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Autore: lievebrezza    13/12/2011    45 recensioni
Blaine arriva in una nuova scuola. L'ultima cosa che vuole è innamorarsi della persona sbagliata; però succede. E tutto improvvisamente, diventa molto complicato, perchè a volte non si può evitare di amare qualcuno di proibito.
[Teacher!Blaine + Student!Kurt]
Genere: Drammatico, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Non so nemmeno io da dove m'è venuta fuori. Datemi un parere, ditemi se vale la pena di andare avanti oppure no. Edit: dato che la non paternità dell'idea mi è stata fatta notare, faccio una precisazione. Oggi su ITASA, un forum che frequento abitualmente, è stato pubblicato un gif set su teacher!Blaine; da lì, mi si è piazzata in testa questa storia, che ho sentito la necessità di scrivere. So che non è la prima e non sarà l'ultima su questo argomento, ma intanto volevo dare una mia personalissima interpretazione dell'idea. So che è un AU, so che è OOC, so che la cosa è in dissonanza con la mia scheda d'autrice. La verità è che è la scheda a essere in dissonanza con me, solo che sono troppo pigra per andare a modificarla per dire che adesso mi piacciono anche le AU e le OOC (se non esagerate).

 

Capitolo primo

 

Il colpo di fulmine è un errore che non si è avuto il coraggio

o la possibilità di riconoscere al momento di commetterlo.

Charles Baudelaire

 

Chi mai amò che non abbia amato al primo sguardo?

Christopher Marlowe

 

 

Blaine si guardò allo specchio del mobile d’ingresso, aggiustandosi la cravatta con un sospiro insoddisfatto; stava per tornare di nuovo in camera per cambiarsi, quando l’orologio lo avvertì che un ulteriore cambio d’abito l’avrebbe fatto sicuramente tardare. Con un altro sospiro, questa volta solo appena esasperato, afferrò la borsa da terra e uscì dal suo minuscolo appartamento: tutto sommato, non era importante come era vestito o se il colore della cravatta era abbinato a quello dei calzini. O comunque, non era importante tanto quanto l’essere puntuali.

Tardare proprio il suo primo giorno di scuola sarebbe stato inammissibile: saltò in auto e guidò versò il McKinley, godendosi divertito la brezza di settembre che entrava dal finestrino abbassato.

Un nuovo inizio era davvero quello che ci voleva. Un piccolo assaggio di libertà e di autonomia, non chiedeva davvero altro, dopo tutto quel tempo passato a studiare; forse in quel liceo non l’avrebbero apprezzato quanto in realtà meritava, ma era comunque un inizio.

Sceso dall’auto, si guardò intorno: tutto era come se l’era immaginato. Era diverso dalla Dalton, dove gli studenti camminavano ordinatamente lungo i corridoi che dalle stanze portavano direttamente alle aule delle lezioni: qui una folla di studenti strisciava tra le auto, ragazzi si rincorrevano gridando e altri si abbracciavano dopo un’intera estate trascorsa separati. Perfino i colori erano diversi: alla Dalton era tutto uniformemente rosso e blu, mentre qui ciascuno poteva vestirsi come preferiva.

Blaine pensò che quella era la prima volta in assoluto che si recava a scuola senza indossare un’uniforme: si controllò di nuovo l’abbigliamento nello specchietto dell’auto, riavviandosi un ricciolo ribelle dietro l’orecchio. I suoi capelli, quelli sì, che non cambiavano mai. Ma perché continuava a preoccuparsi di come era vestito? A nessuno sarebbe importato un accidente dei suoi pantaloni, o della sua camicia.

Fece un respiro profondo d’incoraggiamento, strinse la tracolla della sua borsa e chiuse la portiera dell’auto, poi si tuffò nella variopinta massa di studenti che stava lentamente confluendo verso il portone principale.

Nell’atrio, si guardò confusamente intorno, senza ricordarsi dove era la segreteria. C’era stato appena una settimana prima, eppure aveva già rimosso ogni informazione utile a ritrovarla.

“Mmm…” mormorò piano, mentre fingeva di leggere dei fogli appesi alla bacheca e si sforzava di ricordare.

