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Autore: RobTwili    18/12/2011    8 recensioni
Sequel di Redemption
Sono passati tre anni da quando Aileen ha varcato il cancello della clinica di disintossicazione.
Tre anni trascorsi a fianco di Robert.
Lui l’ha aiutata a superare ogni difficoltà, anche quando i fantasmi del passato hanno deciso di uscire.
Lei si è impegnata con tutta se stessa per cercare di non deludere lui, l’unica persona che abbia mai tenuto a lei.
Sono buoni, ottimi, amici; condividono una casa a Los Angeles.
C’è però un piccolo problema… Cupido, come sempre, è uno stronzo.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'My Redemption is Beside you'
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Sequel di Redemption. Non è necessario aver letto il prequel per comprendere questa storia. Ho cercato di riportare alcuni eventi in modo che possa risultare comprensibile a tutti.







«Pronta?» sussurrai, allungando un braccio per prendere il mio cellulare dal comodino.
«Voglio un in bocca al lupo, così magari va meglio» mi provocò, mordendomi la mascella.
«Solo un piccolo bacio» la ammonii, chiudendo gli occhi.
Quando le nostre bocche si incontrarono, sentii distintamente le sue labbra tendersi in un sorriso.
Qualcosa di fresco sfiorò il mio petto, scendendo verso il mio stomaco.
«Lee» mugugnai, fermando la sua mano con la mia.
«Che c’è? Stavo cadendo e cercavo un appoggio» si giustificò, trattenendo a stento una risata.
«Dove lo stavi cercando l’appoggio?» chiesi, mantenendomi serio a fatica.
«Non stavo guardando, sai, mi piace baciarti con gli occhi chiusi» mugolò, lasciandomi una scia di baci sul collo.
«Lee» sospirai, appoggiando la testa sul cuscino.
«Che c’è?» chiese, lo sguardo birichino, mentre si distendeva sopra di me, risvegliando il mio corpo.
«Se non vuoi farlo, dimmelo subito. Ma non cercare di distrarmi in questo mo…» cominciai, interrompendomi non appena le sue labbra scesero ad accarezzare il mio petto, per poi fermarsi all’ombelico.
«Hai ragione. Chiamiamoli. Prima Tom». Accarezzò le mie labbra con le sue, stendendosi al mio fianco, abbandonando la testa sopra al mio petto.
«Vuoi dirlo tu a lui e poi io parlo con i miei?» le domandai, sperando così di tranquillizzarla.
Sentivo il suo corpo teso; di sicuro era perché temeva delle reazioni negative.
«Va bene» acconsentì, componendo subito il numero prima di ripensarci.
Qualche squillo dopo, la voce di Tom rispose.
«Che si dice in quel di Los Angeles?» esordì, sbadigliando.
«Ciao Tom, sei in vivavoce» spiegai, prima che potesse dire qualcosa di compromettente.
«Oh, ciao Lee» esultò Tom, urlando al ricevitore.
«Tom, ti sento, sono accanto a Rob» ridacchiò Lee, baciandomi il petto.
Avrei voluto precisare che non era proprio ‘accanto’ a me, ma più ‘sopra’, però non volevo metterla in imbarazzo.
«Ah, pensavo stessi camminando su e giù per la casa. Allora, che succede?» chiese, curioso.
Guardai Lee, sorridendole per trasmetterle un po’ di coraggio.
Prese un respiro profondo e poi parlò. «Io e Rob dobbiamo dirti una cosa».
«Ditemela. Sono in ascolto» ghignò. Sembrava divertito.
«Ecco…» borbottò lei, schiarendosi la voce in imbarazzo. «Io… io e Rob…». Si fermò, prendendo un respiro profondo.
«Stai andando bene» soffiai al suo orecchio, baciandole la guancia.
Lee alzò lo sguardo, sorridendo appena.
«Io e Rob siamo assieme» disse, tutto d’un fiato.
«Lo so, sono venuto a casa vostra più di una volta. Lo so che state assieme». Perché ero quasi sicuro che Tom stesse fingendo di non aver capito?
