Storie originali > Avventura
Segui la storia  |       
Autore: orual    19/12/2011    0 recensioni
Colois è un regno piccolo ed occupato da un nemico più potente. Ed è difficile combattere per la libertà di un regno, anche se il dovere chiama, se non si hanno le idee chiare sulla nostra libertà. Tellin ne avrà di strada da fare, prima di capire dove vuole andare!
"-Tellin, se restate soli, uccideranno anche voi. O potrebbe succedere di peggio.
-Non vedo cosa possa esserci di peggio- si era sforzata di ridere Tellin.
-Si parla di farvi sposare Lord Naro.
Il silenzio era sceso per un momento, mentre il cuore di Tellin mancava di un battito.
-Anche se fosse- proseguì, con uno sforzo eroico –anche se fosse, tu non potresti fare nulla.
-State commettendo un errore, Tellin. E inoltre io ho giurato fedeltà alla Famiglia.
-Obbedire a un mio ordine non è venir meno alla fedeltà.
-Questo dipende dall’ordine, Tellin.
-Oh, questa è proprio filosofia da quattro soldi, Haru. Da quando in qua la fedeltà consiste nel vagliare gli ordini e scegliere quelli che più ci aggradano?
-Damigella, siete troppo colta e intelligente per non sapere che la fedeltà vera non corrisponde alla semplice esecuzione degli ordini. Se voi in preda alla follia mi ordinaste di uccidere voi stessa o uno dei vostri fratelli, sarebbe lealtà la mia obbedienza?
-Stai insinuando che sono pazza?
-Sto solo cercando di dimostrarvi che non sempre l’obbedienza è lealtà, perchè non mettiate più in dubbio la mia formazione filosofica, damigella..."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Chi mi segue sa che ho in ballo una long nel fandom di Harry Potter... ferma da oltre un mese! Sto riemergendo solo ora da un terrificante blocco, e presto posterò anche lì, ma ne ho approfittato per riprendere in mano questa storia, solo cominciata e ferma da mesi e mesi... giusto per cambiare un po’ aria! Spero sia il primo segnale di una maggiore regolarità nell’aggiornamento anche su questo fronte da me così negletto...;)
Nel frattempo, buona lettura! (Le opinioni sono sempre ben accette).

 
2
 
Fiorivano le acacie nel giardino interno della Casa, ed Allin se ne era infilati alcuni profumatissimi grappoli nei capelli: Tellin ne sentì la scia odorosa quando la sorella le passò davanti per entrare nella stanza dove Em la chiamava. Allin non avrebbe avuto bisogno di fiori, pensò Tellin: la grazia infantile, invece di trasformarsi nel goffo corpo ancora indeciso dell’adolescenza, in lei era rimasta, e maturava gradualmente in una sfolgorante bellezza. I lineamenti perfetti erano cambiati solo quel che bastava perchè si cominciasse ad intravedere che la bambina sarebbe diventata una donna incredibilmente bella.
Aveva dodici anni, ormai, e Tellin diciassette. Putch era cresciuto: si era fatto alto e robusto. I capelli erano stati tagliati corti, perchè aveva superato gli otto anni, e non aveva più i bei riccioli scuri, ma gli occhi grandi ed espressivi sembravano più liberi senza la massa dei boccoli cadenti. Ilina aveva sei anni, ed era un piccola signorina impudente, che non stava ferma un solo attimo. Le riunivano i fini capelli rossicci in due codini, che le spiovevano intorno al viso come fili di rame.
Solo Tellin non era cambiata. Almeno, non le pareva. Quasi non si era alzata in altezza, in quei tre anni, ed il suo viso era sempre uguale. Forse era diventato più impenetrabile, per il quotidiano allenamento che le era imposto dai colloqui con il Governatore.
Storse la bocca pensandoci. Anche lei si era abituata a chiamarlo così, come tutti. Si era abituata a tante cose, perchè non aveva potuto decidere su quasi niente. Non che fosse mai stata un campione di autorevolezza, nemmeno prima. Figurarsi nel periodo caotico che aveva seguito la morte di Tyal.
Quando, molto raramente, si concedeva di ritornare col pensiero a quel periodo, non riusciva a ricordare quasi niente, eppure sapeva di aver preso decisioni su decisioni, immersa nell’ovatta del dolore e dello stordimento. Ancora si chiedeva come diavolo avesse fatto. Ma, in ogni caso, si era trattato di decisioni del tutto marginali. Sulle questioni di stato, non aveva neanche potuto aprire bocca.
