Fanfic su artisti musicali > Arashi
Segui la storia  |       
Autore: Hika86    22/12/2011    2 recensioni
[50/50 capitoli COMPLETA][0/5 capitoli extra IN CORSO] Un filo ci lega alla persona cui siamo destinati: non importa il tempo che dovrà passare o le distanze che ci separano. Ma se questa persona fosse proprio davanti a noi e non riuscissimo a riconoscerla? Se la considerassimo antipatica tanto da non degnarla neanche di uno sguardo? E se l'avessimo trovata e noi stessimo vacillando nei dubbi? E ancora, cosa dice che non l'abbiamo già persa?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

«Kanpaaaaai!!» esclamarono in coro i sei commensali. Erano un quadro piuttosto strano, ma andavano spesso a cenare in quel locale, quindi erano conosciuti: solitamente erano quattro uomini e una donna, ma quella sera c'era una persona in più ed era anch'essa di sesso maschile. Forse a vederli dall'esterno si sarebbe pensato male dell'unica ragazza presente, ma bastava ascoltare i loro discorsi per accorgersi che il linguaggio che tutti usavano con lei era di rispetto, il che lasciava intendere che fosse una loro superiore. Per i camerieri e per altri avventori abituali erano i "sensei", insomma niente di sconveniente, solo una caposala e i professionisti che lavoravano con lei.
Tomomi spostò lo sguardo sul novellino arrivato il giorno prima a cui stavano facendo la festa non ufficiale (quella ufficiale di reparto si era tenuta la sera prima ed era stata una noia mortale): erano al sesto brindisi e lui reggeva bene mentre altri due erano alticci. «Ho dimenticato a cosa brindiamo!» esclamò uno di questi «A cosa brindiamo allora?» chiese
«Al nuovo arrivato: Sakai kun» spiegò la donna «E all'operazione di Yamashita san» questi sollevò il boccale con un sorriso soddisfatto
«Giusto! Bravo Yamashita sensei! Che interventooo» canticchiò il secondo
«Li mandiamo a fare un giro fuori?» domandò il terzo di quelli rimasti più o meno sobri «Cominciano a fare troppo baccano»
«Eeeeh? Fuori? Fa freddo!»
«Ma dove? Al venti di settembre fa appena freschetto la sera, è quello che vi serve a voi per darvi una calmata»
«Nomura Fuchou!» la richiamarono quei due «Non ci cacci via!»
«Hanno ragione i ragazzi: mettetevi qui fuori e respirate per bene finchè non vi sarete calmati, non voglio stare al tavolo con gente ubriaca e rumorosa» annuì lei prendendo ancora un sorso birra «Quando tornate possiamo andare a casa, ormai abbiamo finito di mangiare e alcuni di noi lavorano domani». La coppia di colleghi boffonchiò risentita, ma a quell'ordine si alzarono entrambi e si avviarono barcollanti all'uscita. «Scusate, sono sempre così?» domandò il novellino, cortesemente
«Sì, ma di solito possiamo prendere una saletta a parte» rispose Yamashita «Quindi possono fare baccano»
«Sono vergognosi, non reggono per niente» scosse il capo Tomomi
«Fuchou, lei è imbattibile. Penso di non averla mai vista ubriaca» asserì Koide, il terzo uomo rimasto al tavolo
«Non bevo mai, se non quando usciamo noi, quindi non si può dire che io sia un'accanita bevitrice. Semplicemente mi fa poco effetto» spiegò lei stringendosi nelle spalle. Con qualche altro commento sparso sulla questione ciascuno raccolse le bacchette e i piattini usati intorno alla pentola dello shabu-shabu*, a centro della tavola, di modo da sparecchiare alla meglio. «Chissà chi diavolo si è preso la nostra sala» sospirò Yamashita «Avevo voglia di divertirmi e bere fino a scoppiare» storse il naso
«Ma così domani sarebbe risultato ancora alticcio e non avrebbe potuto nemmeno fare il giro delle corsie con Nomura Fuchou» fece notare Koide
«Però ha bevuto molto ieri sera Yamashita sensei» osservò Sakai kun «Poi ci tocca venire a trovarla a gastroenterologia». Ridacchiarono tutti quanti «Ma com'è spiritoso il novellino...» sorrise quello, poco convinto
«Mi scusi, non...»
«Sakai kun, non fare caso a quel che dice Yamashita sensei, è bravo a minacciare solo a parole, poi alla fine è un pezzo di pane» spiegò Tomomi «Quando Miyata san torna chiedilo a lui, è stato suo allievo».