«No, non in quel senso… assieme, assieme». Le sue guance si colorarono di un rosso intenso. Ero sicuro di aver visto raramente Lee in imbarazzo.
Con un sorriso strinsi un po’ di più il mio braccio attorno alle sue spalle.
«Non capisco Lee, dico davvero». Sì, si stava burlando di lei.
«Cazzo, Tom! Io e Rob trombiamo assieme. Così è più chiaro il concetto?» strillò Lee, prendendo il telefono tra le mani e urlando al microfono.
Cominciai a ridere, seguito dopo pochi secondi da Tom.
«Lee, stavi andando così bene e poi ti sei arrabbiata. Peccato. Ti posso dare un sette per l’inizio, ma dopo la spiegazione così… volgare che mi hai dato, credo che il voto scenderà a quattro» la canzonò. Lee mi guardava confusa.
«Lo sapeva?» mi chiese, assottigliando le palpebre.
«L’avevo capito. Tutti l’hanno capito, solo voi non ve ne eravate accorti, perché troppo impegnati a fare chissà che cosa. I miei auguri ragazzi» terminò, stranamente senza nessuna nota sarcastica nella voce.
«È stato facile» sussurrò Lee, sorridendomi.
«Visto?» mormorai, dandole un bacio sulle labbra.
«Spero solo che non mi abbiate chiamato dopo aver fatto acrobazie a letto. Cioè, sarebbe squallido se foste ancora pucci pucci tra le lenzuola. Vi prego, ditemi che siete in giardino…». Sembrava davvero sconvolto all’idea che potessimo aver appena fatto sesso.
«Siamo in giardino» mentimmo io e Lee, parlando contemporaneamente.
«Oddio siete a letto. Ditemi che non siete nudi e che vi siete fatti una doccia». Dei colpi sordi riecheggiarono dal telefono. Ma che cosa stava succedendo? Tom era forse impazzito?
«Non siamo nudi. Ci siamo fatti la doccia» tornammo a dire, nello stesso momento, io e Lee.
Subito dopo non riuscimmo a trattenere una risata divertita.
«Che schifo. Questa cosa è da pervertiti. Se mi avesse chiamato solo Lee, nuda, a letto, avrebbe avuto tutto un altro significato, ma con Rob…» bofonchiò, facendomi arrabbiare. Non mi piaceva affatto l’immagine che aveva evocato Tom.
«Tom» gridai, mentre Lee cercava di non ridere. Possibile che non capisse che quelle cose non doveva dirle perché ero… geloso?
«Non faccio queste cose adesso, Tom. E se le faccio, mi dispiace ma uso Rob» sottolineò Lee, mentre le accarezzavo la schiena.
«Tutte le fortune agli altri, sì sì» sbottò indignato. Lee scivolò sopra di me, baciandomi il collo apparentemente incurante del fatto che stessimo parlando al telefono.
«Lee» sospirai, cercando di non perdere il controllo, «siamo al telefono» la ammonii, appoggiando una mano sulla sua schiena.
«Shh. Ti sto dando la carica per la prossima telefonata» mormorò, mordendomi il lobo dell’orecchio.
«Ma ci siete ancora?» urlò Tom, portandomi di nuovo alla realtà. «Pronto? Mi sentite?».
Non riuscii a trattenermi e cominciai a ridere, mentre Lee appoggiava la fronte sull’incavo del mio collo per smorzare la sua risata.
«Ci siamo» risposi a Tom, ammonendo Lee con lo sguardo. «Sta ferma» sibilai, prendendole i polsi con le mani, perché non scendesse oltre.
«Non state facendo porcherie, vero? Perché altrimenti chiudiamo qui…» si allarmò Tom. Intrappolai Lee tra il mio corpo e il materasso, schiacciandola sotto di me e mozzandole il respiro nel petto con il mio peso.
«Ci sentiamo Tom» tagliò corto Lee, circondandomi il collo con le braccia.
«Lee» mormorai, sgridandola.