Non poteva certo chiedere a uno dei ragazzi che gli stavano passando accanto; già era nuovo, passare anche per quello nuovo e tonto non era certo la migliore delle idee. Guardò di sfuggita verso destra, poi vide la segretaria che si faceva strada tra gli studenti; si lasciò sfuggire un gemito di felicità e le corse dietro, raggiungendola poi nella stanza antistante l’ufficio di Figgings.

“Anderson! Mi ha fatto prendere un colpo prendendomi alle spalle. Eravate abituati a comportarvi così alla Dalton, con le vostre povere segretarie?” disse lei, togliendosi il soprabito e accendendo il computer sulla scrivania.

“Mi dispiace, mi sono fatto prendere dall’entusiasmo. Ha pronto tutto? Dovrei essere in classe tra…” guardò l’orologio da polso che suo padre gli aveva regalato qualche mese prima. “Beh… cinque minuti fa.”

Lei ridacchiò, ricordandogli che il primo giorno di scuola tutti se la prendevano comoda, quindi anche lui poteva sentirsi libero di fare lo stesso, nessuno l’avrebbe giudicato male per qualche minuto di ritardo. Gli allungò un paio di libri e un plico di carte, poi gli augurò buona fortuna.

“Ne avrà bisogno. Questo inferno non è di certo la Dalton.”

Lui deglutì e le regalò un sorriso stiracchiato, poi uscì dalla stanza; il corridoio era ormai vuoto e a parte qualche studente in ritardo come lui, non c’era nessuno. Camminò lentamente, cercando di allontanare il più possibile il momento di entrare in aula, facendo correre distrattamente le dita sugli armadietti e leggendo alcuni volantini appesi in giro. Un ultimo sguardo alla teca dei trofei, poi si strinse al petto il suo piccolo carico.

Era il momento di entrare. Sarebbe andato tutto bene.

Quando aprì la porta, l’interno era l’inferno: tre ragazze stavano fumando con la testa fuori dalla finestra, un ragazzo era sdraiato a terra tenuto fermo da altri due seduti su di lui, palline di carta imbevute di saliva sfrecciavano nell’aria e diversi studenti stavano gridando, nello sforzo di farsi sentire in tutto quel chiasso. Blaine si chiuse la porta alle spalle, facendola sbattere sonoramente: tutti rimasero fermi nelle loro posizioni per un paio di secondi, giusto il tempo di studiare il nuovo arrivato, poi ripresero a fare esattamente quello che stavano facendo.

Quello che non si aspettavano era che Blaine camminasse fino alla cattedra, invece di sedersi a uno dei pochi banchi rimasti liberi. Così come non si aspettavano la sua reazione quando continuarono a fare chiasso nonostante si fosse schiarito la voce con un paio di colpetti di tosse: prese tra le dita un gesso nuovo di zecca e lo fece passare sulla lavagna, attraversandola da parte a parte. Il suono era talmente fastidioso che per coprirsi le orecchie a una delle ragazze la sigaretta cadde sui jeans.

Non aggiunse altro, se non uno smagliante sorriso: quando tutti furono seduti, si voltò e scrisse il suo nome sulla stessa lavagna che qualche minuto prima aveva usato come strumento di tortura.

“Blaine Anderson” lesse ad alta voce, per poi rivolgersi alla classe “Ovviamente, potete chiamarmi signor Anderson. Per quest’anno sarò il vostro professore di Letteratura Inglese e Americana avanzata. La mia segreta speranza è che abbiate tutti scelto questo corso mossi dalla passione per la materia, ma so bene che non è così. So che qualcuno è qui perché pensa che sia più semplice questo corso rispetto a Calcolo o Chimica, ma questo, purtroppo per voi, non è affatto vero.”

La classe rispose con un mormorìo quasi funebre.

“Chi non è intenzionato a prendere seriamente questo corso ha una settimana di tempo per cambiare atteggiamento o trasferirsi verso lidi più lieti. Ora… facciamo l’appello? Poi passiamo alle cose divertenti.”

Qualcuno sprofondò la faccia sul banco, alcuni bisbigliarono che forse era meglio spostarsi a Spagnolo.

Mentre ripeteva i nomi sull’elenco che gli aveva dato la segretaria, Blaine si sforzava di collegare i nomi ai volti degli studenti che rispondevano: “Hudson?”.

