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Autore: CinderNella    23/12/2011    1 recensioni
Il ragazzo che doveva pagare solo un caffè americano –o almeno pensava fosse quello, anche se da Starbucks non era mai solo quello– non era propriamente sconosciuto.
Non che lei lo fosse, anche se cercava di mimetizzarsi al suo meglio, con il cappuccio, gli occhiali e le converse.
Lui invece si riconosceva perfettamente da lontano: Ben Barnes le stava offrendo un muffin al cioccolato.
Keira Knightley x Ben Barnes
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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1.
Non era propriamente solita amare il Natale.
Generalmente, la considerava solo una festa consumistica.
Ma in quel periodo, quel Natale... avrebbe volentieri fatto a meno di qualsiasi impegno, di ogni tipo.
Avrebbe solo voluto prendere una confezione gigante di biscotti, una coperta, un buon film e passare le vacanze a piangere a dirotto.
Magari anche  un film pessimo, con una regia pessima e degli attori pessimi.
Bastava che la lasciassero piangere in pace.
«Sono due sterline e sessanta, signorina.» Dove diavolo erano quei cinque penny?
«Ehm, un attimo...» la commessa la squadrò spazientita, mentre cercava nella borsa il porta-spiccioli.
«Signorina... sta bloccando la fila...» Dio, quant'erano scorbutici i camerieri in periodo natalizio! Anche se le piaceva non poco Starbucks, doveva ripromettersi di non andare più sotto Natale.
In quel periodo, ogni luogo pubblico era invivibile, erano tutti troppo impegnati a preoccuparsi di fare più soldi e guadagnarsi più clienti, anche tramite la smania della gente di andare in giro e fare compere per i regali.
«Dove diavolo—
Fu interrotta dal colpo di tosse della commessa, che era arrivata a guardarla in cagnesco.
«Senta, io sono buon—
«Pago io per la ragazza!» Keira si voltò, stupita, verso la calma voce tipicamente inglese che aveva sentito dietro di lei.
Il ragazzo che doveva pagare solo un caffè americano –o almeno pensava fosse quello, anche se da Starbucks non era mai solo quello– non era propriamente sconosciuto.
Non che lei lo fosse, anche se cercava di mimetizzarsi al suo meglio, con il cappuccio, gli occhiali e le converse.
Lui invece si riconosceva perfettamente da lontano: Ben Barnes le stava offrendo un muffin al cioccolato.
Non cercava di nascondersi nemmeno un po'? Gli piaceva essere riconosciuto e paparazzato, per caso?
«Mmh, grazie.» rispose lei, aggiustandosi gli occhiali sul naso e prendendo il suo muffin.
Non aveva particolarmente voglia di intrattenere nuove relazioni sociali, ma le aveva offerto del cibo e senza nemmeno conoscerla.
Stava approcciando?
Magari era semplicemente gentile. Con gli sconosciuti. Con le ragazze sconosciute.
Alzò gli occhi al cielo: ogni tanto la sua mente doveva stare davvero zitta.
«Ho trovato i cinque penny» li tirò fuori dalla borsa: Ben scoppiò a ridere.
«Hai soldi sparsi per la borsa di Mary Poppins?»
«Ehi, insinui forse che è troppo grande?!» stava scherzando con un perfetto quasi-sconosciuto?
«Noo, davvero. Ci andrebbe solo una casa dentro.» rispose lui, mascherando una risatina con un colpo di tosse.
Keira lo guardò male, sedendosi ad un tavolino.
«Credevo fosse d'asporto. Il tuo muffin intendo. Non hai propriamente la faccia di una filantropa, devo dire.» continuò Ben, affiancandola al tavolino.
«No, infatti. Però voglio ancora deliziare la commessa della mia presenza» guardò la ragazza alla cassa –che li stava squadrando senza alcun ritegno– e le sorrise acida.
Ben rise di nuovo: «Immagino»
«Tieni.» gli porse i penny.
«Non ti preoccupare.» Keira lo guardò con un sopracciglio alzato: non ci stava provando, vero?
Perché era appena uscita da una relazione di cinque anni, era stata mollata, non aveva la minima intenzione di...
«Ho già preso le due sterline e cinquantacinque.» spiegò lui, facendo spallucce.
Non aveva alcun doppio fine; lo guardò allibita, poteva davvero essere così tirchio? Aprì la bocca in un sorriso, che non poté evitare di estendersi a risatina nervosa e poi a grassa risata.
«Cosa c'è?»
«Nulla.» rispose lei, facendo spallucce «Sei semplicemente spilorcio.» aggiunse a voce più bassa.