«Oh mamma. Sono al telefono con voi, non potreste aspettare tre minuti per ricominciare? Ho capito che avete aspettato quattro anni prima di darvi la prima botta, ma abbiate la decenza di non farmi ascoltare queste cose in diretta, per favore. Fino a prova contraria Rob è il mio migliore amico» si lamentò Tom.
«Senti, chiudiamo qui la conversazione, è meglio» borbotto lei, inquieta.
Perché improvvisamente Lee sembrava aver fretta?
«No, vorrei solo sapere se posso dirlo a qualcuno o se deve rimanere segreto».
Guardai Aileen, aspettando una sua risposta.
«Puoi dirlo» bisbigliò, guardandomi in attesa della mia conferma.
«Certo, ma non dirlo ai miei, li chiamiamo adesso, quindi aspetta un po’, per favore» gli spiegai. Sarebbe stato davvero spiacevole per loro scoprire la verità da Tom.
Dovevamo dare la notizia io e Lee.
«D’accordo. Ah, Lee, se ti serve qualche lavoretto perché Rob non è in grado di farlo…» scherzò Tom, ricordando la conversazione che avevamo avuto io e lui a Londra.
«Lee non ha bisogno di nessun lavoretto. A presto» sbottai furioso, chiudendo la conversazione.
«Che cosa voleva dire?» chiese Lee, confusa.
«Niente, lascia stare. Sai che è uno stupido» cercai di convincerla a lasciar perdere, ma lei non sembrava della mia stessa idea.
«No, ha detto qualcosa che tu hai capito, voglio sapere anche io, adesso» si intestardì, appoggiando le mani sul mio petto per non permettere che la baciassi.
«Un discorso tra uomini» sbuffai, capendo che Lee non avrebbe ceduto facilmente.
«Cioè?» domandò, guardandomi con uno strano sorriso.
«Niente, sai quanto può essere volgare Tom…» mormorai, lasciandole una scia di languidi baci sul collo.
«Sì, e so che tu sei peggio di lui, se ti impegni, quindi?». Come faceva a rimanere lucida mentre continuavo a torturarle il collo con i denti?
«Tom… crede…» cominciai a dire, scendendo a baciarle un seno.
Il corpo di Lee si inarcò, le sue dita cominciarono a tirarmi alcune ciocche di capelli.
«Cosa?» ansimò, spingendo il mio viso più vicino al suo seno.
«Che non sia bravo…» soffiai sul suo stomaco, dopo averle leccato l’ombelico, «… in queste  cose» conclusi, prima di darle un piccolo morso sull’osso del fianco.
«Si… sbaglia» mugolò, inarcando di nuovo la schiena.
«Lo so» asserii, distendendomi di fianco a lei per cercare di tornare lucido.
«Perché?» si lamentò Lee, mettendosi a sedere di scatto. «Come fai a smettere di torturarmi in questo modo, come se niente fosse? Sei messo peggio di me, ma riesci sempre a fermarti. È frustrante, non puoi essere un maschio». Scosse la testa, confusa. Sembrava non capire.
«Credevo ci fossero prove inconfutabili del mio essere uomo, no?» scherzai, provocandola.
«Forse fisicamente, ma non mentalmente. Dovresti essere assatanato, non dire mai di no, invece sei sempre tu quello che mi rifiuta» borbottò, abbassando lo sguardo.
«Non ti ho mai rifiutata. Adesso sto solo rimandando perché voglio chiamare mamma, così poi avremo tutto il tempo di questo mondo. E nel caso non te ne fossi accorta, per me è difficile fermarmi». Lanciai un’occhiata a Lee. Ero sicuro che avrebbe capito.
«Mi piace questo potere che ho su di te. Mi fa sentire forte. So che posso sempre minacciarti, anzi, corromperti. Mi piace» tornò a ripetere, soddisfatta.
«Piccola peste. Vieni qui, che chiamiamo mia mamma, su» sussurrai, sfiorandole le labbra con le mie.
Mentre componevo il numero sentii un respiro profondo di Lee; probabilmente cercava di calmarsi.
