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Autore: Kathryn Krystine    22/12/2011    6 recensioni
Alla Vigilia di Natale, si sa, sono tutti più buoni. Tutti tranne Duncan, che dell'imminente arrivo del Natale non sembra nemmeno accorgersi: a causa del suo ben noto caratteraccio ha deciso che queste inutili feste le passerà da solo, senza nessuno che possa dargli fastidio. Ma non c'è spazio per egoismi e cattivi sentimenti durante un periodo così magico...
Riuscirà Duncan a capirlo?
Che ruolo avranno in tutto questo i tre Fantasmi del Natale?
E, soprattutto, cosa diamine è una "proiezione astrale"?
(Mia personalissima rivisitazione del grande classico "Il Canto di Natale" di Dickens)
Dal capitolo 2:
"Sei patetico.” Chris lo guardò dritto negli occhi. Era inquietante. Sembrava che cercasse di leggere i suoi pensieri più profondi, la sua anima. Istintivamente, Duncan si coprì di più con la coperta. “Guardati. E’ la Vigilia di Natale e tu te ne stai qui rannicchiato sul divano, da solo, ad ubriacarti...”
“Era solo una lattina di birra, che sarà mai...”
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Duncan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Christmas Carol - Il Canto di Natale

 

 

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Il cielo del 24 dicembre, per quell’anno, non era stato certo avaro di neve: pareva quasi che stesse dandosi da fare per rispettare la tradizione del “bianco Natale”, facendo piovere fin dall’alba di quella mattina fiocchi massicci, fittissimi e incessanti. Nel giro di poche ore un manto bianco e candido aveva letteralmente ricoperto la città di Leavesden, dandole una perfetta atmosfera natalizia enfatizzata ulteriormente dalle luminarie accese nelle strade e i festoni  che pendevano da tutte le finestre. Persino le persone sembravano essere più felici, quel giorno.

A Duncan Evans  invece faceva tutto schifo.

Mentre camminava a passo spedito diretto al suo appartamento, si guardava attorno e non provava che un’enorme ondata di irritazione.

I bambini che giocavano attorno a lui, con le loro urla stridule e le palle di neve che facevano volare da tutte le parti, gli davano sui nervi.

Le luminarie lo accecavano ogni volta che alzava lo sguardo.

E, come se non bastasse, la neve gli aveva ormai infradiciato completamente le Converse che portava ai piedi . Certo, sarebbe stato più logico se fosse uscito di casa con degli stivali di plastica invernali o roba simile, ma: 1) con quegli affari  sarebbe sembrato un idiota, e 2) quella dannata neve avrebbe sicuramente trovato qualche altro modo per infastidirlo.

Si calcò meglio il cappello di lana sulla fronte e continuò ad arrancare in quella coltre bianca per qualche minuto, una smorfia di fastidio stampata sul volto, mentre borbottava tra sé maledizioni indirizzate a chiunque avesse la sfortuna di passargli davanti ed avere un’aria contenta. Fortunatamente l’appartamento non era molto lontano, si trovava giusto dietro l’angolo.

Giunto di fronte al portone ficcò una mano guantata in tasca del giaccone, alla ricerca delle chiavi. Prima che riuscisse ad individuarle, qualcosa lo colpì con forza alla nuca.

Il ragazzo represse un’ennesima maledizione, e massaggiandosi la parte colpita si voltò a guardare alle sue spalle. Il suo sguardo irritato non prometteva niente di buono.

“Mi scusi tanto, signore!” Un bambino con un giubbotto colorato correva verso la sua direzione, le guance arrossate dal freddo.  “Non volevo colpirla. Ho calciato troppo forte il pallone, e il vento ha fatto il resto. Mi dispiace.”

Un pallone blu giaceva per terra a pochi passi da lui.

“Dovresti stare più attento” replicò Duncan con calma gelida. Si chinò e prese il pallone tra le mani.

Il bimbo accennò un sorriso timido.

Duncan lanciò il pallone con tutte le sue forze alle spalle del bambino, mandandolo a schiantarsi dentro un cestino della spazzatura.

