Pece
Ore 10:05
Per quanto il calore dell'abitacolo fosse soporifero non riuscivo ad addormentarmi. Le palpebre pesanti si chiudevano sul mio sguardo, riposando gli occhi che sapevo arrossati e ridotti a due fessure. Avevo passato la notte in bianco, scossa dai brividi e stretta alla borsa dell'acqua calda. Mi ero alzata presto, insofferente, e avevo indossato un maglione di lana di un candido bianco latte. Avevo sudato durante la corsa disperata verso la stazione e adesso sentivo il sangue fluire denso dentro le vene sotto le mie dita.
Poggiai la fronte
calda sul finestrino freddo cercando un minimo sollievo. Chiusi di
nuovo gli occhi massaggiandomi le tempie. Un
mugulio solitario si fece spazio tra i denti e sgusciò fuori
dalle mie labbra.Era passata solo un'ora da quando il treno aveva
lasciato la stazione di Milano, addentrandosi in quel muro di nebbia
che vedevo fuori dal finestrino e le mie condizioni peggioravano a
vista d'occhio. Sotto i polpastrelli pulsanti sentivo le guance
accaldate, immaginavo il mio volto paonazzo con gli zigomi in fiamme.
Ringraziai il fatto che stessi tornando a casa e imprecai mentalmente
pensando al lungo traggitto che ancora mi separava dal mio letto caldo.
"Ti hanno mai detto che, di solito, in queste condizion non si esce di casa?"
Costrinsi me stessa ad aprire gli occhi. Le palpebre, sempre più pesanti, si richiusero appena la luce rimbalzò sulle mie pupille.
Quando
finalmente riuscii ad aprire definitivamente gli occhi mi accorsi che
il posto, che prima pensavo vuoto, di fronte a me era occupato dal
ragazzo delle valige. Il suo viso era dannatamente vicino al mio, tanto
da rendermi difficile mettere a fuoco i suoi occhi. Quando fui in grado
di distinguere la forma delle sue pupille sentii lo stomaco contrarsi e
la testa alleggerirsi. Un pozzo nero, profondo, in cui riuscivo a
leggere la forma sfocata dei miei occhi riflessi nei suoi, il contorno
della pupilla distinguibile esclusivamente grazie ad un meraviglioso
anello blu intenso. Un fiumiciattolo di ghiaccio in quel lago di pece.
Ne rimasi stregata.
Poggiai nuovamente la
fronte al finestrino, distogliendo lo sguardo dai suoi occhi divertiti e
accusatori.
“Ci
sto tornando proprio
ora, a casa..” Starnutii cercando di contenermi, procurandomi una
forte fitta all'altezza delle tempie che mi costrinse a serrare gli
occhi istintivamente.
“Anch’io".
Lo avevo ignorato, avevo ignorato il suo chiaro tentativo di conversazione. Mi dispiaceva ma non avevo ne le forze ne la concentrazione per avviare un qualsiasi tipo di discussione. Circondata da un'aura angelica comparve l'hostess con il carrellino delle cibarie e, con sguardo sofferente e mugolii da censura, mi avvicinai a lei e con un filo di voce la chiamai, attirando la sua attenzione. Mi lanciò uno sguardo un pò spaventato e un pò scettico che non biasimai.
“Mi scusi potrei avere
una bottiglietta d’acqua e una camomilla?”
“Non so se abbiamo ancora
della camomilla, lasciami controllare un secondo”
La
sua figura minuta ed esile scomparve per metà nel carrellino per
una buona manciata di secondi e, quando riemerse con in mano una
bustina di quella bevanda miracolosa, mi sorrise soddisfatta. Oltre
all'infuso mi porse un bicchiere con un collarino intorno alla sua
circonferenza per non farmi scottare e, dopo averla ringraziata
più volte, mi affrettai a immergere l'infuso nel liquido caldo e
fumante. Ogni movimento attentamente controllato dallo sguardo color
pece.
Sorrisi e, mentre ad
occhi chiusi respiravo il vapore caldo che si alzava dalla bevanda, gli
chiesi cosa ci fosse di così interessante da catturare la sua
totale attenzione.
“Sono preoccupato”
“Per cosa?” Chiesi
distrattamente poggiando le labbra sulla tazza bollente.
“ Non vorrei che mi
crollassi tra le braccia, Oggi non ho con me il mio costume”.
Sospirai
quando la
bevanda calda invase la mia gola e finì giù fino allo
stomaco. La mia schiena
fu percorsa dai brividi e per un secondo mi ritrovai a tremare come
presa da
spasmi. La temperatura interna del mio corpo saliva velocemente
aumentando il mio mal di testa e donando al mio corpo quello stato di
debolezza tipico e fastidioso della febbre. Ascoltai la risposta di
occhi di pece infastidita, le sue mezze frasi mi confondevano.
