Storie originali > Fantasy
Ricorda la storia  |       
Autore: Evazick    16/12/2011    5 recensioni
(III di III)
Il cuore del rosso fece crac. “Un’ultima cosa, Francis,” mormorò mentre apriva un cassetto dello scrittoio e tirava la leva per aprire il passaggio segreto che dava su un vicolo accanto a villa Manor. “Lei… com’è?”
Gli occhi del bambino brillarono come pietre preziose. “Bellissima.” Si sistemò sullo scivolo e guardò per un’ultima volta Duncan. “È come se risplendesse di luce nera ad ogni passo. È bella e maledetta.”
***
Sono passati due anni da quella notte di tempesta macchiata di sangue, quella in cui Lux ha preso in mano il suo destino insieme ad Irial. Sul trono di Camden c’è una nuova regina che non prova alcun rimpianto per le sofferenze dei suoi sudditi. Di fronte all’ennesima minaccia per la libertà della città, Duncan mette insieme una Nuova Ribellione, con gli amici di sempre e nuovi arrivati. Ma come puoi cominciare una nuova guerra quando il tuo nemico è l’unica persona che tu abbia mai amato e che, nonostante tutto, non riesci ancora a dimenticare?
Ha visto di nuovo la sua Luce e ha trovato una nuova Ombra. Nell’atto finale di questa guerra, la città di Camden riuscirà a compiere il suo Destino?
Genere: Azione, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'Le Cronache di Camden'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Sono tornata!
Mentre scrivo, fuori dalla finestra di camera mia si sta scatenando il Diluvio Universale e c'è un vento pazzesco. Spero che non mi porti via prima di Natale D:
Anyway, tornando alla storia.
Come sapete, è l'ultima di questa trilogia. Sono abbastanza eccitata e nervosa mentre vedo la fine che si avvicina, e spero di saper descrivere tutto ciò che accadrà nel modo che voglio e ho sempre immaginato. Ci saranno dei nuovi personaggi che faranno il loro ingresso, e alcuni vecchi che non avrei pensato di riutilizzare. Il vostro giudizio, come sempre, è la cosa più importante per me e mi sprona ad andare avanti. Quindi, anche se siete nuovi, una recensione fa sempre piacere!
Il ritmo di aggiornamento è sempre il solito, un giorno sì e uno no. Tra poco arriveranno anche le vacanze natalizie, ovvero -> possibilità di dormire fino a tardi -> certezza di stare più tempo davanti al computer -> più tempo per scrivere. E' la cosa che adoro più in assoluto delle vacanze e dei sabato sera.
Inoltre, sto lavorando ad altre storie (fanfiction e originali) che probabilmente pubblicherò su EFP dopo il termine delle Cronache di Camden. Soprattutto, ho in cantiere una storia horror che potrebbe piacervi. Se ne avrò occasione, ve ne parlerò in seguito.
Pronti a partire, ciurma?

(Ah, un'ultima cosa: questo è il capitolo più lungo che io abbia mai scritto fino ad oggi. Sono otto pagine e mezzo di Word o_O)




I. Il tempo lenisce tutte le ferite.
 
Summer has come and passed
The innocent can never last
(Green Day – Wake Me Up When September Ends)

 

 
“Ti dispiace?”
Lei non sembrò ascoltarlo, impegnata a vagare per l’enorme sala. I suoi passi risuonavano con fare pesante nel silenzio della notte, rotto solamente dal rumore della pioggia che cadeva con forza fuori dall’edificio. Percorse l’intero perimetro del tavolo rotondo, guardandosi intorno con noncuranza, come se i suoi occhi non vedessero i cadaveri sparsi sul pavimento e le pareti macchiate di sangue rosso e brandelli di pelle e cervella. O, piuttosto, come se non lo ritenessero un particolare cruento e disgustoso. Terminò il suo giro, ritornando di fianco a lui. “Dovrebbe?” disse senza alcun tono particolare.
Scrollò le spalle. “Più che altro era solamente una domanda… come dire? Di routine.”
“Routine?” Scoppiò a ridere, una risata fredda che fece calare ulteriormente la temperatura all’interno della stanza. Quando ebbe smesso, fece un passo avanti, dando le spalle a lui, e diede un calcio alla testa del cadavere più vicino. Ci fu un rumore strano, come toc. “Non credevo che la tua routine giornaliera includesse anche un massacro del genere.”
“Hai capito cosa intendo.”
Sospirò. “Sì.” Si voltò nuovamente verso lui. “È strano. Un tempo probabilmente avrei provato qualcosa come il disgusto, o la paura, o la rabbia. Ma adesso…” Si portò una mano al cuore. I suoi battiti erano quasi inudibili, come se stessero per cessare del tutto. “È come se qui ci fosse un vuoto. Come se non potessi più provare alcun sentimento.”
Lentamente, lui le prese la mano, la tolse dal petto di lei e se la portò alla bocca, baciando lievemente la pelle pallida e fredda. Lei gemette: non avrebbe mai potuto scordare le sensazioni contraddittorie dei suoi baci, che la ferivano e la guarivano, veleno e cura nello stesso piccolo gesto. “L’hai sentito?” le chiese lui in un sussurro.
“Uh - uh,” gemette nuovamente lei.
“Non hai smesso di provare sentimenti, è solamente cambiata la percezione che hai di loro.” Le portò una ciocca dei corti capelli biondi dietro l’orecchio sinistro e sorrise. “È una cosa normale, presto ci farai l’abitudine.”