Il mondo si era chiuso intorno alle pareti della Casa, e già le sembrava di compiere un viaggio quando ne usciva ed attraversava le altre ali del Palazzo. Non conosceva quasi nessuno, anche se naturalmente tutti sapevano chi era lei. Linine, come praticamente tutti i cortigiani Colois, era partita da tempo, con suo nonno. Tellin non aveva potuto biasimarli, viste le intimidazioni a cui erano sottoposti ogni giorno a Palazzo e l’umiliazione di dover vedere tradizioni ed usanze calpestate. Era rimasto solo il vecchio Cancelliere, il più fedele amico e consigliere di suo padre, Lord Parsif, e pochi segretari di basso grado. Chi invece avrebbe resistito sempre erano stati i domestici, ma Tellin non aveva potuto impedire che la gran parte venisse allontanata. Il Palazzo risuonava di suoni sconosciuti, di passi di gente mai vista, che si sentiva a casa propria certo più di lei, la principessa.
Principessa, già. Anche questo titolo, in realtà, poneva un sacco di problemi. Colois era adesso una provincia dell’impero di Tuma, anche se tale cambiamento non era mai stato riconosciuto da Colois. Non per merito di qualcuno di loro, certo: Tellin non dubitava che lo zio Beir, durante i tremendi giorni del colpo di stato, successivi alla Festa di Primavera, avrebbe sottoscritto tremebondo qualsiasi resa e qualsiasi sottomissione. Ma le leggi di Colois, semplicemente, gli impedivano di farlo.
Per i corridoi si parlava tumano, e sempre più spesso questo avveniva anche nelle riunioni di gabinetto, alle quali Tellin si era costretta a ritornare dopo pochi mesi dalla morte di Tyal. In quei casi lei si rifiutava costantemente di rispondere o dar a vedere di aver compreso, nonostante fosse risaputo che padroneggiava perfettamente il tumano.
Era una delle poche soddisfazioni che potesse ancora permettersi di prendere nei confronti del Governatore e di tutta la sua corte, che aveva completamente sostituito quella che un tempo era stata la corte della Famiglia reale. Erano ospiti nella loro stessa casa, ridotti a chiedere il permesso per tutto. Per questo si erano sempre più asserragliati nella Casa, dove nessuno dava loro fastidio... non ancora, almeno. Tellin avrebbe voluto che i fratelli stessero sempre lì. Ma lei doveva uscire ed affrontare le umiliazioni quotidiane, se non voleva perdere completamente il controllo di quello che accadeva a Palazzo e al suo popolo. Così, aveva continuato. Era strano come tutto diventasse un’abitudine. Persino che il Reggente cedesse il passo al Governatore in tutte le cerimonie ufficiali, persino che si dovesse usare il tumano nei corridoi, per parlare con una semplice cameriera sconosciuta, persino che le ricorrenze colois non venissero più festeggiate e alla popolazione fosse imposto il calendario tumano, che contava i giorni in decadi e non in settimane (“per questo Colois è sempre stata così poco produttiva. Siete dei veri scansafatiche... per non parlare della scarsa precisione del calendario, con quei giorni eccedenti alla fine di ogni anno” aveva ripetuto più volte Naro alle riunioni di Gabinetto). La gente sbuffava, si lamentava, rumoreggiava. Nel contado, dove le riforme non erano ancora arrivate, nessuno si sognava di cambiare il calendario. Ma a Città di Colois tutti i negozianti ed i mercanti avevano dovuto adeguarsi, ed era triste, per chi ancora contava mentalmente il tempo alla vecchia maniera, vedere tutti affaccendati, nelle domeniche che un tempo erano state piene di canti e di gente che chiacchierava per le strade.
A tutto si faceva l’abitudine.
Persino all’assenza di Tyal. Anzi, Tellin da molto tempo a quella parte non pensava mai a Tyal: era troppo grande il pericolo di cadere nella tristezza, e lei non poteva permetterselo. C’erano troppe cose da fare e da pensare.
Per vivere si impara a dimenticare, qualche volta. Però, la stanza buia della sua memoria, quella da aprire il meno possibile, cominciava ad essere un po’ troppo piena, e qualcosa dei ricordi che era meglio cancellare, finiva per saltar fuori a caso, in momenti che sembravano tranquilli.
Come il ricordo del giorno in cui aveva sciolto il corpo della Guardia, dopo l’episodio dell’attentato al Reggente.
Molti, veramente, della ventina che erano in origine, se ne erano già andati per conto loro. Ma altri erano rimasti: fu a loro che Tellin aveva chiesto di andarsene.
