Fanfic su artisti musicali > Justin Bieber
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Autore: Makeitorbreakit    16/12/2011    2 recensioni
Vidi i suoi occhi chiudersi, sentii il suo cuore stopparsi. Caddi. Piansi. Lasciai che le emozioni mi si sciogliessero negli occhi. Cercai di non pensare ad Angel come ad un vero e proprio angelo, ma come quella ragazza che mi strappò il cuore dal petto, viva, felice e sorridente.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note d'autore: Ciao. :) Come va? Sono felicissima perchè avete recensito in due ** Lo considero un buon inizio. Ringrazio anche quelle che hanno letto <3 GRAZIE <3 

Capitolo 1: Angel
Parte 2
 
Dal capitolo precedente…
“…Pochi alunni ancora vagavano tra gli armadietti come anime in pena. Tra di loro vidi Chaz. “Ehi, amico, senti mi spiace per Angel.” mi disse, avvicinandosi a me e poggiandomi la mano sulla spalla. Angel… nel  sentire il suo nome il mio cuore perse un battito. “Anche a me” sussurrai, sopprimendo in me la voglia di piangere.”
 
Insieme ci dirigemmo in classe, io con gli occhi consumati dalle lacrime e la voce stanca di urlare, straziata, irriconoscibile, lui messo in soggezione dal mio malessere, che come un demone munito di tentacoli stuzzicava anche gli amici che mi circondavano. 
Attraversammo il corridoio. Arrivammo davanti all’aula: la porta era già chiusa; da piccole finestrelle aperte al di sopra dello stipite le parole della professoressa fluivano flebili. Abbassai lentamente la maniglia ed entrai. 
“Salve” salutammo io e Chaz all‘unisono, prendendo posto ognuno al rispettivo banco.
“Siete in ritardo”. La professoressa ci rimproverò senza nemmeno alzare il capo dai fogli che stava esaminando con attenzione. 
“Lo sappiamo”.
“E quale scusa userete questa volta?” si stoppò per lasciare che un pizzico di ironia si unisse per bene agli ingredienti del rimprovero, poi riprese: “Il gatto vi ha graffiato le scarpe e avete dovuto lucidarle? La porta di casa vostra non si apriva? E’ scoppiato il lampadario? Ditemi, vi ascolto.”. La classe rise. -Ma non ha riso di voi, ha riso con voi- avrebbe detto Angel imitando la profonda voce del suo pazzo nonno Gennaro. -Ricordati che mai rideranno di voi, a meno che non vogliano offendervi- avrebbe aggiunto, ben sapendo di aver pronunciato sintagmi scomposti e senza senso, scoppiando in una sonora risata. Il ricordo del suo sorriso mi trafisse il cuore. Per un attimo smisi di vivere, mi sembrò di essere il protagonista di un sogno. Ma la stridula voce carica di rimproveri della professoressa Rubert mi riportò nell’aldiquà: “Be’? Io sto ancora aspettando una spiegazione”. Il silenzio si era ormai rimpadronito della classe. 
“Ci siamo fermati in corridoio un attimo in più a parlare di questioni importanti.” si spiegò Chaz, sistemando l‘astuccio trasbordante di penne in un angolino del banco. 
“E che cosa è più importante dell’arrivare puntuali a lezione, Chaz?”. 
Non ho idea di cosa mi prese poi, se rabbia o malinconia; so solo che urlai, che sbraitai il nome della mia ragazza: “ANGEL“.
La professoressa sembrò inorridirsi nei confronti del tono di voce che utilizzai. Aggrottò le sopracciglia e con disprezzo mi domandò: “Oh, e chi sarebbe? La tua morosina signor Bieber?”. La classe rise alla sua battuta. Di nuovo. Sentii nascer qualcosa dentro di me, non so bene cosa, ma sono certo che la mia anima partorì un che di strano, caldo come i raggi del sole, bollente come un fuoco, che cresceva, cresceva, alimentato dalla vergogna, dalla rabbia, dal dolore, dal disprezzo. 
Tutti conoscevano Angel a scuola; tutti sapevano che era la ragazza del tanto famoso Justin Bieber, tutti adoravano la sua gentilezza, la sua delicatezza, il suo sorriso: tutti la amavano. Quando se ne andò l’intero istituto pianse. Organizzò un corteo a  cui l’intera cittadina di Stratford partecipò, per cui l’intera Stratford pianse. Angel, andandosene, aveva portato con sé un pezzo di tutti noi.  Ma la prof, evidentemente, non lo so sapeva e porgendo quella domanda con fare deridente mi estirpò il cuore dal petto. Mi ribellai: “No, prof, la correggo: era la mia ragazza. Ora è morta cazzo!”. Caddi. Piansi. Cedetti sotto il peso del mio dolore. “E’ morta” ripetei, cercando di convincere anche il mio cuore di non averla più accanto.
 
“Justin, devi reagire cazzo. Oggi ti sei messo a piangere davanti a tutta la classe, non è da te.”. Chaz mangiucchiò l’ultima patatina fritta del suo piatto, prima di proseguire col dire: “Insomma, io lo so che fa male. Ma…”. “Ma cosa, Chaz? Ma cosa? Ma niente, Chaz, ma niente. Non sei tu quello che ha perso l’amore della sua vita.” lo interruppi. Lui fece una smorfia, imitando la mia voce: “Non sei tu quello che ha perso l’amore della sua vita”. Mi poggiò una mano sulla spalla. “Justin, sentiti. Una volta non avresti mai parlato così di una ragazza. Mai. Io lo so che fa male perdere una persona a cui vuoi bene, ma devi reagire, cazzo! Ti stai rendendo ridicolo.”. “Chaz, proprio non vuoi capire: io l’amavo. Veramente. E se sei così stupido da non riuscire a capire quello che sto passando, be’, forse non dovremmo esser più amici.”. 
 
 
 
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Arriva un momento della vita in cui ti accorgi di essere solo. Abbassi un attimo lo sguardo e quando che lo rialzi, POOF, amici, fidanzati, parenti, tutti scomparsi, nessuno che ti stia accanto. Ci sei tu e tu soltanto, circondato dai problemi, sommerso dal dolore, e nessuno ti aiuti ad uscire da quel minestrone di  vita. 
  
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