“Se lo dici tu…”

Gli occhi grigi di lui sembrarono scurirsi e intristirsi. “Non ti fidi più di me?”
“Non ho detto questo,” rispose lei brusca. Fece un passo indietro e si avvicinò a due cadaveri, stesi vicini sul pavimento e immersi nella stessa pozza di sangue. Si inginocchiò accanto al più giovane dei due, sporcandosi i pantaloni di quella sostanza rossa, appiccicosa eppure vitale. Non ci fece molto caso e, con un gesto delicato ma deciso, gli chiuse le palpebre sugli occhi dorati. Il ragazzo la osservò mentre le sue labbra si muovevano velocemente a formare il nome ‘Philip’. “Perché l’hai fatto, Irial?” chiese dopo una lunga pausa di silenzio, come se avesse riflettuto a lungo sulle parole giuste da pronunciare.
Lui le si avvicinò, posandole delicatamente una mano sulla spalla destra. “L’ho fatto solamente per te. Con il Consiglio di mezzo non avresti mai potuto riprendere il posto che ti spettava, e penso…” Sospirò. “Penso che tu sia stata privata troppo a lungo di ciò che ti appartiene di diritto.”
Si aspettava una minima reazione dalla ragazza – un urlo, una lacrima, un gesto brusco, qualcosa che esprimesse rabbia o dolore – ma non accadde nulla di tutto questo. Lei, come se capisse il significato e la necessità di quel massacro, annuì lentamente e, scrollandosi la mano del ragazzo dalla spalla, si alzò lentamente in piedi. Le falde del mantello, fino a quel momento immerse nella pozza vermiglia di sangue, una volta sollevate iniziarono a gocciolare rosso sul pavimento, e quelle gocce emettevano un rumore simile a quello della pioggia fuori dall’edificio. Si voltò verso il ragazzo, e lui fu sollevato e piacevolmente sorpreso di osservare i suoi occhi azzurri come il ghiaccio: in essi non vi era più quell’aria da animale impaurito che la ragazza aveva fino a pochi minuti prima, e l’unica cosa presente al loro interno era una calma glaciale e razionale, la stessa che brillava negli occhi di suo padre quando era ancora vivo. Il ragazzo sorrise soddisfatto. Non è rimasto più nemmeno un briciolo di quella che era prima.
E questa era un’ottima cosa, la più bella notizia che avrebbe mai potuto ricevere.
In perfetto silenzio e muovendosi in sincronia, i due uscirono dalla sala insanguinata e dal palazzo senza mai voltarsi indietro, e dopo poco si ritrovarono sotto la pioggia che cadeva con insistenza da pesanti nubi scure. Coperti dai loro mantelli, iniziarono a camminare l’uno accanto all’altra lungo le strade e i vicoli di Camden, diretti al castello, disabitato ormai da parecchi mesi. Nessuno dei due parlò, come se entrambi fossero immersi così a fondo nei loro pensieri da non poter pronunciare nemmeno la parola più piccola e insignificante. Ma quando furono arrivati nella piazza al centro della città, quella in cui sorgeva il castello circondato da alberi, la ragazza si fermò bruscamente a pochi metri dal portone d’ingresso, lasciando che la pioggia le bagnasse ulteriormente il mantello. Il suo compagno si voltò verso di lei e la guardò con aria interrogativa. “Cosa c’è?”
“Non…” La sua voce sembrò incrinarsi, e sul suo volto una lacrima si confuse con le gocce di pioggia. Tirò su col naso e abbassò lo sguardo. “Non posso farlo.”
“Sì che puoi.” Le si avvicinò e le prese le mani tra le sue. “Questo è il tuo destino, quello che tuo padre voleva per te.”
“Un padre che mi ha abbandonata quando avevo appena pochi giorni,” replicò lei tagliente.
Il ragazzo stava iniziando a perdere la pazienza. Evidentemente si era sbagliato, la vera natura della ragazza non si era ancora affermata del tutto. Ma poteva accadere comunque da un momento all’altro, anche senza che lui ricorresse alle maniere forti. Si schiarì la voce e disse autoritariamente: “Ti ho già spiegato il motivo per cui l’ha fatto. Se ti ha affidata ad un’altra famiglia e ha nascosto la tua vera natura per tutti questi anni, è stato solamente per il tuo bene. E lo stesso vale anche per le mie bugie.”
Lei sussurrò qualcosa.
“Come dici?”
“Tu non capisci,” ripetè. Puntò il suo sguardo in quello del ragazzo, mostrandogli i suoi occhi azzurri distrutti dal dolore. “Mentre me ne andavo da villa Manor, Duncan…” Deglutì. “Mi ha seguita. Ho dovuto dirgli addio prima di venire da te, e Dio solo sa quanto stia soffrendo adesso.” Tirò di nuovo su col naso. “Sono stata terribilmente egoista. Non avrei dovuto farlo.”

“Duncan non conta più nulla per te,” replicò il ragazzo in tono secco e quasi ringhiando. “Adesso ci sono io.”
Lei continuò a fissarlo con i suoi occhi azzurri pieni di lacrime. Nel vederli, la rabbia di lui si placò un poco, ma decise lo stesso di mettere fine a quella storia una volta per tutte. Le avrebbe fatto del male, ma non poteva permettersi che lei rinunciasse al suo destino solamente per colpa di uno stupido Elementale. Le afferrò il volto con le mani e avvicinò il volto di lei al suo. “Irial…?” mormorò lei.
