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Autore: Carmilla Lilith    19/12/2011    3 recensioni
Nel carcere c’è un prigioniero che ha rinunciato alla sua ora di libertà. Preferisce scrutare il cielo che respirare la stessa aria di un secondino…
Storia partecipante al contest "Faber Crossover - Un contest in direzione ostinata e contraria" indetto da Xavisio Bluttemberg sul forum di Efp.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'ora di libertà
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Mi affaccio alla finestra, come ogni giorno, e mi perdo nella contemplazione di quel minuscolo ritaglio di mondo che ancora posso ammirare: la nebbia si sta levando, silenziosa, dai campi innevati che circondano il carcere. La sagoma del campanile di San Giorgio è offuscata dalla nebbia, sembra quasi che sia una torre incantata quella che si sta staglia contro il gelido cielo di Dicembre. Tutto intorno a me suggerirebbe quiete e silenzio, ma le voci degli altri carcerati, radunati nel cortile per godersi la loro “ora di libertà”, riempiono l’aria di urla ed imprecazioni. Ed è questa, per voi, la libertà?Ammassarsi come pecore in uno spazio aperto, respirando la stessa aria che respirano quegli aguzzini dei secondini vi fa davvero sentire più liberi?
Preferisco starmene nella mia cella, da dove posso almeno sbirciare il cielo.
 
“Detesto l’inverno” mormora una malinconica voce alle mie spalle.
Non mi volto nemmeno, so già chi divide la cella con me durante l’ora d’aria: una figura evanescente, tanto simile alla nebbia perlacea che sta ricoprendo il paesaggio. Un giovane uomo, consumato dalla fatica e dagli stenti, che ancora indossa la divisa con cui venne ucciso.
Si chiama Piero, il poveretto: morì mentre combatteva per una guerra che non riusciva a comprendere, senza aver mai avuto la possibilità di costruire la vita che voleva con la sua amata Ninetta. Il suo corpo venne abbandonato in un campo di grano che, anni dopo, venne venduto come terreno edilizio per la costruzione di un carcere. Lo stesso carcere in cui sono rinchiuso ora.
“Non è orrendo quanto Maggio, se non altro.” Rispondo, continuando a fissare il campanile in lontananza.
“Devo darti ragione, Maggio non è stato un mese felice per nessuno di noi due.” Ammette lo spettro, avvicinandosi a me.
 
Sorrido: Piero perse la sua vita proprio durante il mese di Maggio, mentre cercava di capire se fosse meglio risparmiare la vita di un soldato avversario o salvare la propria. Il suo nemico, un ragazzotto come lui, approfittò di quell’istante d’indecisione per sparargli al petto, uccidendolo.
Ma il destino scelse il mese di Maggio per beffarsi anche di me: dopo anni trascorsi nelle melma vischiosa che è la società italiana, avevo finalmente deciso di ribellarmi. Decisi di costruire un ordigno e di piazzarlo nel Parlamento, conscio che un gesto tanto estremo avrebbe scosso la coscienza della gente, obbligando la massa a prendere una posizione diversa dal menefreghismo lobotomizzato. Tutto ciò che ottenni fu ricoprirmi di ridicolo: la bomba fece saltare per aria soltanto un chiosco di giornali, che nulla c’entrava con il mio piano.
Piansi, lo ammetto, soprattutto perché anche nell’ora della mia disfatta, il volto della mia bellissima mi stava fissando dalle prime pagine brucianti dei giornali.
 
“Ti chiedi mai che fine abbia fatto la tua Ninetta?” Domando a Piero, voltandomi verso di lui.
“Ogni singolo giorno, anche se credo che le sue lacrime si siano asciugate da molto tempo, ormai. Forse non si ricorda nemmeno del suo soldatino.” Risponde, con l’espressione addolorata.
“A volte vorrei sapere dov’è adesso Marina. Chissà cosa ha risposto, quando le hanno chiesto del nostro amore.” Dico, immaginandomi il mio splendido e perduto amore che risponde con ipocrisia alle domande dei giornalisti: “Sì, era un po’ strano negli ultimi tempi ma mi amava, mi ha sempre amata”.
Dove sarai ora? Nel letto di qualche Casanova che ti promette mari, monti e matrimonio? Non importa più, quando uscirò dal carcere non ci sarai e forse ti avevo persa già prima, quando le luci della ribalta ti hanno cambiata più di quanto io abbia mai fatto.
Non siamo mai riusciti a cambiarci, lo sai, e non ho mai capito se sia stato un bene o un male.
 
Come sempre, l’ora di libertà è trascorsa rapidamente. Mentre i miei “colleghi”, se così vogliamo chiamarli, si lasciano ricondurre all’interno del carcere avverto un’insolita inquietudine: l’inverno se ne andrà e la foschia sparirà con esso. La primavera si affaccerà alla finestra della mia cella, deridendo l’immobilità a cui sono condannato e da cui stavo tentando di fuggire.
Sono condannato a restare, così come lo è Piero. Ma per quale colpa stiamo pagando?
“Non so quale sia il crimine giusto per non passare da criminali, Marco. E puoi stare certo che nessuno all’interno di questo carcere conosce la risposta”. Dice lo spettro, intuendo i miei pensieri.
Annuisco, mentre il mio invisibile compagno svanisce e gli altri carcerati rientrano nella cella.
Lancio un ultimo sguardo al paesaggio, ora completamente offuscato dalla nebbia, e nella mia mente risuonano le parole delle canzone che mi ha spinto all’azione: “Per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti. Per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti”.
 
 

L’angolo dell’autrice

 
Salve gentaglia! Eccomi alle prese con un esperimento: un testo molto breve, ispirato a vari prompt tratti da celebri canzoni di De Andrè (ossia Il Bombarolo come protagonista, Piero come protagonista e L’inverno come ambientazione). Il racconto ha partecipato al contest “Faber Crossover – Un contest in direzione ostinata e contraria” indetto da Xavisio Bluttemberg sul forum di Efp e conclusosi, purtroppo, con un annullamento. Io e nica89, le uniche partecipanti, abbiamo ottenuto una valutazione, ottenendo il medesimo punteggio.
Giusto per precisare, i nomi del Bombarolo e della sua fidanzata (Marco e Marina) sono di mia completa invenzione.
Grazie a chiunque abbia letto fin qui, a presto.
 

Carmilla Lilith.

   
 
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