Ricordava il congedo di Haru nel lungo corridoio buio e vuoto, appena fuori del vestibolo della Casa. Non lo aveva mai visto così arrabbiato e deluso. Negli ultimi due anni aveva fronteggiato la progressiva invasione tumana con calma e compostezza. Sciolta la Milizia, era diventato, nonostante la giovane età, come per una specie di beffa, la più alta autorità militare di Colois. Naturalmente questa altisonante realtà corrispondeva ad un potere pressoché nullo, parallelamente con il potere che rivestiva il Reggente o la Principessa Tellin stessa. I suoi giovani avevano difeso la Famiglia e salvaguardato la poca dignità rimanente, oberati dal troppo lavoro. Era stato lui a suggerire a Tellin di smettere di mangiare i pasti provenienti dalle cucine del Palazzo e di rimettere in funzione la cucina della Casa che i suoi genitori, anni addietro avevano chiuso, proprio per mandare al popolo il segnale che la Famiglia mangiava ciò che veniva cucinato per tutte le persone presenti nel palazzo. Così, Em, con l’aiuto di una ragazza Colois, aveva cominciato ad occuparsi anche dei pasti di Tellin e dei suoi fratelli. Haru aveva ragione di temere che Lord Naro meditasse seriamente di liberarsi di Tellin, così come aveva fatto con Tyal? Non era mai stato troppo esplicito su quel punto, ma Tellin si era fidata, ed aveva seguito il suo consiglio.
 La questione della successione era incerta, ammesso che si potesse parlare ancora di questioni dinastiche. Il Reggente era ancora chiamato tale, ma non era facile capire a chi reggesse il trono. Il regno si trasmetteva dinasticamente per via maschile da generazioni, ma l’unico erede maschio, dopo la morte di Tyal, era Putch, che oltre ad avere solo nove anni, non sembrava, man mano che cresceva, normalizzarsi nella sua malattia. Tellin sapeva, in cuor suo, che Putch non sarebbe mai potuto diventare re. C’erano notizie di periodi del regno in cui aveva regnato una regina, ma si trattava per lo più di madri vedove che avevano esercitato la reggenza per i figli maschi. L’unico parente maschio in vita oltre a Putch era Beir, il reggente, che non aveva figli. Haru aveva compreso che Tellin sarebbe stata il prossimo bersaglio.
Il  giorno in cui un uomo vestito di stracci, durante un’Udienza del Reggente (ancora venivano chiamate così, nonostante fosse risaputo che il pover’uomo non decideva nulla) era riuscito ad arrivare alla pedana del trono e quasi ad accoltellare Lord Beir, Haru, che si tratteneva come di consueto accanto a Tellin, seduta all’estremità sinistra della sala, lo aveva fermato lanciando un coltello che lo aveva trafitto alla schiena.
Era stato tutto così veloce che Tellin non era neanche riuscita ad accorgersene. L’uomo era morto poco dopo, e Lord Naro aveva biasimato il fatto increscioso verificatosi. E Tellin aveva ritenuto inutile chiedere come fosse possibile che un attentatore fosse riuscito ad arrivare al Reggente sfuggendo i ferrei controlli esercitati dalle guardie tumane su chiunque entrava ed usciva dal palazzo. Il giorno dopo, tremante di rabbia e compassione, aveva ascoltato lo Zio Beir, più abbattuto che mai, rimproverare Haru e sospenderlo dal servizio perchè aveva osato portare su di sé ed utilizzare in presenza del Reggente un’arma non regolamentare.
Era stata quella sera che Tellin aveva ordinato ad Haru di andarsene. Sciogliere la Guardia non era in suo potere, naturalmente, ma ingiunse semplicemente ai cinque uomini rimasti di lasciare il servizio. Gli altri, sebbene riluttanti avevano accettato. Haru, invece, furente in volto, era venuto alla Casa ed aveva preteso di parlarle.
-Non vi aspetterete davvero che vi lasciamo sola, non è così?- aveva sbottato, dall’alto della sua stazza imponente. Tellin, che era rimasta piuttosto bassa, doveva rovesciare indietro la testa, per guardarlo in faccia. Si era sforzata di portare pazienza e di rispondere in maniera ragionevole ai suoi modi bruschi. Anche Haru la trattava come una bambina, ma almeno non aveva cattive intenzioni verso lei ed i suoi fratelli.
-Haru, se resterete, troveranno il modo di farvi andare loro. Quello che è successo oggi non ti ha insegnato nulla?
-Tellin, se restate soli, uccideranno anche voi. O potrebbe succedere di peggio.
-Non vedo cosa possa esserci di peggio- si era sforzata di ridere Tellin.
-Si parla di farvi sposare Lord Naro.
Il silenzio era sceso per un momento, mentre il cuore di Tellin mancava di un battito.
-Anche se fosse- proseguì, con uno sforzo eroico –anche se fosse, tu non potresti fare nulla.
-State commettendo un errore, Tellin. E inoltre io ho giurato fedeltà alla Famiglia.