“Andrà tutto bene.” Le loro labbra si avvicinarono. “Sarò il più delicato possibile, te lo prometto.”
Lei cercò di protestare, ma lui fu più veloce e la baciò con passione, sentendo il sapore salato delle lacrime di lei sulla sua lingua. Sentì la ragazza gemere di dolore, ma non ci fece caso e continuò a baciarla, colmando il vuoto che l’aveva perseguitata per tutti quei mesi. Sapeva che quel bacio l’avrebbe anche riempita di disperazione, ma era l’unico modo per far sì che le due parti della ragazza si riunissero una volta per tutte. Mancava poco, solo un ultimo sforzo e tutto sarebbe cambiato. Una nuova era sarebbe cominciata per Camden.
“Irial…” ripetè lei con le lacrime agli occhi mentre lui si fermava un attimo per riprendere fiato.
“Ssh, silenzio,” le sussurrò mentre si preparava a cominciare di nuovo. “Ho quasi finito.”
“Fa male…”
Non si curò dei suoi singhiozzi e iniziò a baciarla di nuovo, come se volesse rubarle la vita con quei maledetti baci. Sentì la ragazza affondare le unghie nei palmi delle mani di lui mentre la parte cattiva della sua anima si univa a quella buona e finiva di prendere il controllo. Solo quando ebbe finito il suo lavoro, staccò le sue labbra da quelle di lei e le diede un ultimo lieve bacio sul collo, lasciandole qualcosa simile a un livido, ma rivolto verso l’interno. Le portò una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio mentre lei sussurrava: “Ora…”
“Ora torniamo a casa.” Le accarezzò il volto mentre sorrideva. Le afferrò un polso e la trascinò verso il castello senza incontrare alcuna resistenza da parte di lei. Una volta arrivati al portone principale, quello che conduceva al cortile, tirò fuori dalla tasca interna del suo mantello una chiave e la mise in mano a lei. Guardò con i suoi occhi grigi splendenti la ragazza. “Adesso dipende tutto da te, principessa.”
Lei rammentò per un breve istante che quel nomignolo le era stato affibbiato Duncan, ma adesso non le importava più così tanto di lui. Il suo destino era quello di regnare su Camden, e niente e nessuno avrebbero potuto impedirle di riprendere il controllo sulla sua vita.. Tutte le paure e i dubbi che aveva avuto fino a pochi attimi prima erano scomparsi insieme al vuoto che aveva avuto dentro di sé negli ultimi mesi. Strinse la pesante chiave di ferro nel suo pugno, si avvicinò al portone e la infilò nel buco della serratura. Le bastò farle fare mezzo giro, poi la serratura scattò. Il ragazzo si appoggiò con le mani al legno e iniziò a spingere; dopo poco, come se fosse dotato di una forza sovrannaturale, riuscì ad aprire completamente il portone, facendo apparire il cortile al di là di esso. Con la fronte lievemente sudata sotto il cappuccio del mantello, si voltò verso la ragazza. “Sei pronta?”
Annuì senza pensarci su due volte, e lo sguardo deciso nei suoi occhi azzurri fece allargare il sorriso di Irial. Si inchinò e indicò l’edificio al centro del cortile mentre gettava un’occhiata con la coda dell’occhio a Lux. “Benvenuta a casa, Altezza.”
E lunga vita alla regina.
 

***

 
Due anni dopo, un’altra ombra stava correndo per le vie semideserte di Camden. Non era certo minacciosa e coperta da un mantello come quelle di Lux e Irial; anzi, a dirla tutta, non aveva neppure la loro altezza e la loro età. Il piccolo Francis era nato appena dodici anni prima, e la sua statura lo faceva sembrare addirittura più giovane di qualche anno – cosa di cui lui non andava molto fiero. Avrebbe dato qualunque cosa, persino l’anima, per un corpo più grande e adatto ad un bambino della sua età, ma non era ancora arrivato il genio della lampada o la fatina magica ad esaudire il suo desiderio e, probabilmente, non sarebbe mai arrivato. Ma non era di questo che Francis si preoccupava in quel tardo pomeriggio, mentre correva più veloce che poteva verso la piazza del castello. No, adesso il suo unico pensiero era arrivare in fretta dalla regina per riferirle il messaggio che il fabbro da cui era apprendista gli aveva affidato e tornare il più presto a casa. Lui non ci pensa nemmeno a muovere le chiappe e manda me a fare il lavoro sporco, pensò il ragazzino con una punta di rabbia.
Il sole stava tramontando, e i suoi raggi di uno strano colore tra l’arancione e il viola facevano assumere a palazzi e monumenti un aspetto strano, diverso da quello che avevano durante il resto della giornata. Francis non ci fece molto caso, lanciando a malapena uno sguardo incuriosito alla luce del tramonto, e tirò un sospiro di sollievo quando arrivò nella piazza del castello, circondato da una moltitudine di alberi di diverse specie. Arrivato a pochi metri dal portone principale, quello che conduceva nel cortile della fortificazione, arrestò di colpo la sua corsa alla vista dei due guerrieri di An che sorvegliavano l’ingresso. Si avvicinò con passi tremanti e aprì la bocca per parlare, ma l’uomo alla sua sinistra lo precedette. “Volevi qualcosa in particolare, mocciosetto?”
