Ok,
sinceramente non so definire questa... storia. E' venuta fuori da sola,
con la forza e non so se a qualcuno piacerà.
Accetto critiche, consigli, tutto. Fatemi sapere se posso
andare avanti o se devo darmi all'ippica.
Buona lettura.
1.
Senza nome.
La chiamavano Signorina Primavolta.
La chiamavano così e in
tanti altri modi, ma Signorina Primavolta è quello che lei
odiava di più. Le
dicevano "Questa volta è andata così,
la prossima decidi tu." Tutti i ragazzi la guardavano perchè
aveva un bel
culo, ma aveva il seno piccolo, minuscolo. Un seno che stava in due
mani, un
seno che bastavano due mani per coprirlo interamente. Non piaceva mai a
nessuno. I suoi ragazzi avevano sempre preferito non avere a che fare
con il
suo seno. Aveva i fianchi stretti e, se si stiracchiava, tra le
cuciture delle
sue magliette, si intravedevano le costole. Aveva una cicatrice sul
ginocchio e
un neo sul collo. Signorina Primavolta era la ragazza più
bella della città,
eppure nessuno la voleva per più di due sere. Lei era la
notte. Era il buio che
inghiottiva tutto, il buio che spaventava i bambini e rassicurava gli
innamorati che si cercavano nella foga dei baci. E le piaceva
così. Di notte
nessuno poteva notare quei piccoli difetti che la terrorizzavano:
nessuno
poteva dirle niente, perchè nessuno la vedeva. Il buio
rendeva tutti ciechi,
anche se nei suoi confronti erano sempre stati cieci. Non avevano mai
notato quanto
fossero belli i suoi occhi o quanto amasse il rosso oppure quanti raggi
di sole
aveva incastrati fra i denti.
Aveva i lunghi capelli biondi tinti appiccicati al viso, il
sudore li attirava a sè e non li lasciava andare nemmeno
quando fermava la
corsa per prendere fiato. Repirò tante volte, fino a quando
riperse a inspirare
ed espirare normalmente. Spostò velocemente i capelli
indietro, liberò il bel
viso rosso e sudato e riprese a correre lungo il viale del parco. Le
piaceva
correre. Correre fino a non sentire più nessun muscolo,
correre fino a sentire
i polmoni stanchi, la milza dolorante e il fiato corto.
Signorina Primavolta si fermò ancora e si sedette su una
panchina. Distese le gambe, riposò i muscoli. Si tolse le
cuffie dalle
orecchie, ma lasciò che la musica andasse avanti, pur non
sentendo altro che un
leggero rumore fastidioso che stava a indicare il suo cantante
preferito.
Il suo seno si alzava ed abbassava velocemente. Le piaceva
da morire sentirsi così stanca. Chiuse gli occhi e
lasciò che i raggi del sole
primaverile la investissero.
"Ciao, Signorina." Le sembrò di riuscire a
percepire il sorriso a trentadue denti del ragazzo. Allora
aprì gli occhi e
lasciò che lui le toccasse le cosce.
"Ciao." Rispose al saluto, fredda. Il fiatone
stava andando via, così come stava andando via la sensazione
più bella che il
suo corpo potesse regalarle: la voglia di sentirsi desiderata.
Basta. Non voleva più che i ragazzi le parlassero con quel
sorrisino in faccia, non voleva più che il suo culo fosse
toccato da tutti.
Desiderava tanto che Signorina Primavolta la lasciasse in pace e
tornasse la
vera lei a comandare il suo corpo.
Ma Signorina Primavolta aveva fatto le radici all'interno
del suo corpo, della sua mente, del suo cuore, del suo piccolo ventre.
Un altro sorriso e la mano del ragazzo si spostò,
scivolò
dolcemente in avanti, accarezzando le curve sudate della ragazza, fino
a
posarsi delicate sul piccolo seno. Rimase ferma lì un po',
poi riprese la sua
passeggiata fino a fermarsi sulla guancia destra della bionda.
E allora Signorina Primavolta ebbe un fremito e le sembrò di
sprofondare in un burrone grande, grosso e nero. Il burrone che tanto
temeva,
quello dell'amore vero. Allora il suo cuore prese a martellare
insistentemente.
Picchiettava contro la cassa toracica, facendole quasi male.
Guardò negli occhi il proprietario della mano e sorrise. Era
il ragazzo più anonimo che fosse mai esistito, eppure si
erano trovati. Si
erano trovati per caso, in una fumetteria. Ma a lei i fumetti non erano
mai
piaciuti. Era entrata perchè quel ragazzo anonimo l'aveva
colpita.
Da allora le regalava un fumetto al giorno. Aveva librerie
intere a casa e nemmeno uno letto. Non le piaceva leggere,
nè parlare. Credeva
nella forza dei sorrisi e degli sguardi. Lui lo sapeva, ma ormai era
diventata
pura abitudine, alzarsi la mattina e pensare a lei.
"Ma non ti stanchi mai?"
"No." rispose subito, pur non sapendo a cosa si
riferisse lui.
"Io sì. Mi stanco ad alzarmi la mattina e poi aspettare
la sera. Sembra che sia la sera ad aspettare te, invece."
La notte la faceva sentire al sicuro, lontana dagli sguardi
di chi di giorno la giudicava, ma non la amava. Non amava il vuoto che
l'avvolgeva ogni qualvolta lasciava casa sua, la sera. Ma amava
infinitamente
le stelle. Le amava così tanto che le scoppiava il cuore
quando le guardava.
Semplicemente sentiva il suo cuore gonfiarsi di mille emozioni alla
vista di
quei corpi celesti luminosi. Ma questo il suo spasimante non lo sapeva;
perciò
continuava a regalarle fumetti, invece di stelle.
"Scusa." Disse lui infine, quando capì che lei non
avrebbe parlato.
"Non ti scusare." Gli sorrise. Alzò e abbassò le
spalle. Guardò il cielo. Il sole era ancora alto. Le venne
voglia di correre
via. I suoi piedi non volevano stare fermi. Si stiracchiò.
"Ti prego, dimmi come ti chiami." Implorò lui,
capendo che sarebbe sparita da un momento all'altro. Signorina stette
zitta,
mentre lo rimproverava con lo sguardo. Nessuno sapeva il suo nome.
Nessuno
aveva mai voluto saperlo. Era un segreto. Un piccolo segreto che solo
lei e
Signorina Primavolta sapevano.
"Io sono chi vuoi tu. Non ho un nome." Bisbiglò.
Afferrò le cuffie e si tappò le orecchie con la
musica.
"Ma io voglio che tu sia quella che tu vuoi
essere." Mormorò il ragazzo e la vide andare via,
sculettando, a tempo di
musica, mentre la fatica della corsa produceva ancora sudore.