-Obbedire a un mio ordine non è venir meno alla fedeltà.
-Questo dipende dall’ordine, Tellin.
-Oh, questa è proprio filosofia da quattro soldi, Haru. Pensavo che alla scuola dell’Accademia tu fossi tra i migliori. Da quando in qua la fedeltà consiste nel vagliare gli ordini e scegliere quelli che più ci aggradano?
-Damigella, siete troppo colta e intelligente per non sapere che la fedeltà vera non corrisponde alla semplice esecuzione degli ordini. Se voi in preda alla follia mi ordinaste di uccidere voi stessa o uno dei vostri fratelli, sarebbe lealtà la mia obbedienza?
-Stai insinuando che sono pazza?
-Sto solo cercando di dimostrarvi che non sempre l’obbedienza è lealtà, perchè non mettiate più in dubbio la mia formazione filosofica, damigella.
-Non la metterò più in dubbio. Ma ti ordino di andare, e ti ordino di obbedire a quest’ordine.
-Tellin...
-Haru, basta giocare! L’ordine di lasciare il palazzo non ti scioglie dal giuramento.  Io, la principessa, nonché probabile erede al trono di Colois, ritengo che tu potrai essere più utile a Colois ed alla Famiglia fuori di qui. Quale servizio fedele potrai prestarmi quando sarai morto, o finirai agli arresti, proprio non lo so.
-E quale servizio potrò prestarvi quando sarete morta voi?
-La tua fedeltà non è a me ma alla Famiglia. Vattene stanotte stessa.
Haru l’aveva guardata con lo sguardo duro, di antipatia, che le riservava durante i loro screzi di tanti anni prima. Ma un’ansia nuova colorava quello sguardo.
-State dicendo davvero?
-Perché lo metti in dubbio?
-Se è così... se è così...- esitava, fissandola come se si aspettasse che Tellin finisse per rimangiarsi tutto se avesse atteso abbastanza a lungo.
Tellin sbuffò, esasperata. Voleva concludere quel colloquio il prima possibile, prima che le ginocchia le cedessero e la lingua si seccasse, e lei fosse costretta a scoppiare a piangere e implorare effettivamente Haru di rimanere, perchè non le era rimasto più nessuno.
-E’ così. Vai... non ti do neanche istruzioni, mi fido di te. Fai quello che puoi per... per Colois- buttò là vagamente, in tono che sperava sarebbe suonato definitivo.
Un lungo, lunghissimo sguardo degli occhi castani di Haru. Poi lui aveva chinato il capo, e molto lentamente si era inginocchiato.
-Se davvero lo volete... io... andrò. Beneditemi.
Tellin gli posò una mano sulla testa, cercando di trattenere il tremito che la scuoteva. Mormorò una benedizione.
Lui si rialzò. Chinò il capo rispettosamente, poi la fissò un’altra volta prima di voltarle le spalle.
Un attimo dopo, il buio del corridoio ne aveva inghiottito la figura. Era stata l’ultima volta che Tellin l’aveva visto.
 
Così erano rimasti soli, in giornate sempre uguali a se stesse. L’estate stava tornando un’altra volta, e quel settembre sarebbe stato il suo diciottesimo compleanno. Tellin appoggiò la testa ad una delle colonne del portico, godendosi il sole, presa da mille pensieri. Le piaceva quella posizione nel portico interno. Dalle ampie vetrate poteva sorvegliare le stanze che si affacciavano sul chiostro della Casa, e sorvegliare soprappensiero le attività dei fratelli. Si rendeva conto che negli anni era diventata ossessiva nei loro confronti, ma l’esigenza di tenere unito il piccolo gruppo familiare rimasto era una necessità primaria, che non assecondata le provocava un’ansia che non riusciva a controllare. Probabilmente era già diventata vecchia: si sorprendeva a parlare loro come avrebbe fatto Em, con gli accenti di una vecchia chioccia. Contava e ricontava tutti come un piccolo gregge: Aline (che stava studiando Istituzioni Politiche come Tellin le aveva ordinato, ma senza molta voglia, a giudicare da quanto spesso i suoi occhi correvano fuori dalla vetrata attraverso cui la sorella la osservava da lontano), Putch ed Ilina intenti in qualche gioco, sorvegliati a vista da Em che rammendava sulla sedia a dondolo nella stanza dei Giochi. La voce acuta di Ilina le giungeva a sprazzi, quella di Putch era troppo bassa perchè potesse farsi sentire. E del resto Putch parlava molto poco. Poi, dall’altra parte del chiostro, Eloise, che stava impastando il pane nella Cucina Interna. Eccola, la loro piccola truppa, contata e ricontata ogni giorno. Eloise era fidanzata con un giovane commerciante che non vedeva mai perchè entrare ed uscire dal palazzo era sempre un’odissea. Avrebbe voluto sposarsi: era venuta a parlargliene il giorno precedente, le lacrime agli occhi, preoccupata di darle un dispiacere. Aveva dovuto incoraggiarla e rassicurarla: era diventata bravissima in questo tipo di cose. Ma intanto pensava che presto avrebbero dovuto trovare qualcun altro che venisse ad occuparsi della cucina, e che considerata la reclusione forzata non si trattava di un posto ambito. Si chiese se non avrebbe dovuto per caso rimboccarsi le maniche e pensarci lei, ma a parte il fatto che Em glielo avrebbe impedito, non ne avrebbe probabilmente avuto il tempo.