“Io…” Si sistemò nervosamente il cappello a coppola sui corti capelli color biondo scuro e ricoperti da una fine polverina grigia, poi affondò le mani nelle grandi tasche della giacca marrone con le toppe sui gomiti. “Uhm, devo consegnare un messaggio alla regina da parte del fabbro.”
“Quale fabbro?”
“Uh…” mormorò Francis. Si grattò nervosamente la nuca, come se questo potesse aiutarlo a ricordare il nome dell’uomo, ma la realtà era che non se lo ricordava e non se lo era mai ricordato. Era già un anno che lavorava come apprendista presso la sua fucina, ma il suo nome era talmente lungo e complicato che era un’impresa ricordarsi solamente le prime tre sillabe. Il bambino rimase per diversi istanti immobile, con lo sguardo basso, come se cercasse una risposta nelle pietre grigie squadrate della pavimentazione della piazza, ma l’altro guerriero di An gli venne in aiuto. “Ma certo, ecco dove ti ho già visto,” esclamò schioccando le dita. Si rivolse all’altro uomo: “È l’apprendista di quel fabbro che ha costruito il cancello dell’armeria sotterranea. Quello col nome incomprensibile, vero, piccolino?” terminò rivolgendosi nuovamente a Francis che, per tutta risposta, annuì in fretta.
L’altra guardia rifletté qualche istante sulle parole dell’altro, poi sbuffò e fece cenno al bambino di passare. Lui fece un cenno di ringraziamento con la testa e entrò nel cortile. Quando si voltò indietro per rivolgere un’ultima occhiata alle guardie, quella che l’aveva aiutato gli strizzò l’occhio amichevolmente, facendolo rabbrividire e voltare immediatamente. “Non devo fidarmi di loro,” mormorò tra sé e sé mentre si avvicinava al secondo portone, privo di qualsiasi guardia o sentinella. Era una frase che suo padre gli ripeteva spesso, soprattutto quando era seduto sulla sua sedia preferita a fumare la sua pipa di legno e avorio. Non fidarti mai dei guerrieri di An, Francis, gli diceva con il fumo che gli usciva dalla bocca in nuvolette grigie e leggere. Non sono altro che i cani da guardia della Stirpe Oscura. Meno ci hai a che fare, meglio è per te.
I guerrieri di An erano tornati solamente da poco, appena un anno e una manciata di mesi. A Francis sembrava che fossero più cattivi e cruenti che mai: prendevano a caso i bambini che giocavano per la strada e li portavano nei sotterranei della prigione di Camden senza un motivo preciso, si divertivano a tiranneggiare sui viaggiatori in visita, e avevano un sarcasmo e un senso dell’umorismo neri come una notte senza luna e senza stelle. Tutti concordavano sul fatto che la vita era molto più tranquilla senza quei ‘tutori dell’ordine’ ma, siccome erano al servizio della regina, nessuno si permetteva di lamentarsi pubblicamente. La regina non era più così tollerante come nei primi mesi del suo regno, e c’erano tante cose che non le facevano piacere. I mesi successivi allo sterminio del Consiglio Libero erano diventati un nuovo inferno per gli abitanti di Camden.
Negli ultimi due anni erano cambiate molte cose. Francis ricordava bene la monarchia di Tean, e la gioia che aveva invaso Camden una volta che era trapelata la notizia della sua morte per mano della Ribellione. Per quattro mesi la città era stata governata da un Consiglio Libero (‘pieno di lecchini corrotti’, come amava dire suo padre), ma una notte, improvvisamente, tutti i consiglieri erano stati uccisi per mano di misteriosi assassini. Lo stesso giorno, inoltre, l’intera Camden aveva scoperto di essere stata ingannata da Tean: non solo aveva una figlia, legittima erede al trono della Stirpe Oscura, ma lei era addirittura viva e aveva già preso il potere! Molti avevano riconosciuto in lei una delle ribelli che aveva combattuto contro il vecchio re, ma l’ipotesi era stata considerata così inverosimile da essere accantonata subito, e tutti avevano iniziato a pensare a una straordinaria somiglianza, niente di più, e continuavano a pensarlo anche adesso.
Immerso nei suoi pensieri, Francis non si accorse di essere entrato nell’atrio del castello, e subito si chiese quale fosse la direzione giusta da prendere. Davanti a lui c’erano tre possibili scelte, un portone e due archi che conducevano ad altrettante stanze, e non aveva la più pallida idea di quale fosse quella giusta da prendere. Si diede un’occhiata intorno, disperato e bisognoso d’aiuto come se si fosse smarrito nel bosco, poi si lasciò guidare dall’istinto e si diresse verso l’arco a destra del portone più grande, quello al centro della parete in fondo all’atrio.