«Pronto?» rispose una voce, dopo qualche squillo.
«Ciao Liz, sono Rob» dissi, mentre di fianco a me Lee sembrava rilassarsi un po’.
«Fratellino! Qual buon vento! Come mai stai chiamando? Ci sono problemi? Stai male? C’è Lee che ha combinato qualcosa?» cominciò a tempestarmi di domande, e non mi permise di di parlare.
«No, io e Lee stiamo bene. Potresti passarmi mamma? Dobbiamo dirle una cosa» la informai, sorridendo a Lee.
«Dobbiamo? Oddio» strillò, «Vic! Ridammi le cento sterline! Rob e Lee!» continuò a urlare. Sembrava che Liz stesse correndo; la sua voce era distante, e  c’era un rumore di passi di sottofondo.
«Che succede?» chiese qualcuno.
«Vic, ridammi immediatamente quelle cento sterline. Rob e Lee!» ripeté Liz, gridando. La sua voce si sentiva ugualmente, squillante, nonostante non fosse vicina al microfono.
«Non ci credo, quando te l’hanno detto?». Vic sembrava arrabbiata, quasi infuriata.
«Adesso, proprio adesso. Non posso crederci, pensavo di averle perse e invece… ottimo! Mi servono per un paio di scarpe» esultò lei.  Stentavo a credere alle mie orecchie.
«Con che parole te l’hanno detto?» domandò Vic sospettosa.
«Be’, non l’hanno proprio detto, diciamo che l’ho capito, ma è così…» gridò Liz, in difficoltà.
«Fammici parlare, subito». Quando Vic parlava con quel tono, non ammetteva repliche. «È vero?» chiese, senza nemmeno salutare.
«Io… noi… sì» borbottai, guardando Lee. Era immobile, stava trattenendo il respiro.
«Che bello! Aspetta mamma, sarà felicissima di saperlo. Sono felice per voi» disse, mentre Lee cominciava a tremare per la mancanza di ossigeno.
«Lee, respira» sussurrai, mettendomi seduto sul letto e scuotendola appena per le spalle.
«Mhhh» farfugliò, stringendo di più il lenzuolo tra le dita.
«Tranquilla» ripetei, accarezzandole una guancia.
«Tua mamma mi ucciderà» bofonchiò, puntando all’improvviso i suoi occhi nei miei.
«Ma figurati! Sarà contentissima di questa cosa» strillò Liz, spaventandoci.
Ci eravamo dimenticati di essere in vivavoce.
«Mamma, ci sono Rob e Lee al telefono, devono dirti una cosa. Siediti».
«Morirà» disse Lee, scuotendo la testa.
«Diventerò nonna?». Non pensò nemmeno di salutare, ponendo subito la domanda.
Quello che mi stupì, fu la felicità che traspariva dalla sua voce.
«Mamma, no…» borbottai, imbarazzato.
Perché aveva pensato a dei nipotini?
«Oh, allora perché devo sedermi?» chiese, improvvisamente triste.
«Perché volevamo dirti che abbiamo cominciato a frequentarci, come coppia». Non volevo usare paroloni che mamma potesse fraintendere. In più, non volevo spaventare Lee, seduta davanti a me.
«Era ora!» esultò, facendomi ridere. «Lee, tesoro, ti sta trattando bene?» chiese,  con voce dolce.
Lee prese un respiro profondo, allungando il braccio per stringere la mia mano.
«C-c-certo, come una principessa» sussurrò, senza smettere di tremare.
«Benissimo! È proprio così che deve trattarti. E se non lo fa, chiamami, ok?». Era felice, riusciva a percepirlo anche Lee.
Si rilassò un po’, smettendo di tremare.
«D’accordo» mormorò, prendendo un nuovo respiro con gli occhi chiusi.
«Quindi? Quando venite a trovarci come coppia ufficiale?» domandò mamma, facendomi sbarrare gli occhi per la sorpresa.
«Ecco… noi… adesso… magari… magari più avanti, a Natale» balbettai, non sapendo che cosa dire.