Con un sospiro si alzò, considerando terminata la pausa che si era presa, ed entrò nella stanza dove Em sorvegliava i due piccoli.
-Eloise si vuole sposare- esordì. Em era ancora il suo punto di riferimento per tutte le cose più pratiche.
Lei sollevò la testa appena.
-Me l’immaginavo- aveva le labbra strette, e disapprovava totalmente, era evidente. Em aveva una fedeltà canina, indistruttibile, e pensava che tutti fossero come lei. Forse pensava che Eloise avrebbe dovuto restare a cucinare per loro tutta la vita.
-Mi sembra legittimo, no? Perchè fai quella faccia?- disse Tellin, sedendosi accanto alla balia e guardandola lavorare con perizia sulla fodera interna di uno dei suoi vestiti cerimoniali.
Em sbuffò, scontrosa, poi la guardò dritta in faccia:
-Quando Eloise andrà via non ne troveremo mai un’altra, Tellin.
-Sei ottimista, oggi.
-Tellin, non essere ridicola. Questo è il palazzo dei Tumani, adesso. La gente andrebbe in miniera piuttosto che venire a lavorare qui, e lo sai che qualcuno è stato costretto.
-Non si tratterebbe di lavorare per i Tumani, ma per la Famiglia!- obiettò Tellin, un po’ risentita.
Em sospirò, le diede un’occhiata in tralice e poi tenne dritto davanti a sé l’abito che aveva approntato.
-Devi provartelo, ti serve per dopo. Andiamo nella tua stanza.
Tellin la seguì docile, con uno sguardo ai fratelli che giocavano, consapevole che Em voleva parlarle da sola. Quando furono sole, Em chiuse la porta, e cominciò a parlare mentre la svestiva con gesti bruschi ed esperti, come se Tellin avesse avuto l’età di Ilina. Lei non cercò neanche di schermirsi.
-Tellin, sono secoli che la gente non vi vede. Intendo te ed i tuoi fratelli. La Balaustra è chiusa da...
-Da due anni. Em, hanno murato le finestre, cosa posso farci se...
Dalla parte opposta alle stanze private, il chiostro interno della Casa si apriva su due vaste sale di rappresentanza, affacciate ad un’ampia terrazza dalla balaustra marmorea che dava sulla Piazza della città, alta soltanto un paio di metri. In tempi più felici, i loro genitori l’avevano usata regolarmente, quasi ogni giorno, come una sorta di contatto informale della Famiglia con il popolo. Per le richieste e le lamentele dirette al Re, c’erano le udienze, che si tenevano nel Palazzo, ma la Balaustra della Casa era usata spesso per richieste minori, regali, a volte semplicemente brevi scambi di battute tra i sovrani ed i più audaci e meno timidi tra i cittadini. Naro aveva fatto murare le finestre d’accesso alla balaustra un anno dopo la morte di Tyal, all’incirca. Per ragioni di sicurezza, naturalmente.
-Lasciami parlare, bambina!
Em le gettò sulla testa la veste, grande e pesante come una tenda, e Tellin riemerse circondata da scoscese vallate di stoffa azzurrina, che Em prese ad aggiustarle lisciando le pieghe.
-La Famiglia non è più benvoluta come un tempo.
-Credi che non lo sappia? Le vedo le facce di quelli che vengono alle udienze dello zio.
-Non è solo vostro zio. Naturalmente lo detestano tutti per la sua debolezza.
-Non ce l’avranno con noi?- insorse Tellin, la voce che le si faceva stridula per l’esasperazione. Em prese a stringere il corsetto, quasi soffocandola:
-Non è colpa vostra, Tellin, ma la gente è fatta così.
-Così come? Io faccio il possibile per...
-La Famiglia è invisibile per il popolo da oltre due anni, e lo sapete. Sono governati dagli stranieri, e la Famiglia non fa nulla. E quel che è peggio, è che non si fa vedere.