Quelli erano i colleghi con cui aveva legato: Yamashita sensei, il vecchio caposala che si era ritirato dall'incarico e che aveva accettato di essere suo vice in quei primi anni in cui lei avrebbe ricoperto quel ruolo, Miyata san e Koide san, dottori più giovani di lei, ma bravissimi nel loro lavoro, e Haruya Koji (il secondo uomo che stava fuori dal locale a smaltire l'alcol bevuto), conosciuto ai tempi dell'università e poi ritrovato quando si era trasferita a lavorare in quella struttura. Era l'unico di cui si fidasse ciecamente, a parte Yamashita sensei, e che chiedeva sempre di avere come spalla in sala operatoria. O ancora, era l'unico a cui delegasse del lavoro se le circostanze non le lasciavano altra scelta. Usciva con loro perchè si trovava bene, mentre non aveva legato molto con le altre donne sul posto di lavoro. Oltre a essere per la maggior parte infermiere -e quindi non sarebbero certo uscite a mangiare con i dottori se non nelle cene ufficiali di reparto- anche le dottoresse vere e proprie non erano molte e con loro era stata in competizione per la carica di caposala: avendola ottenuta, aveva stabilito con loro un rapporto di fredda collaborazione, ma nulla di più. Le infermiere la ammiravano per il successo ottenuto, ma con il carattere che si ritrovava incuteva in loro rispetto e squisita cordialità, nessuna aveva mai voluto diventare sua amica al di fuori dell'ospedale. La cosa comunque le stava bene: le reputava tutte delle pettegole e delle sciocche, di buon cuore magari, ma decisamente poco interessanti per lei che, se pure aveva imparato ad essere meno arrogante, si considerava comunque una persona colta e intelligente: non provava interesse nel parlare di vestiti, trucchi, uomini, riviste e altro con quel fare civettuolo che avevano loro. Per non parlare dei pettegolezzi che si scambiavano su qualsiasi impiegato dell'ospedale: si era ben guardata dal dar loro motivo di chiacchierare su di lei, però aveva la fama di una severa, mascolina e -per le malelingue- probabilmente frigida.
Certo non pensava che le donne fossero tutte pettegole e sciocche e gli uomini intelligenti e degni di stima, al contrario erano poche le persone che rientravano in questa seconda categoria e non erano solo maschi, ma tutto sommato si trovava meglio con la stupidità degli uomini che non con quella femminile. Senza contare che questi ultimi non badavano tanto ai pettegolezzi, perlomeno non loro.
Tomomi si alzò in piedi e gli altri la imitarono, Yamashita sensei, che era il più anziano, aveva costretto tutti ad abituarsi a quel gesto ogni volta che una donna si alzava da tavola, anche se la donna era lei che in loro compagnia non aveva atteggiamenti particolarmente femminili. «Torno subito, poi possiamo andare» disse prendendo la borsa. Probabilmente ai colleghi sarebbe toccato spiegare a Sakai kun cosa signifcava il suo "torno subito" in serate come quelle. Lei invece si allontanò senza troppe cerimonie «Capo, buonasera» salutò avvicinandosi alla cassa
«Oh, Nomura sensei» salutò il padrone del locale «Ho visto che c'è una new entry»
«Assunto da poco, volevamo fargli la festa in privato» ridacchiò
«Lei fa paura sensei, non lo trattate male: è così giovane» sorrise l'uomo
«Giuro, siamo gente per bene noi. Salviamo la vita alle persone o no?» fece socchiudendo le palpebre con un sorrisino sbilenco «Posso andare sul retro?» domandò
«Giornataccia? Vada pure sensei» annuì quello indicandole la porticina infondo al corridoio che passava di fianco alle cucine. Tomomi ringraziò con un cenno del capo e fece il giro del bancone. Passò di fianco agli shoji che dividevano la grande sala con tavoli occidentali dall'ala del locale con le salette in stile tradizionale. Quella sera era stata riservata tutta quella zona, quindi non avevano potuto prendere il solito spazio per fare baccano in pace: nella sala grande, in pubblico, non potevano fare troppo rumore. Da dietro la carta di riso sentì le risate divertite e il rumore delle bacchette contro i piatti in porcellana. Sorrise e tirò dritto verso l'uscita sul retro. Quella sera tirava un vento particolarmente freddo e appena si trovò fuori l'aria le schiaffeggiò la faccia. Se fosse stata alticcia le sarebbe passata all'istante! Si appoggiò al muro dell'edificio mentre tirava fuori il pacchetto di sigarette dalla borsa. Si poteva fumare dentro, ma lei voleva farlo da sola anche se ciò sarebbe significato stare in mezzo ad una bufera eccessivamente fresca per fine settembre. Mise la sigaretta tra le labbra e provò ad accendersela cinque o sei volte. Aspirò profondamente socchiudendo gli occhi al vento. Si portò la mano libera al petto per tenere chiusa la camicia e osservò gli angoli più illuminati del cortile sul retro, senza vero interesse.
Una donna sola a fumare al freddo mentre dentro l'aspettavano cinque uomini, ma nessuno dei quali interessato a lei, sessualmente parlando. "Vista così questa vita fa proprio schifo" pensò tra sè prendendo un altro tiro. Chiuse gli occhi portando la sua attenzione sul fumo trattenuto in gola e al suo lieve calore, poi lo lasciò libero aprendo le labbra. Dietro le palpebre poteva ancora vedere brevi flash dell'operazione fatta quel giorno. Perchè aveva scelto cardiologia, una branca delicata, se soffriva di sensi di colpa tanto profondi? "Posso chiamarla vita? Lavoro... non faccio altro. Vivere per il lavoro è da vecchia zitella triste. Orribile..." continuò dentro di sè. Lo faceva sempre: per non ripensare all'operazione andata male e per assecondare la propria depressione, si commiserava. E non si risparmiava. "Non ho un uomo, e tanto non avrei tempo di vederlo, ho un paio di amiche che vedo giusto per le partite e presto si stancheranno di me e di starmi dietro dato che io non le chiamo quasi mai. A breve rimarrò senza di loro... dovrei prendere quattro gatti: se sto fuori tutto il giorno non si sentono soli e quando torno vogliono le coccole. Farò la gattara e perderò il posto... vivrò di peli e scatolette". Riaprì gli occhi quando ebbe l'impressione di non essere sola: effettivamente c'era una bambina sulla soglia che la fissava. Anche se era scuro, la brace della sigaretta segnalava la sua presenza e poi indossava una camicia bianca, che si notava facilmente nella penombra. «Scusi disturbo?» disse quella
«No» rispose Tomomi «Ti sei persa?»
