One day, Robots will Cry
New York
(saint in the city)
I part
Corre l’anno 2197.
La terra è ricoperta da
enormi metropoli composte da alti grattacieli che scompaiono nella nuvola di
smog che sovrasta le nostre teste. Da qualche spiraglio nel cielo, sopra New
York n.2B, si pu0’ intravedere quello che so chiamarsi “Sole”. Qualcuno
in vecchi libri –credo che si chiamassero così, un tempo, non ne ho
memoria di averne mai preso uno fra le mani- ne ha parlato. Gli scrittori
dicevano che c’è una grossa stella vicino alla terra e che brillava
incontrastata, scaldando gli animi ed i corpi della popolazione mondiale. Io ho
più ho meno idea di come sia fatto questo “Sole”, perché in una delle
mie vite precedenti avevo assaggiato il suo calore. Nessuno, perlomeno da
questa parte del pianeta, l’ha mai visto dal 2085. Io, in quell’anno, stavo
nascendo.
Questo, tuttavia, non è il
termine esatto per spiegare quallo che stava accadendo al sottoscritto. Non
stavo proprio nascendo. Io ero già morto. Il corpo di Gabriel Eduardo
Saporta era già in via di decomposizione da molto tempo. Solo qualche sua
cellula era stata salvata in una provetta rinchiusa poi nella cella frigorifera
di una grossa agenzia chiamata “Blackinton Corporation”, situata nella
città di New York n.2A (ovvero la stessa che ora prende il nome di New York
n.2B e che tempo fa si chiamava New York City).
Dicevo che nel 2085 io
stavo venendo alla vita in questo nuovo corpo di androide. Il dottor
R.Blackinton (il fondatore dell’agenzia) ha installato le cellule cerebrali
(che aveva clonato dal me originale) in questo corpo di androide. Ora
non si usa più clonare le cellule di persone esistite in precedenza, ma se ne
creano direttamente di nuove. Io sono l’unico rimasto di questa serie di cloni…
A volte posso vedere i
ricordi dell’uomo che ha donato le sue cellule alla scienza… A volte ho dei
piccoli cortocircuiti che mi permettono di viaggiare indietro a quando il mondo
era un posto vivibile e l’esistenza umana era un continuo susseguirsi di gioia.
Con l’impossibilità di vedere il Sole a causa della grossa nuvola di smog che
fluttua nel cielo, la gioia sembra essere scomparsa dalle nostre vite.
Un tempo questo Gabe
Saporta viveva in una terra soleggiata, circondato da strane costruzioni
naturali che si chiamavano palme. Aveva tanti amici e qualcuno da amare,
con cui aveva addirittura condiviso una casa. Posso ricordarmi gli occhi di
questa persona, il suo sguardo dolce e la sua voce. Ricordo che stringeva
qualcosa che a quel tempo si usava suonare, prima che i synth prendessero il
sopravvento. Riesco a figurarmi l’arredamento della casa e, raramente, ho
davanti a me una grande distesa di sabbia dorata e l’oceano. A volte
sento la nostalgia di questi posti, ma mi accorgo che deve essere un danno
all’interno del mio sistema. Non dovrei sapere di che colore fosse l’acqua del
Pacifico a quei tempi e nemmeno che ci fosse il Sole. Non dovrei nemmeno sentir
la mancanza di una vita da umano. Hanno fatto di tutto per aggiornarmi ed
aggiustarmi, tuttavia pare non ci sia nulla da fare. Sono solo un androide
difettoso in mezzo a tanti altri di nuova generazione.
Quindi torniamo alla mia
storia, in quello che un tempo era il New Jersey ma ora è solo la periferia di
New York n.2B.
Il mio nome è G4.83, ma
per gli amici sono stato Garen, Garret, Gene, Geoffrey, Gordon, Greg e Gus.
Adesso non ho un nome umano, ma solo una serie di cifre. L’ultimo nome che ho
avuto è stato per l’appunto Gus e vivevo con una donna di mezz’età che era
stata abbandonata da figli e marito. Mi ha tenuto con sé per sei lunghi anni,
un altro uomo è entrato nella sua vita rendendomi inutile. Ora che mi ha
restituito alla ditta con il mio telecomando d’accensione e libretto
d’istruzioni al seguito, mi ritrovo ancora con il mio numero di serie. Devo
solo aspettare che qualcun altro decida di portarmi a casa con sé e tenermi al
suo fianco per qualche anno. Aspetto che qualcuno mi porti via da qui da quasi
venti mesi, più o meno seicentodiciannove giorni.