«Come?! Ti ho offerto la colazione e mi ripaghi così?!» ribatté lui, con la bocca aperta.
Aveva davvero un'espressione ebete.
«Ma dai, mi hai offerto cinque penny!»
«I cinque penny della discordia, quella commessa ti avrebbe mangiato!»
«O scusa, messere, tieni anche il mio muffin, mi hai offerto cinque penny!» esclamò lei, con il suo stesso tono: gli piantò metà muffin davanti al viso, e quegli ebbe il coraggio di morderlo.
«Sei assurdo.» scosse la testa, sorridendo.
«È buono!»
«Starbucks.» rispose lei, come se quel nome avesse dovuto spiegare tutto.
«Comunque sono Ben.» le porse la mano da sopra il suo caffè.
«Keira.» la prese e la strinse.
«Piacere di conoscerti!»
«Tutto mio» morse di nuovo il muffin: era davvero buono.
Forse Ben Barnes le stava facendo rivalutare la compagnia umana di Natale.
«Sai, sei la prima persona tranquilla con cui parlo, nel periodo natalizio.»
«Perché sono calmo, pacato, e ho già comprato tutti i regali da un pezzo.» spiegò lui con nonchalance.
«Come?! Io nemmeno uno. Non so nemmeno se li farò.»
«Perché? Rinneghi il Natale?»
«Semplicemente non è un bel periodo per me e non voglio festeggiarlo.» fece spallucce «Ma penso che almeno con la mia famiglia dovrò.»
«A me piace il Natale in famiglia.» aggiunse lui dopo qualche secondo: era rimasto solo per farle compagnia, il caffè era già finito da un po'.
«È bello finché sai che Babbo Natale esiste. Poi è uno sfascio.»
Ben scoppiò a ridere: «Non credi più nella magia del Natale?»
«Non la sento, come faccio a crederci? È come quando ti fermano per strada i testimoni di Geova e cercano di convincerti al loro credo: puoi metterci tutta la buona volontà che vuoi, ma se non senti la fede non ci crederai mai.»
«Oddio, discorsi filosofico - religiosi delle nove di mattina?!» Ben si alzò non appena lo fece anche Keira, che raggiunse la porta.
«Perché no» fece spallucce nuovamente «giorno o notte, non mi importa. Tanto non lavoro fino a Gennaio comunque.»
«A-ha, io finisco il quindici.»
«Gennaio?»
«Sì, non so quando continuerò.»
«A teatro vero?»
Ben annuì: sembrava tanto schivo a parlare del suo lavoro.
Aveva per caso trovato qualcuno che voleva essere considerato come una persona normale, quando faceva nuove conoscenze?
«Sigaretta?» gli porse il pacchetto.
Prima che Rupert la lasciasse stava cercando di smettere... c'era quasi riuscita, ma quando se n'era andato di casa aveva fatto fuori tre pacchetti in tre ore.
«No, grazie. Ho smesso da qualche anno, non vorrei ricominciare.» rifiutò, sorridendole.
«O, quanta forza di volontà.»
«Ho visto gente morire di cancro ai polmoni per il fumo, fidati, è denaro sprecato.»
«Ed ecco lo spilorcio che ritorna all'attacco...» si accese la sigaretta, aspirando «Comunque lo so. Se stessi meglio non avrei neanche il pacchetto in borsa. Mi riprenderò e ritornerò a fumarne una a domenica.»
«Lo spero per te.»
«Vai verso Mayfair?»
«No, a casa. Mi ha fatto piacere conoscerti, Keira.» le porse la mano nuovamente.
«Anche a me... ci si vede!» la strinse e si allontanò dalla parte opposta, fumando la sua sigaretta e pensando al fatto che molto probabilmente non l'avrebbe rivisto mai più.
Ma forse, per quel tempo, era meglio così.
 
Tornò a casa e gettò le chiavi nella ciotola che si trovava sullo scrittoio appena a destra della porta.
Nizza era troppo lontana, di certo non avrebbe voluto lasciare il suo paese per andare a vivere lì definitivamente.
Prese il cellulare e compose un numero che, per quante volte l'aveva digitato, oramai l'aveva imparato a memoria. Selezionò l'opzione viva-voce, lo posò sullo scrittoio e attese una qualche risposta.
«Ehi, Keira! Non mi aspettavo proprio una tua chiamata!...» udì una voce femminile di sottofondo: sperò davvero per lui che fosse solo una scappatella, perché se era l'amore della sua vita –o almeno, lo trattava da tale– lo avrebbe ammazzato.