Tellin rimase in silenzio mentre Em finiva di aggiustarle il vestito, per poi osservarla scettica nello specchio ovale che le rifletteva entrambe:
-Non credo che ti permetteranno a lungo di indossarlo, è di una stoffa troppo chiara per gli usi tumani- osservò, critica.
-Beh, che me lo sequestrino, allora. Che vuoi che me ne importi degli usi tumani?- sbottò Tellin, per poi aggiungere, ancora tutta presa dalle parole di poco prima:
-Cosa possiamo fare? Siamo murati qui dentro. Non è che posso mettermi a picconare i mattoni messi alle finestre. Con che cosa, poi? Con un candelabro? Mi vedono alle udienze, che posso fare di più?
-Bambina, non devi certo giustificarti con me.
Dall’altra stanza, Ilina chiamava con insistenza, ed Em finì di tirarle l’ultimo laccio e la lasciò davanti allo specchio, a contemplare la sua immagine pallida.
Era tipico, tipico di Em farle presente un problema di cui non si era accorta, o che aveva considerato solo vagamente, e poi lasciare che lo risolvesse. Non che Em fosse insensibile nei suoi confronti, ma era del tutto incapace di moderare i suoi atteggiamenti bruschi. Soprattutto su cose del genere. Avrebbe lasciato che si macerasse per qualche giorno, e poi avrebbe buttato là qualcosa che la facesse muovere in una qualche direzione.
Sedette lentamente sulla scranna, mentre la seta pesante che la avvolgeva come un bozzolo frusciava, ripiegandosi su se stessa. Tyal avrebbe saputo cosa fare. Tyal piaceva a tutti.
 
Il Reggente occupava degli appartamenti situati all’estremità opposta del palazzo, rispetto alla Casa, e Tellin si sentiva spesso in colpa per il sollievo che ne provava. La verità era che, se non avesse esercitato una vigilanza costante sul suo cuore, avrebbe finito per odiare lo zio con ferocia quasi maggiore dell’odio che riservava a Naro. Ma Tyal aveva sempre detto che si doveva portare pazienza con lo zio, perchè non tutti nascono coraggiosi, e le continue umiliazioni a cui era sottoposto gli rendevano già la vita un inferno. Al tempo Tellin aveva discusso vivacemente questa tesi. Ma Tyal era morto, e lei faceva il possibile per comportarsi come pensava che avrebbe fatto lui. La sua vita navigava alla cieca, e la cosa la avrebbe spaventata forse meno se non avesse sentito il peso dei fratelli minori aggrappati alle sue gonne, e l’unica cosa che le sembrava sensata era cercare di pensare come Tyal. Il che naturalmente era frustrante, perchè lei era irrimediabilmente Tellin.
Le stanze del Reggente erano assurdamente piene di guardie Tumane, lì per la sua sicurezza, naturalmente. Tellin sospettava che lo sorvegliassero persino sul trono di legno che sovrastava il vaso da notte. Dovette farsi largo tra un viavai di gente che affollava l’anticamera e lo studio, poi discutere con un energumeno in divisa scarlatta che piantonava la porta, prima di raggiungerlo, avvolto in una veste da camera e seduto su una poltrona. Si stava riprendendo da un attacco di stomaco che lo aveva debilitato per due giorni, uno dei tanti: la sua salute si era fatta particolarmente incerta dopo la morte di Tyal. Discuteva lamentoso con un inserviente che aveva spalancato le finestre mentre puliva la stanza, che lo ignorava in modo così arrogante che Tellin lo trovò surreale.
Andò lei personalmente a chiudere le finestre, e poi spedì via il domestico, che la guardò ostile, ma non osò replicare ed uscì.
-Basta un po’ di polso, zio!- fece Tellin quando furono soli, voltandosi verso il convalescente, per mordersi la bocca subito dopo. Trattando lei stessa lo zio con poca deferenza, non poteva sperare che riuscisse mai a farsi rispettare da gente che non aveva il minimo motivo per farlo.
-Non mi sento bene- mugugnò lui in risposta. Aveva un aspetto assolutamente poco sano: Tellin si meravigliò di quanto fosse pallido ed emaciato. Erano svariate settimane che non aveva l’occasione di vederlo da vicino, per di più senza il paludamento delle vesti ufficiali.
-Lo vedo. Me ne dispiace. Ancora lo stomaco?
-Non mi dà pace. Il Medico Galo dice che forse gli umori sono squilibrati, e la bile...
Tellin si morse le labbra. Galo era il medico personale di lord Naro. Era ridicolo sentirselo citare come la bocca della verità. Insisteva con quelle teorie mediche antiquate, che un medico Colois avrebbe liquidato con un sorriso sprezzante. Umori, elementi, salassi... eccola qua la grande medicina di Galo. Buon per lui che Lord Naro fosse un uomo di robusta costituzione. Suo zio evidentemente non lo era.
