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Autore: Brenda_    17/12/2011    7 recensioni
[partecipa al contest "sweet christmas"]
 
"...Guarda i ragazzi che, anche da morti si tengono per mano.
Ghigna malefico, sotto il cappuccio vermiglio.
Intinge le dita nella ferita della donna e scrive sul muro –“non siete stati buoni”-
Le sue risa si disperdono nell’aria, se ne va in un soffio, esattamente come era arrivato..."
ok. un thriller che poi non è un thriller, spero vi piaccia ^^
 
Genere: Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Axel/Shuuya, Mark/Mamoru, Nathan/Ichirouta, Xavier/Hiroto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 I WISH YOU A BLACK, BLOODY CHRISTMAS
 

-are you sure, guy?
 

 

Hiroto odiava le feste.
E più di tutte, se avesse potuto, avrebbe abolito il Natale.
Non lo sopportava.
Ogni cosa gli dava sui nervi, dai canti che lieti salivano nella gelida coltre grigia del  cielo, ai regali scambiati sotto l’albero, dal fuggi fuggi generale dai lavori per rinchiudersi nelle calde e accoglienti case zeppe di decorazioni e festeggiare con la famiglia al tempo schifoso, ma che veniva percepito come il migliore dell’anno, anche se non sapeva far altro che vomitare cumuli e cumuli di neve ghiacciata e incolore.
“tutti a Natale sono più buoni”
- Tutti a Natale sono più buoni un bel paio di carciofi… -  bofonchiò scuro in volto mentre si avviava verso il centro di Inazuma-cho, per comprare qualcosa da mettere sotto i denti, anche se era la vigilia e tutti erano prossimi ad abbandonare le noiose postazioni di tutti i giorni per due settimane consecutive.
I fiocchi lucenti e candidi scendevano fitti dal cielo, bagnandogli la cuffia che gli schiacciava la chioma accesa sul collo pallido.
Affondò sempre più il mento nella spessa e ruvida sciarpa che si era attorcigliato in malo modo sopra il giaccone arancio fosforescente.
-è Natale.. è Natale si può fare di più… -
 Si aprì a forza un varco nell’ennesimo coretto che gli impediva di passeggiare perso nei suoi rimorsi e annegando completamente nel passato.
-sto cazzo, altro che buon Natale.- commentò aspro il giovane rivolto alla donna che sorridendo gli offriva un opuscolo che illustrava gli avvenimenti di quel pomeriggio in paese.


Guarda i ragazzi che, anche da morti si tengono per mano.
Ghigna malefico, sotto il cappuccio vermiglio.
Intinge le dita nella ferita della donna e scrive sul muro –“non siete stati buoni”-
Le sue risa si disperdono nell’aria, se ne va in un soffio, esattamente come era arrivato.
 

Si scrollò violentemente la testa. Non poteva credere a simili leggende, se nella sua vita si fosse abbandonato a tutte le superstizioni che gli avevano raccontato, sarebbe di certo impazzito, e quella storia era così macabra e irreale da fargli percorrere tanti brividi sulla schiena.
-Fratellone!! Guarda, l’orsacchiotto… posso chiederlo a babbo Natale?-
-no, Yuuka, non puoi.. la letterina l’hai già spedita per ben tre volte! e poi.. di orsacchiotti ne hai già tre.. ehi Hiroto! cosa ci fai dietro quella panchina?-
Cavolo, ci mancava solo lui, l’istrice con i capelli di panna montata e due stecche di cioccolato al posto delle iridi. Obbligò la sua bocca a tirarsi in un sorriso che sperò non risultasse finto e si avviò verso il compagno di squadra
-ciao, Shuuya.. buon Na.. na… na…-
Per quanto si sforzasse non riusciva a pronunciare quella parola.
Natale.


Un piccolo bimbo, sui tre anni si fionda giù per le scale
-papà!! Papaà!! È Natale!!! –
I capelli tutti scompigliati e i piedini scalzi, si sfrega con la mano piena di fossette gli occhioni color acquamarina.
-si, Hiroto, ma devo lavorare… ci vediamo stasera-
La porta che sbatte gli rimarrà per sempre impressa nella mente.
Lui, anche se era piccolo, sapeva perfettamente il motivo per il quale suo padre non trascorreva mai le vacanze natalizie con lui: la paura per la “leggenda” era troppa.