Poi finalmente il mio
fantastico intuito tornò a bussare alle porte del mio cervello, spento, e
indirizzai al tipo un’occhiata accusatoria.
“Ammetto che sarebbe
stato divertente vederti con le mutande sulla calzamaglia ma spiacente, oggi ti
lascio senza lavoro.”
Il
calore della camomilla
cominciava a scorrermi nelle vene e sentivo la testa tornare a
respirare, come
se fosse possibile. Mi concessi un sorriso e lo guardai fare lo stesso.
La
curva delle sue labbra sottili ma morbide si piegò in un largo e
dolce sorriso. Le schiuse di poco lasciando che gli incisivi candidi
facessero
capolino. Quando serrò gli occhi notai come fosse
particolare la loro
forma: mandorle che racchiudevano biglie grandi e nere. Le ciglia
lunghe erano dello
stesso colore dei capelli, arruffati e raccolti in una specie di
chignon.
Mi sorpresi quando nella mia mente bussò un pensiero solitario e silenzioso.
E' di una bellezza unica.
Sbarrai gli occhi e ringraziai che sulle mie guance fosse già
presente un rossore più incisivo di quello che si stava facendo
padrone delle mie guance. Era vero però. Non lo avrei mai
definito bello, perchè non lo era. Semplicemente perchè
la parola bello per lui era poco esplicativa.
Un raggio timido di sole gli illuminava metà del volto e un
triangolino, proprio sullo zigono, dell'altra metà. Il volto era
un ovale leggermente più affilato all'altezza del mento e
racchiudeva questo agglomerato di caratteri unici, un pò
orientali e un pò occidentali.
“Hai trovato qualcosa d’interessante?”
Mi fece il verso e solo allora mi resi conto che lo stavo fissando.
Chiesi scusa e mi voltai
di nuovo verso il finestrino.
Avevo davvero molto freddo, così mi alzai a prendere la giacca, cercando di non far cadere nulla. Una
borsa mi scivolò dalle mani ed io barcollai sotto i miei stessi riflessi,
mancando la presa di pochi centimetri e ricadendo sul sedile a peso morto, con
la giacca stretta in pugno.
Riaprii gli occhi
preoccupata ma consapevole del non aver sentito nessun tonfo.Guardai
Pece e gli rivolsi uno sguardo colmo di gratitudine. Teneva stretta in
pugno la borsa con la macchinetta di mio zio, reduce di anni di guerra
e polvere.
“Anche senza calzamaglia
non te la cavi male", dissi ridendo.“Grazie mille!”
Feci per prendere la
macchinetta tendendo il braccio verso di lui e sporgendomi un po’ con il busto
in avanti, cozzando contro il tavolino che ci separava. Lasciò scivolare la
macchinetta sul sedile di fianco a lui e mi afferrò il braccio che gli avevo
teso.
Mi strinse il polso
accigliato, sembrava quasi arrabbiato.
“Come diavolo ti è venuto in mente di partire oggi?”
Lo era per davvero,
arrabbiato. Mi stringeva il polso in una morsa ferrea contando i battiti del
mio cuore che aumentarono a vista d’occhio. Dentro le vene che stava
schiacciando cominciò a scorrere rabbia mista a fastidio. Non lo conoscevo nemmeno e tantomeno lui conosceva me. Non
aveva motivo di preoccuparsi e nemmeno il diritto di arrabbiarsi..
Per la prima volta da
quando il treno era partito e mi ero ritrovata seduta di fronte a lui,
mi stavo
rendendo conto di come la situazione si fosse evoluta in qualcosa
di atisonante con le circostanze in cui ci trovavamo. Il fastidio
cedette il posto alla curiosità e il mio sguardo si posò
su quello di lui, così scuro e offeso. C'era una confidenza
strana, quasi intima tra noi due, come se lo conoscessi da più
di una scarsissima oretta e mezza.
Chi sei?
Eccomi di nuovo
tra voi, con un piccolo anticipo, anche se ho deciso che questa storia
non avrà un suo preciso giorno di pubblicazione. Questo a causa
dei vari impegni imprevisti dovuti ad università e una
città che non ha decisamente alcun tempo o orario ben definito.
Proprio per questo pubblico oggi e non domani perchè, appunto,
domani sarà una giornata un pò lunga e abbastanza
indefinita.
Per Pece non avevo un volto, ho deciso i suoi caratteri solamente dopo
un incontro con un ragazzo della mia facoltà, quindi ogni
singola descrizione è dovuta alla minima, eppure profonda,
occhiata che gli ho rivolto. Sono malata e ne sono consapevole..Beh, un
grazie mille a tutti, per tutto, il solo fatto che mi leggete è
già tantissimo:)
Wishing well.
Lisa