-Zio, perchè non provi a farti visitare da... da uno dei nostri medici, insomma? Mastro Temest non è più a palazzo- era stato lo stesso Beir a mandarlo via, dopo che si era occupato della Famiglia per decenni –ma in città ci sono dei bravi medici, e forse se ne facessi convocare uno...
-No, no...- lo zio si agitò subito, diventando rosso e sudato. Sbatteva gli occhi ciliosi spessissimo, e la guardava spaventato: -Lord Naro la interpreterebbe come una grave scortesia, e...
Del tutto inutile ribattere ad un argomento del genere. Tellin aveva imparato a non sprecare il suo tempo esplorando l’animo dello zio per rintracciare qualche resto del rispetto di sé, ma forse si poteva tentare per un’altra via:
-Putch ha bisogno di essere visitato, comunque. Ha avuto un attacco, di recente, e...
-Un altro?
Non capiva perchè la notizia sembrasse sconfortarlo tanto, visto che non si era mai interessato di Putch. Comunque proseguì imperterrita:
-...se facessi chiamare Mastro Temest, come l’anno scorso, per Putch, non potrebbe visitarti senza dare troppo nell’occhio?
-Io... forse, in effetti... Galo sostiene che dovrei salassarmi ancora, ma...
Tellin lo guardò immergersi in una tormentosa meditazione. Sicuramente valutava le possibilità. A questo erano ridotti. Una gastrite-ragion di stato. Attese pazientemente, ma lo zio sembrò aver accantonato momentaneamente la questione, perchè quando rialzò il capo cambiò argomento:
-E Putch, dicevi che è stato di nuovo male?
-Sì, zio. Un attacco breve, per fortuna. Ha dormito solo per qualche ora, dopo.
-Ha almeno imparato a leggere?
-Lui... ha i suoi tempi. Sta migliorando.
-Non sa ancora leggere?
-Sa leggere. Scrive con qualche difficoltà.
-E la storia politica? La retorica? La filosofia?
Attenta a non far filtrare l’impazienza nella voce, Tellin replicò calmissima:
-Ti ricordo che non abbiamo più precettori, zio. Ad Allin e Putch faccio lezione io.
-Naro ha detto che...
-Se Lord Naro mi procurerà precettori Colois per insegnare a principi Colois, sarà tutto sistemato. Ma per quanto riguarda Putch, zio, io non credo che si possa... pretendere...
Sentì le lacrime montare, e strinse i pugni. Come si permetteva, come si permetteva di fare osservazioni su Putch e quanto fosse inadatto, o poco portato per gli studi, dopo anni in cui non aveva avuto la forza di lottare per nessuno dei loro interessi, per non parlare degli interessi di Colois?
Lo zio si raddrizzò, corrucciato, tormentandosi le mani:
-Putch non potrà salire al trono, vero?
Tellin sgranò gli occhi, incredula:
-Quale trono?- chiese, quasi violenta nel sarcasmo.
-Lord Naro mi ha parlato della successione.
-Non sono affari suoi, ma tuoi. Sei il Reggente, zio, e forse è anche ora che tu diventi Re.
Non una bella prospettiva, per il paese. Ma cos’altro poteva fare? Forse, dando allo zio un po’ più di autorità sulla carta, si poteva sperare che la rivendicasse anche nella realtà.
-Re? Io! Bambina, cosa stai dicendo?
-Beh, a chi stai reggendo il trono?
-Dopo la disgrazia di Tyal...
-Non è stata una disgrazia!
Il Reggente impallidì, voltandosi a guardare la porta con gli occhi sgranati. Tellin era fuori di sé per la rabbia.
Io ci ho provato, ad avere pazienza, Tyal, ma questo no, questo poi no...
-Sei impazzita? Abbassa la voce! Dopo la morte di Tyal il successore sarebbe Putch, ma...
-Mi sembra evidente che Putch non può regnare. Il successore sei tu.
-Tellin, io non ho figli! E comunque non... un ruolo così perico... così oneroso, io non posso, e...
-E vorresti designare Putch? E’ Naro che ti ha detto questa sciocchezza? Beh, ha sbagliato bersaglio. Se crede che gli lascerò mettere Putch su un piedistallo con su scritto “Erede” perchè i suoi lancieri possano prendere la mira meglio quando cercheranno di... di farlo fuori...
Non avrebbe voluto piangere, ma le lacrime avevano rotto gli argini. Lacrime di rabbia stizzosa.
-Naro non ne ha alcuna intenzione. E se Putch non ha le capacità non posso proprio contraddirlo.
-Beh, allora proprio... proprio non capisco di cosa stiamo parlando.