Un ragazzone alzò la mano dall’ultimo banco: la sua aria spaesata non prometteva niente di buono, ma Blaine si ricordò di non dare peso alle apparenze, quindi gli rivolse un sorriso sincero e andò avanti con l’elenco.

“Hummel?” Nessuno in particolare rispose, ma la classe intera iniziò a ridacchiare.

“Kurt. Kurt Hummel?” Ripeté di nuovo con aria scocciata, senza ricevere nessun cenno. Lo stesso ragazzo che aveva appena risposto alzò la mano, sbracciandosi per farsi notare: come se fosse necessario, con quella stazza.

“Sì, Hudson?” chiese sollevando un sopracciglio.

“Ehm… Kurt è mio fratello, siamo arrivati insieme a scuola, ma non so perché non c’è.” Rispose l’altro con aria confusa, come se non sapesse cosa dire una volta interpellato.

“Tuo fratello? Hudson e Hummel sono due cognomi diversi… hai voglia di prendere in giro qualcuno?”

L’altro annuì vigorosamente.

“Siamo fratellastri, professore.”

“Bene. Risolto il mistero della parentela, possiamo concludere con certezza che il signor Hummel ha trovato qualcosa di più interessante da fare del presentarsi a lezione.” Segnò una breve nota di demerito sul suo registro, poi continuò con l’appello, senza dare la possibilità a Finn di aggiungere altro.

Blaine ci aveva ragionato a lungo, circa l’atteggiamento da adottare come professore: aveva poco più di vent’anni, sarebbe stato facile optare per un rapporto amichevole con i suoi studenti. Fantasticava già di pacche sulle spalle e tranci di pizza mangiati insieme ai ragazzi sui gradini della scuola, ma poi si era ravveduto: i ragazzi l’avrebbero mangiato vivo, se gli avesse dato troppa confidenza. Era troppo giovane per potersi permettere quel tipo di rapporto, così aveva optato per una linea dura.

Disse ai ragazzi di prendere la loro copia di Dubliners, poi si alzò e iniziò a spiegare, camminando tra i banchi per controllare che tutti ascoltassero o prendessero appunti senza distrarsi. Requisì un paio di cellulari e un divertente biglietto con una sua caricatura: nel disegno sputava fuoco dal naso.

Incredibilmente, quando finì la lezione, gli studenti uscirono ordinatamente dalla stanza, prendendo ciascuno una copia del compito della settimana che Blaine aveva impilato sulla sua cattedra. Blaine stava appuntandosi alcune cose sull’agenda e stava cercando di ricordarsi dov’era il bagno dei professori. L’ultimo della fila era Finn, che rimase in piedi davanti a lui, stropicciando il foglio tra le mani con aria nervosa.

“Professor Anderson?” disse attirando la sua attenzione. Blaine alzò lo sguardo dall’agenda e rimase in attesa che Finn parlasse.

“Per favore, non metta la nota a Kurt. Ci dev’essere un motivo serio per cui non si è presentato… sono sicuro che c’è una spiegazione. Non è da lui saltare una lezione.” Disse guardandosi le mani, imbarazzato.

“Se domani ci degnerà della sua presenza, sono certo che avrà modo di spiegarsi. Ora vai, o farai tardi per la lezione della prossima ora.” Rispose tornando a dedicarsi alla sua agenda. Quando Finn finalmente uscì dall’aula, Blaine si alzò di scatto in piedi: dove accidenti era il bagno dei professori? Maledetta la sua pessima memoria e la sua passione per i caffè extra-large!

Suonata la campanella, uscì dalla stanza e controllò il corridoio: tutti gli studenti erano in classe, non avrebbe attirato l’attenzione gironzolando qua e là tenendo le gambe strette. Si ritrovò in un’ala priva di aule, con solo qualche laboratorio inutilizzato; stava per tornare indietro, quando vide la porta del bagno dei ragazzi. A quel punto, decise di non farsi ulteriori scrupoli: farsi trovare in una pozza di urina era decisamente più imbarazzante che usare il bagno degli studenti.