Sono stato costruito per
poter fare compagnia alle persone, in questo mondo frenetico e sovraffollato,
la solitudine regna incontrastata. Noi homeboy service android (HSA) siamo stati progettati appunto per chi
si sente solo ed ha bisogno di qualcuno che gli sia fedele, oppure per tenere
compagnia ai figli di coppie che devono stare a lungo lontano da casa per
lavoro, oppure per persone ferite da amanti umani che ormai non credono più nei
sentimenti ma continuano ad aver bisogno d’amore. Possiedo un’applicazione
adatta a qualsiasi desiderio… Possono programmarmi per diventare ciò di cui
loro hanno bisogno. Il mio costo è trai più bassi attualmente –solo 99.95$-
perché non sono in grado di cavarmela pienamente con i computer per le faccende
domestiche. Sono ancora un androide di vecchio stampo… Durante i miei primi
incarichi mi era permesso di usare ancora l’aspirapolvere e lo spazzettone.
Adesso ogni casa possiede un sistema auto-pulente in grado di disintegrare le
particelle di polvere ed acari non appena si depositano sulle superfici. Il
cibo precotto viene inserito congelato nel fornetto e nel giro di qualche
secondo diventa una cenetta profumata e deliziosa. L’unica cosa a cui posso
servire è la compagnia. Non posso nemmeno essere collegato al sistema centrale
del computer domestico.
In compenso ogni famiglia
o persona che mi ha tenuto con sé, mi ha davvero voluto bene. Nessuno si è mai
lamentato di me, nonostante non potessi fare granchè. Sono inutile quanto un
essere umano comune. Il mio difetto maggiore è appunto questo mio essere terribilmente
umano. Non tutti cercano qualcuno che rassomigli a loro, le persone hanno
bisogno di computer ed androidi potenti e con mille funzionalità, non certo di
me.
Oggi, 05 Settembre 2197, è
tuttavia un giorno speciale. Questa mattina gli assistenti mi hanno controllato
l’hard-disk, il sistema cyber-muscolare e mi hanno aggiornato sulle ultime
notizie. A quanto pare la nuvola di smog si è ingrandita ulteriormente.
Comunque, dicevo che mi hanno fatto una revisione accurata e mi hanno tirato a
lucido, facendomi addirittura la doccia ed infilandomi dei vestiti tutti nuovi.
Tutta questa cura significa che sta arrivando un compratore… In base alla sua
richiesta gli verranno fatti vedere diversi androidi e lui potrà scegliere chi
comprare. Solitamente veniamo portati ad un punto vendita ed è esattamente
quello che succede. Mi chiudono in un furgoncino insieme ad altri quattro
androidi più avanzati di me e ci portano al negozio in cui è stata richiesta la
nostra presenza.
Quando arriviamo nella
sala riunioni, l’agente per le vendite ci viene incontro sorridente e mi
sistema la camicia facendomi l’occhiolino. Non ci dice nulla, limitandosi ad
indicarci delle sedie di plastica dalla forma ovale. Prendo posto dove mi è
stato ordinato e mi guardo attorno. Gli altri androidi si siedono e restano
immobili, composti e con la schiena ritta. I loro sguardi sono persi nel vuoto,
così come dev’essere pure il mio nei momenti in cui i miei sistemi sono in
stand-by. Oh, ecco un altro mio difetto! Non sono in grado di stare in stand-by
a lungo ed il mio sistema è sempre
operativo, con mille processi in funzione. Qualche volta mi capita di cadere in
uno stand-by anomalo, ma la mia scheda madre continua a funzionare. In quei
momenti i ricordi dell’umano di cui possiedo le cellule e l’aspetto tornano a galla.
Agli altri androidi non succede, l’ho chiesto a molti di loro ed anche agli
scienziati. La mia è una strana anomalia.
La porta automatica si
apre improvvisamente con un soffio e l’agente corre immediatamente a dare il
benvenuto ai suoi ospiti. Mi volto a guardare chi è arrivato in contemporanea
con gli altri e tutti lo salutiamo educatamente, alzando la mano a mezz’aria.
Sulla soglia ci sono due ragazzi che devono avere non più di vent’anni. Uno di
loro è basso e magro, ha dei capelli biondi e ricci che gli cadono solo sulla
metà sinistra del volto. L’altro ragazzo, invece, è molto più alto e di una
magrezza impressionante. Con un piccolo movimento della mano si sposta la
frangia dal viso, cereo e vacuo come non ne ho mai visti prima. Indossa degli
occhiali dalle lenti scure e non posso vedere i suoi occhi, così che non mi è
possibile riconoscere la sua identità dalla retina.
