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Autore: fragolottina    17/12/2011    2 recensioni
'Anche io ho baciato solo una persona ed avrei voluto continuare a farlo…'
Era stata la prima volta che lo aveva sentito parlare ed anche la prima volta che il sapore delle lacrime gli aveva ricordato qualcos’altro.
Genere: Generale, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Axel, Roxas, Sora, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Kingdom Hearts II
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sora vi giuro che ci ho provato...dico adesso scrivo un capitoletto allegrotto di passaggio, un po' di vita tranquilla a Radiant Garden, prima di andare dritti, dritti verso l'apocalisse...
niente da fare...
cioè sono partita bene e per essere di passaggio il capitolo è di passaggio, ma in quanto all'allegrotto...beh, giudicate un po' voi!

Capitolo 12

Sora si intrufolò nella casa di Aeris e Tifa di nascosto. Chiuse piano la porta per non svegliare nessuno e ci si lasciò scivolare con la schiena. Kairi era a pochi passi da lui, addormentata placida tra quelle stesse coperte dove avrebbe dovuto dormire fin dall'inizio, rannicchiata come una bambina. Il suo respiro rilassato e regolare gli scivolava addosso come una carezza e la voglia di lei era più intensa del buonsenso, così piano, piano le strisciò accanto e si sdraiò alle sue spalle senza sfiorarla, le bastava sapere che fosse tanto vicina da percepire il suo calore.
    Chiuse gli occhi cercando di sistemare il gesso in modo che non gli desse fastidio durante la notte.
    Kairi si girò e si intrufolò tra le sue braccia, accoccolandosi al suo petto. Il braccio ingessato, intorno alla sua schiena, era nella posizione giusta per non fargli male e non dargli fastidio.
    «Grazie.» mormorò contro i suoi capelli.
    «Non c’è di che.»

Riku non si stupì di trovare anche Axel fuori, incapace di dormire. Era seduto su una panchina, la testa all’indietro ed il viso rivolto alle stelle, lontano, perso in chissà quale galassia, in chissà quale mondo.
    Gli si sedette accanto. «Hai già un luogo in mente?» gli domandò.
    «Twilight Town, quella fasulla.» sospirò. «Per un po’ non mi dispiacerebbe la prevedibilità di un mondo preconfezionato. Mi dareste un Roxas tanto simile all’originale da farmi relativamente contento, una vita che non si sia bruscamente spezzata ad un certo punto per riaggiustarsi dieci anni dopo, non incontrerei mai Sora.»
    Per un attimo Riku pensò a come sarebbe stato: una Kairi tutta sua, innamorata di lui; un sacco di amici che non aveva cercato di uccidere; nessuna missione, nessun mondo, nessun tentativo di scappare. Nessuna volontà. Non sapeva se sentirsi un ingrato a voler perdere quella che dettava i limiti della sua libertà, ma se la tua volontà ti aveva tradito, spingendoti a ferire persone a cui volevi bene e che ne volevano a te, forse il suo era un desiderio lecito.
    «Ci pensi? L’Organizzazione ha cercato in miliardi di modi di ucciderlo ed io, che sono l’unico che ci sta riuscendo, non lo vorrei più.»
    Riku rise. «Tipico di Sora, dare il meglio di sé mentre stai per farlo fuori.»
    «Se non si sveglia mi odierai anche tu, non fingere di essere mio amico.» aveva commento cupo, senza raccogliere la sua ironia, più Nobody che uomo.
    «Se non si sveglia, odiarti non servirà a niente.» quanto ci aveva messo a capirlo? Sicuramente troppo, ma l’odio non era mai la chiave. «Se non si sveglia dovrò consolare Kairi, non avrò tempo di prendermela con te.»
    «E se non si sveglia Roxas?»

