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Autore: Maryjed    16/12/2011    1 recensioni
Shannon era appena uscito dall'ennesima casa di una sconosciuta che l'aveva riscaldato e tenuto stretto fra le sue gambe la notte prima, ma era stanco di quella vita. I 30 seconds to Mars non suonavano già da un anno e mezzo,la sua età si faceva sentire poi la vide e rimase immobile,la osservò dalla vetrina di quel negozi: era fantastica avvolta dentro quell'abito bianco finemente decorato e quei capelli lunghissimi che le scivolavano fin sopra la scollatura. Non aveva mai visto una sposa più bella.
Un desiderio si fece spazio tra le sue viscere, un desiderio inconcreto e completamente nuovo per lui.
Questa è la storia di Shannon e Maria. Questa è la storia di due persone che ritrovano nell'altro la pace interiore che tutti cercano.
Genere: Erotico, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Image and video hosting by TinyPic Il mattina risplendeva sereno già da qualche ora, Maria si risvegliò tranquillamente e notando la sua sveglia lesse che erano già le 10, le sarebbe piaciuto rimanere a poltrire un altro po’ ma il piacere la chiamava.
I tre giorni erano già passati e finalmente sarebbe andata a provare le modifiche del suo vestito e allora sarebbe stata una sposa perfetta e bellissima ma la suoneria del telefono la riportò alla dura realtà.
“Pronto?”
“Maria sono la mamma, stavi ancora dormendo?”
“Sì mamma cosa vuoi?” voleva bene alla donna che le aveva dato la vita ma delle volte era così opprimente che non la sopportava completamente, si chiedeva da chi avesse preso: la madre era sempre così agitata e il padre invece così menefreghista, non che se ne fregasse di lei, ma le permetteva  di fare tutto ciò che desiderava, non le aveva mai vietato nulla nella vita eccetto Shannon.
“Oggi verrò con te a vedere questo famoso vestito”.
Un momento cosa? Velocemente fece un calcolo mentale: lei non le aveva mai detto del vestito oltretutto erano più di 3 giorni che non la sentiva e allora come faceva a saperlo?
“Me l’ha detto il tuo futuro marito a quanto pare è più premuroso che la mia figlioletta. Allora dimmi l’indirizzo e tutto” l’anticipò, quasi fosse stato in gradi di leggerle nel pensiero.
“Mamma non ce n’è davvero bisogno” perché doveva sempre fare così?Perchè quell’idiota di Erick non le aveva detto niente e si era intromesso in questa situazione? Iniziò a rigirare tra le mani il cellulare, alla fine però fu costretta a cedere e di malumore si presentò all’appuntamento in boutique.
La giornata calda di sole avrebbe dovuto mettere di buon umore coloro che avevano deciso di uscire quel giorno, tutti eccetto la madre della povera Maria che si presentò con il broncio, sulle testolina della giovane sembrarono crearsi delle nuvolette opprimenti.
L’abito era perfetto.
Uscì dal camerino soddisfatta della visione di se stessa e di quell’abito: il suo giorno perfetto stava per avvicinarsi sempre più, si immaginò già con il mazzo di fiori in mano, scendere dalla limousine, proclamare il suo amore a Dio e agli amici e…
“Questo vestito ti rende grossa”.
“Cosa? Sua figlia è una delle spose più belle che io abbia mai visto signora” le rispose cortesemente la  signora del negozio, ammirava quella splendida creatura dentro quell’abito: era rimasta fissa ad ammirarla, ricordando il momento in cui aveva disegnato quell’abito, sorrise tra i baffi.
“Sì ma lei lo dice perché vuole venderlo invece io sono la madre e non mi piace”, scrutò da cima a fondo l’immagine della figlia in bianco, “Tesoro dovresti iniziare a metterti a dieta quanto meno, le tue braccia sembrano delle salsicce e questo vestito è così… Semplice e dozzinale”.