«No, devo nascondermi. Può far finta di non avermi vista?» chiese avvicinandosi rapidamente e mettendosi accucciata vicino alle sue gambe, diventando così poco visibile per chi arrivava dalla porta sul retro «Continui a fumare, io non ci sono» spiegò coprendosi il viso con le mani. Tomomi sorrise incredula: non sarebbe diventata invisibile coprendosi gli occhi, ma quel gesto era tanto ingenuo da divertirla. Non spense la sigaretta, come avrebbe invece fatto normalmente, e fece attenzione a lasciar cadere la cenere di modo che non cadesse dal posacenere e non volasse verso la bambina. "Se la imitassi?" si disse provando a coprirsi gli occhi con le mani a sua volta, stringendo la sigaretta tra le dita. "Così nessuno mi vedrà mai più e anche le cose brutte spariranno. Via! Sciò!" ma dopo un po' sentì un dito bruciarle e si sbrigò a spegnere la brace. Aveva le lacrime agli occhi, eppure non piangeva mai quando perdeva un paziente: si deprimeva, fumava una sigaretta e si deprimeva di nuovo, ma non piangeva. "Colpa della bambina" pensò infastidita. «Ehi, io devo rientrare, non è meglio se vieni anche tu? Qui è buio e fa freddo» disse abbassando lo sguardo
«Ma devo vincere» ribattè a bassa voce
«Ma non puoi ammalarti» cercò di insistere. Doveva sembrare spaventosamente alta ai suoi occhi, soprattutto da là sotto, così le venne da accucciarsi a sua volta, rannicchiandosi per trattenere il calore del proprio corpo e non prendere troppa aria. «Non è sicuro rimanere qui sola al buio sai? Non posso lasciarti»
«Allora stai qui. Se ti metti così mi nascondi bene sai?» spiegò la bambina tutta contenta. La donna sbirciò verso di lei con più attenzione ora che erano così vicine. Era veramente minuscola «Quanti anni hai?» le domandò
«Ne ho quasi sei» rispose facendole segno con le dita «Li faccio tra cinque giorni»
«Oh... auguri in anticipo» le venne da rispondere. Nonostante fosse preda dei sensi di colpa per la perdita avuta quel giorno, di fianco ad una vita così giovane non potè fare a meno di sentirsi un briciolo più positiva. «Sai cosa è strano? Quando giocavo a nascondino io, le persone dopo un po’ si facevano vive. Non è che ti cercano da un’altra parte? Sarebbe il momento giusto per andare a fare tana» provò a convincerla. Quella ci pensò un po’ su e poi accettò il suggerimento.
Finalmente rientrò al caldo del locale, tenendo la bambina per mano, e fece un sospiro di sollievo. Non era mai stata brava con i bambini, ma i pazienti sono un po’ tutti dei bambini, quindi aveva una certa dimestichezza con l’arte del convincere gli altri a fare qualcosa. «Sono qui» spiegò la piccola indicando gli shoji
«Sei chan!» un urlo arrivò dal lato opposto del corridoio: infondo era appena comparso Matsumoto Jun. «Tana libera tutti» annunciò Tomomi con un misto di sorpresa e divertimento della voce.

«Nomura san?» domandò Jun a mezza voce, indeciso. Non era riuscito a trattenere quell’esclamazione per la sorpresa, ma per quanto improbabile fosse era indubbiamente lei, pure se era diversa dal solito -se si poteva chiamare "solito" l'aver incontrato una persona solo due volte: aveva i capelli sciolti e leggermente spettinati, probabilmente perchè aveva il vizio di ravviarseli spesso con le dita, il viso era un po' pallido ed aveva un'espressione orribile a metà tra quella di chi è sull'orlo delle lacrime e quella di chi non riposa per bene da diverse notti. Indossava una polo bianca su un paio di jeans sbiaditi, niente trucco e nessuna bigiotteria. «Jun kun! Ho vinto!» esclamò Seiran richiamando la sua attenzione
«Ti cercavo da tutt’altra parte» si giustificò risentito, aveva perso a nascondino contro una bambina. «Matsumoto san» venne richiamato da un signore che aprì gli shoji improvvisamente «Ah Seiran chan! Ecco dov’eravate tutti e due: rientrate prima che i clienti vi riconoscano» sembrò sgridarli
«Mi scusi, stavo salutando un'amica» rispose il giovane idol, accennando a Tomomi che ancora teneva per mano Seiran «Grazie per averla ritrovata» disse con un inchino profondo
«Nessun problema, è lei che ha trovato me in realtà» spiegò la donna «Bene, hai vinto su tutti, ora è meglio se finisci la tua cena no?» domandò alla bambina. Questa la ringraziò educatamente per l’aiuto e rientrò nella sala di tatami insieme al tizio fermo sulla soglia.
