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Autore: voiceOFsoul    17/12/2011    1 recensioni
Bree, a causa di un incidente, ha perso momentaneamente la memoria. Dovrà ricostruire quello che le è successo in questi tre mesi "di buio" aiutata da qualsiasi cosa riesca a sollecitare in lei un ricordo, un "fulmine" come li definisce lei.
Cosa sarà successo e cosa succederà ancora?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il fulmine è terminato. Mi ritrovo a fissare il soffitto di camera mia, verde acqua come tutte le altre pareti. Decido di alzarmi, ma appena lo faccio cado in ginocchio per vomitare di nuovo.
- Bree, stai bene? - Mia madre arriva di corsa dalla sua stanza. Mi trova ancora accovacciata a buttare fuori il pranzo. Mi tiene la testa spostandomi quei pochi capelli che mi arrivano sulla fronte finché non finisco. Mi aiuta ad alzarmi e a sedermi sul letto. - Resta qui. - Va a prendere straccio e secchiello per lavare via tutto.
- Scusa. -
Lascia andare tutto e viene ad abbracciarmi. Sta piangendo. Me ne accorgo solo adesso. - Come stai? - Sussurra tra i singhiozzi.
- Meglio mamma. Sto meglio adesso. -
- Che ti è preso? -
- Ho avuto un ricordo e mi è presa male. -
- Come all'inizio? Perché? E' normale? -
- Non lo so mamma. -
- Io ti porto in ospedale. -
- No, mamma. Non c'è bisogno. -
- Io ti porto in ospedale e basta. - Mi costringe ad alzarmi e ad appoggiarmi a lei anche se riesco a star in piedi da sola. Mi porta fino alla sua macchina e mi ci fa entrare. Sale dal lato giudatore e prima di avviarla mi passa il mio cellulare che ha preso da sopra il comodino. - Chiama Steve e diglielo. -
- Per allarmarlo? - Uno sguardo di rimprovero.
- Chiamalo. - Parte e si dirige verso l'ospedale.
Ubbidisco all'ordine di chiamare Steve, ma invento una scusa. Non gli dico che ho vomitato, nè che mia madre mi sta portando in ospedale. Gli dico solo che stiamo uscendo e non ci troverà in casa. Mia madre, però, mi strappa il telefono dalle mani. - Steve, stiamo andando in ospedale perché si è sentita male. - Glielo urla terrorizzata quasi e poi mi torna il cellulare.
- Spiona! - Le dico fulminandola con lo sguardo. Poi riprendo a parlare con Steve cercando di convincerlo della realtà, cioè che non è nulla di grave e che è mia madre ad essere troppo paranoica. Non riesco a convincerlo e decide di venire in ospedale anche lui.
Ci incontriamo al parcheggio. Sono arrabbiata con entrambi che stanno trasformando una cosa insignificante in un'enorme tragedia. Entriamo nel pronto soccorso e Steve si precipita a parlare con la prima infermiera che gli capita a tiro spiegandole la mia situazione, esagerandola ovviamente. L'infermiera mi chiede di seguirla immediatamente e mi porta dentro uno stanzino dove mi fa accomodare su una barella che sembra parecchio instabile per poi scomparire al di là della porta. Passati circa dieci minuti decido di scendere dalla barella ed andarmene. Non sopporto tutta questa situazione. Purtroppo il destino ha deciso ancora una volta di darmi uno spintone. Scendendo dalla barella poggio il piede in malo modo e mi ritrovo faccia a terra con una caviglia storta e dolorante. Mi arriva addosso anche il vassoio per le suture su cui mi ero poggiata cercando di riprendermi dalla storta. Il baccano attira nello stanzino l'infermiera ed il dottore di turno. E qui il destino ha fatto proprio il bastardo.
- Bree cavolo! Non avresti dovuto muoverti. - Alex mi prende in braccio di peso e mi poggia di nuovo sulla barella. - Hai perso l'equilibrio? -
- No. - Rispondo seccata e seccante. Dal modo in cui lo fisso traspare tutto ciò che penso: 'Sei una merda!".
- Cosa è stato allora? -
- Ho messo male il piede. -
- Una storta? Vediamo questa caviglia. -
Cerca di sollevarmi il lembo dei jeans per guardarla, ma ritiro le gambe. - Non provare a toccarmi. - Lurido schifoso. Lo aggiungerei ma non lo faccio.