Tifa era uscita presto quella mattina, aveva visto Sora e Kairi accoccolati insieme in salotto, come due micini che dormono uno sull’altro per stare caldi; quell’immagine le aveva scaldato il cuore, ma glielo aveva anche fatto sprofondare nel dolore.
    Così era scappata di lì prima qualcuno scoprisse le lacrime che gli rotolavano sulle guancie, rifugiandosi nel punto più lontano del giardino esterno. Aveva invidiato Aeris che riusciva a mimetizzarsi completamente tra i fiori, lei con quei capelli neri non ci sarebbe mai riuscita. Non esistevano fiori neri a Radiant Garden e forse non esistevano da nessuna parte. Qualsiasi cosa succedesse sembrava scritto nel suo destino l’invidia per Aeris, nonostante fosse la sua migliore amica.
    «Tifa, che hai?»
    Aveva deglutito due volte prima di voltarsi verso quella voce, la voce di Cloud. «N-niente.» aveva risposto precipitosa togliendosi le lacrime dalle guancie. «Tutte queste preoccupazioni per Sora e Roxas, credo di avere un crollo nervoso.»
    «Voglio andare a fare un giro in moto, fuori città. Vieni con me?»
    «Non lo chiedi ad Aeris?»
    Cloud aveva riso. «Eddai, Tifa, Aeris ti sembra davvero tipo da moto?»

«Credi che ce la faranno, Ienzo?» chiese Even sbirciando dalle alte finestre di quella che era stata la Fortezza Oscura. «Certo, sarebbe un’opportunità fantastica, il cuore del prescelto dal keyblade indifeso per il tempo necessario a…» si bloccò e si accasciò a terra.
    Ienzo rimase a guardarlo per alcuni secondi, con il proprio libro aperto ancora tra le mani. Lo chiuse e lo nascose di nuovo. Certe persone non sarebbero mai cambiate, nemmeno dopo aver rischiato di rimanere per sempre esseri immondi e senza cuore, per questo lui era restato in quel luogo pieno di ricordi nefasti, per essere sicuro che nessuno cercasse più di fare esperimenti con l’oscurità: ora che la porta era stata finalmente chiusa, nessuno avrebbe più dovuto aprirla.
    Avrebbe dovuto dire alla ragazza di stare attenta, di chiamare tutte l’aiuto possibile per impedire che qualcuno approfittasse di un’occasione tanto unica.
    «Oh, cielo, cosa è successo?» Ienzo guardò Even, che si stava risvegliando. «Puoi aiutarmi, per favore?» si avvicinò e gli afferrò gentilmente il braccio per farlo alzare. All’Organizzazione aveva imparato a tenersi vicini gli amici e più vicini ancora i nemici.

Kairi aprì gli occhi in quelli di Sora e sorrise. «Ciao.» non riusciva a ricordare l’ultima volta che si erano svegliati insieme nel suo letto alle Isole. Sapeva che non poteva essere passato poi così tanto tempo, eppure le sembrava che fosse un secolo.
    «Ciao.» le rispose lui nello stesso sussurro.
    Per alcuni secondi rimase in ascolto, aspettandosi di sentire qualche rumore provenire dal piano superiore, ma sembrava deserto. Si sentiva la bocca secca, così si alzò e si avvicinò al lavandino per prendere un bicchiere d’acqua, facendo forza sulle braccia per sedersi sul piano della cucina, così da poter guardare Sora. Lui aveva continuato a farlo per tutto il tempo.
    «Credi che ci sia qualcuno in casa?» gli domandò.
    Il silenzio era pesante ed elettrico, come l’aria prima dello scatenarsi di una tempesta.
    Sora si alzò, appoggiandosi al braccio sinistro e le si avvicinò, con i capelli tutti schiacciati da una parte ed il segno del cuscino sul viso. Si fermò soltanto quando le sue gambe batterono contro le ginocchia di Kairi, lasciate nude dalla sua camicia da notte a pallini troppo corta.
    «Credo che non mi importi, e a te?»
    Kairi appoggiò le mani sul suo petto, il suo cuore, bellissimo, prezioso, bussava con delicatezza e regolarità contro il suo palmo aperto. Scosse la testa e sollevò il viso per guardarlo negli occhi. «No, credo di no.»
    Quando dischiuse le ginocchia appoggiandole ai suoi fianchi, Sora le stava già sfilando la camicia dalla testa.

Re Topolino era davanti a quella finestra dall’alba, gli occhi immobili al di là del vetro. Minnie rimase ad osservarlo per alcuni secondi, poi gli si avvicinò appoggiandogli con delicatezza una mano sulla spalla.
    «Sono sicura che capisca.»
    «L’ho colpito.» mormorò, scuotendo amaramente la testa. «Non sono poi un così bravo amico.»
    La regina sorrise. «Pippo e Paperino litigano di continuo, questo non significa che non si vogliano bene.»
    «Sono preoccupato, per il nostro mondo, per l’universo, per lui.»
    «Perché sei un buon re.» lo voltò verso di lei. «Lui avrebbe fatto lo stesso al tuo posto.»
    Tra le mani di Topolino c’era una boccetta piena di liquido verde, Minnie sorrise. «Ottima idea.»