Jun deglutì a fatica. “Devi lasciarmi qui così? Sei chaaan!” strillò mentalmente il ragazzo fissando intensamente lo shoji finchè non venne richiuso “Questo incontro è inaspettato e decisamente imbarazzante dato che ho rifiutato questa donna poco meno di ventiquattro ore fa” deglutì. «Scusami per il disturbo. Seiran non stava più ferma e mi hanno chiesto di stare un po’ con lei» si giustificò raddrizzando la schiena
«Non importa Matsumoto san» scosse il capo lei «Non ci sai fare con i bambini mi sa»
«Da cosa lo diresti?» domandò aggrottando le sopracciglia
«Le parli come se fosse un adulta, non ti riesce di cambiare il tuo modo di parlare» spiegò con un sorriso, leggero ma divertito. Non doveva essere facile per nessuno dei due quel momento. «Comunque che sorpresa non mi aspettavo di incontrarti qui»
«Lavori qui vicino?» la domandò nel tentativo di sciogliere l'imbarazzo iniziale che sarebbe solo peggiorato se non avessero cominciato subito a parlare
«Non proprio» rispose semplicemente senza aggiungere altro. Jun la guardò e sollevò le sopracciglia con cenno del capo «Cioè?» domandò per incoraggiarla a parlare ancora
«L'ospedale è nella cittadina vicina, ma io e i colleghi amiamo questo posto quindi veniamo qui spesso» spiegò spostando lo sguardo dal suo viso. Non riusciva ad immaginare che sentimenti stesse provando in quel momento, ma era convinto che nonostante ciò che era successo quella donna era una buona compagnia. Ci aveva sempre chiacchierato piacevolmente ed era anche una persona interessante. Certo non si sarebbero più rivisti molto ma in quel momento era lì e allora voleva parlarle. «Tu? Sei qui con gli amici?» domandò lei
«Non proprio» le fece il verso con un sorriso «Sono anche io con i miei colleghi: abbiamo finito le riprese e siamo venuti a festeggiare» disse indicando alle sue spalle le porte in carta di riso. Sapeva che quel locale era piuttosto famoso a Tokyo, ma non credeva così tanto da incontrarci qualcuno come lei per caso. «Ah, ecco chi ci ha rubato il posto» riflettè la ragazza
«Sarebbe a dire?» domandò confuso
«No, no, nulla! Era per dire... solitamente prendiamo una saletta per bere senza dare fastidio, ma oggi era tutto occupato e...» lasciò in sospeso la frase e alzò una mano annuendo. Jun seguì con gli occhi la direzione verso la quale era rivolto quel saluto e notò cinque uomini che si stavano alzando da un tavolo, indossando i loro cappotti.
«Sono i miei colleghi, abbiamo finito la cena» spiegò Tomomi facendo un passo indietro «Credo sia meglio se rientri» concluse accennando alla sala dietro gli shoji
«Sei di fretta?» le domandò lui senza pensarci su
«No beh…» farfugliò confusa «Devo solo andare a prendere il treno per tornare a casa»
«Posso offrirti qualcosa? Non penso ci rivedremo più così facilmente e mi dispiacerebbe salutarci così» spiegò tutto d’un fiato. “No avrei dovuto proporlo. Maledizione a me e alla mia lingua lunga” si riproverò “Che senso ha invitare a bere una donna che ho rifiutato ieri? Nessuno, la situazione sarebbe imbarazzante, persino dolorosa per lei. Non può accettare” sospirò. Non gli era possibile nascondere ciò che pensava e desiderava e a volte finiva col fare delle pessime figure. «Volentieri. Se mi dai due minuti saluto i miei colleghi» fu la risposta che ricevette. Jun annuì guardandola con gli occhi sgranati «Ti aspetto dietro la porta, per sicurezza» accennò agli shoji con una mano. Per quale masochistica ragione aveva accettato?
Dietro ai pannelli in carta di riso regnava un discreto baccano. La troupe era numerosa e quasi tutto il cast si era liberato dei propri impegni per poter essere presente quella sera. Il drama estivo era stato un successo e si era divertito anche se quei mesi erano stati emotivamente faticosi per lui. Era andato avanti per senso del dovere e sorretto dall’amicizia dei suoi compagni: ognuno aveva avuto un sorriso gentile e un gesto d’affetto per lui, avevano sempre scherzato senza permettere che nulla cambiasse nell’armonia del loro gruppo. Per tutte queste cose gli era infinitamente grato. Ma riprendersi e andare avanti erano due cose che dipendevano da lui e dalla sua forza interiore: dare il massimo sul set lo aveva aiutato a farsi coraggio e a cercare di ingranare la marcia giusta. Stava meglio rispetto a Luglio, ma ancora c’era qualcosa che lo teneva ancorato ai sentimenti e ai rimpianti dell’estate. «Che fai sulla porta Matsujun?» domandò un collega
«Ho incontrato un amica che non vedevo da tempo, pensi ci sia qualche problema se la invito ad unirsi?» chiese
«Non credo… purchè non si metta a fare la fan impazzita»
«Penso non sappia il nome di nessuno qui dentro, non è una che segue la televisione» ragionò pensieroso: effettivamente era un ambiente di perfetti sconosciuti per Tomomi, ma non ebbe tempo di domandarsi se aveva fatto la scelta giusta o meno che la donna fece scorrere la porta «E’ permesso?» domandò con un filo di voce
