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Autore: Lily White Matricide    16/12/2011    16 recensioni
Harry si era sempre chiesto dove andassero a finire le persone morte.
Sua madre Lily e suo padre James, dov’erano?
Che cosa voleva dire “miglior vita”? Erano proprio sicuri che si stesse meglio sottoterra, chiusi in una cassa di legno? Harry non avrebbe mai dovuto sapere nemmeno quello, era troppo piccolo, ma lui era un bambino curioso.
[Sesta Classificata al Contest "Originalità" di Heri.S]
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Lily Evans, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Durante l'infanzia di Harry, II guerra magica/Libri 5-7
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Questa è una One-Shot che ho scritto quest'estate per un contest "Originalità" indetto da Heri.S. Si è classificata sesta su sette partecipanti, ma non mi importa il piazzamento, mi importa che piaccia nella sua idea, anche se un po' ingenua e ancora da limare e sistemare. Magari, se avrò voglia, un giorno la sistemerò. Lo so, io faccio molta introspezione e a volte ne va dello stile :D Ma ci tenevo a quest'idea, anche se è più vecchiotta rispetto ad altre! Siano anche benedetti i contest che mi permettono di tirare fuori vecchie idee che pensavo che non avrei mai più utilizzato.

 

Il giudizio è qua.

E ho organizzato il mio primo CONTEST! Partecipate numerosi!

 

Un abbraccio,

Alessandra <3

*

By Stars Revealed

 

To see a world in a grain of sand

And a Heaven in a wild flower,

Hold Infinity in the palm of your hand

And Eternity in an hour.

William Blake

***

Harry si era sempre chiesto dove andassero a finire le persone morte.

Sua madre Lily e suo padre James, dov’erano? 

 

Gli adulti lo avevano sempre rassicurato, con quell’aria di chi la sa lunga - ma in realtà avevano solo una gran paura delle domande di un bambino: le persone care scomparse sono sempre nei nostri cuori ed in qualche modo vedono tutto quello che facciamo.

Harry notava come gli adulti non pronunciassero mai la parola morto morta. 

Si lanciavano in strani giri di parole, udibili nei discorsi di Zia Petunia o di Zio Vernon, parlavano sempre di qualcuno passato a miglior vita. Come se, evitando quella brutta parola, si potesse esorcizzare la morte, ed in qualche modo allontanarla.

Il bambino stringeva forte le piccole dita magre e pallide alla ringhiera della scala, rimanendo ad ascoltare i discorsi degli adulti. Non avrebbe dovuto farlo. Non era in grado di comprendere la gravità della morte, secondo gli adulti Babbani.

 

Che cosa voleva dire “miglior vita”? Erano proprio sicuri che si stesse meglio sottoterra, chiusi in una cassa di legno? Harry non avrebbe mai dovuto sapere nemmeno quello, era troppo piccolo, ma lui era un bambino curioso.

 

«Ah, la signora McKenna se n’è andata» sussurrava Zia Petunia, come se fosse accaduto un evento increscioso. Si portava le mani sul volto cavallino, una mano andava a toccare quella bocca piccola e cattiva.

 

Andata? Andata dove, al parco? Si chiedeva il piccolo Harry, scrutando il salotto con i grandi occhi verdi. Non capiva perché gli adulti parlassero in maniera così complicata.

 

Nessuno gli aveva mai raccontato della morte dei suoi genitori; ad essere onesti, nessuno nominava i suoi genitori. Come se non fossero mai esistiti.

 

Harry voleva sapere dove fossero finiti. Li avrebbe cercati ovunque, persino in cielo; anche a costo di diventare matto e di perdere il senno e di farlo vagare per le stelle.

 

* * * * * * * * * * * * * * * * * * 

 

Severus Piton non si era mai posto troppe domande circa l’aldilà.

Non aveva provato dolore nell’apprendere la morte di suo padre, Tobias Piton.

Aveva sentito una vaga fitta al cuore alla notizia della dipartita di sua madre, Eileen Prince.

Erano morti, fine della storia. Non li avrebbe mai più rivisti.

Semplicemente, pensava che una volta morti fosse tutto finito, anche per i maghi. I quadri animati non erano che piccoli frammenti di coscienza dei defunti, ma reputava che essi non facessero rivivere pienamente l’anima del morto. Erano solo attimi di vita, non esisteva una seconda vita. Nemmeno una reincarnazione, ad essere onesti.

  Non piangeva, non implorava nessuna folgorazione improvvisa da parte di alcuna divinità.

Non credeva in una seconda possibilità, giacché pensava di non meritarsela, né ora, né mai. Aveva combinato abbastanza danni in vita sua.