Un braccio si agitò davanti al suo naso.
-ehi, ci sei?-
Ritornò al presente, e sorridendo ancora, per non scoppiare in lacrime, salutò cortesemente i due ragazzi e se ne andò per i vicoli stretti della cittadina.
Si continuava a guardare intorno, ma nulla riusciva a colpirlo, perché c’era troppo.
I festoni che recitavano filastrocche allegre sulla bontà, le luci sui muri delle case, i vari santa claus che venivano appesi alle finestre, le vetrine illuminate una più dell’altra per attirare l’attenzione dei passanti che camminavano spediti zampettando come galline nella neve, infagottati in pellicce e cuffie,
-Hiroto! aspettaci!- la voce irriconoscibilmente allegra di Endou si insinuò nella sua mente, e cercò di fingere di non averlo sentito, iniziando a camminare più velocemente della norma.
Ma una mano forte si posò sulla sua spalla
-ma.. ma quanto vai veloc..ce?- ansimando, i due ragazzi lo salutarono.
-comunque.. volevam… ahah!! Aspettate!-
Il giovane dalla chioma turchina si battè una mano sulla fronte liscia, sospirando rassegnato che l’instancabile portiere ogni volta che adocchiava un coretto, si arrestava, qualsiasi cosa stesse facendo, per andare ad ascoltare almeno una canzone, e che erano per strada dalle nove di mattina, senza aver concluso niente.
-eddài.. non sono poi così male!- urlò l’altro correndo verso di loro – in conclusione… volevamo chiederti se t’andava di passare un po’ di tempo con la squadra, così, per festeggiare insieme la nascita del Gesù bambino..-
-no- rispose fermamente- scusate, ma non posso perché devo imbastire un cenone con l amia famiglia..-
Quella giustificazione era stata testata ormai tante volte che il giovane aveva imparato a renderla sempre più credibile.
Riusciva a ingannare chiunque, peccato che una famiglia lui non l’avesse mai avuta.


“nucleo fondamentale della società umana, costituito da genitori e figli”
-papà.. noi siamo una famiglia, vero?-
-certo Hiro_chan, ma ora prova questo ciondolo, da bravo..-
Con tutti quegli esperimenti sul suo corpo, il bambino prolisso e curioso si era trasformato in un ragazzo apatico, tendente all’asociale, e che voleva avere il controllo su tutto e tutti.