-Benvenuto, signor
Beckett.-
Trilla il venditore, prima
di lanciare un’occhiata all’orologio analogico appeso al muro. A quanto pare ha
più di un appuntamento questa mattina. Il ragazzo che di cognome fa Beckett fa
un piccolo sorriso e risponde con qualche convenevole, mentre il suo amico si
avvicina impaziente a noi cinque. I suoi occhi azzurri ci guardano curiosi e
subito punta il dito verso il terzo della fila.
-Hey Bill! Questa è il
top, guardala!-
L’androide B3.83 ha
l’aspetto di una ragazza, esattamente come C4.55 e S4.94. Solo io e T9.47
abbiamo un aspetto maschile. Gli uomini solitamente preferiscono comprare
androidi femminili, piuttosto che maschili. Dipende tuttavia di quello che
hanno bisogno i clienti, se cercano un amico o un amante o semplicemente
qualcuno che li aiuti in casa. Beckett si avvicina a B3.83 e l’osserva senza
espressione, prima di fare spallucce e guardare anche noi altri.
-Il migliore fra questi
modelli è certamente la nostra B3.83… ha avuto solamente altri due proprietari
prima di ritornare da noi in ditta. L’abbiamo aggiornata come si deve ed è in
grado di interagire con qualsiasi sistema operativo domestico. Oltretutto
insieme a lei , per 300$, possiamo venderle il pacchetto d’installazione “graceful
bride” in modo che possiate passare dei bei momenti insieme!-
-Non ho bisogno di una
sposa meccanica…-
Risponde bruscamente il
castano, lasciando l’agente un po’ titubante che continua a sudare nel suo
completo costosto. Poi ecco che Beckett ed il suo amico arrivano davanti al
sottoscritto e mi scrutano.
-Allora puo’ prendere
T9.47! Il modello afroamericano è uno di quelli che va di più quest’anno… Costa
sui 230$ ed è in grado di-
-Questo?- Sbotta il
ragazzo, indicandomi con un cenno del capo. –Quanto costa lui?-
L’agente sbianca e
comincia a sudare freddo, prima di piegare le labbra in un sorriso
pre-inscatolato. La sua temperatura corporea sta scendendo lievemente e la sua
pressione sanguigna pare alzarsi, così come i battiti del suo cuore. Lo posso
calcolare grazie ad un sistema di pronto intervento installato al mio interno…
-Lui… G4.83 è il più
economico di tutti. Lo puoi portare a casa per 99.95$…-
La voce dell’uomo è
tremula, ma Beckett sembra non farci caso. Si sporge verso di me e controlla i
miei lineamenti. Sembra che si ricordi qualcosa, perché si morde le labbra
incerto.
-…beh è abbordabile. Come
mai costa così poco? È guasto per caso?-
Chiedendolo mi appoggia la
mano sulla guancia, come se così potesse capire se funziono bene. In verità mi
fa solamente il solletico, ma devo trattenermi per evitare di fare brutta
figura. Il biondino si volta invece verso l’agente, che si passa un
fazzolettino sulla fronte e mi lancia sguardi preoccupati.
-No, funziona… Lui… Ha
solo qualche problema perchè ha un sistema arretrato e non è in grado di
connettersi al computer domestico. In compenso nessuno si è mai lamentato della
sua compagnia. È stranamente in grado di simpatizzare immediatamente con il
proprietario e capire ogni esigenza senza che gli si installi qualche pacchetto
speciale. Inoltre ha qualche difetto perchè non va in stand-by totalmente. In
più ha già avuto sette proprietari.-
-Okay…- Dice il ragazzo sbrigativo,
portando la mano al portafogli ed estraendo la carta di credito. –Lo compro.-
Io mi ritrovo a sorridere,
rendendomi conto che finalmente qualcuno mi porterà via dal magazzino e potrò
di nuovo essere importante per qualcuno. Il biondo mi sorride allegro,
scuotendo il ciuffo informe di capelli e poi mi si avvicina dandomi un colpetto
sul braccio. Ricambio il gesto e poi punto lo sguardo sul mio nuovo
proprietario, che sta afferrando una scatola con dentro tutto l’occorrente per
farmi funzionare al meglio.