 

Qualcosa cambiò quando morì Lily Evans quella notte del 31 Ottobre 1981.

Lei, il suo unico e grande amore.

Qualcosa nel suo cuore attorniato da spine e da ghiaccio si spezzò.

Nell’ultimo abbraccio alla ragazza che aveva sempre amato incondizionatamente, fu come se una speranza, soffocata nel proprio petto troppo a lungo, tornasse a sbocciare nuovamente.

Le creature come Lily non potevano morire così giovani, non potevano sparire nel nulla e mai più ritornare. Si rifiutava di credere che non l’avrebbe mai più incontrata.

Quel corpo così minuto e fragile non poteva diventare così freddo. Cosa sarebbe stato di lei? Non poteva ridursi in polvere e basta.

Non si meritava quella fine.

Lei aveva diritto ad una seconda vita, ad una seconda possibilità.

 

Severus pianse nella stanza dove Lily aveva difeso suo figlio.

Pianse mentre lasciava Lily nella stanzetta del cottage di Godric’s Hollow, mentre portava via quel bambino urlante e piangente. Harry, doveva chiamarsi.

Aveva gli occhi grandi e verdi come la madre e brillavano come le stelle di quel cielo terso e blu di fine Ottobre.

 

Severus camminò nel freddo con quel bambino in braccio, che parve chetarsi non appena uscì da quel posto maledetto.

Le lacrime amare continuavano a scendere dagli occhi, a colargli per le guance, per poi perdersi nel gelo della notte.

Il bambino teneva lo sguardo fisso in cielo, guardandolo silenzioso, forse pensieroso. Potevano i bambini pensare, guardando verso l’alto?

Una manina si alzò verso la volta celeste. Harry gorgogliò qualcosa d’incomprensibile. Le guanciotte arrossate e rigate di lacrime si riempirono di un sorriso limpido e sincero.

L’uomo brontolò qualcosa: voleva essere lasciato in pace nel suo dolore privato per la sua Lily appena scomparsa. Neanche quella piccola copia di James Potter doveva disturbarlo. Soprattutto le copie di quel ragazzo odioso, che detestava di un odio viscerale, dovevano stargli alla larga. Lo teneva tra le braccia solamente perché doveva portarlo dal Preside Silente. 

Il bambino non sembrò turbato dal livore dell’ex-Mangiamorte e continuò a fissare serafico la volta celeste.

 

Severus cercò di guardare in alto pure lui, dato che sembrava che Harry gli stesse dicendo di fare proprio quello. Provò a dare retta al figlio di Lily, rimuovendo per un attimo l’evidenza che fosse anche il figlio di Potter.

Si fermò, il suo fiato nel freddo disegnava nuvole sfilacciate ed ampie. Quelle di Harry erano piccoli sbuffi di un bambino di un anno e poco più.

Vide una distesa infinita di astri splendenti. 

Tutte avevano un ordine preciso, un loro posto all’interno di un’immaginaria costellazione.

Tranne quella che gli indicava il piccolo Harry.

Vide quella stella, non ancora altissima nel cielo, ma era decisamente luminosa, dal contorno azzurrino. Era una stella così pura e splendente, fiera nella sua solitudine ed indipendenza.

Che fosse un messaggio per Severus? 

Che fosse Lily, posta lì nel cielo per dirgli che, in fondo, stava bene?

Avrebbe mai potuto proteggerli così, in quel modo, da quella vertiginosa altezza?

 

In quell’istante, pregò ardentemente che quell’astro potesse essere diventato Lily. Pregò come non aveva mai fatto in vita sua, se ne rese conto. Tuttavia, lo faceva solo per lei.

Il suo corpo avrebbe avuto un’altra forma, un’altra consistenza. Avrebbe bruciato per ore, anni, secoli, ere intere. Sarebbe sopravvissuta a lungo, lunghissimo.

Per una stella un’ora è una briciola nella sua lunghissima combustione e fusione dell’idrogeno in elio, alla ricerca di un equilibrio termico e nucleare che avrebbe richiesto un tempo pressoché infinito. 

Lily avrebbe avuto ancora calore, nel suo corpo etereo e colorato ed incandescente, per migliaia di anni. Avrebbe avuto un cuore pulsante, un immenso nucleo ardente.

 

Per la prima volta, Severus Piton conobbe la speranza. Una spinta infinitesimale che gli avrebbe permesso di affrontare le ore più dure: ignorava quante sarebbero potute essere da lì in avanti, ma si sentì meno solo.

 

«Brucia per sempre, Lily» mormorò nel freddo di quella sera, prima di sparire nel buio totale con il piccolo Harry tra le braccia.