Lea tornò a casa il pomeriggio, si era degnato di andare ad aiutare Cid, almeno un pochino, per ingannare il tempo; salvo scoprire che la notte insonne passata non l’aiutava di certo a concentrarsi e che Isa non avrebbe rischiato di farsi scaricare in testa una valanga di macerie solo per lasciarlo distrarsi.
    Avrebbe fatto una doccia si sarebbe messo a letto ed avrebbe dormito. Basta pensieri nefasti a tenergli compagnia tra le coperte.
    Guardò curioso Sora, chino dentro il suo frigorifero, in forma come di certo non era stato la notte prima: una mano era appoggiata allo sportello giallo, mentre nell’altra c’era l’elsa di Oblivion.
    «Ti prego, dimmi che non hai usato il keyblade per scassinarmi il frigorifero.» trovava quell’idea stranamente blasfema.
    Il ragazzo si voltò di scatto, arrossì come un peperone e nascose la chiave dietro la schiena, mossa ridicola, visto che in ogni caso, almeno dieci centimetri spuntavano sopra la sua testa.
    Lea lo studiò perplesso aggrottando le sopracciglia. «Fingendo che quello che stavi facendo fosse minimamente normale, il braccio?»
    Lui si schiarì la voce guardandolo. «Una pozione di Topolino, si scusa e lo…» si interruppe. «ehm…mi prega di non farlo.»
    «Mica male. Vale sempre la pena prendersela con voi.» disse congedando quella discussione e dirigendosi verso la camera. Voleva ancora fare la sua doccia e mettersi a letto, Sora o non Sora. Che poi nel suo frigorifero continuava a non esserci niente: la limonata di Aeris era finita – aveva promesso di portargliene dell’altra, ma ancora non si era vista – c’era un mezza bottiglia di birra lasciata da Tifa e qualche ghiacciolo per i momenti nostalgici. «A proposito, il tuo keyblade è tornato a quanto vedo.» urlò dalla camera fermandosi al centro di essa, sentiva la fastidiosa sensazione che gli fosse sfuggito qualcosa, qualcosa di tanto palese da riuscire, per assurdo, a passare inosservato. «Sora?»
    Sentì un sospiro, un sospiro decisamente pesante se riusciva a sentirlo da un’altra stanza. «Axel.» nel suo nome c’era un cadenza strana: era un rimprovero, una supplica, un’offesa. E sotto c’era qualcosa di più familiare ancora, qualcosa che, se ne accorse solo in quel momento, gli impediva di essere Lea, almeno finché lui avesse continuato a chiamarlo Axel.
    Ritornò in cucina lentamente e lo guardò, come si era abituato a guardarlo nell’Organizzazione, alla ricerca di punti deboli. Non ne aveva. O sarebbe stato meglio dire che ne aveva, ma lui li avrebbe ignorati.
    «Mi aspetti?» gli domandò soltanto.
    Lui guardò la mano che stringeva Oblivion. «Kairi ci ha concesso un’ora e mezza. Sbrigati.»

Ienzo la trovò chiusa in una camera al secondo piano, china sui fogli che era riuscita a prendere dal castello del re, concentrata. Era stato abbastanza silenzioso e furtivo da non farsi sentire ed a quel punto realizzò di non sapere come annunciarsi, o cosa dire.
    «Even potrebbe approfittarne.»
    La vide sobbalzare al suono di una voce che non conosceva, lo osservò, gli occhi spalancati e blu. Naminè era stata una copia imperfetta, un ritratto sbiadito di quello che era veramente la principessa. Come tutti i Nobody d'altronde.
    «Ienzo?» domandò incerta, scrutandolo. «Come sei entrato?»
    «A Radiant Garden c’è la sconsigliabile abitudine di non chiudere le porte a chiave.»
    «Oh.» mormorò.
    «Even potrebbe approfittarne.» ripeté. Non era interessato a fare conversazione, voleva metterla in guardia per il bene di tutti, poi tornare a vegliare sulla Fortezza Oscura nel silenzio più totale.
    «Perché?» domandò.
    «Potere.» scosse la testa. «Alcune persone non cambieranno mai, alcune persone erano più colpevoli di altre, alcune persone meritavano quella condanna senza cuore.»
    «Puoi aiutarmi?»
    Quella domanda riuscì a sorprenderlo.
    «Non è stata Naminè a creare Xion, non…» abbassò gli occhi sul trattato combattuta. «ci sono punti che non mi sono chiari.» confessò. «Se mi hai avvertito, sarai anche disposto ad aiutarmi.»
    Ienzo si avvicinò e le si sedette accanto, su una sedia libera. «Nessuno dovrà mai saperlo.»
    Annuì tirandosi indietro, per lasciargli leggere gli appunti di Vexen. «Perché non parli mai?» domandò, evidentemente incapace di trattenere la curiosità. Il ragazzo si chiese quante altre cose avrebbe voluto domandargli.
    «Perché le persone sono disposte a rivelarti tutti i loro segreti se sono sicuri che tu non possa riferirli a qualcuno.» per alcuni secondi rimase in silenzio, poi la guardò. «Ti aiuterò, ma tu fai in modo di tenere l’esperimento al sicuro.»