So che i gadget che
consegnano insieme a me sono:
.il mio telecomando (che
non serve a nulla in verità perchè un altro mio difetto è non potermi spegnere)
.il libretto delle
istruzioni,
.un kit per la riparazione
casalinga,
.una garanzia di due anni,
.un ricambio di vestiti
sottovuoto,
.la spina per ricaricarmi
in caso che il mio sistema di auto-ricarica dovresse avere problemi,
.un auricolare con cui
comunicare con me a distanza,
.un kit per la pulizia del
corpo del sottoscritto,
.una targhetta da portare
al collo con stampato l’indirizzo del mio proprietario.
Inoltre l’agenzia da in
omaggio un biglietto per una visita alla fabbrica di androidi, un buono sconto
utilizzabile nelle filiali del Blackinton Shopping Center, un pass
mensile per l’osservatorio a New Manhattan. Nessuno ha mai utilizzato il pass
per l’osservatorio in precedenza, tutti troppo impegnati a vivere qui per aver
un minimo di curiosità verso l’universo che ci circonda.
Il mio nuovo proprietario
si avvicina alla porta con la scatola fra le mani e un po’ bruscamente fa cenno
di seguirlo a me ed il suo amico. Lo seguo a grandi passi, salutando gli altri
androidi che torneranno al magazzino o verranno forse comprati dai prossimi
clienti. Quando usciamo ci ritroviamo nel New Bronx e mi guardo attorno,
vedendo che nulla è cambiato in questi due anni, anche se grazie
all’aggiornamento che mi hanno installato stamattina so che la città si è
ingrandita e sono nati sei nuovi quartieri in periferia e alcuni palazzi sono
stati alzati di trenta metri. Tuttavia è risaputo che ai piani alti ci abitano
solo uomini ricchi, che possono permettersi un loft fantastico lontano dai
rumori cittadini.
-Dov’è la nostra auto?-
Domanda il biondo
sbuffando e premendo il pulsante sulle chiavi della vettura. Attualmente le
macchine viaggiano sulla strada con il pilota automatico, poichè sotto
l’asfalto sono presenti delle fibre ottiche in grado di comunicare con il
computer al loro interno. Il numero degli incidenti è quindi nullo e la patente
ormai viene consegnata a sedici anni senza bisogno di alcun esame pratico.
Basta solo che tu sappia aprire una portiera ed il gioco è fatto.
L’auto arriva da sola,
accostando davanti a noi e facendo sbuffare il castano. Quest’ultimo va subito
ad aprire il baule e ci butta dentro la scatola, per poi richiuderlo e venire
verso di me. Sbuffa passandosi una mano fra i capelli e indica bruscamente la
portiera.
-Sali… Andiamo a casa.-
Borbotta, prima di andare
nei posti anteriori con il suo amico. Io obbedisco immediatamente e mi accomodo
sul sedile posteriore osservando curioso il mio proprietario fin quando
arriviamo davanti ad uno dei palazzi di un quartiere vicino. Beckett scende non
appena accostiamo e si abbassa per sorridere imbarazzato al suo amico.
-Grazie del passaggio Adam.
Non appena avrò anche io un’auto ricambierò! Intanto ti offrirò una cena in
settimana, giocano i Bears mercoledì.-
Io scendo senza che me lo
dica e vado a prendere la mia scatola nel baule, prima di fermarmi sul
marciapiede e salutare il biondo. Lui mi fa l’occhiolino ed alza la mano per
salutarmi a sua volta.
-Vada per i Bears! Fate i
bravi voi due!! Ciao ciao!!-
La macchina riparte
lasciandoci soli ed il mio proprietario alza un sopracciglio da dietro le lenti
scure. So che mi sta ancora esaminando, quindi gli sorrido e lui subito si
avvia veloce verso la porta di entrata. Alza gli occhiali da sole mentre mi è
di spalle e si mette davanti alla videocamera per il riconoscimento della
retina, così che questo permette alla porta di aprirsi e ci lascia entrare. Lui
si riabbassa subito gli occhiali e va all’ascensore, mentre cerco di stargli
dietro senza inciamparmi in alcuni sacchi di spazzatura a terra. Arrivo al suo
fianco e noto che l’ascensore è al cinquattottesimo piano, così abbiamo qualche
minuto per aspettare.
-…grazie per avermi
acquistato.-
Dico contento, sentendomi
davvero grato. Lui non si smuove di un centimetro e fa spallucce, incrociando
le braccia sul petto ossuto.
