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Autore: voiceOFsoul    19/12/2011    1 recensioni
Bree, a causa di un incidente, ha perso momentaneamente la memoria. Dovrà ricostruire quello che le è successo in questi tre mesi "di buio" aiutata da qualsiasi cosa riesca a sollecitare in lei un ricordo, un "fulmine" come li definisce lei.
Cosa sarà successo e cosa succederà ancora?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Perché stai andando verso casa mia Gigì? -
- Perché devi cambiarti. -
- Cosa? Per quale motivo? -
- Ti spiego subito. - Ultima curva e lascia la macchina quasi in mezzo alla strada di fronte casa mia. Scende continuando a parlare. La seguo mentre butto un occhio verso la festa che sembra continuare a pieno ritmo. - Abbiamo la sensazione che c'è qualcosa che non va, giusto? -
- Che centra questo? - Apro la porta.
- Eccome se centra! Se devi mollarlo devi essere stupenda per farglielo rimpiangere. -
Mi fermo sulla porta e la guardo mentre va spedita verso la mia stanza. Si accorge che non la sto seguendo e si volta a guardarmi a sua volta. - Che hai da stare lì impalata? -
- Sto cercando di interpretare quello che hai detto. -
- Non volevo dire che non sei stupenda anche così, ovviamente. -
- Non mi riferivo a quello. Perché dovrei mollarlo? -
Silenzio per pochi attimi, poi gira i tacchi e si infila in camera mia. - La mia era solo un'ipotesi. - Mi urla da dentro. Mi muovo per raggiungerla, mentre aggiunge. - Se non è nulla e risolvete tutto, tanto meglio. Ti sei fatta bella per una serata col tuo uomo. Magari questa è la volta buona che riuscite a combinare. -
Sono sulla porta a guardarla frugare il mio armadio. Continuo a non ritenere necessario cambiarmi, ma so che se si è fissata così nulla potrà farle cambiare idea e insistere servirebbe solo a perdere tempo. Ed io non ho tempo da perdere. Voglio e devo chiarire questa storia che mi puzza di bruciato. Anzi, di marcio.
Gigì tira fuori dall'armadio il mio vestito rosso, l'unico vestito rosso che possiedo, l'unico che è riuscita a farmi acquistare. Un semplice vestito estito, con una piccola manica a coprire la spalla e una scollatura morbida. Sagomato fino in vita, scende poi morbido sulle gambe coprendole fino a poco prima del ginocchio. Mi tolgo in fretta tutto e lo infilo velocemente, mentre Gigì continua a frugare finchè non trova i miei sandaletti. Infilo anche quelli. Mi guardo allo specchio, passando le mani tra i ricci sistemandoli un po'.
- Adesso possiamo andare? - Mi volto verso di lei.
Mi fissa a bocca aperta. - Amore se quello stasera non ti scopa, ti scopo io! -
Sgrano gli occhi. - Che cazzo sei scema? -
- Sei così... così... sexy e bella e naturale. Sei perfetta. -
Riprendo a fissarla seria. - Possiamo andare? -

- Eccoci arrivate. - Gigì si accosta senza spegnere il motore.
Fisso fuori dal finestrino. Guardo quell'immensa casa, ma non ho il coraggio di scendere. Il mio ginocchio trema, trema da impazzire da quando siamo uscite da casa mia. Qualcosa succederà stasera e ho paura che non sia niente di positivo. Gigì poggia le sue mani sulle mie. - Stai bene? -
- Sì. - Risposta troppo immediata, troppo secca e accompagnata da un sorriso troppo finto per essere vera.