Il sorriso del bambino si gelò.

“Ecco, vattelo a prendere adesso! E poi gira al largo, pidocchio!” abbaiò il ragazzo, e il piccolo, dopo avergli lanciato un’occhiata di fuoco, gli voltò le spalle senza aprire bocca e tornò di corsa dai suoi amichetti. Non appariva minimamente spaventato, anzi, gli era perfino sembrato di sentirlo sussurrare “Razza di antipatico” appena prima di correre via. Nonostante ciò Duncan era comunque contento della lezione che gli aveva dato. La prossima volta sarebbe stato più attento nel manovrare quello stupido giocattolo da due soldi.

Respirando profondamente per smaltire l’irritazione il ragazzo rituffò nuovamente la mano nella tasca, e una volta estratte le chiavi si affrettò ad aprire il portone di casa sua e a fiondarcisi dentro, chiudendoselo rapidamente alle spalle. Finalmente c’era una barriera fisica tra lui e il resto della città.

             *

Il periodo natalizio non era esattamente il preferito di Duncan. Anzi, diciamo pure che lo detestava.

Non era stato sempre così, naturalmente. Anche lui da piccolo aveva atteso con ansia il Natale, si era svegliato all’alba per tentare di cogliere in flagrante Babbo Natale che metteva i regali sotto l’albero. Una volta aveva persino speso tutti i suoi risparmi dei sei mesi precedenti per comprare a sua madre un profumo particolarmente costoso che lei non poteva permettersi. Ne aveva passato, di Natali felici. Ma un anno quella magia si era spezzata – tutto per colpa sua, sebbene ammetterlo gli costasse non poco- e il Natale non aveva più avuto alcun significato per lui. Era diventato un giorno come tutti gli altri, se non peggio. Un giorno che preferiva passare da solo, ad evitare il resto del mondo e la loro sfacciata felicità. Non gli piaceva affrontare ogni anno gli stessi stupidi ricordi.

 Duncan si tolse il giaccone. Fradicio, proprio come le scarpe.

Lo posò sopra una sedia ad asciugare e si liberò anche di scarpe e calzini, rimpiazzandoli con spessi calzettoni di lana. Non erano proprio l’ultima moda, ma pazienza. Si coprì ulteriormente con una felpa pesante e si avvolse una coperta attorno alle spalle. Faceva freddo quella sera. Non era il solito freddo invernale... Il gelo gli stava praticamente penetrando nelle ossa.

Stava per lasciarsi cadere sul divano e dormire fino al mattino successivo, quando inaspettatamente il telefono squillò. Strano. Non c’erano molte persone che lo cercavano a quell’ora della sera. Specie intorno al periodo di Natale, quando chiunque lo conoscesse un minimo sapeva che sarebbe stato intrattabile. Quindi la sua voce era venata di curiosità quando aveva mormorato “Pronto?” nella cornetta dell’apparecchio.

Duncan!” Una voce allegra ed eccitata. “Pensavo che non avresti nemmeno risposto!

“Jessie!” La sua sorellina. L’unico membro della famiglia con cui parlava regolarmente e senza aver mai bisogno di litigare. Un abbozzo di sorriso si allargò sul viso di Duncan.

Jessie non aveva ancora smesso di parlare nella cornetta a tutta velocità. “...un sacco di tempo che non ci sentiamo, mi spiace! Questo stupido cellulare si scarica sempre nei momenti meno opportuni...

“Certo, è un problema atroce...” Il sorriso del ragazzo si allargò ancora un po’. “Allora, volevi dirmi qualcosa?”

La vocina di Jessie si fece all’improvviso troppo entusiasta. Un entusiasmo decisamente forzato. “Ho una fantastica proposta da farti! Perché non vieni a passare il Natale a casa?”  sfiatò, tutto d’un colpo.

Duncan strinse le mani a pugno. “No.”

Ma la mamma...” pigolò Jessie, con voce sottile.