-Ho bisogno di qualcuno in
casa, ma non volevo spendere troppo. Tu sei l’ideale.-
Sbotta, come se ci sia
molto di più nelle sue motivazioni e voglia tenerlo nascosto. L’ascensore
arriva con un “tling” e le sue porte si aprono, permettendoci di salire
fino al quarantesimo piano. Usciamo sul pianerottolo e noto che lo stucco sulle
pareti grigiastre si sta sgretolando riempiendo così il pavimento di polvere.
Prima di oggi non sono mai stato in un posto così povero… D’altronde prima non
costavo così poco ed un poveraccio non si sarebbe potuto permettere di
comprarmi. Arriviamo così ad una porta scrostata e lui poggia il dito sulla
maniglia, così che questa si apre facendoci entrare nel suo appartamento. Il
sorriso sulle mie labbra scompare quando mi rendo conto che si tratta di un
misero bilocale pieno di quaderni, fogli, vestiti e chissà quant’altra roba
buttata a terra alla rinfusa.
-Benvenuto…-
Mi dice, andando dritto a
sedersi sul divano con uno sbuffo indolente. Lo seguo facendo qualche passo e
mi fermo, incapace di dire qualcosa.
-Quella appoggiala a
terra. Poi la sistemiamo.-
Annuisco e mi abbasso per
lasciare la scatola in mezzo al marasma di oggetti sparsi sul pavimento. Poi,
mentre mi raddrizzo, incrocio finalmente i suoi occhi ed immediatamente il mio
sistema mi spedisce i suoi dati.
William Beckett IV.
Data di nascita:
11 Febbraio 2178.
Età attuale:
19 anni.
Sesso:
Maschile (come se non lo
avessi capito da solo, nonostante sia effemminato)
Professione:
Studente.
Altezza:
1.90
Peso:
78 kg (sottopeso, lo
sapevo!)
Gruppo sanguigno: AB
Improvvisamente qualcosa
nel mio database si impalla ed i suoi dati scompaiono. Dannato sistema
operativo danneggiato. Mi gratto i capelli e cerco di concentrarmi, ricordandomi
improvvisamente di aver lavorato in precedenza per dei Beckett. Il suo nome e
le sue generalità mi paiono famigliari. Lui pare accorgersi del mio problema e
sbuffa, alzandosi dal divano e levandosi il giubbino di pelle.
-Dannazione, sei ancora
più arrugginito di quando mi ha detto quel dannato Stump mentre ti compravo!-
Lo guardo bene mente mi
arriva a pochi centimetri e poi lo riconosco.
-Bilvy…-
Mormoro, cercando in
vecchi file di memoria all’interno del mio database. Sì… Mi ricordo di lui. È
il figlio di quell’Alexis Beckett che mi aveva tenuto in servizio dal 2185 fino
al 2189. Lui non era altro che un bambino, a quel tempo… Sì. Solo un bambino
con dei grandi occhi vacui, che cercava il mio aiuto.
-…come mi hai chiamato?-
-Bilvy… Tu… tu sei il
figlio del signor Alexis. Ho lavorato per lui quando avevi sette anni. Me ne
sono andato che stavi per compiere gli undici. Ti ricordi? Ti ricordi di me?-
Lui pare pensarci,
assottigliando appena gli occhi e guardando un punto indefinito del
pavimento... Sembra rattristirsi. È questione di un attimo ed il suo
volto s’indurisce, diventando imperscrutabile e privo di emozioni.
-L’androide difettoso. Mi
ricordo di te. Ecco perchè mi sembravi famigliare.-
La sua voce è aspra, come
se volesse nascondere la delusione che prova. Si allontana di qualche passo e
si passa una mano nei lunghi capelli che gli accarezzano il collo. Non sembra
affatto felice di essersi ricordato di me. …perché? Perché dovrebbe portarmi
un qualche rimorso?
Devo trovare i file che lo
riguardano e capire che cosa c’è che non va in me. Cos’ho fatto in quel periodo
dai Beckett?
-Sono felice di
rivederti.- Gli dico, inaspettatamente sincero. –Non siamo degli sconosciuti
almeno.-
Sorrido e lui invece mi
guarda torvo, con la testa piegata di lato. Sembra proprio che non sia più
tanto felice di avermi comprato… Eppure di solito i miei proprietari si
affezionano velocemente a me.
-Allora? Di cosa hai
bisogno, di un amico? Per questo sei venuto a prendermi? Ero così infelice là
in magazzino. Sono due anni che aspetto qualcuno e tu sarai di certo un amico
fantastico!-
-Non mi conosci.- Mi
risponde lui, burbero. –Non puoi sapere che razza di amico sarò.-
Abbasso immediatamente il
capo, accorgendomi che con quel tono non voleva di certo essere cordiale.