-Tu diventerai maggiorenne ad ottobre, Tellin.
Lei lo guardò senza capire. Le stava offrendo il trono?
-Sono una donna.
-Naro mi ha chiesto la tua mano.
 
Era strano quanto poco si sentisse colpita da quella notizia. Haru l’aveva avvertita prima di andarsene. Quanto tempo prima era stato, due anni?
E lei non era così ingenua da non averci mai pensato veramente. Mentre tornava verso la Casa, sfiorando senza vederli i funzionari, i domestici, le mille persone sconosciute che affollavano il Palazzo, si rese conto che non aveva fatto che rimandare il momento di rifletterci seriamente, sperando che non dovesse arrivare mai.
Ma quello che l’aveva colpita con la sua evidenza, nel momento in cui lo zio le aveva comunicato la notizia, era un altro fatto: e cioè che secondo quel nuovo progetto del governatore, il Reggente era un personaggio d’intralcio. E negli ultimi tre mesi lo zio era stato continuamente indisposto. Una bella combinazione per Naro.
Ripensò al viso emaciato, al colorito verdastro, al vomito che, a quanto riferivano i domestici, era incessante quando lo zio aveva uno dei suoi attacchi.
Lo stanno avvelenando.
Una morte meno eclatante di quella di Tyal.
Si fermò barcollando, appoggiandosi ad una colonna del lunghissimo corridoio. Sentiva il pavimento oscillare sotto di sé.
Quello vuole ucciderci tutti.
“Tellin, se restate soli, uccideranno anche voi. O potrebbe succedere di peggio.”
O forse no.
Se lo sposassi proteggerei i piccoli...
Probabilmente era un’insensibile a non dedicare più di qualche istante al pensiero che suo zio forse veniva avvelenato, ma doveva pensare ai suoi fratelli, e...
-Vi sentite male?
Chi l’aveva apostrofata era una giovane cameriera tumana, occhi e capelli di un castano caldo e scuro. L’accento strano fu sufficiente a far ritrarre Tellin, che riprese a camminare senza rispondere, anche se nel tono della ragazza non c’era altro che premura sincera. Stava diventando paranoica? Credeva che esistessero solo buoni e cattivi al mondo? E allora lo zio Beir da che parte stava? Era giusto lasciarlo al suo destino?
I pensieri le rimbalzavano in testa frenetici. Aveva voglia di urlare.
 
Mastro Temest lasciò il polso di Putch, che si era fatto visitare docilmente, e gli disse che poteva rivestirsi.
-Mi sembra che stia benone. La cicatrice che gli ho visto sulla fronte, come se l’è procurata?
-Ha sbattuto contro un mobile durante il penultimo attacco, quasi sei mesi fa.
-Ha cicatrizzato bene.
-Sì. Mastro Temest...
-Damigella?
-Ho bisogno di consultarvi in merito ad una questione molto grave.
L’anziano medico fissò corrucciato Tellin, e sedette sulla scranna che lei gli indicava. Non era per niente contento di trovarsi nel palazzo: sua moglie non avrebbe voluto che andasse, quella mattina. Arrivare fino alla Casa era stato un’interminabile odissea di controlli da superare e umiliazioni da subire. Nel palazzo si entrava con difficoltà, e qualche volta non si usciva proprio: solo il fatto che la Principessa lo avesse caldamente pregato nella sua missiva lo aveva convinto a venire.
-Immaginavo che non fosse una questione riguardante vostro fratello, damigella.
-Mio zio soffre da mesi di acuti dolori al ventre.
-So che Sua Altezza è seguito dal medico personale di Lord Naro- replicò Temest impassibile. Era un uomo di scienza, o almeno cercava di esserlo, e la bassa stima che aveva dei praticanti tumani non era così forte da fargli rischiare di compromettersi dicendo cose poco prudenti, persino in un ambiente, almeno apparentemente, sicuro, come era la Casa, e con una interlocutrice che non faceva mistero dei suoi sentimenti antitumani.
-Non credo che Messer Galo sia in grado di risolvere il problema di mio zio, mastro Temest. Se voi foste disponibile a visitarlo...
Temest guardò la fanciulla con compassione. Proprio viveva fuori dal mondo.
-Damigella, io vivo del mio lavoro. Se gli uomini del Governatore mi ritirassero la licenza, o...
Lei sembrò mortificata, ma non si lasciò smontare.
-Capisco. Allora forse vorrete darmi un parere sui sintomi che io posso descrivervi?
Temest annuì controvoglia. Almeno questo... almeno questo poteva farlo.
 
Aggiornamento più veloce la prossima volta! Promesso!
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Avventura / Vai alla pagina dell'autore: orual