Mi guarda con lo sguardo di chi sa di essere in torto. Inizia a parlarmi sottovoce. - Potresti mettere da parte l'odio che provi per me solo per cinque minuti e lasciarti visitare? -
- Non può visitarmi un altro? -
- Sono tutti occupati e tu non puoi aspettare. Se stai male per colpa del tuo problema dobbiamo scoprirlo il prima possibile. -
- Io non sto male! -
- Sei appena caduta di nuovo. -
- E' stata una storta. -
- Anche il vomito? -
- Non ho vomitato. -
- Invece sì. - Indica il pavimento.
Guardo giù e resto allibita. Ha ragione. In quei pochi secondi che sono stata a terra ho vomitato ancora e neanche lo ricordo. Sento una grande ansia impossessarsi di me. Inizio a respirare affannosamente.
- Calmati, Bree. - Alex mi poggia le mani sulle spalle. - Andrà tutto bene. -
- Me lo avete ripetuto troppe volte. Non ci credo più. - Le labbra mi tremano e sento le lacrime in arrivo.
Mi accarezza il viso continuando a guardarmi negli occhi. - Devi crederci, invece. - Si volta verso l'infermiera che finora è stata immobile poco dopo la porta. - Richiedi la Collins e Benussi. Digli che si tratta di Bree e che devono essere qui prima di subito. - L'infermiera ubbidisce. - Io vado a chiamare Steve. - Mi sorride ed esce dalla stanza.
Dopo poco Steve entra nella stanza. Sta sulla porta, non si avvicina. - So che hanno chiamato mia madre e Benussi. -
- Sì. -
- Come ti senti? -
- In preda al panico. -
- Domanda sbagliata, eh? -
- Forse. -
- Cosa può averti scombussolato così tanto da farti stare di nuovo male? -
- I ricordi suppongo. -
Un velo d'ombra scende sul suo viso. - Cosa hai ricordato? - Parla tanto piano che riesco a sentirlo a stento.
- Ricordare la storia di Alex e Sabina non mi ha fatto bene. -
- Ma quello è stato due giorni fa ormai e non è successo nulla quando l'hai ricordato. Cosa hai ricordato oggi? - Avverto una nota strana nella sua voce.
- Ho ricordato di quando siamo andati a mare. -
- Quando mi hai visto con... - Non aggiunge il nome.
- Rachele. - Lo dico con l'amaro nel cuore.
- E... cos'altro? - Sempre quella nota strana nell'inflessione della sua voce. Quasi fosse sotto accusa e cercasse di difendersi.
- La festa di Nicola. -
Non mi risponde. Si zittisce e guarda il pavimento con occhi sbarrati.
- Che ti prende? -
- Nulla. - Si affretta a rispondere. Quasi non mi fa terminare la domanda.
- Ti vedo agitato. E' forse per quel ragazzo? Daniel? -
Alza lo sguardo verso di me, quasi sollevato. - Sì. Sì, sì, è per lui. - Forza un sorriso fintissimo. - Hai appena ricordato uno che ci prova con te. -
- Che ci provava. -
Sbarra gli occhi di nuovo. Quasi avesse visto un fantasma.
- Gli ho chiaramente fatto capire che non c'è trippa per gatti con me. Te l'avrò già detto, no? -
Anche stavolta sembra che tiri un sospiro di sollievo. - Sì, me l'hai già detto. -
- Allora perché sei così teso? -
- E' solo perché stai male, amore. - Si avvicina, finalmente, a me. Mi accarezza i capelli e mi bacia. - Solo perché stai male. -
- Sembra quasi che stai cercando di convincere qualcuno. - Sì, sembra che stia cercando di convincere se stesso di quello che dice.