La direzione che Francis aveva preso lo condusse in un lungo corridoio fiocamente illuminato che terminava con dei gradini che scendevano sottoterra. Il bambino rimase fermo sul primo, guardando in basso e decidendo sul da farsi: ormai era ovvio che aveva preso la strada sbagliata, ma aveva paura di tornare indietro e di scegliere un’altra direzione. Inoltre, la curiosità si muoveva dentro di lui come un serpente inquieto e pronto a mordere, e prima ancora che potesse accorgersene il suo piede aveva sceso il primo gradino e l’altro si apprestava a posarsi sul secondo. Velocemente, scese le scale in pochi secondi e lanciò un’occhiata al corridoio vuoto e illuminato da qualche torcia sulle pareti. Quando notò che negli angoli c’erano delle macchie color rosso scuro dovette trattenere un conato di vomito, ma gli bastò spostare lo sguardo sulla porta più vicina per sentirsi subito meglio. Incuriosito, la osservò meglio mentre vi si avvicinava: da dietro di essa non proveniva alcun rumore, e uno strano odore raggiunse il naso di Francis non appena fu abbastanza vicino. Dovette reprimere un altro conato, ma fu abbastanza abile da concentrarsi sulla maniglia davanti alla sua mano sinistra. Afferrò il pomello con forza e spalancò la porta, trovando davanti ai suoi occhi un macabro cumulo di cadaveri ammassati.
Rimase in silenzio e con gli occhi azzurri spalancati per qualche secondo, scioccato, poi sentì qualcosa muoversi nel suo stomaco e in quel momento riuscì finalmente a vomitare sul pavimento di quella cripta piena di corpi morti. La potenza con cui il vomito lo colpì lo costrinse a piegarsi in due per rigettare meglio e, ogni volta che vedeva con la coda dell’occhio una macchia di sangue rappreso o un occhio che lo fissava vitreo, un nuovo conato gli usciva dalla bocca. Riuscì a calmarsi solamente molti lunghi minuti dopo, quando ormai le sue gambe tremavano in modo incontrollabile e una larga e densa chiazza giallastra si era formata sul pavimento. Con la mano che tremava, Francis riuscì a pulirsi la bocca da alcuni schizzi di vomito e tornò a respirare normalmente, ma improvvisamente qualcosa lo afferrò per la collottola della giacca e lo fece uscire dalla stanza con forza. La porta si chiuse con un rumore infernale, e il bambino si ritrovò con la schiena contro di essa, un metro sopra il pavimento, una mano attorno al collo e gli occhi neri del guerriero di An di guardia al portone principale che lo fissavano. “Che ci facevi qua sotto, mocciosetto? Non dovevi portare un messaggio alla regina?” gli chiese l’uomo mentre aumentava la stretta sul collo esile di Francis.
“È- È così…” balbettò lui per lo spavento e la mancanza di aria. Sentiva che il volto gli stava diventando viola. “M-ma mi s-sono p-perso…”
Il guerriero di An lo guardò per un’ultima volta, poi lasciò andare il bambino, che cadde pesantemente sul pavimento. Il dolore al fondoschiena fece apparire delle lacrime nei suoi occhi azzurri, ma non fece in tempo a riprendersi che l’uomo lo afferrò per un orecchio e iniziò a trascinarlo lungo il corridoio in direzione delle scale. “Dove stiamo andando?” gli chiese mentre il suo orecchio iniziava a pulsare di dolore insieme al collo.
“Non posso mica lasciare che una piccola spia come te si possa aggirare come le pare e piace per il castello, non trovi?” disse lui una volta in cima alle scale. Sorrise snudando i denti affilati. “C’è qualcuno a cui farà piacere vederti.”
Francis ci mise poco a capire a chi si riferisse, e non appena l’idea si fece strada nella sua mente iniziò ad urlare: “No! Vi prego, no, lasciatemi andare! Non tornerò mai più, lo giuro, ma lasciatemi andare!
Continuò ad urlare per tutto il tragitto, dal corridoio all’atrio fino ad un nuovo corridoio, quello dietro l’arco a sinistra della porta più grande. Da lì proseguirono fino ad una nuova scala, stavolta in salita, ed arrivarono in un ennesimo corridoio, il cui pavimento era ricoperto da un pregiato tappeto viola che attutiva i passi del guerriero di An. Quando l’uomo aprì la porta e gettò sul pavimento della stanza Francis, il bambino non aveva ancora smesso di urlare. Una volta lontano dalla guardia, si mise a sedere sul pavimento grigio e si abbracciò le gambe, lanciando sguardi preoccupati all’uomo e ai trenta gradini che si trovavano al centro della stanza, a pochi metri da lui, e che portavano al trono, una gotica poltrona in ferro e velluto rosso scuro decorata molto finemente. Francis si diede un’occhiata intorno, stupito. Gli avevano raccontato che la sala del trono, quando Tean era vivo, era completamente di accecante marmo bianco, ma questa stanza era diversa: le pareti erano di una pietra nera lavorata grezzamente, e il pavimento era di un colore grigio appena più chiaro, il tutto illuminato da alcuni candelabri appesi alle pareti e dalla luce lunare che entrava da una grande finestra a sinistra del trono. Il bambino si riscosse dai suoi pensieri e trattenne il fiato quando da dietro i gradini che portavano al trono emerse una figura, nera e silenziosa come un’ombra. “Ho trovato questo mocciosetto che curiosava nelle stanze dei sotterranei,” le disse il guerriero di An con un sorriso soddisfatto. “Credo che possa essere…”
“Bene,” lo interruppe la figura. Uscì dall’ombra in cui era rimasta fino a quel momento e si fece vedere alla luce della luna e delle candele. Francis la riconobbe, l’aveva vista spesso in giro: non era propriamente il consorte della regina, ma si muoveva sempre assieme a lei e sembrava che tra loro due ci fosse qualcosa di più di una semplice amicizia o di un rapporto tra nobile e servitore. Fece un gesto con la mano alla guardia. “Puoi andare, adesso a lui ci penso io.”