“Mamma cosa stai dicendo? A me piace” si girò su se stessa, era d’accordo con la signora.
“Io me ne vado, seguimi e andiamo a cercarne un altro”
“Stai scherzando? Questo è il mio matrimonio e io voglio questo vestito!” le rispose cercando di mantenere la calma, cosa più difficile da dirsi che a farsi.
“Bene”uscì sbattendo la porta.
Delle volte quella donna era veramente stronza: Maria guardò tristemente la stilista: “Mi dispiace” aveva gli occhi pieni di lacrime, quel vestito le piaceva molto davvero, continuò a guardarsi allo specchio e ammirarsi con lo sguardo cupo e triste.
Shannon era appena uscito dall'ennesima casa di una sconosciuta che l'aveva riscaldato e tenuto stretto fra le sue gambe la notte prima, ma era stanco di quella vita. I 30 seconds to Mars non suonavano già da un anno e mezzo,la sua età si faceva sentire poi la vide e rimase immobile,la osservò dalla vetrina di quel negozio: era fantastica avvolta dentro quell'abito bianco finemente decorato e quei capelli lunghissimi che le scivolavano fin sopra la scollatura. Non aveva mai visto una sposa più bella.
Un desiderio si fece spazio tra le sue viscere, un desiderio inconcreto e completamente nuovo per lui, desiderò entrare dentro quella boutique e baciarla, abbracciarla a sé e dirle che voleva diventasse la sua sposa.
Si avvicinò alla vetrina del negozio e rimase imbambolato ad ammirarla, d’improvviso tutto il coraggio era sparito ma quanto poteva essere codardo? Assistette a tutta la scena, poi Maria si andò a cambiare e uscì dal negozio.
“Ciao!” la salutò con la mano e la donna si bloccò a guardarlo, facendogli segni di aspettare, continuò la sua chiamata con il futuro marito.
“Come diavolo ti sei permesso a dire a mia madre del mio abito? Non hai scuse sei un’idiota! Sai che pessima figura mi ha fatto fare mia madre oggi? Ah ma io lo prenderò quel vestito”.
“Amore sai benissimo che tua madre ha ottimi gusti per queste cose”.
“Come come…” non ci viste più dalla rabbia, gettò freneticamente il cellulare contro la statua di fronte, sotto gli occhi increduli del batterista: a quanto pare non era l’unico ad avere simili scatti di rabbia, andò a raccoglierle il cellulare.
“Come siamo aggressive…”le sorrise dolcemente con il cuore che gli pulsava a mille dall’emozione di vederla lì di fronte a sé, quasi fosse un miraggio quello e quanto era bella, era fottutamente sexy: aveva una gonna stretta nera fino alle ginocchia e una giacca beige e i suoi capelli ricci le scivolavano comodamente sul collo nudo.
“Ho litigato prima con mia madre poi con Erick e ora ci mancava solo il cellulare distrutto… Che giornataccia” sospirò nervosa.
“Posso fare qualcosa per aiutare a migliorarla?Un gelato? Ti piace ancora il gelato”.
Maria sorrise intenerita, non aveva più 17 anni ma Shannon si comportava come se il tempo non si fosse mai fermato così decise di assecondarlo e si ritrovò a mangiare un gelato con lui.
“Avevo dimenticato quanto fosse buono” rise.
“Non dirmi che non lo mangi da una vita” la fissò intensamente.
“Più o meno… Ma tu cosa ci facevi da queste parti?”.
“Quando sono triste mangio sempre il gelato al cioccolato e me ne sto seduto a fissare il mare” mentì però, d’altro canto non avrebbe certo potuto dirle che si era risvegliato tra le braccia di una ragazzina conosciuta in discoteca tra un bicchierino di vodka e una grappa.
“Hai ragione… A volte fa bene rimanere soli con i propri pensieri” spinse i propri occhi all’orizzonte e, per la prima volta, provò un senso di tranquillità e pace interiore, era bello stare con lui: per certi versi sembrava proprio che il tempo non si fosse mai fermato davvero.