Sta per rispondermi, ma Benussi si precipita di corsa dentro la stanza e gli chiede, nemmeno tanto gentilmente, di uscire. - Un altro dei tuoi scherzetti, eh Bree? - Fingo un sorriso, ma si vede lontano un miglio che dentro ho la paura che mi sta rosicchiando completamente. - Controlliamo cosa succede. -
Mi controlla la gola e gli occhi, dopo passa a testare i riflessi. Nel frattempo entra nella stanza anche la Collins. - Benussi, cosa abbiamo? -
- Notizie buone e notizie cattive. -
- Iniziamo da quelle buone. -
Benussi sta in silenzio per un paio di secondi. - Il mio era un modo di dire. - Emette un gran sospiro. - Purtroppo nessuna notizia è rassicurante. Possiamo uscire un attimo a consultarci? -
- No! - Urlo. - Voglio sapere cosa mi succede. - Tremo.
Benussi mi guarda compassionevole. - Credo che ci siano altri problemi legati all'incidente. Dobbiamo fare un'altra TAC e vedere se in questi giorni è successo qualcosa. -
- Ma sono passati solo due giorni. -
- Dobbiamo controllare. La facciamo subito. -
La Collins chiama l'infermiera del pronto soccorso che, staccata la barella dal muro, mi inizia a trasportare. Il viaggio verso la sala TAC è molto più breve delle altre volte, ma la procedura è uguale. Appena uscita dal tubo radiogeno, mi viene incontro la Collins, sorridente.
- Buone nottizie, Bree. - Fissa il mio sguardo ancora serio e preoccupato. Poi aggiunge. - Buone notizie davvero, stavolta. -
- Sentiamo. - Sono poco fiduciosa, in effetti.
- Benussi si sbagliava. Per fortuna si sbagliava. La tua testa sta benone. Anzi! Ci sono addirittura dei netti miglioramenti. -
- E allora oggi? -
- I malesseri sono stati legati proprio a questo. - La guardo perplessa. - Devi considerare che sia un peggioramento che un miglioramento comporta comunque un movimento di qualcosa all'interno del tuo cervello che è strettamente collegato a tutto il resto e particolarmente al sistema nervoso. Perciò può capitare che tu abbia le vertigini o che senta il bisogno di vomitare. Specialmente se legata a un momento di stress. - E di quello ne ho a bizzeffe!
- E' sicura, quindi? Non devo fare altri accertamenti? Nulla? -
- No. Sei sana come un pesce. -
- Un pesce che ha ancora un cassetto chiuso a chiave. -
Mi sorride. - Lo aprirai, sta tranquilla. -
Mi permettono di camminare per tornare da mia madre che mi sta aspettando insieme a Steve nell'atrio del pronto soccorso. Mi ha accompagnato Benussi. Appena ci ha visto arrivare anche Alex si è avvicinato per sapere come stavo. - Sono felice di comunicare che prima mi sono lasciato ingannare. Ho interpretato i sintomi in modo molto negativo, ma per fortuna mi sono sbagliato. Abbiamo fatto la TAC e abbiamo trovato dei miglioramenti. Sono state le cicatrizzazioni probabilmente a causa il malessere. So che può sembrare illogico, ma è esattamente così. -
Inutile dire quanto mia madre sia contenta della notizia e come mi ha abbracciato e baciato subito dopo. Alex è andato via in silenzio, porgendomi solo un sorriso. Steve, invece, è rimasto con il suo alone di tristezza addosso.
- Amore, non sei felice che sto bene? - Gli chiedo sorridente.
- Certo che sono contento. - Di nuovo il sorriso finto. Di nuovo quel tono di difesa.
- Allora perché nemmeno sorridi? -
Fissa i miei occhi. Il volto impassibile e triste. Una lacrima solitaria lascia le sue ciglia senza che nient'altro nel suo viso cambi. - Scusami. -
- Per cosa devo scusarti? - Glielo chiedo con tutta la preoccupazione che vederlo e sentirlo così mi ha fatto nascere.
- Non posso. - Le lacrime si moltiplicano.
- Dimmelo. -
- Non posso. - Si volta e inizia a correre verso l'uscita.
Gli corro incontro gridando. - Cosa? Dimmelo! Ti prego. Non andare via. -
Esce dall'ospedale e si catapulta in auto. Scappa via.
Resto nel parcheggio a guardare il posto che ha lasciato vuoto. Mia madre arriva dopo poco. Ha corso anche lei per quello che può. E' affannata. Mi stringe le braccia. - Cos'è successo? -
- Non ne ho la più pallida idea. -
   
 
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