Kairi sembrava stanca, stanca ma determinata. Aveva i capelli legati in modo disordinato e le dita sporche di inchiostro, si guardò intorno cospiratrice, poi afferrò il braccio di Riku trascinandolo con sé. Camminarono fino al giardino esterno, ma non si fermarono nemmeno lì; scesero per una porta segreta, giù fino ad una stanza nascosta e circondata d’acqua.
    «Ienzo dice che dovremmo procurarci delle guardie per proteggere il procedimento.» sussurrò.
    «Ienzo dice?!» domandò lui incredulo.
    Lei scosse la testa scrollandogli il braccio che non aveva lasciato. «Riku!» lo rimproverò.
    «Tranquilla, ci penso io, d’accordo?»
    «Basterà?»
    «Sicuramente anche Cloud e Leon saranno disposti a darci una mano.»
    «Ho paura. E se gli rubano il cuore, mentre io sono lì a giocarci?» si coprì il viso con le mani. «Sono esattamente come loro.» mormorò affranta.
    «Kairi, calmati.» questa volta fu lui a posarle le mani sulle spalle e strofinarle piano le braccia nude. «Andrà tutto bene e prima di quanto immagini saremo alle Isole a prendere il sole.» Riku si guardò intorno. «Sora dov’è?»
    «È Roxas per un’ora e mezza.»

«Come ci riesci?» domandò Axel facendo un cenno con il capo in direzione di Oblivion.
    Roxas nel corpo di Sora, completamente padrone del corpo di Sora, sospirò. «Purtroppo adesso è molto più semplice di quanto dovrebbe, il keyblade mi aiuta ad avere stabilità.»
    Nessuno dei due aggiunse la palese conclusione: non c’era nessun keyblade a tenere stabile Sora.
    «Sono un po’ offeso che tu non mi abbia riconosciuto.» cambiò argomento, addentando il ghiacciolo e sperando che lui raccogliesse la sua supplica a non parlarne più. La vista che si godeva dalla torre più alta della Fortezza Oscura non era come il tramonto di Twilight Town, ma dovevano accontentasi.
    «Beh, non sono più abituato ad averti intorno.»
    «Io ti avrei riconosciuto.»
    «Oh, ti prego!» lo rimproverò. «Sappiamo tutti e due che non è così. E comunque non sei proprio tu.»
    «Siamo molto simili.» disse infelice, come soltanto Roxas sarebbe potuto essere.
    Axel scosse la testa, potevano sembrare gemelli, riflessi speculari di una stessa persona, ma… «Non sei tu.»
    Roxas lo guardò, poi sorrise distogliendo lo sguardo dalla sua figura. Axel continuava essere dinoccolato, altissimo, feroce nel suo sguardo perennemente affamato; bello, in ogni suo lineamento troppo spigoloso. Perfetto.
    «Quand’è che la strega farà l’esperimento?»
    «Domani.»
    «Ti senti pronto?»

Aeris era affacciata dal davanzale della sua camera intenta ad annaffiare i tulipani. Osservò Cloud parcheggiare la sua moto sotto casa loro e far scendere Tifa, raggiante come la vedeva troppo di rado.
    Si fece piccina sbirciandoli mentre parlottavano di cose inutili e li trovò così carini.
    Sapeva di piacere a Cloud e, certo, lui era bellissimo, ma…non era suo. Era di Tifa, era la prima cosa di cui si era accorta arrivata a Radiant Garden. Si sentiva anche un po’ in colpa per aver portato tanto scompiglio nella loro ‘quasi coppia’, ma era sicura che lei fosse soltanto una sbandata temporanea da parte di lui, il vero amore resiste a tutto, anche alle fioraie belle e dolci.