«Senti, io ho intenzione di traslocare. Devi prendere alcune cose di qua? Io da domani inizio a cercare casa, ma a breve vado da mia mamma. Se hai bisogno, conosci il mio numero, e se devi prendere qualche mobile, puoi mandare la ditta. Arrivederci, Rupert.»
«Buona giornata...» chiuse la chiamata, guardandosi intorno e legando i capelli.
«Casetta, a noi!» riprese le chiavi ed aprì la porta: era certa che nella cantinola del palazzo ci dovessero essere dei cartoni inutilizzati, ed era proprio quello di cui aveva bisogno in una giornata piena di nulla come quella.
Avrebbe passato tutto il tempo da lì a Natale a raccogliere tutte le sue cose negli scatoloni e sistemarle in auto, per iniziarle a portare a casa dei genitori: almeno finché non avesse trovato un'altra sistemazione.
Dopotutto si suol dire “Anno nuovo, vita nuova”... lei l'avrebbe cominciata con una nuova casa!
 
«Sei ancora a casa?» lasciò cadere le chiavi sul mobiletto accanto alla porta, ricevendo un mugugno come risposta «Mattiniero.»
«Mh... Non hai le prove?» il viso paffuto del fratello sbucò dalla porta della cucina, e la sua presentazione non smentiva l'ipotesi di Ben: s'era davvero appena svegliato.
«Infatti sto per andarci. Volevo giusto passare a salutarti.»
«Che amabile fratellino!» lo punzecchiò lui, alzando un sopracciglio e tornando sui fogli che stava leggendo prima che arrivasse.
«Che cos'è?» Ben si mise a leggere prima che potesse ricevere il permesso: «Ehi! Giù le zampe, lo leggi dopo, ora vai a lavoro che è l'ultima prova oggi!»
«Sissignore!» alzò gli occhi al cielo, prendendo un biscotto e scuotendo la testa: si riappropriò delle chiavi ed uscì di casa, dirigendosi verso le scale.
Aveva fatto fuori tutte le pentole, posate, i piatti, le coppette e le tazze. Strofinacci, presine e tovaglie non erano più nel loro posto, gli apribottiglie nemmeno ricordava dove li avesse lasciati.
Si asciugò il sudore della fronte con la manica della sottile maglietta di cotone che indossava: doveva avere il termosifone a mille, oppure si stava semplicemente muovendo troppo per sudare così tanto a dicembre.
Chiuse tutti gli scatoloni che occupavano il centro della stanza e li lasciò nel mezzo, iniziando a dedicarsi alla camera da letto: avrebbe lasciato nell'armadio due o tre abiti da portare all'ultimo momento nella nuova casa, quando sarebbe stata sicura che era tutta sua e poteva farci quel che voleva.
Era stata impietosa nei confronti della maggior parte dei suoi vestiti, li aveva gettati tutti in grandi scatoloni alla rinfusa: sua madre, vedendoli, si sarebbe prima messa le mani tra i capelli e poi le avrebbe urlato contro così forte che tutti i vicini si sarebbero spaventati; accese lo stereo e prese un CD dei Cranberries che aveva trovato sul comodino.
Voleva solo alzare il volume al massimo, mettere in ordine e cantare a squarciagola.
Ma dopotutto, era quello che faceva da qualche settimana a quella parte.
Contemporaneamente metteva in diversi scatoloni soprammobili, CD e vestiti. Solo lei avrebbe capito con quale ordine li stesse “catalogando” — sempre che ve ne fosse uno.
Il telefonino squillò e non tardò a rispondere: era Sienna.
«Tesoro, come stai?»
Sentì in sottofondo qualcuno che tirava su col naso: «Keira? Tu stai bene?»
«Sì, perché? Un attimo, stai piangendo?»
«Ci siamo lasciati di nuovo, e definitivamente. Gesù, volevo solo che lo sapessi prima di tutto il mondo dai giornali...»
Keira lasciò tutte le cose che aveva in mano all'istante: «Oddio, come stai? Dove sei, che stai facendo?»
«Sono in aereo, sto tornando in Inghilterra. Hai un posto per me a casa tua?»
Keira emise un sonoro segno di scherno: «Puoi scommetterci. Solo che sto impacchettando tutto per andare a stare dai miei, ti va bene comunque?»
«Stare in famiglia? Non hai idea di quanto ne avrei bisogno. Sono sull'aereo, sto per decollare, devo spegnere. Ci sentiamo quando atterro, vengo direttamente a casa tua!»
«D'accordo, stammi bene! Non ascoltare musica depressiva...» ma aveva chiuso ancor prima che l'amica terminasse la frase.
Erano un bel problema, i maschi.
  
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