«Vieni, vieni» la invitò ad entrare
«Sei sicuro di volermi far stare qui? E’ la vostra festa, sono un’intrusa» pronunciò tenendo tra le mani un giacchetto spiegazzato
«Va tutto bene, non c’è solo il cast, ci sono anche esterni. Magari il fidanzato di qualcuno o dei parenti» spiegò indicandole alcune persone, poi le fece strada tra i tavoli e i cuscini e la fece sedere nel posto accanto al suo. «Dov’eri finito Matsumoto san? Credevamo ti fossi perso per colpa di Seiran» domandò la donna seduta davanti a lui
«La stavo cercando e intanto ho incontrato un amica. Takeuchi san, questa è Nomura Tomomi» la indicò alla collega «Nomura san, lei è Takeuchi Yuko san: è la protagonista femminile»
«Molto piacere» salutò Tomomi
«Piacere mio, così sei un amica di Matsumoto san? Che sorpresa… pensavo uscissi solo con gli altri ragazzi ultimamente» rise divertita
«Certo che no» rispose risentito
«No, hai ragione. Non sei uscito affatto in questi mesi» sorrise ancora quella, bonaria. Lo stava prendendo in giro, ma Jun sapeva quanto le sue parole fossero vere. La sera in cui aveva conosciuto Tomomi era stata uno strappo alla regola: in realtà non usciva con qualcuno da tempo. «Nomura san di cosa ti occupi?» domandò l’attrice
«Sono una cardiologa» rispose subito, poi spostò lo sguardo su di lui e ancora sulla sua collega, per un attimo Jun ebbe l’impressione che si vergognasse del suo lavoro lì in mezzo. «Sei un dottore? Matsumoto san ha sempre delle amicizie particolari»
«Strane?» domandò lui
«No, “particolari”. Molti di noi finiscono tanto assorbiti dal lavoro che finiscono con il conoscere solo gente del nostro ambiente e nemmeno tanta. Per uno famoso e indaffarato come Matsumoto san sarebbe normale una cosa del genere, e invece ha molti più amici di quanto non si immagini e tutti molto diversi, quindi non solo personaggi famosi» spiegò Yuko guardando Tomomi. Il ragazzo si sentì in imbarazzo, sembrava le avesse chiesto di tessere le sue lodi davanti ad una bella donna, quando non era affatto così! Senza contare che, data la dichiarazione, lei era già attratta da lui senza aver bisogno di sentire tutti quei complimenti. «Un dottore però… non me l’aspettavo davvero»
«Penso che lo stesso si possa dire per chi lavora in ospedale» la interruppe Tomomi «Sono lavori impegnativi che richiedono presenza e concentrazione oltre che un grosso sforzo e impiego di tempo. Appunto per questo è giusto che chi li pratica possa avere un modo per svagarsi e allontanarsene quando non li pratica. Chi vive solo in funzione del proprio lavoro e solo immerso in quell’ambiente probabilmente ha performance buone ma meno rispetto a chi sa anche prendersi le giuste pause» si girò a guardarlo «Se dicono che Matsumoto san è bravo probabilmente è proprio perché sa anche prendersi delle pause e continuare a rimanere una persona di questo mondo, non alienata nel proprio dovere»
«Tutto questo per ribadire che non è così strano se ci conosciamo?» domandò Jun, preso un po’ alla sprovvista da quel discorso che sembrava dargli troppe buone qualità e che detto da quella donna era decisamente troppo buono. Dato ciò che le aveva detto il giorno prima si sarebbe meritato solo degli insulti. «No. Per farti notare che per quanto tu sia bravo sul lavoro e nelle amicizie ancora non riesci nemmeno a relazionarti come si deve con una bambina» rispose la donna accennando a Seiran seduta ad un altro tavolo
«Vero? E dire che gli Arashi solitamente se la cavano bene con i piccoli. Matsumoto san è troppo serio» rise Yuko
«Non voglio parlarle come si parlerebbe ad uno stupido» ribattè Jun
«Non devi parlarle come se fosse stupida, perché non lo è. Ha solo una mente più semplice e come tale comprende meglio i discorsi meno complessi e più diretti» gli spiegò Tomomi
«Quindi se alla fine di una lunga giornata di lavoro un bambino tuo paziente ti chiede di giocare a nascondino cosa fai per fargli capire che sei in piedi da stamattina all’alba e non riesci più a muovere un muscolo?» la sfidò il giovane Idol
«Uhm… o gli propongo di giocare a nascondino nella stessa stanza così da non dovermi muovere tanto, oppure posso proporgli di rinviare a domani e farlo giocare con un altro paziente più giovane. Ma il più delle volte i capricci dei pazienti più piccoli sono ottimi per convincerli a fare altro: gioco con te se poi ti fai fare l’iniezione, se mangi tutta la cena domani ci nascondiamo in giardino, e così via»
«Questo non è trattarli in maniera semplice, è ricatto» ribattè sbalordito
«No, è un semplice scambio: io ti do se tu mi dai» sorrise angelica prima di bere dal bicchiere offertole
«No, è un ricatto» rise divertito Jun
«Giuro che sono buonissima» alzò le mani in aria
«E’ un ricatto e fai paura. Ricordami di non diventare mai tuo paziente»
«Guarda, ti assicuro che se non hai la mania di giocare a nascondino e mangi tutta la minestra della mensa non ho bisogno di ricattarti»
«Vedi? È un ricatto allora» ed entrambi si misero a ridere.