- Non dire cazzate. Ti sta pulsando il ginocchio. Lo vedo da qui. -
Ha ragione. Pulsa così forte che le contrazioni si notano ad occhio nudo. - Sono solo un po' nervosa. -
- Bree, dimmi la verità. Di cosa hai paura? -
- Di trovare qualcosa che non voglio vedere. -
- Bree. - Mi prende il viso tra le mani. - Steve ti ama. Lo sappiamo tutti. E non perché te lo dice, no. Per come ti guarda, fin dalla sera in cui ci siamo conosciuti. Per come ti accarezza, quasi avesse paura di romperti. Si vede lontano un miglio che è pazzo di te. Vedrai che è stato tutto un grande equivoco. Ci riderete sopra e tornerete più tranquilli di prima. -
Non so se lo pensa davvero e non voglio neanche pensarci sopra. Probabilmente lo sta dicendo per tranquillizzarmi e a me sta bene così. - Ok. - Sospiro ed apro lo sportello. - Tu vai. -
- No, ti aspetto qui. -
- No, torna da Joshua al locale. -
- E nel remoto caso che non fosse a casa? -
- C'è la macchina nel vialetto. - Gliela indico. - Quindi è sicuramente qui. Qualsiasi cosa dovesse succedere non credo che mi lascerebbe per strada. Mi farò riaccompagnare da lui. O chissà... - Un altro sospiro. - Magari passerò la notte qui. Quindi tu torna al locale e stai col tuo ragazzo. -
Mi guarda abbastanza indecisa. - Facciamo così. Io aspetto dieci minuti. Se non ti vedo uscire vuol dire che tutto sta andando bene e vado via. -
- Patto? - Le porgo la mano destra.
- Patto! - La afferra sorridendo.
- Spero che arriverai ad andare via. -
- Lo spero anch'io. Adesso vai. -
Le bacio la guancia e scendo dalla macchina.
Percorro piano il vialetto che mi conduce sul retro della casa, all'ingresso della depandance. Tanto piano che potrei contare ad uno ad uno tutte le margheritine che spuntano dalle aiuole che lo costeggiano. Ad ogni passo il mio cuore ha già fatto venti battiti e il mio stomaco almeno due capriole. Il ginocchio pulsa, ma non è il solo. Sto tremando come una foglia, lo sento. Getto l'occhio verso la piscina. Al ricordo del nostro bagno completamente vestiti mi nasce spontaneo un sorriso. Ferma davanti alla porta della depandance non riesco a decidermi a bussare. Da dentro non proviene nessun rumore. Cerco di sbirciare oltre i vetri, ma stranamente l'enorme tenda bianca è chiusa e mi impedisce di vedere bene cosa succede dentro. Dai Bree, respira profondamente. Prendi coraggio. Che poi, a cosa ti serve il coraggio? Dentro c'è solo il tuo ragazzo un po' malaticcio. Sarà sicuramente a letto o davanti alla tv con un piumino addosso. Sarà contento di vederti arrivare, gli farai una bella sorpresa. Lo coccolerai un po', lo convinverai a farsi misurare la febbre e a farti preparare un po' di the e poi passerai la notte a curarlo con tanto amore. Cosa c'è d'aver paura? Dai, Bree, non fare la tragedia greca come il tuo solito. Guardo l'orologio. I primi cinque minuti sono già volati via. Chiudo gli occhi e ispiro profondamente riempendomi i polmoni di odore di erba appena annaffiata. Li apro fissando la maniglia della depandance. Alzo il pugno e lo avvicino alla porta. Conto a bassa voce. - Tre, due, uno. - Altro respiro profondo. Serro gli occhi per farmi coraggio e busso. Toc, toc. Due colpi secchi, brevi e chiaramente udibili.
- Chi è? - La voce di Steve mi risponde quasi subito.
- Steve, sono io. - Forse parlo troppo piano per farmi sentire bene, ma la voce non si decide ad uscire decentemente. Una strana ansia mi blocca i suoni in gola.
- Chi è? - Ripete più forte. Non deve avermi sentito. Sento rumori provenire dall'interno ma non riesco a percepire nulla.
- Io. - Ripeto a voce un po' più alta.
- La porta è aperta. -
Afferro la maniglia e la apro. Steve mi da le spalle. Si trova accanto al letto ed indossa solo un paio di jeans. - Ciao amore. -
Parlo piano, ma stavolta mi sente bene. Si volta, sconvolto. Gli occhi sbarrati, il viso pallido, le guance rosso fuoco. - Bree? Che... che cosa ci fai qui? -
- Non hai capito che ero io? - Chiedo confusa, richiudendomi la porta alle spalle.