La porta si aprì cigolando e lui sgattaiolò dentro il bagno deserto: s’infilò in uno dei cubicoli, quando sentì un singhiozzo provenire dall’ultimo bagno in fondo. Blaine guardò sconfortato davanti a sé, ma ormai sapeva che doveva andare a vedere chi c’era.

“Ehi?” disse incerto, camminando con passo sicuro verso la fonte dei singhiozzi. Sorprendentemente, trovò un ragazzo seduto a terra, con le ginocchia raccolte al petto e il viso nascosto tra le braccia che gli cingevano le gambe: stava evidentemente piangendo, scosso com’era da continui tremori. Blaine s’accostò accanto a lui, accucciandosi sulle gambe; un intenso profumo di menta lo colse di sorpresa.

“Che succede?” chiese appoggiandogli una mano sulla spalla. Fu in quel momento che si accorse che la maglia del ragazzo era zuppa di liquido verde ghiacciato e che probabilmente buona parte dei tremori era dovuto a quello. “Ma sei ghiacciato!”

L’altro mugugnò qualcosa in risposta, ma con il viso completamente nascosto era piuttosto difficile capire anche solo una parola. “Mi dispiace, ma se continui a stare così sarà impossibile capire qual è il problema.”

Fu allora che il ragazzo alzò gli occhi: Blaine non vide i segni lasciati sulla fronte dalla pressione della pelle contro l’orologio da polso, né il rossore dovuto al pianto. Vide solo due splendidi occhi azzurri che ora lo osservavano incerti.

“Ho detto che è normale essere ghiacciati, se ti tirano addosso tre granite extra-large.” Disse con un soffio di voce, accennando un sorriso storto. Blaine infilò una mano nel taschino della giacca e gli porse il suo fazzoletto; il ragazzo non disse nulla e lo usò per tamponarsi gli occhi.

“Non è il caso di alzarti e cambiarti? Magari potresti anche dirmi che cosa è successo e chi è stato a farti questa poco gradita doccia.” Blaine s’alzò e gli porse la mano. Da terra, il ragazzo lo guardò intensamente per qualche istante, strinse il fazzoletto in una mano e allungò l’altra per farsi aiutare ad alzarsi.

Era più alto di lui.

“Non c’è bisogno di essere così gentile.” Disse con la voce ancora rotta dal pianto, afferrando il suo zaino, appoggiato contro il muro del bagno.

“Diciamo che sto facendo quello che dev’essere fatto. Allora, hai un cambio con te o devo andare a prenderti qualcosa nell’armadietto?” L’altro lo guardò sorpreso.

“Sei nuovo? Non ti ho mai visto. Devi essere dell’ultimo anno, vero? Chissà, magari abbiamo anche qualche corso insieme… ti conviene andare, finchè non ti ha visto nessuno insieme a me. Potrei rovinarti la reputazione prima ancora che tu ce l’abbia, una reputazione.” Aprì la zip della felpa leggera che indossava e se le sfilò, poggiandola sul lavandino accanto. Blaine stava per rispondere, quando l’altro riprese a parlare.

“Maledizione, hanno bagnato anche la maglietta.” Disse abbassando lo sguardo sulla macchia verde che gli si appiccicava al petto. Blaine non disse nulla e rimase lì accanto, incerto sul da farsi. Il ragazzo si voltò verso di lui e lo guardò scocciato. “Ascolta, adesso dovresti davvero andartene. Lo dico per te. Vai via. Hai già un bell’aneddoto da raccontare, puoi dire a tutti che mi hai trovato a piagnucolare per terra in uno dei bagni, con una chicca così potrebbero farti entrare anche nella squadra di football.”

Detto questo, si afferrò il lembi della maglia e iniziò a sfilarsela dalla testa; istintivamente, Blaine si voltò. Forse un altro professore non l’avrebbe fatto, ma lui non voleva che iniziassero a girare voci; prima o poi gli studenti avrebbero saputo che era gay, ma unire quell’informazione il fatto che aveva visto uno studente seminudo poteva essere imbarazzante.

Allungò la mano verso uno degli asciugamani e lo inumidì con dell’acqua tiepida, poi lo passò all’altro.

“Vado ad avvisare Figgins, queste cose non dovrebbero succedere.” Una risata amara alle sue spalle lo colse di sorpresa, mentre gli prendeva l’asciugamano dalle mani.