L’uomo non fece una piega e uscì dalla sala del trono, sbattendosi con forza la porta alle spalle. Le due persone rimaste rimasero a lungo in silenzio, poi il ragazzo uscito da dietro il trono si avvicinò a Francis sorridendo. Quando furono distanti appena pochi centimetri, il bambino indietreggiò di poco, continuando a fissare l’altro con paura. “Ehi, non devi fare così,” gli disse l’ex ombra mentre si abbassava davanti a lui per mettere i loro occhi sullo stesso piano. Il suo sorriso risplendeva di una felicità contagiosa che tuttavia spaventava Francis, come se riuscisse a vedere oltre quel semplice gesto, oltre i suoi occhi grigi scintillanti, oltre la sua voce solare e amichevole. Era come se riuscisse a vedere la sua vera natura, quella che nascondeva per poter conquistare la fiducia delle persone intorno a lui. “Io non voglio farti del male,” continuò il ragazzo-ombra.
Il bambino mormorò qualcosa tra sé e sé.
“Cosa? Credo di non aver sentito bene.”
Tirò su col naso e mormorò nuovamente, stavolta con un tono di voce più alto: “Ho solamente sbagliato strada.”
“Oh, immagino bene,” replicò il ragazzo gentilmente, ma nelle sue parole si poteva udire, molto in profondità ma comunque udibile, una nota oscura che fece rizzare i capelli sulla nuca di Francis. Provò a guardare da un’altra parte, terrorizzato, ma quegli occhi grigi che stavano lentamente diventando neri lo ipnotizzavano e incatenavano il suo sguardo a quello dell’altro ragazzo. “So anche che dovevi portare un messaggio alla regina da parte del fabbro di cui sei l’apprendista. Ma…” I suoi occhi si animarono di uno scintillio da predatore. “Perché non hai chiesto a qualcuno la strada giusta per arrivare alla sala del trono?”
“Non c’era nessuno a cui chiederlo,” mormorò Francis intimorito, pregando che non gli accadesse nulla.
“Non c’era nessuno a cui chiederlo,” ripetè il ragazzo. Sospirò con fare teatrale. “Bè, potrei anche crederti. Ma qualcosa mi dice che ti ha mandato qui un certo ragazzo con i capelli rossi, lo stesso che ha ucciso Tean due anni fa, non è vero?”
“No, signore,” sussurrò il bambino. Si sistemò velocemente il cappello e osservò con terrore quegli occhi grigi che diventavano neri come un pezzo di carbone o le pareti della sala del trono. Poco dopo le dighe nei suoi occhi si ruppero e le lacrime iniziarono a scorrergli sulle guance. “Lo giuro sulla testa di mio padre, signore, non vedo quel ragazzo da mesi!” urlò. “A volte lo vedevo al mercato o in giro per la città, ma non gli ho mai parlato e non ho mai avuto a che fare con la Nuova Ribellione!”
“Nuova Ribellione?”
Non appena si rese conto di quello che gli era scappato di bocca, Francis se la tappò con le mani, come a voler ritirare tutto quello che aveva appena detto. Era inutile rimangiarsi le parole, il ragazzo davanti a lui stava già reagendo. “Io non ho mai parlato della Nuova Ribellione,” disse mentre un’enorme ombra scura si formava alle sue spalle, densa come miele nero. “E nessuno sa che esiste, se non i ribelli stessi e il sottoscritto.” Sorrise malvagio, mostrando due canini affilati. “Quindi non riesco a capire come faccia un moccioso come te a sapere che Duncan Hellrose è il condottiero di questi nuovi ribelli, visto che dici che non lo vedi da mesi e non gli hai mai parlato.”
Ti prego, non farmi del male! fece per dire Francis, ma lo spettacolo alle spalle del ragazzo aveva catturato tutta la sua attenzione e gli bloccò le parole in gola. L’ombra adesso era alta almeno un paio di metri, ed era diventata densa, una specie di fumo solido dal quale spuntavano voci e occhi rossi che brillavano nell’oscurità. Sembrava avere occhi solamente per il bambino, e gli occhi del ragazzo che sembrava comandarla erano diventati così neri da non poter più distinguere la pupilla al loro interno. L’ombra, quegli occhi e quel sorriso erano decisamente troppo per Francis, ma, quando aprì la bocca per urlare, l’ombra gli si scaraventò addosso, facendolo finire con la schiena a terra sul pavimento grigio. Il bambino gemette e cercò di rimettersi in piedi, ma sembrava che il suo corpo fosse inchiodato al pavimento, senza dargli alcuna possibilità di muoversi. L’altro ragazzo si alzò in piedi e si avvicinò al suo fianco destro, sovrastandolo da sopra l’ombra. Francis riusciva a vederlo in maniera confusa, ma non avrebbe mai potuto perdere di vista quel sorriso così splendente e così malvagio. “Qualcosa mi dice che stasera abbiamo trovato una piccola spia da mandare al macello,” disse con gli occhi che gli brillavano.
“Ti prego,” piagnucolò il bambino in preda al panico, continuando a piangere. “Ti prego, voglio solamente tornare a casa.”
Il suo sorriso si allargò ancora di più. “Avresti dovuto pensarci prima di accettare un incarico per la Ribellione.”