Era un po’ come essere tornata indietro nel tempo, a quella sera in cui, lasciando soli Sakurai san ed Erina, si erano concentrati solo su loro due. O ancora, sembrava quello scambio di battute facile e spontaneo avuto in quell’ultima notte d’estate, sotto i fuochi d’artificio. Matsumoto Jun era una persona interessante e curiosamente le riusciva bene chiacchierare con lui senza comportarsi da dura, né utilizzare un linguaggio da scaricatore di porto. Probabilmente era anche ciò che provava per lui a spingerla a comportasi in maniera più carina e meno rude, eppure continuava a dire la sua opinione e rispondere come voleva anche mantenendo quell’atteggiamento più femminile. Passò un’ora circa in quella saletta e parlò principalmente con lui che gli presentò alcuni dei colleghi, il giorno dopo avrebbe già dimenticato i loro nomi, ma avrebbe ricordato come si era sentita al fianco del ragazzo: a suo agio, serena, capace di intraprendere un discorso serio e di scherzare subito dopo come non le era mai successo prima. Si maledì per aver accettato quell’invito. Era stata spinta dalla curiosità di vedere Jun nel suo ambiente con i suoi colleghi, ma non aveva calcolato che avrebbe approfondito quegli aspetti che le avevano reso quel ragazzo un uomo interessante tanto da provare qualcosa. Una volta rifiutata avrebbe fatto bene a levarselo dalla testa e dimenticare ogni cosa, lei invece si era rituffata in quelle sensazioni senza rendersene conto.
Al momento di lasciare il locale e tornare ognuno a casa propria Jun cominciò il giro dei saluti: conosceva veramente tutti. A le invece si avvicinò uno degli attori che le erano stati presentati, sembrava quello con cui l’Idol aveva legato di più tra tutti. «E’ stato un piacere conoscerla Nomura san, chissà se avremo ancora occasione»
«Non saprei…» rispose vagamente, un po’ perché era improbabile, un po’ perché stava cercando di ricordare il suo nome e non le veniva in mente. «Sinceramente cominciavo a preoccuparmi. Jun kun è un buon amico e un bravo attore, ma in questi mesi di lavoro, anche se si impegnava, si vedeva che il suo dolore lo opprimeva molto» spiegò questi spostando lo sguardo sull’amico. Tomomi invece concentrò l’attenzione su di lui, non riuscendo a capire il suo discorso. «Ma per fortuna nelle ultime settimane sembra abbia cominciato a riprendersi. Certo un incidente come quello non si scorda facilmente». La donna abbassò lo sguardo, imbarazzata: quel collega doveva aver dato per scontata una profondità nell’amicizia tra lei e Matsumoto che in realtà non c’era affatto, credendo così che potesse sapere a cosa si stesse riferendo perchè sembravano confidenze piuttosto intime. «Mi dispiace, io… non credo dovremmo parlarne» cercò di spiegarsi, aveva il sentore che quelle fosse informazione che lei non aveva alcun diritto di sapere
«No hai ragione, sei cardiologa giusto? Non sta certo a me dire quanto possano soffrire le persone che perdono chi amano improvvisamente, nel tuo campo capiterà immagino»
«S-sì, penso di dover andare ora. Buona notte» tagliò corto Tomomi facendo un rapido inchino prima di allontanarsi rapidamente.
Sarebbe cosa via più veloce che poteva, se solo non fosse sembrata una pazza se fosse scappata improvvisamente. “E’ questa la verità allora? Le persona a cui pensi, la donna che non riesci a dimenticare nonostante ti abbia abbandonato è morta?” si chiese voltandosi a guardare Jun che sorrideva e si inchinava ripetutamente al regista “E’ chiaro allora: non la sogni perché dentro di te vuoi accantonare questa storia troncata sul nascere, ma sei troppo sensibile per accettare di abbandonare così l’amore che provavi. Perché era un amore innocente. Non ti ha lasciato, non avete litigato, non ti ha tradito: ti amava ed è morta”. Conosceva quella storia. Non tutti i pazienti si confidavano, ma in quegli anni qualche volta era successo e capitava fossero mariti o mogli o compagni rimasti soli dopo la perdita del proprio partner. Il dolore e l’ingiustizia della perdita si scontravano con la naturale voglia di continuare a vivere e a provare sentimenti. Ne nasceva il senso di colpa.
Jun salutò Seiran per ultima e ringraziò ancora Takeuchi san poi raggiunse Tomomi «Non posso guidare quindi chiamerò un taxi, vuoi che possiamo prima da casa tua?» propose sorridendo
«Accompagnami alla stazione» rispose lei tranquilla «Dovrebbe esserci l’ultimo treno tra un quarto d’ora»
«Sei sicura?» domandò il ragazzo «Se non hai abbastanza soldi pago io la corsa. Mi spiace di non poterti riaccompagnare di persona ma…»
«Va bene così Matsumoto san» scosse il capo lei «Però andiamo o lo perdo». Lui annuì e si avviarono nonostante il manager dell’idol fosse un po’ reticente a mandarlo da solo.