«Oh, certo. A Natale» rispose dall’altro capo del telefono, delusa.
«O prima, dipende quando possiamo prenderci qualche giorno» cercai di rimediare all’errore fatto.
«Certo, quando potete. Noi siamo sempre qui ad aspettarvi, lo sapete» disse, cercando di nascondere il fatto che ci fosse rimasta male.
«Il prima possibile» accordai, sperando che ritornasse a urlare di felicità.
«Mi sembra bellissimo! A presto, ciao Lee» salutò, aspettando una risposta.
«Ciao». Un sussurro. Non ero nemmeno sicuro che mamma l’avesse udito.
«Hai visto?» chiesi a Lee, subito dopo aver chiuso la chiamata.
«È andata bene?» mormorò, rabbrividendo appena.
Solo in quel momento ricordai che Lee era nuda.
«Bene? Benissimo» bisbigliai, distendendomi sopra di lei per darle un bacio.
«Sei sicuro?». Socchiuse gli occhi quando la mia mano solleticò il suo fianco.
«Sì. Adesso… vorrei riprendere il discorso di prima, se non ti dispiace…» mormorai, accarezzandole le cosce.
«Fai pure tutto quello che vuoi» mugolò, socchiudendo gli occhi.
 
Cinque mesi dopo…
 
«Lee, per favore, ti vuoi sbrigare?» mi lamentai, camminando nervosamente per la stanza.
«Un attimo Rob! Adesso vado a farmi la doccia, non serve arrabbiarsi». Mi fece una linguaccia, togliendosi la maglia e i pantaloni davanti a me.
«Non è il momento, non posso» gridai, voltandole le spalle.
Eravamo già in ritardo, se in più mi tentava rimanendo in intimo davanti a me… non saremmo più usciti da quella casa.
«Cosa?» chiese con l’aria da santarellina.
«Non possiamo fare l’amore adesso. Siamo in ritardo Lee. Devi farti la doccia e devo farla anche io» spiegai, tenendo lo sguardo basso.
«Se la facciamo assieme, dimezziamo i tempi» mi provocò, avvicinandosi a me e costringendomi a guardarla.
«Lee, per favore, sto cercando di controllarmi. Non posso. Faremo tardi. È una premiazione importante, dobbiamo fare il red carpet. È la nostra prima apparizione pubblica assieme» cercai di spiegarle, sperando che smettesse di mangiucchiarsi quell’unghia.
C’era qualcosa di eccitante anche in quel gesto.
«Appunto, mi servirebbe un po’ di fortuna… devo camminare con quel vestito, e quei tacchi». Alzò gli occhi al soffitto, mordicchiandosi il labbro.
«Dobbiamo essere sopra a quel red carpet tra tre ore. Se facciamo la doccia assieme non usciremo da quel bagno prima di due ore. Non possiamo fare l’amore ora. E fidati che lo vorrei, visto che è da una settimana che non sento il profumo e la morbidezza del tuo corpo» gemetti, percorrendo il suo piccolo corpo con lo sguardo.
«Io sono sempre rimasta qui a casa, da sola. Sei tu quello che è andato a filmare a New York. Se fossi tornato prima, questa notte avremmo potuto coccolarci, ma sei ritornato mezz’ora fa». Incrociò le braccia al petto, offesa.
«Su, vai a farti la doccia» mormorai, baciandole i capelli.
Sbuffò, prima di prendere qualcosa da un cassetto e dirigersi verso il bagno.
In quella settimana Lee mi era mancata. Troppo.
Era difficile addormentarsi senza il calore del suo corpo vicino, o senza il rumore del suo respiro.
«Rob» strillò Lee dal bagno.
«No. Non c’è nessun ragno. Il sapone è di fianco allo shampoo e il tuo accappatoio è appeso al muro. Non riuscirai a farmi cedere questa volta» urlai, sapendo che era quello che voleva.
«Stronzo» fu la sua risposta.
Cominciai a ridere, distendendo il mio vestito nero sul letto.
Dovevo tenermi occupato e non pensare a Lee che si stava facendo la doccia.