 

* * * * * * * * * * * * * * * * * * 

Harry tentò disperatamente di far funzionare quel telescopio durante una delle prime lezioni di Astronomia ad Hogwarts.

Non vedeva alcunché, eccetto il nero più totale.

Aveva bisogno di vedere quella stella che lo ossessionava nei sogni e nei suoi vaghi ricordi di bambino.

 

«Per la barba di Merlino, Harry, non così» esclamò Hermione, avvicinandosi al proprio amico, togliendo il tappo di protezione alle lenti del telescopio. Il fischio metallico della protezione che veniva sfilata dall’oggetto irritò per qualche attimo il Grifondoro.

«Ora puoi osservare le stelle» disse soddisfatta l’amica, tornando al suo telescopio. Harry le sorrise grato, sentendosi una frana.

Si mise in osservazione, cercando in una porzione di cielo la stella: proprio quell’astro che non era segnato sulle mappe stellari, che non aveva un proprio posto nelle costellazioni conosciute. Cercava quella luce splendente - che potesse essere azzurrina, o forse verde? - nel blu profondo, in quel grembo immenso ed universale.

 

Aveva letto nei libri, che gli antichi maghi Egizi veneravano una divinità, la dea Nut, signora della volta celeste, molto spesso raffigurata come una donna dal corpo ricoperto di stelle e il ventre grande ed accogliente. Dal suo ventre nascevano gli astri, che non erano altro che lo spirito della persona defunta, purificato e giudicato dalla dea della verità, la dea Maat, a forma di piuma. 

Stanti così le cose - Harry aveva idee un po’ confuse e frammentarie circa l’aldilà, in fondo era solo un ragazzino - sua madre poteva esser diventata una stella, ed avrebbe regnato imperitura per il resto dell’eternitàLily Evans era una persona buona e giusta, possedendo un’abilità straordinaria nel trovare la bellezza nel carattere delle persone.

Ma se sua madre non fosse stata così buona e brava come tutti la descrivevano? Se fosse stata una “pazza”, proprio come aveva osato definirla in uno di quei rari scatti d’ira e di sincerità zia Petunia?

 

Ecco che all’improvviso, muovendo spaventato ed agitato il telescopio, Harry trovò sua madre, piuttosto bassa, spuntando da dietro una collina presso il Lago Nero. 

Era bellissima, così tonda. Era brillante e piena di luce candida, dal riflesso ancora di un colore indecifrabile. 

Harry sorrise di gioia, con una felicità incontenibile nel petto. Tenne fisso il telescopio su di lei, per il resto delle due ore della lezione di Astronomia.

La stella Lily non parve essere turbata dal passare delle ore, poiché continuò a brillare ed a sfolgorare in maniera splendida, pulsando come un cuore vivo in mezzo all’immobilità dei suoi simili. Harry si sentì meno solo: non era più distante anni luce, sua madre. Era ad un battito di luce di distanza.

 

* * * * * * * * * * * * * * * * * * 

Lily lo aveva guidato per tutti quegli anni. Anche nelle notti d’inverno nebbiose e velate dalle nuvole cariche di neve.

Lui, Severus, sapeva che lei non gli sarebbe mai venuta meno. Severus aveva perfettamente adempiuto alla sua missione, aveva mantenuto la promessa di proteggere Harry Potter.

Si sentiva soddisfatto, aveva raggiunto il suo equilibrio, da quel punto di vista.

Silente era stato ucciso secondo i piani che lui ed il Preside avevano elaborato.

O meglio: che il Preside aveva imposto a Severus, che si era limitato ad accettarli e ad eseguirli in maniera impeccabile.

Tuttavia, un nuovo desiderio gl’inondava il cuore, in quella sera di Maggio, la sera prima della battaglia finale.

 

Guardava il cielo, come aveva sempre fatto nelle ore notturne.

Era diventato un luogo a lui famigliare e pronto ad accoglierlo.

Aveva osservato a lungo Lily, aveva parlato con lei.

Non si era rifugiata dietro una nuvola, pudicamente, quando Severus le disse ad alta voce che avrebbe voluto raggiungerla.

Per sapere come ci si sentisse a fluttuare sopra l’universo intero, per capire come si vedesse il mondo come se fosse in un granello di sabbia.

Per vedere l’eternità in una sola ora.

Lily aveva espresso il suo assenso con uno sfarfallio divertito.

Era giunto il momento di tornare a casa, tra le sue braccia, finalmente.

Braccia non fatte di carne ed ossa, ma di materia gassosa di vario genere.