Anche se ormai si era risvegliato dell’incubo della meteorite dell’Aliea, tutti gli anni passati a lottare contro il vero Hiroto avevano fatto in modo di uccidere quel bambino, che si era portato tutto ciò che più aveva amato nella tomba.
Si sentiva svuotato dentro, senza più passioni o voglia di ridere o scherzare, come una conchiglia: robustissima all’apparenza, ma fragile dentro: al suo interno non possedeva niente.
Endou continuò a blaterare, ma non gli prestò più attenzione.
Sembrava una radio accesa, non la smetteva più di gracchiare, fino a quando Kazemaru, come sempre ipersensibile agli stati d’animo altrui, non lo trascinò via.
-se cambi idea per stasera.. sai dove trovarci!-
Scuotendo la testa si ritrovò a salutarli a braccia spalancate, ridendo come un matto: era incredibile l’allegria che il capitano sapeva trasmettere.
Arrivò sulla soglia di casa senza aver acquistato qualcosa da mangiare, ma si rincuorò pensando che in dispensa avrebbe sicuramente trovato provviste.
Lo stagno tetro ribolliva di vita, anche a dicembre inoltrato, e  gli alberi gli gettavano addosso una cupa sensazione.
I rami che si slanciavano nudi e ossuti verso la coltre grigia e che iniziavano a ricoprirsi di neve, proiettavano sulla dura e gelida terra ancora ricoperta di foglie secche e scricchiolanti delle ombre paurose.
Gli parve di udire dei passi dietro di lui, e una scarica di adrenalina pura gli percorse ogni nervo del corpo scattante e correndo come un pazzo si rinchiuse in casa.
-qui c’è qualcuno…- sussurrò nel buio, mentre chiudeva ermeticamente la porta.
Villa Kiyama era una costruzione europea risalente all’ottocento, piena di passaggi segreti e porte cigolanti, che facevano accapponare la pelle del padrone di casa ogni volta che dimenticava una finestra aperta.
Poiché Hiroto era solito non accendere mai il riscaldamento prima di gennaio, nell’enorme casa era impossibile non girare infagottati in spessi giubbini o piumoni.
Le scale di granito nero si arrampicavano per tre piani, alle numerose camere da letto, mentre al piano terra si trovavano una suntuosa sala da ballo e le cucine, collegate al salotto.
-casa dolce casa…- sbuffò il ragazzo, avviandosi mollemente verso il grande camino, dove accese uno scoppiettante fuocherello, che gli illuminò il viso stanco e gli occhi chiari contornati da occhiaie violacee: erano tre giorni che non dormiva, perseguitato dal timore che la leggenda della villa si avverasse proprio sul suo ultimo proprietario.
Le quattro finestre alte fino al soffitto e drappeggiate da stoffa color sangue davano sul giardino interno, pieno di erbacce e rovi poiché Hiroto era totalmente privo del pollice verde.
Attraverso le vetrate filtrava la pallida e timida luce lunare, era ormai sera, e lo stomaco del ragazzo iniziò a gorgogliare violentemente.
Si indirizzò di malavoglia verso la porta candida che conduceva nelle viscere della sua dimora: lì era collocata la dispensa.
Mentre passava davanti alle finestre gli parve di intravedere nel boschetto una figura incappucciata, vestita di rosso ma decisamente troppo gobba e denutrita per assomigliare all’obeso che ogni anno portava regali ai bambini.
Si stropicciò gli occhi e cercò di osservare più attentamente, non riuscendo a schiodarsi dalla mattonella su cui era appoggiato, completamente immobilizzato dal panico.
Una morsa di acciaio gli strinse lo stomaco.
-suvvia,,. Sono solamente proiezioni della tua mente.. – continuava a ripetersi.
Si obbligò a spalancare di nuovo le palpebre, ma non vide nulla, nemmeno delle impronte nella soffice neve, che potessero attestare che qualcuno fosse passato di lì.
-ti fai troppe fisime, forse dovresti invitare qualcuno a vivere con te.. questa casa è troppo grande-
Lì aveva abitato tutta la sua stirpe, compreso suo padre, che in tempi successivi alla sua giovinezza si era trasferito altrove.
Hiroto aveva ereditato la grande villa e vi si era traferito da ormai un anno, ma era sempre stato influenzato dalla triste e alquanto macabra leggenda che accompagnava l’edificio fin dalla sua costruzione.
si narrava di un giovane amore, tra un suo avo e una ragazza del luogo, che proprio la vigilia di Natale, per cause sconosciute furono ritrovati strangolati sotto l’albero.
Sul muro candido una scritta di sangue, con il liquido che ancora colava dalle quattro parole.

Non siete stati buoni.

