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Autore: 1994    19/12/2011    1 recensioni
Uno spaccato di vita quotidiano. Un autore in erba che cerca di trattare in maniera sintetica e crua la realtà di una ragazza vittima di una violenza.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Corpo di donna, bianche colline, cosce bianche,
assomigli al mondo nel tuo gesto di abbandono.
Il mio corpo di rude contadino ti scava
e fa scaturire il figlio dal fondo della terra.
Fui solo come un tunnel. Da me fuggivano gli uccelli
e in me irrompeva la notte con la sua potente invasione.
Per sopravvivere a me stesso ti forgiai come un'arma,
come freccia al mio arco, come pietra per la mia fionda.
Ma viene l'ora della vendetta, e ti amo.
Corpo di pelle, di muschio, di latte avido e fermo.
Ah le coppe del seno! Ah gli occhi d'assenza!
Ah le rose del pube! Ah la tua voce lenta e triste!
Corpo della mia donna, resterò nella tua grazia.
Mia sete, mia ansia senza limite, mio cammino incerto!
Rivoli oscuri dove la sete eterna rimane,
e la fatica rimane, e il dolore infinito.


Luisa finì di leggere la poesia e si mise a piangere. I bei versi di Neruda che descrivevano un corpo di donna in fiore l’avevano scossa. Le parole che parlavano di quella intimità di donna l’avevano resa triste.
Il suo Corpo inviolato era stato improvvisamente straziato dalla furia di una persona. Era una giornata di sole, la ragazza rientrava dalla lezione all’università. Era stata avvicinata da uno sconosciuto che le aveva chiesto una sigaretta. Come era suo solito fare Luisa aveva risposto con cortesia che non fumava e aveva ripreso il suo passo verso casa. Dopo pochi passi l’uomo si era avvicinato nuovamente a lei. L’aveva presa alle spalle e l’aveva scaraventata dentro un portone aperto. Lì l’aveva presa e aveva fatto di lei ciò che voleva. Che vergogna, il proprio corpo violato da uno sconosciuto che aveva stracciato i vestiti e aveva “fatto i suoi comodi”, non dandole modo né forza di ribellarsi.
Non aveva avuto la forza di confessare a nessuno quello che le era successo, aveva paura di essere presa per una “puttana” pentita.
Si era portata dentro il segreto e il frutto di quel rapporto forzato. Erano passati due mesi dalla tragedia e Luisa aveva un ritardo. Aveva paura. Rilesse la poesia, rifletté per qualche istante, poi chiuse il libro. Si mosse per un po’ nella stanza. Aprì nuovamente il libro, lesse per l’ennesima volta il verso che preferiva:

Corpo della mia donna, resterò nella tua grazia.

Andò all’armadietto dei farmaci, prese il flacone delle pillole lassative, lesse l’etichetta e rimise il flacone al proprio posto.Era forte Luisa. Chiuse l’armadio delle pillole e pianse. Non voleva farla finita. Non in quel modo.Pensò alla vita che cresceva dentro di lei, e non ce la fece. Aprì la finestra, guardò all’orizzonte e vide il sole che andava a dormire. Luisa non era più padrona del proprio corpo. Le gambe si muovevano senza che lei le comandasse, senza potersi opporre a quel moto involontario si ritrovò sulla terrazza condominiale: il palazzo era alto 5 piani, ma lei non sembrava intimorita. Si avvicinò al parapetto e si affacciò. Pensò nuovamente alla creatura che cresceva all’interno del suo corpo. Non se la sentiva di affrontare tutti i problemi derivanti dalla sua situazione. Era giovane, non voleva rovinarsi la vita. Guardò verso il cielo terso e si rese conto che la sua situazione era tremenda: da sola contro al mondo non ce l’avrebbe mai fatta. L’asfalto era freddo quel 18 dicembre. La gente guardò il corpo esanime sull’asfalto e, scuotendo il capo, si allontanò,commentando ad alta voce. Non unfiore, non una preghiera per quella povera pastorella di Dio dilaniata dal dolore causato da un mondo più grande e frenetico di quello che poteva sopportare.

  
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