L’ombra iniziò ad addensarsi intorno al corpo di Francis, diventando improvvisamente pesante come la pietra. Lui iniziò ad urlare per il dolore, con le lacrime che gli finivano nella bocca spalancata, e chiuse gli occhi più che poteva per non vedere l’ombra che lentamente gli stava togliendo l’aria e lo stava uccidendo. Rivolse un ultimo pensiero al padre, alla madre e, sì, anche a quel vecchio bastardo che aveva usato come scusa per potersi infiltrare nel castello senza muovere tanti sospetti. Vide per un’ultima volta il volto di Duncan, che gli aveva affidato l’incarico per cui adesso stava morendo. Ma almeno morirò da eroe, si ritrovò a pensare. Non ho rivelato il vero scopo per cui sono venuto qui, ho preferito la morte al disonore in battaglia. Spero che…
Irial!
Il grido risuonò rabbioso e sorpreso nella sala del trono così improvvisamente che perfino Irial e Francis ne furono colti alla sprovvista. Nel giro di pochi secondi, l’ombra era scomparsa dal corpo del bambino e dalla stanza, gli occhi del ragazzo erano tornati grigi e il suo sorriso era scomparso. Lui era voltato verso un punto vicino alla finestra, e lo fissava con stupore. “Ma io…”
“Tu cosa?” La nuova arrivata uscì dall’ombra in cui era rimasta nascosta fino a quel momento e si diresse a passo sicuro e affrettato verso gli altri due ragazzi presenti nella sala. La gonna del vestito nero le svolazzava intorno al corpo, e alla luce delle candele e della luna i corti capelli biondi le risplendevano intorno alla testa come un’aureola. Francis si mise a sedere e la guardò quasi a bocca aperta mentre si avvicinava. Era persino più bella di quanto ricordasse: dimostrava i suoi vent’anni a malapena, come se il tempo per lei si fosse fermato a due anni prima, e gli occhi azzurri come il ghiaccio le risplendevano nel volto come pietre preziose. La pelle pallida e i capelli quasi bianchi erano messi in risalto dalla lunga gonna nera di pizzo e dal corsetto grigio con corte maniche a sbuffo, facendola apparire un essere fatato, etereo e sospeso nel tempo. Ma nella sua bellezza c’era qualcosa di estremamente malvagio e pericoloso, come se lei fosse una di quelle farfalle che ti avvelenano non appena sfiori le loro ali. Si fermò accanto ad Irial e il suo sguardo lo trapassò da parte a parte. “Allora? Devo tirarti fuori le parole una ad una a forza?” gli chiese tagliente.
Irial – allora era questo il suo nome! – affrontò la regina a testa alta, senza abbassare mai il suo sguardo, e indicò Francis, ancora seduto sul pavimento della sala. “La Ribellione ci ha mandato un messaggero, a quanto pare.”
Lo sguardo della ragazza saltò da Irial al bambino e viceversa, poi si inginocchiò davanti al più piccolo e lo costrinse a guardarla negli occhi. “Sei una spia?”
Lui non potè fare altro che annuire.
“Ti ha mandato qui…” Deglutì, come se le costasse un’immensa fatica terminare la frase. “Duncan?” riuscì a dire alla fine.
Ci pensò su per un attimo, poi annuì nuovamente.
Sospirò. “Va bene.” Una luce brillò improvvisamente nel suo occhio sinistro. Nello stesso istante, la mano sinistra della ragazza prese fuoco, e sulla sua pelle iniziarono a danzare lunghe fiamme nere senza bruciarla. Francis avrebbe potuto osservarle muoversi per ore e ore, ma la sua contemplazione venne interrotta da un improvviso dolore al braccio destro. Sentì la sua pelle carbonizzarsi e iniziare a fumare, e si lasciò scappare un breve urlo che venne interrotto quando la regina tolse la sua mano ardente dal braccio del bambino, lasciandogli come ricordo un’ampia bruciatura nera e fumante. Con gli occhi pieni di lacrime, lui la guardò, incontrando il suo sguardo impassibile e freddo come il ghiaccio dei suoi occhi. “Ora vattene, e non farti più vedere. La prossima volta non te la caverai con così poco.”
Francis non se lo fece ripetere due volte. Si alzò lentamente in piedi, tenendosi il braccio ferito con l’altro, e, sotto gli sguardi della regina e del suo consorte (o consigliere? Amico? Servitore?), riuscì ad aprire a fatica il portone della sala e a precipitarsi fuori dal castello, lontano dagli orrori di quella serata.
 

***

 
“Sei stata un po’ troppo indulgente con quel bambino.”
Sulle labbra di Lux si formò una smorfia divertita. “Volevi forse ucciderlo?”
“Non è questo quello che facciamo con le spie dei ribelli?” replicò Irial, seduto a petto nudo sull’enorme letto matrimoniale a baldacchino negli alloggi reali, più precisamente nella camera da letto della regina. Si lasciò sfuggire un breve sorriso mentre osservava la stanza intorno a lui: era enorme, grande quasi quanto la stanza vicino al mercato in cui Tean lo aveva mandato per spiare le mosse di sua figlia, e la maggior parte dello spazio era occupato dal letto su cui il ragazzo era seduto adesso. Gli altri oggetti presenti nella stanza erano un lungo specchio ovale appeso alla parete, una scrivania di noce, una poltrona dorata foderata di velluto viola e un ‘servo muto’ su cui Lux teneva la sua vestaglia nera e la camicia da notte bianca. Se la stava per infilare proprio in quel momento, mentre dava le spalle ad Irial per avere almeno un minimo di privacy.