Il vento si era leggermente calmato, ma continuava a far fresco, così si era messa la giacca sopra la polo e l’aveva anche chiusa fino al collo mettendo le mani in tasca. Sapeva che avrebbe fatto meglio a non dire nulla. Non erano affari suoi, non avrebbe nemmeno dovuto saperli, eppure non se la sentiva di lasciare quel ragazzo in preda a sentimenti tanto dolorosi e confusi. «Credo che qualcuno abbia frainteso il nostro rapporto» esordì tenendo gli occhi incollati alla strada mentre camminavano sul marciapiede
«Si? Mi dispiace, ti hanno detto qualcosa?» fece Jun mentre si sistemava il cappuccio della felpa grigia fuori dalla giacca di pelle
«Qualcosa che non avrei dovuto sapere, credo» sorrise lievemente «Ma ormai è fatta. Non è poi così grave» scrollò le spalle
«Che è successo?» domandò lui confuso
«Vorrei che facessi una cosa per me» gli disse sbirciando verso di lui, piegando appena la testa «Dovresti dimenticare quel che è successo ieri»
«Come?» fece, ancora più confuso
«Fai come se non ti abbia mai detto che mi piaci. Era fuori luogo, ma non ne avevo idea»
«Hai saputo qualcosa vero? Non c’è bisogno che ti angusti, va bene così» scosse il capo lui, preoccupandosi «Non hai fatto niente di male»
«No, certo che no, ma non voglio che ci pensi più. Perciò è più facile far finta che non sia mai successo» gli spiegò paziente
«Perché non dovrei pensarci? Cosa ti hanno detto?» e si fermò, smettendo di camminare. Aveva l’aria accigliata e insieme spaventata. Era chiaro, stavano per parlare di un sentimento che era suo, suo soltanto, privato e intimo. Tanto fragile che probabilmente temeva svanisse se ne avesse parlato ad alta voce. «Mi hai detto che c’è un’altra che non riesci a dimenticare per quanto lei però non sia più con te e non abbia più alcuna influenza sulla tua vita. Ho pensato fosse un eufemismo per una storia finita male, un modo per descrivere una donna di cui eri molto innamorato e che per quanto ti avesse lasciato non riuscivi a dimenticare. Ma non è così vero?» domandò fermandosi al suo fianco e guardandolo negli occhi «Come si chiamava?»
«Che importanza ha?»
«Per darle un nome, non mi piace chiamarla “lei”. Merita di essere chiamata per nome ancora adesso se…»
«Shiori» la interruppe Jun «Si chiamava così»
«Aveva dei problemi al cuore vero? Sembrava che dovessi sapere di Shiori proprio in virtù del fatto che lavoro nel campo della cardiologia» spiegò osservando il ragazzo annuire mestamente «Ho visto persone perdere i propri cari. Le vedo ogni giorno anche quando non se ne vanno sotto i miei ferri, le ho viste oggi, le vedrò domani. Non per questo pretendo di sapere cosa si provi e cosa vada fatto, ma penso che sia meglio se tu non tieni più in conto ciò che ti ho detto»
«Perché pensi che io ci dia ancora peso?» domandò irritato. Tomomi non si offese, era un classico: usava la cattiveria per difendersi da qualsiasi cosa lei avrebbe detto, nella speranza che desistesse e non si interessasse più a quel lato vulnerabile dei suoi sentimenti. «Perché se non ti interessasse mi avresti rifiutato e basta, invece mi hai dato una spiegazione. Perché stasera mi hai invitato improvvisamente ma il secondo dopo ti sei preoccupato di aver fatto la cosa sbagliata e di aver ferito i miei sentimenti. Perché a te interessa ciò che provano le persone che ti circondano» replicò con voce dura, come se servisse a sconfiggere il tono irritato di lui «Sei una persona sensibile altrimenti non saresti nelle condizioni in cui sei ora». Rimasero in silenzio per un po’, poi Jun riprese a camminare verso la stazione come destandosi dai suoi pensieri e rendendosi conto solo in quel momento di essersi fermato. «Ciò che è capitato a Shiori non ha niente a che vedere con te. Perché pensi che la tua dichiarazione possa cambiare qualcosa?»
«Sei già in conflitto con te stesso, mi sbaglio? Hai detto di non riuscire a sognarla, che nulla di lei rimane nella tua vita. Ci sono solo i tuoi sentimenti a ricordare ancora il suo passaggio e tu non riesci a staccartene, anzi, non vuoi farlo perché Shiori non ha fatto niente di male per essere dimenticata» spiegò a mezza voce avvicinandosi di più al suo fianco mentre camminavano quando in una via più frequentata avrebbero rischiato di venire separati dalle altre persone. «E’ un conflitto che ho già visto in altre persone: il volersi lasciar andare alla dolorosa dolcezza dei ricordi contro la tendenza naturale di tutti noi alla sopravvivenza, alla voglia di andare avanti e continuare. La mia dichiarazione, la dimostrazione che c’è la possibilità di voltare pagina è come una scossa nei tuoi sentimenti: che io ti piaccia o meno ti ho provato che ci sono infinite altre possibilità se decidi di darti pace e ti getti alle spalle il passato. In un certo senso peggiora la situazione» si strinse nelle spalle
«Non pensi che invece potrebbe essere la spinta decisiva verso l’uno o l’altro desiderio tra quelli in conflitto?» domandò con una punta di curiosità nella voce
«Non credo. Hai già scelto rifiutandomi e parlandomi subito di Shiori: non hai scelto il passato doloroso dicendo “no” a me, hai respinto il futuro possibile usando i tuoi ricordi come scudo e come scusa per non darti nessuna possibilità. Né io, né altre» scosse lievemente il capo e si fermò una volta che arrivarono davanti all’entrata della stazione. C’era anche qualcosa di non detto: i morti, coloro che ci sono stati cari in vita, sono rivestiti di un velo di lucentezza e perfezione. Se Jun fosse stato lasciato da una fidanzata qualsiasi magari un giorno si sarebbe dimenticato di lei rendendosi conto di quanto fosse imperfetta, ma la sua “avversaria” –se così poteva considerarla nonostante non ci fosse stata alcuna battaglia dopo il rifiuto del giorno prima- era una donna perfetta il cui ricordo non poteva essere macchiato. Tomomi non aveva alcuna chance.

Alzò gli occhi a guardare il cielo scuro. C’erano stelle? Le luci della città le nascondevano ai suoi occhi.