“No,” ripeté lui duro. “La mamma non mi vuole lì, e soprattutto non mi ci vuole papà. Non li biasimo, nemmeno io mi vorrei lì. Quindi non verrò. Sapevi che ti avrei risposto così. Non avresti nemmeno dovuto chiedermelo.”

Sentì Jessie che iniziava a replicare qualcos’altro, ma non le diede il tempo di continuare. Mise giù il telefono con forza, si trascinò in salotto e si buttò pesantemente sul divano, una birra in una mano e il telecomando nell’altra.

 Aveva avuto una giornata faticosa. Non solo non faceva che nevicare da quella mattina (quanto la detestava, la neve!), ma non aveva nemmeno potuto restarsene rintanato in casa perché Chris lo aveva costretto a fare quella stupida intervista per la speciale puntata natalizia del reality. Essere la star di uno show televisivo in onda in tutto il mondo era stato divertente nei primi tempi, ma in seguito si era rivelata una vera piaga. Non aveva più un minimo di privacy –per questo cercava di farsi vedere in giro il meno possibile. Tutti si sentivano autorizzati a intromettersi nella sua vita. Tutti –e Chris in particolare-  lo ricoprivano di domande indiscrete. “Come passerai il Natale, Duncan? Tornerai a casa dalla famiglia per le feste, Duncan?  C’è qualcuno di speciale nella tua vita, Duncan?”  

Patetico, davvero.

Ma non aveva voglia di avvelenarsi l’animo ulteriormente. Per quel giorno aveva avuto abbastanza pensieri negativi.

Prese un sorso di birra dalla lattina e accese la televisione riproponendosi di sintonizzarsi sul programma più stupido che avesse trovato. Non c’è niente di miglio della televisione per quando hai voglia di spegnere il cervello per un po’.

Cambiò qualche canale a casaccio, e finì per fermarsi quando vide il viso di Chris ammiccare dallo schermo. Fantastico, non bastava averlo avuto tra i piedi per tutto il pomeriggio, se lo ritrovava anche in tv. E dire che pensava di essersene liberato per quel giorno...

Alzò il braccio per cambiare ancora canale, ma si interruppe bruscamente quando vide l’ospite in studio che il conduttore si accingeva a presentare.

“Stasera abbiamo con noi una delle star del reality, non è annoverata tra i vincitori ma non possiamo certo negare che sia tenace...”  stava esclamando Chris con il suo sorriso abbagliante “Qui con noi per un’intervista c’è Miss Perfettina, Miss-Credo-Di-Apparire-Minacciosa-Ma-Poi-Ho-Paura-Della-Gelatina-Verde...”

“CHRIS!” abbaiò una seconda voce dallo schermo.

“...La nostra Courtney Johnson!”

Ecco. A proposito di ricordi negativi.

Si era fatta carina, Court. Anche più carina rispetto all’ultima volta che l’aveva vista di persona –Quant'era passato? Dieci mesi, un anno?

Aveva i capelli più lunghi, la pelle più luminosa. E sembrava felice. Sicuramente più felice di lui.

Duncan riuscì a spegnere la tv appena un attimo prima che la ragazza iniziasse a parlare. Non gli andava di risentire la sua voce. Per quel giorno ne aveva abbastanza.

Oggi non è proprio giornata, pensò esausto. Si stese completamente sul divano, respirando profondamente  per tentare di calmare i battiti furiosi del suo cuore, e si coprì bene con la coperta che aveva con sé. Il suo calore era rilassante, e lui era così stanco... Non voglio dormire, riposerò gli occhi per qualche minuto...

Quasi un’ora dopo, interrompendo il rombo del suo russare, due mani afferrarono Duncan per le spalle e lo scossero con forza.

“Sveglia!”

 

 

*

 

Angolo dell'autrice: si, lo so che ho altre storie da aggiornare, ma l'atmosfera natalizia di questi giorni mi ha fatto venire l'ispirazione per questa nuova cosettina, che -vi anticipo subito- non dovrebbe contare più di cinque o sei capitoli. Grazie se avete letto fin qui, spero di ritrovarvi anche nel prossimo capitolo **

  
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