“Sì certo… come se non fossero tre anni che cerco di far capire a quell’idiota che la mia vita è un inferno. In bocca al lupo, davvero.” Lo sentì frugare nello zaino e il suono leggero di tessuto gli suggerì che si stava rivestendo. “Comunque puoi anche voltarti, anche se mi guardi non te l’attacco, eh?”

Blaine si voltò: se prima non aveva voluto indugiare, stavolta si concesse un’occhiata. Era alto, muscoloso e tonico, con capelli ordinati (eccezion fatta per il ciuffo appiccicato alla fronte dalla granita) e una pelle talmente rosea da sembrare trasparente.

“Cosa?” chiese mentre si infilava un cardigan verde scuro.

“L’omosessualità, non fingere di non saperlo.” Rispose l’altro un po’ più insicuro. Le certezze di Kurt in quel momento vacillarono un poco: magari quel ragazzo così carino davvero non sapeva nulla e voleva solo essere gentile. Magari non era un altro di quelli che l’avrebbero allontanato non appena saputo… beh, i suoi gusti. La risata dell’altro lo rimise di nuovo sulla difensiva, ma fu quello che disse a scioccarlo.

“Beh, direi che per quello sei in ritardo di parecchio.” Lo disse con un’espressione che tolse a Kurt ogni dubbio. E che gli diede la speranza di essere un po’ meno solo. O forse di aver trovato qualcuno. “Ora andiamo, anche se non servirà a nulla preferisco andare da Figgings.”

Gli fece cenno di uscire dal bagno, ma Kurt fece segno di no con la testa.

“E’ meglio di no. Magari se non faccio la spia non si arrabbieranno troppo.” Disse andandogli accanto.

“Ma…” cercò di obiettare Blaine.

“Davvero, è meglio così. Comunque… grazie.” Improvvisamente rosso in volto, Kurt si sporse verso di lui, e prima che Blaine potesse fermarlo o dire qualcosa, gli diede un rapido bacio sulla guancia. Fece un passo indietro e uscì dal bagno prima che Blaine potesse chiarire la situazione.

 

Stupido stupido stupido… si stava ripetendo mentalmente, mentre correva verso l’aula di biologia. Come poteva essere stato così sfacciato? Si era fatto vedere in condizioni disastrose, l’aveva trattato malissimo, cercando di cacciarlo via mentre cercava di essere gentile e poi di punto in bianco gli aveva dato un bacio sulla guancia, come una ragazzina delle medie.

Se quel tizio aveva deciso di non evitarlo, probabilmente ora sì, che avrebbe cambiato idea. E avrebbe anche avuto degli ottimi motivi per farlo.

Kurt entrò in classe in ritardo, sedette accanto a Finn e buttò i suoi libri sul banco.

“Sei nei guai, il nuovo professore di letteratura si è incazzato di brutto quando non sei arrivato.” Gli sussurrò Finn, mentre l’insegnante distribuiva dei fogli.

“Domani chiederò a papà di firmarmi una giustificazione, dirò che ho perso l’autobus.” Rispose lui, con il cuore che ancora batteva.

“Non puoi.” Disse Finn con aria colpevole.

“E perché?” chiese distrattamente.

“Perché gli ho detto che eri arrivato a scuola con me. E ti ha messo una nota. Quell’Anderson è un rompipalle.”

“COSA?” strillò Kurt. “Accidenti Finn, sei un disastro. Questo primo giorno di scuola non poteva cominciare peggio.”

Kurt appoggiò il mento sul palmo della mano e si ficcò una mano in tasca, pronto ad ascoltare la lezione e annoiarsi a morte; però qualcosa lo distrasse. Si ritrovò tra le dita un piccolo fazzoletto azzurro, ancora umido delle sue lacrime: si era scordato di restituirlo a quel ragazzo. Lo rigirò tra le dita, scoprendo che un angolo aveva delle iniziali ricamate in blu scuro. Le guardò passandoci sopra un dito, sentendosi di nuovo un idiota.

 B. A.

 

“Che cos’è?” chiese Finn.

“Niente.” Lo rificcò in tasca.

 

nda

Kurt è all'ultimo anno ed è maggiorenne.

   
 
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