Chissà se Lily, in quegli anni, aveva tenuto nel suo ventre che ribolliva di elio e di nuove piccole stelle, da far crescere nelle nebulose culle dell’universo?

 

Avrebbe voluto così tanto rinascere tra i lembi setosi della nebulosa che avvolgeva Lily, per non lasciarla mai più.

Per la seconda volta nella sua vita, Severus Piton conobbe la speranza: quella spinta immensa che fa esplodere un corpo celeste morente con una forza dirompente e devastante, distruggendo e facendo danni, certo. Per poi restituire nuova energia e nuova vita vibrante a quell’universo infinito.

Si sentiva una stella morente, sulla terra. 

Sperava di meritarsi un posto accanto a lei, la donna che aveva amato più di qualsiasi cosa al mondo.

Distante ore, anni, secoli, poco importava: l’avrebbe amata per sempre.

 

* * * * * * * * * * * * * * * * * * 

Harry non aveva capito proprio nulla circa Severus Piton.

 

Quello che pensava fosse il suo nemico da combattere, una nemesi fatta e finita, era l’uomo che l’aveva più protetto al mondo, a suo rischio e pericolo. Finendo per essere ucciso da Lord Voldemort.

Fissò il Pensatoio un’ultima volta, con quelle memorie argentee fluttuanti, appartenute all’ex-professore di Pozioni. Ex-Preside di Hogwarts. Ex-Mangiamorte.

E ora? Cosa ne sarebbe stato di lui? Non poteva finire nell’oblio, nel nulla, in un batter d’occhio.

 

Quell’uomo - pensò Harry - si meritava una seconda possibilità nell’altra vita, ora che era piuttosto certo che ci potesse essere. Esattamente come sua madre, come suo padre, astro sfuggente e malandrino nel cielo, doveva brillare nel cielo. Non poteva essere altrimenti.

 

L’amore di Piton doveva bruciare ancora a lungo, perché aveva ancora tantissimo da ardere: il suo cuore era colmo di buoni sentimenti da ardere, da far brillare nel buio totale. Li aveva nascosti con drappi neri ed abiti sempre scuri ed impeccabili, ma era giunto il momento di rivelare la parte migliore di Piton al mondo. Non bastava al mondo, all’universo intero. Perché tutti sapessero del coraggio immenso di quell’uomo all’apparenza gradevole come una tazza di cicuta.

 

Abbandonò il Pensatoio, percorrendo lo studio ovale, dirigendosi verso l’enorme finestra dietro la scrivania del Preside. Il cielo era ancora un po’ nuvoloso, ma si poteva intravvedere la Luna e qualche squarcio di cielo. Harry si stava preparando all’ultima battaglia: sarebbe andato incontro al suo destino, ma prima voleva accertarsi di una cosa.

 

Appoggiò le mani alla vetrata fresca. Si mise in osservazione. Vedeva tutto così bene quella sera, come mai prima d’ora. 

Il cielo era di una brillantezza spettacolare, come se anch’esso si stesse preparando ad assistere allo scontro finale.

Harry cercava un ultimo saluto da fare a sua madre, prima di andare. Sapeva che lei si sarebbe fatta vedere.

Attese qualche minuto, e forse non doveva gettare al vento il poco tempo prezioso che aveva a disposizione. Ma non poteva andarsene senza aver visto la sua guida e la sua luce preferita.

 

Ecco che una nuvola si distoglie dal posto preferito della stella Lily. E lei compare, fulgida, brillante come sempre. Brilla e la sua luce sfarfalla veloce e rapida, come se anche lei fosse in trepidante attesa dell’ultima battaglia che vedrà coinvolto suo figlio e Lord Voldemort. Non ha paura, è fiera, com’è sempre stata, anche in vita.

 

Harry aguzza lo sguardo, cercando attorno a sua madre qualcosa. Lui sa che non potrà essere distante da lei. Per quanto voglia bene a suo padre James, sa che Severus desidererebbe solo quello, come ultimo desiderio: di brillare accanto alla sua Lily, niente di più.

 

Eccolo lì, Severus. Leggermente sulla sinistra, rispetto a sua madre, lievemente più in alto rispetto a sua madre e ancora un po’ pallido. D’altronde, nemmeno in vita la sua carnagione era stata molto più scura. Brillava timidamente, titubante, come doveva essere sempre stato in vita di fronte a Lily. Il riflesso colorato rimaneva ancora indecifrabile. Col tempo si sarebbe sviluppato.

 

Il giovane Grifondoro sorrise di fronte a quelle due stelle, commosso. Finalmente niente e nessuno le avrebbe più separate. Non le ore, non le ere, nemmeno la morte.

 
   
 
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