continuava a ripetersi che lui non aveva nulla da temere, non avendo una ragazza,
anche in quel momento di tensione, il suo stomaco gorgogliò.
Si decise ad aprire la porta bianca e a cercare di accendere la luce che dava sulle scale ripide che conducevano nelle buie e umide cantine della villa.
-dannazione… dannazione!- non riusciva a raggiungere l’interruttore, e non aveva la minima intenzione di avventurarsi nei spaventosi cunicoli senza la rincuorante luce della lampadina.
Le sue imprecazioni furono interrotte dal sinistro cigolio di una porta, seguito da passi strascicati e pesanti.
Il suono di qualcosa di metallico accompagnava ritmicamente lo scricchiolio delle tavole del parquet.
E si avvicinava sempre più, sempre più… era vicinissimo.
Hiroto schiacciò la propria schiena sul freddo muro del salotto, nella vana speranza che si sfondasse e gli permettesse di fuggire dalla maledetta villa.
Il fuoco ancora vivo illuminò la figura rachitica che gli si stagliò davanti.
Non riuscendo a guardare la morte in faccia spostò lo sguardo sull’ombra proiettata sul muro, e notò che brandiva un’accetta, che si avvicinava sempre più al ragazzo
-buon Natale Hiroto, spero tu sia stato buono….- sussurrò una voce vecchia e roca.
Il ragazzo sentiva un inferno nella gola, che gli impediva di urlare sembrava di avere il deserto del Sahara in bocca tanto era secca, e le gambe erano diventate di cemento.
Le pupille dilatate dalla paura, non riusciva a credere che stesse per morire, tanto quell’immagine era irreale.
Spostò lo sguardo sulla figura, e spalancò la bocca, diventando d’un colpo rosso.
Di rabbia.
Occhi di cioccolato e guance rosee, non esattamente quello che si sarebbe aspettato di vedere sotto quel cappuccio.
-tu, tu e.. TU!- urlò indicando due ragazzi appostati dietro la finestra, e quello con una enorme fascia arancio che gli copriva la fronte entrò di colpo nel suo campo visivo.
-avresti dovuto vedere la tua .. fa..ccia..- iniziò a ridere di gusto, mentre una capigliatura dall’intenso colore crema spuntava dal mantello rosso e logoro, abbandonando sul pavimento l’accetta di plastica, terribilmente realistica, anche Shuuya si teneva la pancia dalle troppa risa.
Kazemaru sorrideva sulla soglia del salotto, scuotendo dolcemente la testa e gustandosi le scene avvenute poco tempo prima.
-fratellone! Quando si mangia??- due trecce nere come la notte spuntarono da sotto il mantello, e la bimba piantò i suoi occhioni nel viso di Hiroto, facendogli dimenticare ogni cosa.
Gli stomaci di tutti gorgogliarono fortissimo, stuzzicati chi dalla paura, chi dalla tensione di essere scoperti prima del tempo.
-cena di famiglia, eh?- la frase sarcastica del portiere riportò Hiroto alla realtà
Il sangue affluì di colpo sulle sue gote –io… ecco.. vedete,- mi si ricredette subito – ma cosa vi spiego? Uscite subito da casa mia!-
La piccola Yuuka lo spiazzò con la sua ingenua astuzia –ah si? E come facciamo a sapere che non verrai sgozzato da un babbo Natale assassino, Hiro-senpai? E poi io ho fame!-
I giovani la guardarono e spostarono impazienti lo sguardo sul padrone di casa, sfoderando i loro migliori sguardi dolci.
Il rosso non riuscì più a trattenere le risa e  anche lui, contagiato dal trio, si abbandonò sul divano per scaldarsi dopo lo spavento, rimproverandosi di essere stato così stupido e facendo segno anche agli altri di accomodarsi al suo fianco.
Dopo essere saliti uno sulle spalle dell’altro riuscirono ad accendere la luce, ma in dispensa trovarono solamente marshmellows, così durante il cenone della vigilia di Natale si ingozzarono fino alla nausea di quelle piccole nuvole zuccherate, abbrustolendole sul fuoco.
Se foste passati per quella strada, avreste visto un gruppo felice di amici, che ridevano e scherzavano.
Ma avreste anche notato delle impronte nella neve, esattamente in corrispondenza del camino.
Chissà, forse quell’anno Babbo Natale avrebbe deciso che gli abitanti di quella grande casa erano stati buoni…

Oppure no?

 


*angolo molto boh*
-.- perché mi è saltato in mente di scrivere un racconto di questo genere?
Mah.. *punto di domanda sulla faccia*
Sinceramente non mi aspetto granchè da questa fic…
Non dovrebbe essere giusto, perché dopotutto sono io che la scrivo
E io che devo decidere quando ho fatto veramente il massimo,
ed è troppo azzardato scrivere una storia di questo tipo,
ma…
sono stupida e masochista, e me ne vanto!
p.s. spero di non aver scritto una storia con finale aperto... ditemelo se l'ho fatto, perchè da sola proprio non ce la faccio
a capirlo
 :D

Love.
Marts
 
 
 
 
 

   
 
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