Sembra portare dentro di sé un qualche dolore… Nonostante io sia un androide
riesco a capirlo, anche questa è un’anomalia nel mio sistema. Gli umani non
vogliono essere compresi. Gli androidi sono quindi programmati per non
capire i loro sentimenti e lasciar loro della privacy, a meno che si voglia
installare il pacchetto “Confidence”. Io, purtroppo, ho questa carenza e
non posso ignorare quello che provano. Ci posso provare, cancellando
immediatamente le informazioni dirette al mio database, ma non vengono mai
eliminate definitivamente. Dovrei andare a farmi resettare in ditta, ma non è
possibile. Ci hanno provato, la mia memoria non si cancella mai del tutto.
-Non vuoi un amico,
dunque?-
Domando, curioso di sapere
che cosa ci faccio qui con lui. William si limita a curvare le spalle ed
abbassare la testa, assumendo questa posizione vergognosa.
-…voglio qualcuno che mi
voglia bene.- Sussurra, nascondendosi dietro la frangetta spettinata. –Ho
bisogno che qualcuno mi stia accanto…-
I dati vengono
immediatamente registrati e vanno dritti al mio sistema, così mi avvicino a lui
e gli passo una mano fra i capelli. Lui non si muove, continunando a chiudersi
in se stesso a quel modo.
-Ti vorrò bene io, Bilvy.
Sono qui per questo.-
Sorrido e continuo ad accarezzarlo, così che lui inizia a tremare. Indietreggia violentemente, alzando gli occhi verso di me. Vedo ancora il suo risentimento.
-…voi androidi giurate le
cose senza nemmeno sapere che cosa voglia dire “mantenere una promessa”.-
Si volta e va verso la
piccola cucina, aprendo il frigorifero mezzo vuoto. Lo guardo mentre mette il
cibo precotto nel fornetto e poi cerco di mettere da parte i dati che ho appena
acquisito.
-Non mi hai ancora dato un
nome.-
Gli faccio sapere, così
che lui si volta verso di me con gli occhi sgranati. Per un attimo mi sembra di
vedere il bambino che era quando lavoravo per suo padre, poi torna lo stesso
ragazzo scorbutico che mi ha comprato.
-Alexis ti chiamava Greg.
Ma a me non è mai piaciuto quel nome. G4.83, uh?- Chiede ed io annuisco, mentre
il microonde suona. -...hai più la faccia da Pablo. Ma Pablo non mi piace come
nome.-
Estrae la sua cena e la
porta sul divano, dove si siede continuando a guardarmi storto. Una luce strana
gli illumina lo sguardo, quando un piccolo sorriso nasce sulle sue labbra.
-Gabe! Ti chiamerò così…
Sì, mi piace Gabe.-
Sentendo quel nome per un
attimo vado in stand-by, come sempre nei momenti più inopportuni…
C’è il Sole.
Luce tutt’intorno a me.
Interferenza.
Scompare tutto il cielo e
vedo qualcuno sfocato.
Degli occhi.
Interferenza.
Un suono strano,
melodioso.
Interferenza.
Una voce canticchia
“…right here… right now…”
Interferenza.
C’è il Sole.
-Gabe mi piace…- Mormoro
sentendo qualcosa di strano nel mio sistema operativo. –Sì… Una volta qualcuno
mi chiamava così… Gabe…-
Le sue guance arrossiscono
appena e poi addenta la coscia di pollo, per nascondere quello che prova.
-Gabe…-
Ripeto, prima di sedermi
accanto a lui e guardarlo mangiare.
…il ragazzo mi pare a
posto.
Nonostante la zona in cui
viviamo non sia il massimo, scommetto che questa volta andrà tutto bene e non
mi riporterà alla ditta.
Staremo insieme.
Sì… Perché quando guardo lui mi ricorda il Sole.
Continua…
_________
Ciao…
Non chiedetevi perché… Non lo so nemmeno io.
Oggi stavo ballando con il mio cuginetto di due anni sulla
musica di One Day Robots Will Cry ed improvvisamente ho avuto un flash e nel
giro di 4 ore è uscita questa storia.
Per adesso spero vi piaccia…
Da quel che ho calcolato saranno 3 massimo 4 capitoli!!!
Scopriremo in fretta quello che ha passato l’androide e
anche quello che ha spinto Bill a comprarlo!!!
Spero che la trama vi piaccia!!!
Xoxo
Miky