“Sai ho ascoltato L490…” sospirò, sprofondando dentro quegli occhi diventati verdi: era bellissimo, era ancora il suo Dio, si vergognò nel pensare questo ancora una volta ma infondo era ancora così.
“Ah già…” abbassò lo sguardo arrossendo.
“E’ bellissima quella musica… Come sempre”.

Il vento caldo di quella giornata di fine d’aprile li riportò a 10 anni prima, in quella stanza d’albergo n. 490.
“Shannon ma tu non sai suonare la chitarra?”
“Ma che discussioni ti metti a fare dopo aver fatto l’amore?” rise abbracciandola.
“Hai detto amore…” sussurrò al suo orecchio baciandolo candidamente.
“Comunque no perché?”.
“Perché io so suonare il pianoforte e stavo pensando che forse potresti imparare a suonare la chitarra così mi  puoi accompagnare tu che sei dolcissimo”.
“Non sono così dolce quando suono la batteria per questo mi chiamano Shannimal” si alzò dal letto, mostrando alla sua compagna il suo didietro perfetto e tondo.
“Cosa fai?” si distese completamente sulle lenzuola avane.
“Questa chitarra l’ho comprata per mio fratello ma potrei usarla per provare a comporre qualcosa per te, ci stai?” le fece l’occhiolino e invitò la sua Maria a insegnarle qualche accordo, così dopo una settimana la melodia era completa.
Quel giorno gliela suonò e Maria pianse per tutta la durata perché nessuno era mai stato tanto dolce e premuroso da comporre qualcosa per lei:
“Come si chiama?”.
“Cosa?”
“La canzone scemo”.
“E’ tua decidi tu!”.
“L di Leto 490 perché è il numero della stanza! L490! E devi promettere di pubblicarla.”
“Ok”.
Fecero il giurin giurello e si accucciarono nuovamente sul letto.

 
 
Quei ricordi erano freschi come se non ci fossero mai stati dieci anni a dividerli o nuove persone che si erano messe nel mezzo, entrambi provarono nel cuore un sentimento malinconico e rimasero in silenzio ad ammirare il mare calpestare la terra.
“Vorrei non finisse mai” sussurrò Maria rimanendo a fissare quell’acqua così cristallina.
“Cosa?”.
“Questa giornata”. Gli mancava Shannon, gli mancava da quando quel giorno al parco si era voltata, con le lacrime che le rigavano il volto, e l’aveva abbandonato e tutto per colpa di sua madre, “Scusa Shannon…” iniziò a piangere.
“Perché mi chiedi scusa adesso?” le accarezzò la guancia.
“Per averti abbandonato…” si coprì il volto continuando a singhiozzare.
“Beh ti sembrerà strano ma io ho sempre pensato che un giorno ci saremmo rincontrati, c’ho sempre creduto” avrebbe voluto stringerla tra le sue forti braccia e inghiottirla a sé, per proteggerla sempre però non ebbe il coraggio, come sempre, così si limitò ad accarezzarle i capelli nerissimi.
“Vorrei portarti in un posto, ti va?” si decise poi a dirgli, il batterista non poteva dirle di no.
Maria lo condusse nella casa che avrebbe dovuto dividere con Erick tra meno di un mese, non sapeva bene il motivo ma sentiva che fosse la cosa giusta in quel momento:
“Questa è la futura casa dove andrò a vivere una volta sposata”.
“Perché mi hai portato qui?” disse girando tra i mobili e le piante e toccando ogni oggetto fin quando non sentì tra le proprie mani una superficie liscia e scivolosa: un pianoforte bianco nel mezzo del salone.
“Non lo so a dire la verità” si sedette sul divano nero.