«Sto sbagliando tutto? E’ questo che vuoi dirmi?» domandò guardando Tomomi negli occhi. C’era della verità in ciò che diceva, ma questo non gli rendeva ancora chiaro cos’avrebbe dovuto fare. Sapeva anche che una soluzione ai suoi problemi l’avrebbe trovata solo con le sue forze e non chiedendola ad altri, e di certo non chiedendola a qualcuno che conosceva così poco, ma sentire i suoi sentimenti snocciolati in così poche frasi, resi con parole chiare lo terrorizzava e lo affascinava allo stesso modo. Altri erano stati nella sua stessa situazione? Quelle sensazioni che lui provava avevano un nome? Individuarle così dava loro una realtà dolorosa e terribile, ma anche una concretezza tale che sembrava di poterle toccare. E se si potevano toccare, si potevano anche superare e cancellare.
«C’è gente che ha continuato a vivere nel passato e c’è chi ha invece deciso di andare avanti. Forse non c’è giusto e non c’è sbagliato: come può essere sbagliato desiderare la felicità e il futuro? Ma è anche giusto non dimenticarci di chi ci ha amato e ci ha donato una parte del proprio cuore prima di lasciarci. Non puoi aspettarti che sia io a dirti cosa fare» fece spallucce tirando fuori le mani dalle tasche «Non oggi, che è stata una giornata pessima, né mai, perché… beh, devo ammetterlo, c’è un conflitto di interessi»
«Intendi dire che mi diresti di andare avanti e di ripensare alla mia risposta?» chiese con un sorriso leggermente divertito, ma in parte era incuriosito dalla risposta
«Dimentichi che ti ho chiesto di dimenticarti della mia dichiarazione» sbuffò arricciando il naso «E seconda cosa, non è un discorso che riguarda solo me: chiunque ti conosca vorrebbe il futuro nella tua vita, ma nessuno di noi immagina cosa sia il passato per il tuo cuore». Jun sentì quasi una bruciante delusione a quella risposta. “Cosa mi aspettavo? Che mi chiedesse di ripensarci? Non credo nemmeno che la risposta di oggi sarebbe diversa da quella di ieri, quindi a che pro aspettarsi una simile richiesta?” si domandò guardando a terra, sbalordito dalle sue stesse speranze. «Ad ogni modo» sospirò Tomomi scrollando le spalle «Sono certa che hai degli ottimi amici con te, molto più preziosi e cari di qualsiasi bella ragazza ti si possa dichiarare. Di certo per loro, o con loro, troverai un modo per affrontare il futuro senza che il passato venga dimenticato» concluse con un sorriso. In quel momento la voce femminile degli altoparlanti della stazione richiamò la loro attenzione. «E’ l’ultimo, sarà meglio che vada» annunciò la ragazza
«Grazie» fece Jun
«Di cosa? Abbiamo solo fatto un discorsone pesante lungo la via! A quanto pare non riusciamo mai a discutere normalmente noi due» rise lei
«Mi sembra che stasera abbiamo fatto anche quello, ma volevo ringraziarti perché ancora una volta sei stata ad ascoltare me nonostante i tuoi problemi»
«Perché pensi abbia problemi?» domandò incredula
«Perché fumi solo per autopunirti e quando ti ho vista al locale avevi appena finito» le spiegò, ricordandosi bene quel che si erano detti la prima sera che si erano incontrati, senza sapere chi fossero. Ma Tomomi non gli disse nulla, lo salutò con un sorriso e prese il suo treno. A Jun rimase solo da fermare un taxi e tornare nel suo appartamento. “Affrontare il futuro senza dimenticare il passato… è possibile?” si domandò alzando una mano per richiamare l’attenzione del guidatore e spingerlo a fermarsi. Aveva molto su cui riflettere dopo quella chiacchierata, ma c’era anche una parte di sé che si dispiaceva al dover dimenticare la dichiarazione di quella donna: a chi non faceva piacere riceverne? E lui certo non ne riceveva molte (non di quelle vere comunque), ma aveva anche l’impressione di dover lasciare da parte quelle parole sincere, prendere un respiro profondo e affrontare una volta per tutte se stesso e ciò che intendeva fare dei suoi sentimenti per Shiori.

* Lo shabu shabu è un piatto che prevede una pentola al centro della tavola, posta sopra un fornello acceso e riempita di acqua o brodo dashi (di pesce). Intorno sono posti piattini con carne o verdura cruda che i commensali prendono con le bacchette che cuociono all'istante nella pentola.


Finally... quanto diavolo c'ho messo... dovevo stare male stanotte per essere costretta a letto e avere così il tempo di scrivere Il gioco non vale la candela comunque, sono stata malissimo.
vabbè... ultimo capitolo prima della mia partenza per Taiwan. Come qualcuna saprà già torno il 10 Gennaio, indi, poscia, per cui, non scriverò un tubo fino a quel dì, dopodichè sarò tornata e mi rimetterò all'opera (esami permettendo).
Qualcuno sa quanto tutta queste scena mi abbi angustiato per molti giorni, nessuno sa invece quanto tutto il discorso tra Tomomi e Jun mi sia costato parecchi taglia&cuci di battute.
Ancora non mi sento tanto bene e dato lo stop su qualsiasi cosa di oggi sono rimasta indietro con i preparativi per la partenza di sabato adesso ho la mente in subbuglio per le tremila cose rimaste in sospeso (tra cui il blog di viaggio che debbo tenere da lì >.<)... indi non riesco a fare un commento più ragionato di così. Torno sotto le coperte.
Buone feste a tutte!!! In particolare a Shizuka, WhenItsTime e isabell <3

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Arashi / Vai alla pagina dell'autore: Hika86