Cominciai a camminare nervosamente per la stanza, aspettando che uscisse dal bagno.
«Puoi andare» disse, facendomi sussultare.
Era stretta nel suo grande accappatoio blu.
Non riuscii a trattenere un sorriso, avvicinandomi a lei e baciandola, prima di sistemarle il cappuccio in testa.
«Faccio presto» soffiai sulle sue labbra, allontanandomi prima di perdere il controllo. «Per favore, quando esco non farti trovare in intimo, ti chiedo solo questo, oggi»
«Va bene» acconsentì.
Non riuscivo a capire però, perché continuasse ad avere quel ghigno.
Lasciai che l’acqua mi sciogliesse i muscoli, rilassandomi.
Dopo il volo di quella mattina e il fuso orario che non mi aveva ancora fatto passare il mal di testa, l’ultima cosa che volevo era uscire di casa per andare a presentare un premio assieme a Lee, ai Golden Globes.
Uscii dal bagno con un asciugamano stretto in vita, perché, come sempre, mi ero dimenticato di prendere i boxer.
«Rob, potresti aiutarmi?» chiese Lee, uscendo dalla cabina armadio con il suo bellissimo vestito.
«Sei stupenda» mormorai, incapace di toglierle gli occhi di dosso.
«Grazie, ma potresti aiutarmi? Non riesco a chiuderlo». Mi diede le spalle, spostandosi i capelli da un lato.
Guardai la sua schiena nuda, deglutendo involontariamente.
«Non hai il reggiseno?» chiesi, stupidamente.
«No, non potevo con questo vestito». Girò il viso di lato, per guardarmi.
La sua schiena nuda…  senza nemmeno accorgermene cominciai ad accarezzarla con i polpastrelli.
«Rob» gemette, quando, dopo aver fatto un passo in avanti, la abbracciai, baciandole le spalle nude. «Hai… hai detto che non abbiamo tempo». Inclinò la testa, appoggiandosi a me.
«Lo so. Ma mi stai tentando troppo». Portai le mie mani sui suo fianchi, avvicinandola di più a me.
«Stiamo… stiamo perdendo il controllo» sussurrò, portando la sua mano sul mio fianco.
«Se facciamo presto? Odio fare le cose di fretta, ma Lee…» sussurrai, baciandola appena dietro l’orecchio.
«Spostati» sbottò, facendo un passo indietro e abbassando il vestito. «Togliti quel ridicolo asciugamano» mi ordinò, abbassandosi gli slip.
«Lee» sghignazzai, quando mi spinse sul letto, cominciando a baciarmi.
 
«Sei agitata?» chiesi, stringendo di più la sua mano.
«Perché dovrei? Siamo ai Golden Globes e devo presentare un premio» ironizzò, sistemandosi i capelli nervosa.
«Sei bellissima, e nessuno riuscirà a toglierti gli occhi di dosso» le feci notare, sfiorando le sue labbra con le mie.
«Preferivo che nessuno mi guardasse. Se cado? Se comincio a balbettare? Se faccio la figura dell’idiota?» domandò, mentre l’auto si fermava davanti al red carpet.
«Sarai perfetta. Tu guardami e tutto andrà bene». Sfiorai le sue labbra prima di darle un bacio.
La porta della macchina si aprì e un boato ci investì.
Lee mi guardò, terrorizzata.
Cercai di rassicurarla con un sorriso, ma non riusciva a muoversi.
«Lee, andrà tutto bene». Mi avvicinai a lei, allungandole la mano per aiutarla a scendere dall’auto.
«Non lasciarmi Rob» mormorò, appoggiando il piede per terra.
«Mai» risposi, stringendole la vita con il braccio.
Non la abbandonai sul red carpet e nemmeno in sala, quando ci sedemmo.
Le nostre mani erano intrecciate, mentre cercavo di trasmetterle sicurezza e calma.
Quando ci chiamarono per annunciare il premio, la stretta della mano di Lee sulla mia si intensificò.
