni di scritte.

“Non capisco, vuoi che faccia pulire il bagno ai ragazzi?”

“Non esattamente.” Disse lei, facendo qualche passo verso le piastrelle che coprivano il muro di fronte ai lavandini. “Vorrei che gli facessi cancellare queste. E quelle che coprono i muri di tutte le toilette. Io le ho cancellate personalmente almeno un paio di volte, ma nel giro di due giorni le hanno rifatte tutte, rincarando la dose. Non sappiamo chi è a farle, ma abbiamo qualche sospetto. Se magari le facciamo ripulire ai ragazzi e gli diciamo che gliele faremo togliere ogni volta che ricompariranno… forse la smetteranno.” Blaine ormai aveva smesso di ascoltarla.

Perché aveva iniziato a leggere quelle scritte cui in un primo momento non aveva fatto caso: a eccezione di poche, ciascuna di esse faceva riferimento alla stessa persona. Camminò lentamente davanti alle scritte, leggendone alcune: Kurt Hummel succhiaccazzi, Kurt checca, Hummel frocio… per citare solo i più raffinati. Alcuni erano corredati da vignette piuttosto esplicite e volgari, ma era sempre chiaro a chi stavano facendo riferimento.

“Ma… come…” Blaine non impiegò molto a fare un rapido collegamento tra il Kurt Hummel che non si era presentato alla sua lezione e il ragazzo che aveva trovato in quel bagno nell’ala meno utilizzata della scuola. Era evidente che non poteva utilizzare il bagno in cui si trovava ora Blaine.

Era scioccato dalla crudeltà di alcuni giochi di parole e dalla viltà che caratterizzava ogni scritta: si voltò verso Emma, che lo osservava in silenzio.

“E’ cominciato tutto due anni fa, quando Kurt era al secondo anno. Nessuno sapeva che era gay, ma si è preso una cotta talmente intensa per Finn Hudson da non rendere necessario nessun coming out.” Blaine, nel riconoscere quel nome, la interruppe.

“Il suo fratellastro?” chiese sconcertato.

“A quell’epoca non erano altro che compagni di scuola, i loro genitori si sono sposati solo qualche mese fa. Da quando a scuola si è saputo, è diventato il bersaglio prediletto dei bulletti della scuola. Ogni scusa è buona per scrivergli parolacce sull’auto, gettargli addosso granite o aggiungere qualche frase su questo muro.” Rispose lei sconsolata.

“Ma il preside…”

“Kurt si è lamentato tante volte, ma non ci sono mai testimoni, tutti negano o comunque ogni atto è risolto definendolo una ragazzata. Ho pensato che potremmo aiutarlo almeno permettendogli di andare in bagno senza leggere quotidianamente queste scritte oscene. Tu cosa ne dici?” sorrise piano, incerta.

“Hai avuto un’ottima idea, Emma. Vado a procurarmi tutto il necessario, avrò bisogno di solventi.”

“Puoi trovare tutto nel mio ufficio, ti accompagno.” Uscirono dal bagno, mentre Blaine si sforzava di non far vedere quando quelle pareti l’avessero scioccato.

O quanto gli avessero ricordato le scritte che trovava sul suo armadietto.

O quanto l’atteggiamento dei professori e del preside fosse simile a quello della scuola che frequentava prima della Dalton.

O quanto avesse paura che le stesse cicatrici che si portava addosso potessero incidere la pelle di un altro ragazzo.

Di quel ragazzo, in particolare.

   
 
Leggi le 22 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Glee / Vai alla pagina dell'autore: lievebrezza