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Autore: Naomily    22/12/2011    0 recensioni
Signorina Primavolta non sapeva amare e non c'era nessuno disposto a insegnarglielo. Nemmeno Francesco perchè rischiava di fare sempre tardi al lavoro. Lavoro che si chiamava Mia.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ok, sinceramente non so definire questa... storia. E' venuta fuori da sola, con la forza e non so se a qualcuno piacerà. 
Accetto critiche, consigli, tutto. Fatemi sapere se posso andare avanti o se devo darmi all'ippica. 

Buona lettura.

1.

Senza nome.

 

La chiamavano Signorina Primavolta. La chiamavano così e in tanti altri modi, ma Signorina Primavolta è quello che lei odiava di più.  Le dicevano "Questa volta è andata così, la prossima decidi tu." Tutti i ragazzi la guardavano perchè aveva un bel culo, ma aveva il seno piccolo, minuscolo. Un seno che stava in due mani, un seno che bastavano due mani per coprirlo interamente. Non piaceva mai a nessuno. I suoi ragazzi avevano sempre preferito non avere a che fare con il suo seno. Aveva i fianchi stretti e, se si stiracchiava, tra le cuciture delle sue magliette, si intravedevano le costole. Aveva una cicatrice sul ginocchio e un neo sul collo. Signorina Primavolta era la ragazza più bella della città, eppure nessuno la voleva per più di due sere. Lei era la notte. Era il buio che inghiottiva tutto, il buio che spaventava i bambini e rassicurava gli innamorati che si cercavano nella foga dei baci. E le piaceva così. Di notte nessuno poteva notare quei piccoli difetti che la terrorizzavano: nessuno poteva dirle niente, perchè nessuno la vedeva. Il buio rendeva tutti ciechi, anche se nei suoi confronti erano sempre stati cieci. Non avevano mai notato quanto fossero belli i suoi occhi o quanto amasse il rosso oppure quanti raggi di sole aveva incastrati fra i denti.
Aveva i lunghi capelli biondi tinti appiccicati al viso, il sudore li attirava a sè e non li lasciava andare nemmeno quando fermava la corsa per prendere fiato. Repirò tante volte, fino a quando riperse a inspirare ed espirare normalmente. Spostò velocemente i capelli indietro, liberò il bel viso rosso e sudato e riprese a correre lungo il viale del parco. Le piaceva correre. Correre fino a non sentire più nessun muscolo, correre fino a sentire i polmoni stanchi, la milza dolorante e il fiato corto.
Signorina Primavolta si fermò ancora e si sedette su una panchina. Distese le gambe, riposò i muscoli. Si tolse le cuffie dalle orecchie, ma lasciò che la musica andasse avanti, pur non sentendo altro che un leggero rumore fastidioso che stava a indicare il suo cantante preferito.
Il suo seno si alzava ed abbassava velocemente. Le piaceva da morire sentirsi così stanca. Chiuse gli occhi e lasciò che i raggi del sole primaverile la investissero.
"Ciao, Signorina." Le sembrò di riuscire a percepire il sorriso a trentadue denti del ragazzo. Allora aprì gli occhi e lasciò che lui le toccasse le cosce.
"Ciao." Rispose al saluto, fredda. Il fiatone stava andando via, così come stava andando via la sensazione più bella che il suo corpo potesse regalarle: la voglia di sentirsi desiderata.
Basta. Non voleva più che i ragazzi le parlassero con quel sorrisino in faccia, non voleva più che il suo culo fosse toccato da tutti. Desiderava tanto che Signorina Primavolta la lasciasse in pace e tornasse la vera lei a comandare il suo corpo.
Ma Signorina Primavolta aveva fatto le radici all'interno del suo corpo, della sua mente, del suo cuore, del suo piccolo ventre.
Un altro sorriso e la mano del ragazzo si spostò, scivolò dolcemente in avanti, accarezzando le curve sudate della ragazza, fino a posarsi delicate sul piccolo seno. Rimase ferma lì un po', poi riprese la sua passeggiata fino a fermarsi sulla guancia destra della bionda.
E allora Signorina Primavolta ebbe un fremito e le sembrò di sprofondare in un burrone grande, grosso e nero. Il burrone che tanto temeva, quello dell'amore vero. Allora il suo cuore prese a martellare insistentemente. Picchiettava contro la cassa toracica, facendole quasi male.
Guardò negli occhi il proprietario della mano e sorrise. Era il ragazzo più anonimo che fosse mai esistito, eppure si erano trovati. Si erano trovati per caso, in una fumetteria. Ma a lei i fumetti non erano mai piaciuti. Era entrata perchè quel ragazzo anonimo l'aveva colpita.
Da allora le regalava un fumetto al giorno. Aveva librerie intere a casa e nemmeno uno letto. Non le piaceva leggere, nè parlare. Credeva nella forza dei sorrisi e degli sguardi. Lui lo sapeva, ma ormai era diventata pura abitudine, alzarsi la mattina e pensare a lei.
"Ma non ti stanchi mai?"
"No." rispose subito, pur non sapendo a cosa si riferisse lui.
"Io sì. Mi stanco ad alzarmi la mattina e poi aspettare la sera. Sembra che sia la sera ad aspettare te, invece."
La notte la faceva sentire al sicuro, lontana dagli sguardi di chi di giorno la giudicava, ma non la amava. Non amava il vuoto che l'avvolgeva ogni qualvolta lasciava casa sua, la sera. Ma amava infinitamente le stelle. Le amava così tanto che le scoppiava il cuore quando le guardava. Semplicemente sentiva il suo cuore gonfiarsi di mille emozioni alla vista di quei corpi celesti luminosi. Ma questo il suo spasimante non lo sapeva; perciò continuava a regalarle fumetti, invece di stelle.
"Scusa." Disse lui infine, quando capì che lei non avrebbe parlato.
"Non ti scusare." Gli sorrise. Alzò e abbassò le spalle. Guardò il cielo. Il sole era ancora alto. Le venne voglia di correre via. I suoi piedi non volevano stare fermi. Si stiracchiò.
"Ti prego, dimmi come ti chiami." Implorò lui, capendo che sarebbe sparita da un momento all'altro. Signorina stette zitta, mentre lo rimproverava con lo sguardo. Nessuno sapeva il suo nome. Nessuno aveva mai voluto saperlo. Era un segreto. Un piccolo segreto che solo lei e Signorina Primavolta sapevano.
"Io sono chi vuoi tu. Non ho un nome." Bisbiglò. Afferrò le cuffie e si tappò le orecchie con la musica.
"Ma io voglio che tu sia quella che tu vuoi essere." Mormorò il ragazzo e la vide andare via, sculettando, a tempo di musica, mentre la fatica della corsa produceva ancora sudore.

   
 
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