«Andrà tutto bene. Tu guarda solo me» la rassicurai, prima di allontanarmi per entrare sul palco.
E vederla lì, mentre mi veniva incontro, con quel radioso sorriso e quello splendido vestito, mi fece emozionare.
Forse troppo.
Perché Lee era perfetta, lo sarebbe sempre stata.
Prese un respiro profondo, avvicinandosi al microfono.
Cercai di tranquillizzarla quando cominciò a parlare, guardandomi.
Presentai la categoria e, quando il filmato con i nominati iniziò, mi avvicinai a lei, accarezzandole la mano.
«Sei perfetta» riuscii a dire, prima che il filmato si concludesse.
Tese la busta aperta con mano tremante perché leggessi il titolo e involontariamente sfiorai la sua mano.
Dopo aver annunciato il vincitore i nostri sguardi si incontrarono e non riuscii a trattenere una risata.
Era stata impeccabile.
Consegnò il premio, sollevando l’abito come solo una principessa avrebbe potuto fare.
Subito dopo si avvicinò a me, mordicchiandosi il labbro.
«Cazzo Rob, sto tremando» mormorò, appoggiando le labbra al mio orecchio.
Ghignai divertito: il suo linguaggio stonava rispetto alla sua bellezza così eterea.
«L’adrenalina sta scendendo» spiegai, prendendola sottobraccio per scendere giù dal palco.
«Possiamo andare a casa, adesso?» chiese, togliendosi i tacchi, per camminare dietro lo stage.
«Dobbiamo aspettare la fine della cerimonia. Non vuoi andare all’after party?». Credevo volesse conoscere gli altri attori.
«Sì, all’after party a casa nostra, quello privato» mi tentò, prima di fare una boccaccia.
«Lee» bofonchiai, guardando dietro di noi, per controllare che nessuno ci avesse sentito.
«Che c’è?» domandò, con finta innocenza.
«Qui sono tutte persone perbene, non si dicono queste cose, si scandalizzano» ridacchiai, mentre si rimetteva le scarpe per tornare in sala.
«Sì, certo. Nessuna di loro questa sera andrà a casa a farsi una bella scopata?» chiese, in un tono di voce forse troppo alto, visto che Ryan Gosling ci lanciò uno strano sguardo, prima di cominciare a ridere.
«Ryan Gosling ti ha sentito» informai Lee, mentre si girava a guardarlo.
«Oh, be’… può sentirmi quando vuole, è bello» rise, sedendosi di fianco a me.
«Lee, è vecchio» mormorai, offeso.
«Sempre bello, però». Fece spallucce, con naturalezza.
«Più bello di me?» borbottai offeso, sporgendo il labbro inferiore.
Speravo solo che non ci fossero telecamere nelle vicinanze.
«No, tu sei più bello» ammise, prima di allungarsi sopra alla tavola per darmi un bacio.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
La seconda parte (ambientata a Gennaio 2015) è stata ispirata da Robert Pattinson e Olivia Wilde (la mia Lee) ai Golden Globes di quest’anno.
Per capirci, non so se li avete mai visti, ma erano così (ed è esattamente quello il vestito che nel capitolo indossava Lee):
 
 
Dunque, mi scuso per il ritardo, ma ormai siamo praticamente alla fine, e quindi i capitoli escono sempre più lentamente e vengono betati con più attenzione! :)
Questo era l’ultimo capitolo, il prossimo sarà l’epilogo (che più o meno è tutto scritto) e… niente…
Ah sì! Mi sono sempre dimenticata, perché ho una testa di cocco… ho scritto una OS Rossa della prima volta in cui Lee e Rob hanno fatto l’amore (per capirci ambientata durante il capitolo 14. Quante sarebbero interessate a leggerla?
La pubblicherei comunque prima dell’epilogo, quindi durante questa settimana…
Fatemi sapere! :)
 
Come sempre grazie ai preferiti/seguiti/da ricordare, chi legge e chi commenta!
QUI il gruppo spoiler delle storie e QUI il mio profilo.
Alla prossima settimana, per l’epilogo!
   
 
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