- Credevo fosse mia madre. -
- Se ti da fastidio vado via immediatamente. - Riafferro la maniglia.
- No, no. Scherzi? - Viene verso di me e mi afferra per il braccio tirandomi gentilmente verso il divano. - Perchè dovrebbe darmi fastidio? - Si siede.
Mi accomodo accanto a lui continuando a scrutarlo. Ha un'aria strana, troppo strana. La sensazione che ci sia qualcosa che non va per il verso giusto aumenta sempre di più. Sembra quasi me quando da piccola rompevo qualcosa e mentivo spudoratamente giurando e spergiurando di non averla mai toccata.
- Come mai sei venuta? -
- Joshua mi ha detto che sei andato via perché stavi male. Volevo farti una sorpresa per tirarti su di morale. Ma non sembra che tu stia tanto male. -
- Sei stata al locale? -
- Sì. Eravamo venute per farvi una sorpresa. Joshua era parecchio incasinato perché il locale si è riempito dopo che sei andato via. -
- Mi dispiace di averlo messo nei casini. Non mi sentito tanto mene. - Si porta la mano alla tempia e inizia a massaggiarsela. - Non sto benissimo nemmeno adesso in effetti. -
- Avrei detto il contrario. -
Mi sorride. Sorriso dolce, potrebbe anche ingannarmi se i suoi occhi non fossero nettamente bugiardi. - Sono felice di vederti perciò sto un po' meglio. -
- Cosa ti senti? - Dico fredda, distante, mentre schivo le sue mani che tentano di prendere le mie.
- Che ti prende, Bree? Sei arrabbiata per qualcosa? -
- Ti ho solo chiesto cosa ti senti. Tutto qui. - Non potrà mai credere che non sono arrabbiata. Lo capirebbe anche uno sconosciuto.
- Ho mal di testa e un po' di vertigini. Devo aver preso un po' troppo sole. - Mi fissa con occhi colpevoli. Sì, c'è qualcosa sotto. E sa che so. O almeno sa che ho capito qualcosa.
Non dico nulla. Nel silenzio sento il rumore della macchina di Gigì che riparte. E' già passato così tanto tempo? Guardo l'orologio. Sì, sono volati anche più di dieci minuti in realtà. Adesso siamo davvero solo io e lui.
- E allora? Mi dici cos'hai? E' successo qualcosa? -
- Sono io che dovrei chiedertelo, lo sai? -
- C-che vuoi dire? -
- Ammetti di essere stato strano oggi o mi sono inventata che stasera non mi hai minimamente calcolato? - Silenzio. - Mi hai fatto una chiamata stranissima per dirmi di non venire al locale, non mi hai risposto quando ti ho scritto che mi mancavi, sono venuta a farti una sorpresa al locale e te ne eri andato senza avvisarmi, stai male e non mi dici nulla, arrivo qui e sei più strano di prima. -
- Amore devi credermi, non è successo nulla. Mi sento a pezzi e non riuscivo nemmeno a pensare. Per questo non ti ho chiamato, non ti ho risposto e non ti ho avvertito. Volevo solo arrivare a casa e mettermi a letto. -
- Eppure non ti ho trovato a letto. -
Mi fissa di nuovo sbarrando per un attimo gli occhi. Deglutisce. Ha capito, certo che ha capito. Sa che il giudizio è stato emesso. Spalle al muro, aspetta solo l'esecuzione. Restiamo in silenzio. L'unico rumore è quello di una macchina che si ferma. Devono essere tornati i tuoi.
- Bree, se sei venuta qui per litigare, sappi che non è serata. Sto male e non è proprio il caso. - Si alza dal divano.
Mi alzo insieme a lei. - Mi stai dicendo un pugno di stronzate e lo sai meglio si me. -
- Ti ho detto che non voglio litigare. - Si avvicina alla porta. - Se vuoi litagare vattene adesso. - La apre senza pensarci su due volte.
Sono sicura che se avesse riflettuto almeno un secondo in più rendendosi conto di cosa ci fosse lì dietro, non avrebbe mai aperto quella stramaledetta porta.

   
 
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