Kairi, Sora e Riku erano seduti su una panchina e guardavano tre bambini giocare, come avevano fatto loro per anni. Erano in silenzio da un po’, la mano di Kairi in quella di Sora, quella di Sora in quella di Riku, un modo come un altro per tenerlo a terra.
    Ci aveva messo molto più di un’ora e mezza a tornare, anche se Roxas era stato puntualissimo e si era impegnato a rifarsi piccolo e sparire. Kairi non avrebbe mai dimenticato il suo sguardo, dagli occhi di Sora, fissarla colpevole e dispiaciuto, mentre gli confessava di non riuscire a trovarlo. ‘Non ha mai parlato, credevo che volesse semplicemente lasciarmi solo con Axel’.
    Alla fine era ricomparso, in un attimo, senza senso, ‘puf!’: Sora era tornato. Riku gli aveva dato un pugno sul braccio ormai di nuovo intero, mentre Kairi si era seduta, con le mani tremanti, pallida come un foglio di carta.
    Ci aveva provato a tranquillizzarla con il suo sorriso migliore. ’Lui è un keyblade master, io no. È normale che il suo cuore sia più forte del mio in questo momento’.
    Il problema era che di cuore nel petto, Sora ne aveva soltanto uno. Anche ammesso che fosse possibile sezionarlo in due parti, una di Sora ed una di Roxas, se a quel punto la parte di Roxas fosse stata troppo grande e troppo forte, che sarebbe rimasto di Sora una volta divisi?
    «Non sono ancora morto.» sussurrò ad un certo punto, proprio lui.
    «Sei ancora in tempo per ripensarci o rimandare.» commentò neutro Riku. «Roxas capirebbe.»
    Roxas non disse niente, avergli defraudato il corpo, lo spavento di averlo potuto far sparire, la colpa nel terrore cieco di Kairi, lo avevano reso titubante. Lui che fino a pochi minuti prima aveva avuto davanti agli occhi la sua posta in gioco.
    «Se non lo faccio ora non ne troverò mai più il coraggio.»
    «Troverai Naminè dall’altra parte, devi mostrarle quale ricordo vuoi che ti porti via. Deve essere qualcosa di grande o il suo corpo sarà instabile come quello di Xion.» spiegò Kairi con una praticità che poteva essere dettata soltanto dalla disperazione e lo shock.
    «Posso scegliere?» chiese contento e sorpreso Sora. «Quale onore…»
    «Non c’è da scherzare.» sbottò Riku secco.
    Sora lo guardò con rimprovero. «Che faccio allora? Sto qui a piangere sul mio spirito diviso?»
    Il ragazzo sospirò. «Vorrei che almeno il re non avesse distrutto Oathkeeper.»
    «Non l’ha fatto.» commentò Kairi. «Si è sbriciolata per colpa di Sora, nemmeno Topolino è tanto forte da rompere un keyblade.»
    Lui si alzò dirigendosi verso i bambini e lasciandoli lì, stanco di quelle discussioni che non servivano a niente; puntavano a farlo desistere, ma non ci sarebbero riuscite. Si sedette sul prato e chiese loro di prestargli alcuni dei pezzi di legno con cui stavano cercando di costruire delle spade.
    I suoi due amici continuarono ad osservarlo con apprensione. «Se sparisce mentre io sto pasticciando con la sua mente, sarà come se lo uccidessi.» sussurrò Kairi senza staccargli gli occhi di dosso, come se da un momento all’altro avrebbe potuto vederlo vaporizzarsi.
    Riku la guardò sospirando, ma non trovò niente da dire.
    Sora studiò il keyblade di legno che aveva costruito con un misto di nostalgia e rammarico.
    Aspettiamo. – propose Roxas. – Recuperi le forze, ti riprendi il tuo spazio…
    ‘E se fosse sempre stato il tuo?’

signori e signore, questo è il mio capitolo allegrotto.
si vede, eh?
mamma mia, che tristezza...
beh, come sempre aspetto i vostri giudizi...
baci

ps. cioè io non ho il coraggio di scrivere il prossimo...per carità!




   
   





   
 
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