“Questo non puoi che averlo deciso tu di metterlo qui” ignorò il commento di Maria e disse riferendosi al pianoforte, “Ti prego suona ancora per me un’ultima volta”.
Il suo sguardo era ancora quello di un tempo, Maria si ritrovò proiettata a dieci anni prima, l’uomo che amava allora era lì, di fronte a lei uguale e dolce come sempre. Era bellissimo.
“No io…E’ molto che non suono. Io sono qui perché…”.
“Maria ti amo!”
Il tempo in quell’istante  parve essersi fermato: i due erano rimasti l’uno di fronte all’altro a guardarsi, scrutarsi e Shannon non aveva aggiungo altro, non aveva pensato di dirgli quelle parole né tantomeno avrebbe potuto mai immaginare di provare ancora quel sentimento per lei ma era così, perché se dopo tutti quegli anni lei gli mancava come il sole a un albero, non poteva essere certo un errore farglielo sapere; lei gli aveva dato tutto ciò che a lui serviva per sentirsi vivo, nemmeno un concerto o un’esibizione in discoteca l’avevano mai reso più vivo di quel momento.
“Mi sei mancata tantissimo” la strinse a sé con le sue grandi e forti braccia, il cuore gli batteva a mille e Maria sapeva perfettamente che non poteva lasciarsi andare a quella stretta ma allora perché la rendeva così fottutamente felice? Perché quella giornata, il litigio con la madre,il cellulare rotto e le urla con Erick erano passate in secondo piano? Cos’era quella sensazione calda che le stava invadendo tutto il corpo? E perché adesso le sue mani si stavano facendo spazio tra la schiena di Shannon e lo stava stringendo a sé?
In quella casa non mancava più niente adesso sembrava essere davvero completa.
“Cosa senti?” si decise poi lui a chiederle sussurrandole all’orecchio sensualmente ma non lasciando la sua stretta sul corpo della donna, quasi avesse paura di perderla se solo l’avesse lasciata, anche se sapeva benissimo che non avrebbe potuto tenerla in quel modo per sempre.
“Niente, perché?”.
“Non senti il mio cuore battere forte adesso che è ancorato al tuo? Perché io sento il tuo e sai batte assieme al mio: sono ancora sincronizzati. Tu mi ami ancora non è vero?” la fissò in volto, perforandole quegli occhi castani forti e selvaggi.
“Io…Non suono da dieci anni, non suono da quel giorno” distolse lo sguardo e, lasciandosi condurre dalla mano del batterista si sedette sullo sgabello del pianoforte.
“Suona per me, ti prego. Un’ultima volta” le si inginocchiò accarezzandole la guancia teneramente come soleva fare tanto tempo fa.
Erick vide la luce accesa e la macchina della propria fidanzata parcheggiata nella loro futura villa, decise allora di scendere e chiederle scusa per essersi intromesso nel suo rapporto con la madre, si sentiva un verme ma aveva deciso che quelle sarebbe stata l’ultima volta.
Maria chiuse gli occhi, fermò il proprio respiro e mettendo sul pianoforte le dita cominciò a suonare una melodia che aveva nel cuore da tantissimo tempo:Gymnopedies III lente t gravem, in quel momento vedeva solamente alberi danzare a seconda della direzione del vento: non capiva bene perché le era venuta in mente quell’immagine ma avere gli occhi diventati grigi di Shannon puntati completamente su di lei la rendeva un po’ nervosa e felice allo stesso tempo; le sue mani scivolavano comodamente sulla tastiera bianca e nera di quello strumento regalatogli dalla nonna per il matrimonio e finalmente si sentiva completa, aveva le due cose più importanti della sua vita che aveva perso tanto tempo fa e che le mancavano terribilmente, nonostante non avesse mai avuto il coraggio d’ammetterlo.
Quando terminò si fermò rimanendo immobile, cercò di non guardare Shannon ma l’uomo la stupì baciandola e in quel momento Erick entrò in casa.
 
   
 
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