“Non me la sentivo di ucciderlo,” rispose lei mentre si toglieva l’ampia gonna nera e la sistemava sulla poltrona. “Ho tutto il tempo del mondo per macchiarmi le mani di sangue, non voglio iniziare da una piccola spia della Nuova Ribellione.”
“Uh – uh.” Lux sussultò quando sentì le mani di Irial sulle sue spalle e la sua voce nel suo orecchio destro: non si era ancora abituata ai suoi movimenti veloci, troppo per un normale essere umano, e ogni volta che le si avvicinava così improvvisamente faceva fatica a scacciarlo via per lo spavento che le aveva fatto prendere. “Uh, Irial? Dovrei finirmi di spogliare,” gli disse mentre le sue braccia le avvolgevano il petto e i fianchi.
“Puoi venire a letto con solamente il corsetto addosso,” le suggerì il ragazzo mentre la trascinava lentamente verso il baldacchino. “Non c’è nessun’altro in questa stanza oltre a me, non devi vergognarti di niente.”
Lux non replicò e lasciò che Irial la sollevasse con le sue braccia e l’adagiasse sulle lenzuola rosse. Lui si sistemò subito al suo fianco e le sorrise mentre giocherellava con uno dei nastri del suo corsetto. Il suo sorriso scomparve di colpo non appena notò l’espressione triste negli occhi azzurri della sua regina. “Va tutto bene?” le chiese preoccupato.
“Credo dì sì,” replicò lei malinconica. “È solo che…”
“Che?”
Si morse il labbro inferiore. “Vorrei solo sapere come sta Duncan. Forse quel ragazzino sapeva qualcosa su di lui, e…”
“Ssh.” Irial le premette lievemente l’indice sulle labbra per farla smettere di parlare. “Non devi più preoccuparti di lui. Sono passati già due anni, probabilmente ti ha già dimenticata.”
“Ma…”
“Ssh,” ripetè il ragazzo mentre saliva a cavalcioni sopra Lux e si sdraiava sopra il suo corpo pallido. Fece in modo che la sua bocca si trovasse all’altezza delle spalle di lei e sorrise nuovamente mentre dentro di lui si scatenava l’Inferno. Erano già passati due anni, la ragazza non era più la stessa di un tempo e aveva scelto di ricoprire nel modo più adeguato il ruolo che le spettava da venti lunghissimi anni. Eppure, per quanti sforzi Irial avesse fatto in passato e continuasse a fare tuttora, la sua regina si rifiutava ancora di dimenticare del tutto il ragazzo con i capelli rossi al comando della  Ribellione, Nuova o vecchia che fosse. Non che ne fosse ancora innamorata, ma il loro legame si era sciolto meno di quanto il ragazzo con i capelli neri si aspettasse, e questo gli impediva di considerare il suo piano riuscito alla perfezione. Per Lux adesso doveva contare solamente lui, nessun altro. “Non pensare più a lui. Adesso ci sono io,” continuò. Diede un paio di baci delicati sul collo della ragazza, come a voler sottolineare il concetto.
Lei non reagì, ma il suo petto si alzò e si abbassò più velocemente, come se non riuscisse a sopportare l’amore e il dolore che quei baci le davano. Ormai non era più così doloroso come le prime volte, ma non era ancora abituata alle sensazioni contrastanti presenti nei gesti d’amore di Irial, il ragazzo solare e oscuro, capace di creare e distruggere, di essere cura e veleno, di dare disperazione e consolazione nello stesso piccolo gesto. Afferrò il volto del ragazzo con le sue mani, lo portò all’altezza del suo e fece coincidere le sue labbra con quelle di lui, sentendosi completa, come se avesse trovato l’altra parte della sua anima. Chissà, forse era Irial la persona di cui parlava la profezia della vecchia del Mercato Notturno, pensò con un risolino.
Il loro bacio durò a lungo, appassionato come ogni volta, e Lux riuscì a dimenticare per un breve momento Duncan. Quando le loro labbra si staccarono, il volto dell’altro ragazzo tornò nei suoi pensieri, ma non con la stessa insistenza di poco prima. I baci di Irial sembravano calmare i rimorsi della sua vecchia vita, quella che si era lasciata alle spalle per intraprenderne una del tutto nuova e diversa. Il ragazzo coi capelli neri sorrise e si lasciò cadere al fianco destro di Lux. Allungò una mano e carezzò dolcemente la pancia di lei, coperta dal corsetto grigio. “Non ti innamorerai di nessun’altro, se non di me,” mormorò come un incantesimo.
La ragazza rise. “Suona quasi come una minaccia.”
Irial continuò a sorridere senza replicare. Rimase immobile, in silenzio, mentre lei chiudeva gli occhi e, lentamente, sprofondava nel sonno. Prima di addormentarsi del tutto, afferrò con la sua mano destra quella di lui che giaceva ancora sulla sua pancia e la strinse con forza, come se volesse compagnia persino nei suoi sogni. Il ragazzo protese la mano libera verso i capelli di lei e li scarruffò delicatamente per non svegliarla. “Dormi tranquilla, piccola Lux,” mormorò con vero affetto. “Non ci sarà più nessun incubo a tormentarti, d’ora in poi.”

  
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Evazick